il treno dell’Irpinia 2017

Il treno delle castagne di Montella

28 Risposte to “il treno dell’Irpinia 2017”


  1. 2 avellinorocchetta 29/09/2017 alle 8:38 am


    PIETRO MITRIONE, IL SOGNO D’UNA VITA SUI BINARI

  2. 3 avellinorocchetta 13/10/2017 alle 3:54 PM

    “Sempre più persone scelgono il turismo sostenibile”. Intervista ad Anna Donati, portavoce dell’Alleanza per la Mobilità dolce

    Anna Donati è la portavoce della neonata Alleanza per la Mobilità Dolce, una rete di 22 associazioni nazionali impegnate sul tema del turismo sostenibile. Obiettivo dell’Alleanza, racconta Anna, è quello di “fare massa” verso le istituzioni e di “fornire un’offerta integrata” agli utenti che vogliono usufruire dei servizi legati alla mobilità dolce.

    L’Alleanza per la Mobilità Dolce è una rete formata da 22 associazioni nazionali, nata per promuovere la mobilità dolce e per farne emergere una visione unitaria. Anna Donati, membro del Gruppo di Lavoro “Mobilità Sostenibile” di Kyoto Club è stata nominata portavoce dell’Alleanza. Ci racconta come e perché è nata questa esperienza, le pratiche e le idee, e quali sono i suoi obiettivi.

    “L’Idea è quella di fare crescere la cultura e l’idea di mobilità dolce tra i cittadini e cittadine, di fare rete e massa critica per farci ascoltare di più da chi deve prendere delle decisioni ad ogni livello– racconta Anna – e di coniugare questa mobilità attiva con il territorio, con il tempo libero e l’offerta turistica. Per questo dentro la nuova Alleanza oltre alle tradizionali associazioni che si occupano di cammini, bicicletta, greenways, ferrovie turistiche, si sono aggiunte quelle che si occupano di tutela dei piccoli borghi, di turismo sostenibile, di paesaggio, ambiente e natura. Tutte insieme hanno sottoscritto un Manifesto per la Mobilità Dolce con questi contenuti”

    Da quale esigenza parte l’alleanza?

    In primo luogo per affermare il concetto di mobilità dolce e cioè integrare chi cammina, pedala o usa ferrovie turistiche. In secondo luogo dal fatto che, nonostante ogni associazione porti avanti per conto proprio le sue attività egregiamente, non si fa mai una massa significativa verso chi decide, come Ministeri, Istituzioni e Imprese pubbliche e private: in poche parole, c’è rischio di dispersione. Terzo, fornire un’offerta integrata a quell’utente che noi riteniamo in genere abbia voglia di usufruire dei servizi della mobilità dolce ma di cui non conosce l’esistenza o non sa come approcciarsi a questi servizi. Insomma, è molto importante che queste realtà si parlino tra loro e collaborino in modo da far arrivare al cittadino e alle istituzioni informazioni che altrimenti non arriverebbero.

    Si parla spesso di mobilità sostenibile. Che cosa è invece la Mobilità Dolce?

    In questo momento la mobilità è insostenibile: questo vale sia per la mobilità urbana, per quella nelle aree a bassa densità che per quella turistica. È molto diffuso andare in un bel parco per stare in mezzo alla natura con l’auto, inquinando. Le contraddizioni sono notevoli, anche perché scarseggiano reti e servizi alternativi. La Mobilità Dolce vuole proporre una mobilità attiva a piedi, in bicicletta e sulle ferrovie turistiche, che si integri con il territorio e la natura, che utilizzi le reti esistenti, come i sentieri, le strade bianche, le strade a scarso traffico e le ferrovie locali. Una mobilità legata alla voglia di turismo lento, di viaggio come piacere, per superare il mordi e fuggi oggi ancora molto presente.

    A questa concezione di turismo slow vanno associate la riscoperta dei territori, il piacere del cibo locale, l’interesse verso i piccoli borghi e la natura: si cerca di superare l’idea che quando faccio turismo vado nelle grandi città, ci sto 24 ore e poi me ne vado. L’Alleanza porta avanti un modello di turismo e di tempo libero molto diverso, e mette l’accento più che sulla meta d’arrivo, sul piacere dello spostamento e del viaggio stesso.

    Come si può parlare di viaggio come esperienza sostenibile e dolce nell’epoca del turismo mordi e fuggi, delle compagnie aeree low-cost e dei treni Tav?

    Proprio a causa dell’eccesso di questa offerta ormai gli stessi cittadini che hanno fatto questa esperienza mordi e fuggi – almeno una buona parte di loro – sono gli stessi che hanno voglia di fare esperienze differenti. Alcuni numeri ci dicono che sono migliaia le persone che si muovono dal cammino di Santiago alle grandi reti ciclabili in Germania. In Italia siamo ancora agli inizi, però cominciamo a vedere qualche risultato. È proprio la voglia di fare qualcosa di differente rispetto al mordi e fuggi che diventa un volano di fatto per la mobilità dolce, il tempo libero e il turismo sostenibile.

    Non c’è il pericolo che la mobilità dolce diventi essa stessa turismo di massa?

    Magari! Nel senso che se io cammino, pedalo o uso ferrovie turistiche vivo quei territori che sto visitando, e il mio impatto è molto basso. Invece, le economie dei territori, in genere molto deboli in alcune zone (aree interne e spopolate) avranno dei grandi benefici se si sapranno organizzare e accogliere questo turismo sostenibile che speriamo diventi di massa. Un altro elemento è che questo dovrebbe portare alla destagionalizzazione: non dobbiamo andare in vacanza tutti le prime due settimane di agosto nella stessa spiaggia o nella stessa riviera, ma possiamo farlo tutto l’anno. C’è anche una distribuzione differente, quindi anche una pressione alternativa sul territorio ed una miglior organizzazione dei servizi e del lavoro.

    Per quanto riguarda l’impatto sulle economie locali, quello della mobilità dolce è diverso rispetto a quello sul turismo di massa?

    Noi parliamo di reti, quindi, ad esempio se io ristrutturo e riapro una ferrovia come l’Avellino-Rocchetta Sant’Antonio – come previsto dalla recente legge per le ferrovie turistiche – è chiaro che ci sono dei caselli da ristrutturare, dei percorsi e dei cammini da ricostituire, una ciclovia, quella dell’acquedotto pugliese, che incrocia la ferrovia. Se io usufruisco di questo sistema di reti sicuramente vivo per un periodo quel territorio, spendo delle risorse per mangiare e dormire. Ma ho bisogno anche di assistenza se viaggio in bicicletta, oppure di mappe, se voglio visitare una chiesa ho bisogno che sia aperta quando io passo. Serve un pensiero integrato di offerta. Da questo tipo di turismo possono nascere delle piccole attività economiche, locali, dal bed and breakfast alla ristrutturazione di caselli e stazioni, ma anche, nel caso dell’acquedotto pugliese, a manufatti legati a quella infrastruttura. Questa concezione diventa un modo per recuperare patrimonio dismesso, come strade, manufatti, canali, reti ferroviarie in disuso. Una pratica per far rivivere borghi sono dimenticati e contrastare il dissesto idrogeologico del paese. Questo è il caso, ad esempio, della ferrovia di Avellino – Rocchetta Sant’Antonio, che si è legata allo Sponz Festival di Vinicio Capossela, che ha fatto del treno un elemento chiave della rilettura del territorio. Non solo mobilità ed economia o turismo, ma anche cultura che viene dai territori che sanno rileggere guardando avanti con innovazione. Vedere migliaia di giovani e non, che vanno a Calitri diventa un modo anche per radicare questo fare cultura a territori che in passato sembravano da abbandonare e basta perché la cultura si doveva fare solo nelle città metropolitane. Un’idea differente e creativa che si accompagna al concetto di mobilità dolce e sostenibile.

    E la politica nazionale si sta allineando alle vostre posizioni?

    Dopo anni e anni e impegno ci sono alcuni risultati piccoli, ma che non vanno sottovalutati. Primo, il 2 agosto 2017 è stata approvata la legge per le Ferrovie Turistiche: ci sono 18 linee che verranno valorizzate a questo scopo, mentre altre si dovranno aggiungere a questa lista. Un riconoscimento importante, dopo 20 anni di impegno associativo di volontari e appassionati mai ascoltati, che finalmente hanno trovato una dignità anche legislativa, con degli strumenti di tutela e dei servizi. Come tutte le leggi deve essere attuata, e quindi a breve partirà un’altra fase di impegno non meno complicata e gravosa.

    Secondo, il Ministro Franceschini ha pubblicato da poco il Piano di sviluppo strategico del turismo e sta lavorando per lo sviluppo dei Cammini. Un pezzo di quel piano riconosce anche questa idea di turismo sostenibile dei territori e delle aree interne, di mobilità dolce, di camminare e del pedalare, ferrovie turistiche come un pezzo del turismo del nostro Paese. È la prima volta che abbiamo un riconoscimento di questo punto di vista. Prima nemmeno eravamo presi in considerazione.

    Terzo aspetto, la questione della ciclabilità. Su impulso del Monistro Delrio, Governo e Parlamento hanno approvato finanziamenti per circa 380 milioni per le ciclovie e per la mobilità ciclistica urbana nei prossimi sette anni. C’è un grande fermento intorno ai grandi circuiti nazionali, la Ciclovia del sole, VenTo, il GRAB, l’Acquedotto pugliese, l’anello del Garda, la Rete Sarda. Sicuramente rispetto a 10 anni fa la sensibilità è aumentata, grazie soprattutto al mondo associativo ed ai tanti volontari. Tradurre il tutto in fatti è molto più complicato: anche per questo nasce l’idea della rete: servono campagne comuni affinché questo si sblocchi. La nostra funzione è quella di ricordare a tutti di lavorare e fare pressione affinché questi progetti vadano avanti anche nelle prossime legislature.

    Ma in questi giorni abbiamo appreso di uno stop alla legge per la mobilità ciclistica?

    La brutta notizia di questi giorni è che il PdL per la Mobilità ciclistica che era arrivata in Aula alla Camera ed era in dirittura di arrivo, ha avuto per la seconda volta parere negativo da parte del MEF. Analogo problema c’era stato per il PdL mobilità dolce: stiamo cercando di integrare i due provvedimenti perché insieme alla mobilità ciclistica ci sia anche una cornice sulla mobilità dolce, cercando di superare questo parere negativo del MEF. Questo è davvero un pessimo segnale sembra un po’ pretestuoso, visto che le risorse in legge finanziaria sono state messe, e si tratta solo di spendere con criterio. Si può discutere se siano sufficienti o meno, ma non stiamo parlando di nuove risorse da trovare. Sembra che il Governo voglia frenare tutto. Il relatore Paolo Gandolfi comunque non si è arreso e sta lavorando per superare questo parere negativo.

    Invece per quanto riguarda gli enti locali?

    Anche qui ci sono buone pratiche, silenzi assoluti e strategie controverse. Faccio un esempio: la Regione Puglia sul tema della bici ha investito molte risorse, la Regione Toscana sulla via Francigena ha già fatto in modo che tutto il percorso del cammino a piedi sia tracciato e segnalato sul sito e ha investito risorse per questo. La Regione Emilia Romagna sulla ex Ferrovia a binario unico Bologna-Verona ha investito risorse proprie e altre sono state date dallo Stato affinché venga trasformata in greenways ciclabile. Ci sono regioni che si stanno impegnando. Viceversa ci sono altre Regioni in cui non vi sono grandi novità e dove questi temi della mobilità dolce non hanno avuto una spinta significativa, come la Sicilia, il Lazio e la Lombardia.

    E le aziende di trasporto a partire da FS come si stanno comportando?

    Vi sono degli esempi positivi. Guardiamo il caso di FS, quando si parlava vent’anni fa di ferrovie turistiche sorridevano… La politica di FS non era certo quella di incoraggiare l’uso di queste reti. Ma anche qui il mondo è cambiato: la società ha costituito la Fondazione FS a tutela di tutto il patrimonio del passato, dai progetti ai treni storici, al bellissimo museo di Pietrarsa ed in futuro quello di Trieste. Tra queste attività ha anche deciso di fare treni turistici, con questo progetto che si chiama Binari Senza Tempo: la Transiberiana d’Italia fra Sulmona e Carpinone, la Ferrovia della Valle dei tempi di Agrigento, la ferrovia della Val D’Orcia, la Ferrovia blu del Lago D’Iseo. Progetti molto concreti e treni che stanno avendo anche un certo successo, nati quasi sempre dal lavoro ventennale di associazioni, volontari ed amanti delle ferrovie turistiche.

    SI stanno attrezzando anche le Ferrovie regionali: le Ferrovie della Calabria fanno il Treno della Sila, in Campania ci sono i treni per Cuma, per la Reggia di Caserta o la Napoli – Pompei. La CircumEtnea che propone il Treno del Vino ai pedi del vulcano. Senza dimenticare il Trenino Verde della Sardegna, un trenino storico che passa su queste linee delle Ferrovie Regionali. Queste linee hanno bisogno di investimenti e risorse; in secondo luogo, secondo l’Alleanza, questi binari devono anche essere utilizzati per il trasporto degli utenti ordinari, in modo che le due funzioni si sostengano e si valorizzino a vicenda visto che gli utenti a volte sono pochi. Ultimo progetto in corsa, ancora a livello embrionale, è il velorail, una bicicletta che mi consente di pedalare sui binari come le vecchie draisine per la manutenzione di una volta. In Francia ci sono 38 piccole ferrovie che stanno pedalando sul velorail, e anche noi in Italia vogliamo delle regole che vadano in questa direzione, cosi come prevede anche la legge per le ferrovie turistiche. Questo per dire che quando ho un’infrastruttura con un binario posso utilizzarla in diversi modi al fine di valorizzare il paesaggio e per pedalare o camminare o usare un treno turistico come un pezzo di mobilità dolce.

    Invece dal punto di vista di investimenti privati di aziende private?

    Per ora le aziende private mostrano curiosità ma non ci sono ancora dei progetti. Più che altro il privato offre dei servizi dal punto di vista dell’accoglienza: se ho bisogno di affittare una bici, di assistenza tecnica o di un alloggio per chi cammina, ci sono già imprese private che stanno facendo questo, anche con buoni risultati. Naturalmente tra questo e un privato che fa treni turistici siamo ancora lontani. Ma sono sicura che se i treni turistici funzioneranno e avranno un loro sviluppo, io non escudo che altri soggetti privati in futuro possano essere interessati.

    La vostra alleanza per la mobilità dolce che cosa vuole essere in concreto?

    Intanto l’Alleanza, che mi ha nominato portavoce lo scorso 16 settembre, nasce come una rete leggera, della durata di un anno: alla fine di questo periodo verificheremo come proseguire. Perché dico leggera? Perché mentre ogni associazione svolge le sue attività, la rete serve per svolgere alcune attività comuni. Ad esempio seguire le norme, seguire i finanziamenti, dialogare con le istituzioni ed aziende sui progetti comuni. Fare iniziative comuni e campagne per affermare l’idea della mobilità dolce, scambiare le esperienze e le buone pratiche.

    Queste attività comuni sono attività istituzionali, convegni per segnalare novità, idee, esperienze internazionali, pratiche innovative. Poi nel mese di marzo, quello della mobilità dolce, ci sono tante iniziative comuni perché vi sia attenzione anche da parte dei cittadini, dei media e dei giornali per affermare questo concetto di mobilità dolce. Dopotutto, seppur con segnali di interesse e di partecipazione, siamo ancora un gruppo di nicchia.

    Non dobbiamo immaginare la mobilità dolce come la mobilità del passato, anche qui c’è una forte innovazione in corso e da promuovere: dal percorso georeferenziato per chi cammina e pedala, alla mappa interattiva e con servizi molto smart, dalle guide aggiornate ai progetti di treni turistici che funzionano con l’energia fotovoltaica o a idrogeno ed ampie vetrate per guardare il paesaggio, alle attività interattive per gli studenti ed appassionati. Serve creatività, progetti e formazione che deve coinvolgere il mondo pubblico e privato, l’università e gli studi professionali. C’è molto da innovare anche in questo tipo di offerta: pensiamo a cosa sta accadendo nel mondo della bicicletta; oramai la bici è l’oggetto tecnologico per eccellenza – pensiamo alla pedalata assistita. C’è un mondo in grande fermento anche a livello tecnologico, non solo sul piano del piacere.

  3. 4 avellinorocchetta 20/10/2017 alle 9:14 am

    Cecilia Valentino

    La ferrovia Avellino- Rocchetta:
    la littorina dell’ “osso”
    della prof.ssa
    CECILIA VALENTINO

    La ferrovia Avellino – Rocchetta S. Antonio attraversa la zona più desertica dell’ Alta Irpinia, quella terra dell’ osso di cui parlava negli anni “50” il prof. Manlio Rossi- Doria nei suoi libri sulla questione meridionale; terra avara su cui generazioni di contadini sono stati costretti a vivere un’esistenza misera.
    Quando il 10 Ottobre 1893, dopo annosi ed estenuanti dibattiti, fu inaugurato il primo troncone della ferrovia per Rocchetta si prefigurò il riscatto di queste terre: ” finalmente si sarebbe attuato il voto lungamente atteso di una linea ferroviaria per tutta intera la valle dell’Ofanto(……) impervia ed impraticabile dalla più remota antichità ai nostri giorni!“, scrisse Giustino Fortunato.
    Nell’ ottobre del 1895 l’intera linea è inaugurata e i più importanti giornali dell’epoca, tra i quali La Provincia e La Sentinella Irpina, descrivono il percorso esaltando le opere ingegneristiche compiute per evitare frane, per perforare montagne con lunghe gallerie e superare fiumi con arditi viadotti in acciaio.
    Il treno Avellino – Rocchetta attraversa, con ponti arditi e faticosi dislivelli, le grandi valli fluviali del Sabato, del Calore e dell’ Ofanto, fino al Ponte Santa Venere, dove si congiunge con la ferrovia per Foggia. Il tracciato impervio e il saliscendi continuo tra colline franose, attraverso le dorsali dell’Appennino, ne hanno fatto negli anni una linea ferroviaria sempre meno utilizzata.
    “ L’unica linea ferroviaria della provincia, la Rocchetta – Avellino – scrive Rossi- Doria nel 1969- ha avuto, attraverso i decenni, vita piuttosto grama, tanto da esser considerata come uno dei rami secchi del nostro sistema ferroviario, da dover essere tagliato allorquando si metterà mano al progettato riordinamento ferroviario. Ritengo che un tale destino possa e debba essere ragionevolmente evitato, con grande vantaggio per l’economia provinciale, se sapremo seguire con perseveranza e contemporaneamente, negli anni prossimi, due linee di azione:
    • da un lato, quella dello sviluppo agricolo – industriale dei territori attraversati da quella ferrovia,
    • dall’altro, quella della ricostruzione, su migliori e più brevi tracciati, dei collegamenti ferroviari tra Napoli, Benevento ed Avellino .” (La terra dell’osso a cura di G. Acocella) .
    Oggi queste speranze sono svanite e l’Avellino –Rocchetta è considerata un ramo secco, la linea è semi- abbandonata, il terremoto del 1980 ha dato il colpo di grazia a molti paesini arroccati intorno alla ferrovia, molte piccole stazioni non sono più presidiate e si trovano in un triste abbandono.
    Nel 1995 la rivista Civiltà Altirpinia, per ricordare il centenario della realizzazione del tronco Avellino – Rocchetta, organizzò un viaggio con la vecchia vaporiera. Fu per molti avellinesi un’occasione per conoscere la ferrovia e i paesi che ne sono toccati .
    Conservo un ricordo vivo di quel viaggio: nelle salite e curve del percorso la macchina a vapore sbuffava ed ansimava, i viaggiatori ai finestrini ammiravano un paesaggio per molti nuovo,la lenta andatura ed il fischio penetrante della vaporiera rendevano tutti felici e ad ogni stazioncina i viaggiatori erano accolti con buffet di prodotti locali, organizzati dalle pro loco .
    A sera la vaporiera, con la lunga fila dei vagoni pieni di turisti festanti, affaticati dal lungo viaggio ed anneriti dal fumo, arrivò nella stazione di Rocchetta, salutata dalla banda musicale e dai fuochi d’artificio.
    Quello del centenario è stato un viaggio interessante perché ha fatto conoscere a molti cittadini l’Irpinia e la sua strada ferrata; nell’intenzione degli organizzatori,però, il viaggio avrebbe dovuto riaprire il dibattito sul come dare nuova vita a questa linea .
    La ferrovia per Rocchetta è fortemente legata alla storia della nostra Provincia, è parte della vita dei nostri nonni, di tanti uomini e donne che solamente con il treno potevano raggiungere la città capoluogo oppure la lontanissima Napoli.
    Tra i miei ricordi vi sono i racconti di mio padre sui viaggi che egli faceva sulla vecchia “littorina” e la mia fantasia di bambina era colpita dagli strani nomi dei paesi: Salza, Monteverde, Aquilonia, Rocchetta …..
    Alcuni anni dopo, quando ho letto il” Viaggio elettorale” di De Sanctis ho riscoperto luoghi già noti ed ho avvertito dolcemente rievocative le espressioni desanctisiane: “Rocchetta la poetica, Calitri la nebbiosa, Andretta la cavillosa, Bisaccia la gentile”.
    Mio padre mi raccontava quando fu nominato cancelliere alla Pretura di Montella (credo che fossero gli anni ‘20), con difficoltà in inverno raggiungeva con il treno il paese tra le montagne e infatti decise di stare l’intera settimana a Montella e tornare la domenica ad Avellino .
    Qualche volta, per non sottostare ad orari impossibili, preferiva raggiungere Montella con la sua bellissima motocicletta, una Indian di cui era molto orgoglioso. Il viaggio in moto non era meno avventuroso e faticoso, soprattutto perché le strade erano quasi sempre non asfaltate e si snodavano con ripidi saliscendi tra i boschi.
    A quei tempi bisognava essere dei veri sportivi per affrontare un viaggio in motocicletta, anche di pochi chilometri: bisognava indossare la tuta per non imbrattare gli abiti con la polvere della strada o con l’olio del motore, bisognava mettere gli occhialoni e il berretto di cuoio. Dei viaggi di mio padre a Montella e in molti altri paesi dell’ Irpinia, dove si recava o per lavoro o per andare a caccia, conservo le foto che egli scattava con la Voigtlander a soffietto 6×9 oppure, alcuni anni dopo, con la microcamera Ducati, “un vero gioiellino” come sosteneva, da appassionato fotografo.
    Nel romanzo autobiografico di Carlo Montella Dov’è Beethoven? ho ritrovato i racconti di mio padre sul treno per Rocchetta . “ L’ingegner Emme( il padre dell’autore) doveva spesso, per motivi di servizio, recarsi in un posto o nell’altro, fin nei centri più sperduti e dimenticati (……). Per andare in un paese lontano solo una trentina di chilometri era quasi sempre necessario un pernottamento. E questo senza risparmiarsi lunghe marce (……). Raggiungere a piedi un abitato distante dieci, dodici chilometri dalla più vicina stazione ferroviaria, arrampicandosi su strade in forte pendio, in mezzo a castagneti e a faggeti incontrando raramente qualche contadino era per lui un esercizio abituale(……). Ma i paesi, Dio mio, come erano tutti miseri e squallidi, con le case di tufo grigiastro,quasi mai intonacate e le finestre protette da un’impannata senza vetri. (……) Molti erano i paesi dai quali non era possibile tornare in giornata. Quando l’ingegner Emme diceva:” Domani vado a Lioni … a Calitri .. a Sant’Angelo dei Lombardi…”, mia madre domandava laconicamente:” Pernotti?”. (……)”.
    Carlo Montella rievoca nel romanzo gli anni della sua infanzia ad Avellino durante il fascismo e così descrive lo stato della ferrovia per Rocchetta:” L’ingegner Emme viaggiava tutto solo in uno scompartimento di prima classe d’un vetusto e sgangherato vagone destinato a consumare la sua decrepitezza su quel tronco secondario delle ferrovie irpine. In verità il suo stato era penoso: gli sportelli sbatacchiavano con un rumore incessante, i vetri dei finestrini ogni tanto cadevano giù di colpo, le plafoniere erano rotte e qualcuna addirittura priva di lampadine; quanto ai sedili il bel velluto rosso d’una volta, tra il sudicio e la consunzione, era diventato d’un indefinibile colore di scorza d’albero, pieno di tigne e di sfilacciature.”
    Lo stato della ferrovia per Rocchetta è andato nel tempo peggiorando sempre di più ed oggi sono pochi i viaggiatori che la utilizzano, anche perché il treno non arriva nel centro dei paesi, distanti vari chilometri dagli scali ferroviari.
    Negli anni ’70 quei paesi li ho conosciuti anch’io, quando sono andata ad insegnare in Alta Irpinia e con la mia comoda auto percorrevo strade forse meno belle ma più veloci: erano gli anni dell’autostrada, che ha rotto l’isolamento di queste terre.
    La linea Avellino – Rocchetta, ignorata da noi giovani che ci muovevamo ormai soltanto in auto, mi era rimasta nel cuore come qualcosa di familiare, pur non avendola mai interamente percorsa. Nel 1980 decisi di intraprendere il viaggio sulla vecchia motrice, per conoscere quei paesaggi che avevo imparato ad amare attraverso i ricordi di mio padre e le descrizioni che gli studiosi della questione meridionale ed i vecchi politici del Sud ne avevano fatto
    Pochi mesi prima del disastroso terremoto che nel novembre dell’80 sconvolse i paesi dell’Irpinia,in un bellissima domenica di agosto, con mio fratello Peppino e un amico napoletano, il fotografo Guido Giannini, attratto anche lui dai paesaggi delle “zone interne”, prendemmo la “ littorina”. La gente chiamava così, fino a poco tempo fa, il treno per Rocchetta, anche se non vi era più la vecchia motrice Breda degli anni del fascismo.
    Di buon mattino arrivammo alla stazione di Avellino, un vecchio edificio dalla facciata color ocra, con il piccolo bar che mi ricordava le vecchie foto dei primi anni del Novecento, quando il buffet della stazione era gestito da Angelo Muscetta e brulicava di clienti.
    Ripensandoci, mi torna in mente quel delizioso libretto che fu stampato nel 1984 dal Centro di Ricerca Guido Dorso, intitolato Memorie di un commerciate di Angelo Muscetta. Attraverso la storia della propria famiglia, Angelo, padre di Carlo Muscetta, parla di un pezzo di storia della nostra città: “(……) I successi crescevano senza misura(……), un fatto nuovo sopravvenne e fatalità volle che dovevo cambiare mestiere. Il padre di Maioli, appaltatore, propose a mio zio Sabino la gestione del buffet alla stazione di Avellino; (….) e la gestione fu affidata a me, naturalmente sotto il controllo di mio zio Sabino, e così il 21 aprile 1897 avvennero le consegne. (…..). Avevo preso buona cognizione del mio compito, che espletai superando ogni difficoltà con grande soddisfazione di mio zio Sabino e con soddisfazione della clientela, che cresceva giorno per giorno, sia ferrovieri che privati e viaggiatori di transito. Mio zio era tale la soddisfazione che fornì quel buffet dei migliori liquori esteri e nazionali, biscotti, cioccolato e caramelle (……)” .
    Il ricordo del mio viaggio sulla vecchia motrice è vivissimo: sul primo binario il piccolo treno sta per partire, i passeggeri sono pochissimi, sette – otto persone, saliamo anche noi e, poco dopo, il fischio del capostazione dà il segnale della partenza. Il treno sferragliando lascia la stazione, pian piano prende velocità, attraversiamo la periferia di Atripalda e il ponte di ferro sulla via Appia. Siamo in aperta campagna, percorriamo per un breve tratto la valle del Sabato, lasciamo le verdi colline ricche di vigneti e ci dirigiamo verso la valle del torrente Salzola che deve il nome alle sorgenti salso –ferriche, una volta molto numerose. Il paesaggio comincia a mutare, attraversiamo profonde gole tra le montagne, stiamo per arrivare alla prima stazione del nostro viaggio: Salza Irpina. Con forte stridore di freni il treno si ferma, scende un viaggiatore, non sale nessuno, riprende la corsa.
    Lasciata Salza, l’antico “ feudo” dei Capozzi, famosi notabili che hanno dominato la vita politica della Provincia fra Ottocento e Novecento e al cui nome fu legata la intricata vicenda della costruzione di questa linea ferroviaria, si scorge in lontananza il grazioso abitato di Sorbo Serpico, dolcemente disteso su di una collina ricca di vigneti.
    Una volta su questo tratto ferroviario vi era la stazioncina di Candida – Parolise, ormai chiusa; lontano si vede il grandioso profilo del monte Toro, dominante l’ abitato di Chiusano S. Domenico, che si intravede in lontananza. Il treno comincia pian piano a rallentare: ci stiamo avvicinando alla prossima stazione, quella di Montefalcione.
    Lasciate le verdi colline intorno a Montefalcione, attraversiamo la galleria sotto Montemiletto ed arriviamo nella valle del fiume Calore. I binari si snodano con leggere curve e saliscendi tra amene campagne intensamente urbanizzate e tra splendidi vigneti: stiamo attraversando la zona dei vini doc di Taurasi, infatti dopo le stazioncine di Montemiletto e di Lapio, il treno arriva a Taurasi. Il Calore scorre poco lontano, tra gli alberi: è la verde Irpinia, ricca di sorgenti e di fertili campagne.
    La ferrovia punta verso est e man mano che ci inoltriamo nella valle la vegetazione diventa più boscosa, in lontananza si vedono, azzurri, i monti Picentini, dove nasce il Calore. In questo punto il treno attraversa uno dei paesaggi più belli della nostra Provincia .
    La prossima stazione è Luogosano – S.Mango sul Calore, i paesi sono molto distanti dallo scalo ferroviario, la sosta è breve, pochi sono i viaggiatori. Spesso davanti alle piccole stazioni vediamo sostare la corriera che attende i rari passeggeri.
    Ci fermiamo a Paternopoli, una stazioncina immersa completamente in un bosco verdissimo,il fiume scorre poco lontano. Ripartiamo subito per fermarci poco dopo alla stazione di Castelvetere che si trova in uno dei punti più nascosti e profondi della valle del Calore. Ci affacciamo al finestrino per ammirare il paese bellissimo, arroccato su di uno sperone di roccia, a picco sul vallone sottostante. Fino alla prossima stazione di Castelfranci il fiume non ci abbandonerà mai, per un lungo tratto la ferrovia corre infatti parallela al Calore che qui è molto pescoso.
    A Montemarano il paesaggio comincia dolcemente a mutare, il treno attraversa il fondovalle tra alte montagne, il massiccio del Cervialto sembra venirci incontro. Per un tratto, fino a Montella, la ferrovia affianca la statale 164 che porta ad Acerno, sulla sinistra compare il Montagnone di Nusco, la vegetazione è fittissima, ci troviamo nella zona più ricca d’acqua del Sud. Passiamo sotto Cassano Irpino che, come un nido d’aquila a picco sulla roccia, domina dall’alto le sorgenti del Calore. Dal finestrino vediamo gli impianti di captazione dell’acqua, che alimenta l’Acquedotto Pugliese e dell’Alto Calore.
    Ecco finalmente Montella, ai piedi dei Picentini tra ricchi castagneti, non lontano si vede il curioso cono a pan di zucchero del SS. Salvatore, dove c’è un Santuario meta di molti pellegrinaggi. La ferrovia si snoda ai piedi delle montagne più belle dell’Irpinia, il Cervialto e il Terminio, con gli altipiani del Laceno e di Verteglia, ricchi di castagneti e di pascoli.
    Dopo le stazioni di Bagnoli Irpino e di Nusco il paesaggio cambia decisamente, passiamo dal versante tirrenico a quello adriatico e alla prossima stazione di S. Angelo dei Lombardi ci immettiamo nella valle del fiume Ofanto. Il paesaggio diventa sempre più brullo ed assolato, in un’ampia pianura scorgiamo i ruderi della suggestiva abbazia del Goleto del 1130 e in alto, a dominare la valle, appare S. Angelo dei Lombardi, importante centro urbano con la cattedrale dell’XI sec. e bei palazzi signorili.
    La stazione successiva, quella di Lioni è particolarmente accogliente e vivace perché si trova nel centro del paese ed è quindi animata da molta gente che siede davanti al bar. Approfittiamo della sosta particolarmente lunga per prendere un caffè e per comprare i panini imbottiti di fior di latte, una specialità di queste zone. Il viaggio è lungo, siamo ad una cinquantina di chilometri da Avellino, abbiamo fatto molte ore di treno, ma la meta è ancora lontana.
    Il fischio del treno ci riscuote, dobbiamo riprendere il viaggio che comincia ad essere faticoso, la carrozza è diventata rovente sotto il sole di agosto,i passeggeri sono tutti scesi a Lioni, solamente noi proseguiamo. Tutto è cambiato,il paesaggio è uno sconfinato altopiano semidesertico, per chilometri non si vedono paesi, sulla lontana strada rotabile passa qualche rara auto: è l’Alta Irpinia,la terra dell’osso.
    Sul treno siamo rimasti solamente noi. Il controllore, incuriosito, si affaccia alla porta per chiederci dove siamo diretti, poi con gentilezza ci invita nella cabina di guida, per farci vedere da una prospettiva diversa quel paesaggio tanto suggestivo. Il binario davanti a noi sembra essere divorato dal treno ed abbiamo la sensazione di andare ad una velocità folle, vediamo fuggire ai lati le vecchie case cantoniere abbandonate, vediamo i paesini da presepe arroccati sui monti, la strada ferrata davanti a noi si snoda scintillante al sole, tra campi di stoppie ingiallite .
    La prossima stazione sembra sorgere in un deserto, è Conza- Andretta, nomi cari al De Sanctis, non lontano, infatti, in queste lande desolate, dietro un’ altura vi è Morra, il suo paese natio.
    Il paesaggio diventa sempre più lucano, in lontananza vediamo la grande diga di Conza , tra poco arriveremo alla stazione di Monticchio. Il treno corre verso la sua destinazione, si sente già vicina la Puglia. Sotto Calitri, che appare come un miraggio sul ripido declivio che frana nella valle dell’Ofanto, tra le stazioni di Monticchio e di Monteverde, la ferrovia attraversa vari viadotti sul fiume.
    L’ Ofanto è un fiume strano ed insidioso, a regime torrentizio con improvvise piene autunnali ed asciutto d’estate. Il treno attraversa un ponte di ferro che scavalca l’ampio greto ciottoloso, il paesaggio appare ancora più brullo nell’assolato pomeriggio.
    L’ultima stazione della Provincia di Avellino è Monteverde, su un’altura in lontananza si vede Lacedonia: siamo al confine con la Puglia. Il treno attraversa un lungo ponte sul greto del torrente Osento, sulla sinistra vediamo brillare il grande lago di S.Pietro, attraversiamo Ponte Santa Venere. Il viaggio sta ormai per concludersi.
    Prima di entrare nella stazione di Rocchetta il treno rallenta e si blocca al semaforo rosso, si sente lo stridore dei freni, capiamo che la nostra avventura sta per finire. Lentamente entriamo nella stazione, sembra davvero un posto di frontiera, qui la corsa ha termine: chi prosegue il viaggio deve aspettare la coincidenza per Foggia, chi è arrivato deve arrangiarsi in qualche modo perché la stazione si trova in un vero e proprio deserto. E’ un grosso edificio con l’intonaco rossiccio scrostato dal tempo, vi è qualche treno in manovra, vi sono vari binari e qualche scambio: sembra una stazione fantasma. Ci chiediamo dove sarà il paese e cosa faremo. Ci dicono che il paese è molto lontano e bisogna aspettare la corriera per Lacedonia e per Rocchetta; il prossimo treno per Avellino partirà tra qualche ora,in coincidenza con quello proveniente da Foggia.
    Siamo stanchi, dobbiamo decidere come ritornare a casa, per fortuna troviamo un passaggio in auto fino allo scalo di Calitri, poi in auto-stop cercheremo di arrivare alla stazione di Lioni, dove sicuramente troveremo un treno che ci porterà ad Avellino.
    Nel torpore e nella stanchezza del viaggio di ritorno si affollano nella mente emozioni e ricordi: sono soddisfatta di aver visto la mia terra, di aver percorso quell’itinerario di cui tante volte ho sentito parlare.
    Mi ritornano in mente le parole di De Sanctis quando arriva in Irpinia proveniente da San Severo ed esclama: “Saluto con viva commozione Rocchetta, la porta del mio collegio nativo. Il luogo dove son nato è Morra Irpina, ma la mia patria politica si stende da Rocchetta insino ad Aquilonia .” Alla fine di una campagna elettorale faticosa egli esprime la sua delusione con queste parole: ” E volere sfogare il mio malumore pigliandomela con questi miei concittadini, i quali non hanno in fondo altro torto che di esser nati qui! Tutto si trasforma e qui la trasformazione è lenta. Si animi Monticchio, venga la ferrovia e in piccol numero d’anni si farà il lavoro di secoli. L’industria, il commercio, l’agricoltura saranno i motori di questa trasformazione. Vedremo miracoli. Perché qui gli ingegni sono vivi e le tempre sono forti “.
    Invece non fu così per l’Irpinia, quella ferrovia che auspicava De Sanctis nel viaggio elettorale (1876) non ruppe l’isolamento, il vecchio treno per Rocchetta divenne il treno dei coscritti e degli emigranti che portò tanti uomini da Trevico a Torino, per parafrasare il titolo del bellissimo film di Ettore Scola che affronta il tema della dura emigrazione dalle terre del Sud.
    La ferrovia non aiutò l’Irpinia ad uscire dall’arretratezza: “ Sì, già nell’Ottocento il treno aveva reso più piccolo il mondo e sulla fine del secolo già una fitta rete di ferrovie copriva l’Europa. Ma, come i fiumi, le ferrovie correvano – e corrono tutt’oggi quando possono- nel fondo delle valli; e dietro le prime quinte dei monti, dove non arrivava nemmeno più il fischio della locomotiva, era come se il treno non esistesse per le popolazioni dei paesi abbarbicati sui pendii e circondati dai boschi. Certo non era cosa da poco che in Irpinia fossero stati realizzati dopo l’Unità due tronchi ferroviari. Ma per il modo di vivere della gente negli abitati piccoli o grandi, l’Irpinia degli anni Venti sarebbe ancora potuta essere, nonostante il treno, una provincia borbonica e fors’anche andina o caucasica.”( Carlo Montella ).
    Nonostante il treno, la Provincia di Avellino fu tagliata fuori dai traffici commerciali tra Napoli e la Puglia, si preferì utilizzare la più rapida linea ferroviaria Napoli-Benevento – Foggia -Bari. La scelta politica dei governi negli anni Sessanta del Novecento privilegiò il trasporto su gomma e la costruzione dell’autostrada Napoli –Bari se da un lato tolse la nostra Provincia dall’isolamento determinò anche l’abbandono delle linee ferroviarie secondarie, tra queste soprattutto la Avellino –Rocchetta .
    Oggi dispiace vedere una linea ferroviaria che ha segnato la storia dell’Irpinia e che è legata alla vita di tanta gente, destinata ad essere definitivamente tagliata. Veder morire la ferrovia è come strappare una pagina della storia di ognuno di noi.
    Perché non utilizzare, come sta avvenendo in tanti paesi d’Italia,quel tronco ferroviario a scopi turistici? Recentemente il Touring Club Italiano ha promosso escursioni attraverso un’Italia minore, per scoprire il piacere della lentezza. Oggi l’ alta velocità e l’ansia della rapidità rendono accattivante la possibilità di assaporare il piacere di un viaggio su treni d’epoca,spinti da locomotive a vapore o da motrici elettriche storiche. Il Touring ha proposto un viaggio in vaporiera in molte regioni italiane: in Lombardia da Cremona, per visitare l’ambiente del Po, in Piemonte nelle Langhe , in Campania da Napoli a Cassino.
    L’Irpinia possiede arte, cultura e tradizioni, oltre a squisitezze gastronomiche e vini pregiati, che molti non conoscono. Potrebbe forse esserci un riscatto per la nostra ferrovia semi- abbandonata, potrebbe essere riscoperta dal punto di vista turistico, per far conoscere quel mondo contadino ormai scomparso, ma del quale c’è ancora in qualche paese dell’Alta Irpinia una traccia, che non possiamo permettere sia cancellata per sempre.
    Recentemente un interessante documentario “ Avellino – Rocchetta: andata e ritorno”, vincitore del Festival Provinciale Ciak Irpinia 2004, realizzato da Gianni Di Nardo, Aquilino De Simone ed Elda Martino, ha raccontato con un montaggio rapido e stringato che cosa è stata quella tratta ferroviaria per la gente dell’ Irpinia e la colonna sonora con le musiche di Mario Cesa comunica,con drammatica suggestione, la lacerante e dura bellezza delle nostre terre. Sarebbe opportuno partire da questo documentario, proiettato in ogni scuola, per ragionare sul futuro della “ littorina “ Avellino – Rocchetta.

    (articolo uscito sulla rivista “ L’Irpinia illustrata” ed. Elio Sellino, n. 1 , febbraio 2005)

  4. 5 avellinorocchetta 30/10/2017 alle 5:03 PM

    La riflessione
    Senza treno non c’è restanza, su quei binari c’è l’unica salvezza per l’Irpinia
    Non ci può essere spazio per lo scetticismo, o sviluppo territoriale sostenibile con la riapertura della linea ferroviaria Avellino- Rocchetta Sant’Antonio è l’unica strada che abbiamo per restituire una reale speranza a questa terra nel rispetto e nella valorizzazione di ciò che è

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    “Ho ripreso il treno”, l’ho ripreso con l’intento di contrastare il declino e l’abbandono delle stazioni irpine, con la voglia di far rivivere quei posti dimenticati, quei luoghi in cui si sono intrecciati storia di vita vissuta. L’abbiamo ripreso in tanti ad agosto vivendo una condizione di riconquista, di rivincita rispetto a delle errate scelte politiche.

    Ci sono treni che vanno lontano, ma anche treni che tornano.

    Il ritorno come “restanza”, caratterizzata da quella moltitudine umana che ogni giorno combatte contro la condizione di disagio di chi vive esiliato nella propria patria.

    Treni capaci di varcare la coscienza umana e di alimentare speranze. Sembra si stia creando un ricongiungimento sociale tra l’Irpinia e i suoi luogi di attrazione culturale. C’è chi ci crede fermamente in questo progetto di sviluppo locale e c’è chi resta scettico. C’è chi lo vede con occhio critico, come un qualcosa priva di progettualità, e c’è chi, invece, confida in un ritorno alla storia e agli antichi mezzi di comunicazione che hanno dato la possibilità ai nostri avi di fuggire, ma anche di ritornare, in questo pezzo di terra.

    Il ritorno come rinascita dal basso.

    L’Irpinia sta chiedendo a gran voce un riscatto sociale e culturale. Ad arrivare una carovana che si mobilita tutte le volte che c’è da promuovere, la sagra, il greco di tufo, o un castello disseminato in qualche paese dell’entroterra, che racchiude storia e folclore campano. L’esercito dei romantici che credono in un’altra irpinia possibile.

    “La locomotiva sembrava fosse un mostro strano che l’uomo dominava con il pensiero e con la mano”, cantava Guccini nel 1972, in realtà grazie ad essa si sono sviluppate delle vere e proprie interazioni umane, sociali e commerciali. E’ stata ed è una vera e propria forma di risveglio, di riconciliazione tra paesi che mette in risalto le caratteristiche dei luoghi, in una sorta di unicum geografico.

    Si potrebbe parlare sul nostro territorio di una decrescita felice, teorizzata dall’economista francese Serge Latouche. Aumento del benessere, inteso come un bien vivre che tiene conto di aspetti immateriali e normalmente “dimenticati”, quali la cultura, il tempo libero, le relazioni umane. La ferrovia di Francesco De Sanctis è la materializzazione di questa dottrina economica. Una rivoluzione dolce finalizzata a sviluppare e a ridurre l’inquinamento; a instaurare rapporti umani che privilegino la collaborazione sulla competizione; a definire un sistema di valori in cui le relazioni affettive prevalgono sul possesso di cose; a promuovere una politica che valorizzi i beni comuni e la partecipazione delle persone alla gestione della cosa pubblica.

    All’aspetto malinconico, evidente negli occhi di chi sale e scende dal treno, si contrappone anche il fervore di chi vive questa esperienza con la speranza che potrebbe essere il motore di una crescita diversa, che permetta ai giovani di restare e di creare un’economia nuova capace di sviluppare diverse opportunità. Progetti relativi ad un turismo di nicchia, alternativi alla globalizzazione.

    Oggi si sta diffondendo in maniera radicale un altro tipo di offerta turistica e il progressivo affermarsi di un turismo sempre più di nicchia e diversificato rappresenta una grandissima possibilità per il territorio irpino che, caratterizzato da località importanti dal punto di vista ambientale, climatico, storico, eno-gastronomico, ben si adatterebbe a rispondere alle esigenze di tanti piccoli target di clientela.

    Questo angolo di terra, compreso tra l’adriatico e il terreno, caratterizzato dal mistero e dal fascino di territorio incolto vive una perenne attesa di rinascita e di ritrovamento della propria identità. Lo sviluppo territoriale sostenibile con la riapertura della linea ferroviaria Avellino- Rocchetta Sant’Antonio è auspicabile ora, crederci è un imperativo, perché è la ferrovia delle acque, del fiume Sabato, Calore ed Ofanto; è la ferrovia dei grandi vini docg, del Taurasi e del Fiano; è la ferrovia del Parco Naturalistico Regionale dei Monti Picentini.

    E’ il collegamento tra le aree a tutela della biodiversità e dei siti di Importanza Comunitaria irpini

    E’ la ferrovia dei borghi, della storia, della cultura e dell’ identità della nostra terra.

    Maria Ruggiero, Vice Presidente Pro Loco Lioni

  5. 10 avellinorocchetta 04/11/2017 alle 9:29 PM

    L’undici dicembre del 2010 c’era la neve sul tragitto Avellino-Rocchetta. Fu un’impresa raggiungere il capoluogo partendo da Sant’Angelo dei Lombardi in auto. Ma era l’ultimo viaggio della tratta ordinaria e si doveva documentare la giornata. Sul treno c’erano persone che avevo sentito solo per nome allora, come il ferroviere-attivista Pietro Mitrione. Altre che conoscevo, il professore poeta Gaetano Calabrese intento a leggere le sue composizioni e a fumare il sigaro incurante di tutti. Altri che avrei conosciuto in seguito, il regista Michele Citoni. In testa al treno c’era invece un omone grosso grosso dal sorriso gentile. Passò quasi tutto il tempo a scattare foto con una bella compatta, che nelle sue mani sembrava minuscola. Si chiamava Agostino Della Gatta ed era quello di Irpinia Turismo, scomparso prematuramente pochi mesi fa. Agostino divenne poi un amico e un valido interlocutore sui temi del turismo in Irpinia.

    Oggi una targa per Agostino è stata affissa nella stazione di Nusco, in occasione del terzo passaggio in Irpinia del treno storico di Fondazione Fs. Stazione rimessa a nuovo, emersa dal degrado. Ricordare Agostino è doveroso e un grazie lo merita innanzitutto Pietro Mitrione (nella foto). Ognuno avrà le sue motivazioni per ricordarlo. Per me Agostino Della Gatta rappresentava la parte razionale di quel grande movimento che ha pressato per la riapertura della tratta. Ma non solo. La sua razionalità lo portava ad analizzare quei pochi numeri che si possono analizzare sui flussi turistici in provincia di Avellino. A criticare tutto il sistema o l’assenza stessa del sistema. A tenersi lontano dalla retorica della bellezza in Irpinia. E dunque lo portava esclusivamente ad agire. Ecco. Questo aspetto, insieme alla sua passione per io luoghi, è l’insegnamento di Agostino Della Gatta nel terzo atto della nuova Avellino-Rocchetta. Qualcuno ha rimesso insieme i pezzi del treno. Che vanno conservati con impegno, cauto ottimismo, lavoro e pazienza. Senza la sensazione di aver vinto qualcosa, ma possibilmente senza quelle tendenze a distruggere che pure spuntano nel cuore degli irpini.

    Alla stazione il treno arriva puntuale e stracolmo. La targa è sotto la bandiera dell’associazione InLocoMotivi. Il ricordo nelle parole di Mitrione che si commuove. E in quelle di Francesco Celli di Info Irpinia. “Quattro anni fa ci siamo ritrovati in dieci persone, abbiamo percorso la ferrovia a piedi per ricordare Miguel, un ragazzo che aveva perso la vita sull’Ofantina killer – dice Celli -. Sulle rotaie abbiamo trovato di tutto, i nostri calzoni erano strappati. Alla fermata di Campo di Nusco ci aspettava proprio Agostino, col caffè ed un bellissimo sorriso. Ha fatto tanto per il territorio e per la ferrovia. Insieme a Pietro è un esempio di lotta civile. Quattro anni fa non c’era niente e nessuno su questa tratta e lui stava là. Abbiamo colto l’essenza profonda di quest’uomo. Agostino parlava di turismo quando non c’era niente. Il turismo non è qualcosa di astratto, ha bisogno di cose concrete e il treno è uno di queste“.
    Stazione di Nusco: targa per Agostino, esempio per l’Irpinia
    04/11/2017 Di Giulio D’ Andrea

  6. 11 avellinorocchetta 04/11/2017 alle 9:31 PM

    Potrebbe sembrare una giornata dal doppio volto quella di ieri. Di mattina le polemiche sulla sanità, nel pomeriggio i festeggiamenti per le nuove fermate della Avellino-Rocchetta. Due fotografie distinte, dai colori diversi. Eppure non è così, le esigenze si incrociano o dovrebbero farlo. Il territorio irpino sta chiedendo con forza, tramite gli amministratori, due diritti differenti ma conciliabili. Il diritto alla salute, che è il diritto di sopravvivere. E quello ad avere qualcosa in più, che significa economia potenziale: che quindi vuol dire tentare di vivere.

    Chiunque abbia un po’ il polso della situazione non può non aver notato, al bar o su bacheche facebook, una buona dose di scetticismo sul treno. In parole povere l’accusa è “ci togliete gli ospedali, non c’è lavoro, non rifate le strade e ci proponete la cazzata della ferrovia”. Pensieri rivolti a una politica che effettivamente ci sta mettendo un bel po’ per venire a capo dei conti sulla sanità o per rendere praticabili le mulattiere della provincia. Tutto giusto, ma perché prendersela col treno? Il treno costa, siamo d’accordo. Ma con l’investimento necessario a farlo viaggiare non si garantiscono i reparti ospedalieri. Al limite, sulla sanità, si risparmierebbe tagliando gli straordinari e assumendo personale medico; ma questo è un altro discorso.

    Ciò che in questa sede ci sentiamo di dire è che i due ambiti, diritti di base e prospettive di futuro, possono e devono coesistere. Lo accennavamo prima. E’ sacrosanto che Sant’Angelo chieda personale al Criscuoli, che Solofra voglia conservare un punto nascita e che nella zona orientale della provincia si protesti per le strade non-strade. E’ tuttavia altrettanto legittimo che imprenditori, associazioni, operatori turistici possano beneficiare di un’infrastruttura a scopo turistico. Perché turismo, anche se in questa provincia si è fatto un abuso di quel termine, non vuol dire pazziella. Turismo, anche di nicchia, va inteso come passaggio di persone nuove, come scambio. Ma soprattutto come opportunità di lavoro, magari saltuario o stagionale ma pur sempre lavoro, per chi rischia di fuggire ogni giorno. A proposito, chi fugge lascia strade e ospedali. Li lascia sempre più vuoti, con la conseguenza di generare lo spettro di altri tagli. Chi rimarrà a usufruire di strade e reparti di questo passo? Questo è il punto, questo è il motivo per cui la ferrovia – che fino a prova contraria non inquina e non uccide – andrebbe sostenuta con ogni mezzo insieme a tutto ciò che la circonda o potrebbe circondarla.
    Ospedale per sopravvivere, treno come segno di vita
    04/11/2017 Di Giulio D’ Andrea

  7. 12 avellinorocchetta 08/11/2017 alle 9:13 am

    Ilaria e la sua visione di ciò che accade intorno
    “I mezzi di trasporto sono arrivati anche in Irpinia?”
    Ebbene sì, dopo tanti anni, il treno storico ha ripreso a funzionare! Proprio quello degli anni ’60, sfrecciava (per modo di dire) tra le varie stazioni. In occasione della 35° edizione della sagra della castagna di Montella si sono tenuti tantissimi eventi tra cui anche l’inaugurazione della tratta ferroviaria Lioni – Montella che è stata coperta da un treno storico chiamato per l’occasione ”Il treno delle Castagne”. Ha attratto turisti anche dalla Puglia, Foggia in particolare, che sono stati ben felici di arrivare nel clou della nostra amata sagra con un mezzo diverso dal solito. Per tre giorni consecutivi , 3-4-5 Novembre il treno è stato attivo ed ha riscosso molto successo. Tutti, o quasi, hanno apprezzato lo sforzo di quelli che l’hanno reso possibile. Hanno lavorato sodo per mesi per offrire tale servizio e hanno lottato con tutte le loro forze perché questo diventasse possibile. I bambini urlavano quando arrivavano in stazione, sventolavano delle bandierine e i loro occhi luccicavano dall’emozione. C’è stata una specie di gara per prendere il posto, per i giovani che non l’avevano mai preso, ma soprattutto per quelli un po’ meno giovani che volevano rivivere quel fervore degli anni passati! Chi era alla stazione di Nusco sabato 4 ha assistito alla manifestazione per ricordare un uomo che ha lottato tanto per far riaprire queste stazioni, un uomo che, quando nessuno ormai credeva fosse più possibile riaprirle, ha formato un piccolo gruppo, poche persone che però ci hanno messo il cuore e sono state ricompensate proprio in questi giorni. Sto parlando di Agostino Della Gatta, che era uno dei promotori di questa iniziativa. Purtroppo non ha avuto la possibilità di vedere il suo progetto realizzarsi ma in suo onore i suoi amici, colleghi e parenti hanno appeso una piccola targa in cui viene sottolineato il suo amore per la sua terra. Insomma, questo faticoso lavoro ha dato buoni frutti, le stazioni erano gremite di gente e le persone erano felici di poter salire su quel treno. Ora dovremo aspettare Carnevale per rivederlo, ma ci auguriamo che ci sarà lo stesso entusiasmo ad accoglierlo!
    Anna Della Marca

    Un treno può essere davvero uno spiraglio di vita. A volte sottovalutiamo l’importanza di certi ricordi, il calore che essi trasmettono. Lo scorso sabato ho guardato quel treno arrivare con gli occhi da bambina ed apprezzando lo sforzo fatto da persone che hanno lottato perché il sogno si realizzasse. Oggi una persona mi ha chiesto “perché lei si rende sempre disponibile per gli altri?” Io ho pensato all’immagine raccontata da un amico di Agostino quando lo accolse alla stazione ferroviaria di Nusco con il suo gran sorriso ed un termos di caffè, poi le ho riposto “la vita è troppo breve per non lasciare un degno segno del proprio passaggio!”

  8. 13 avellinorocchetta 08/11/2017 alle 9:34 am

    I binari dell’abbandono – Perché in Irpinia non passano più i treni
    agostino

  9. 14 avellinorocchetta 09/11/2017 alle 12:17 PM


    telenostra per riattivazione Lioni Montella
    3 novembre 2017

  10. 15 avellinorocchetta 18/11/2017 alle 10:31 am

    ‘La bellezza non basta’, la Avellino-Rocchetta verso il futuro
    http://www.irpiniapost.it/la-bellezza-non-basta-la-avellino-rocchetta-verso-il-futuro/

    Sono stati davvero tanti, forse persino troppi, gli spunti venuti fuori dalla giornata studi sulla Avellino – Rocchetta, promossa venerdì dal segretariato regionale del Mibact e dal Dipartimento di architettura della “Federico II” di Napoli con il patrocinio di Fondazione Fs e Consiglio regionale della Campania. L’appuntamento si è tenuto al Museo ferroviario di Pietrarsa, una location suggestiva: per la vista spettacolare sul golfo di Napoli, le isole e la penisola sorrentina, ma pure per i tanti gioielli della ferrovia custoditi al suo interno. Tra le locomotive a vapore e le carrozze dei reali, risulta difficile non fare un salto indietro con la fantasia a un tempo ormai lontano, nel quale oltre un secolo fa nasceva la Avellino – Rocchetta.

    Alla fine dell’Ottocento la provincia di Avellino, che nell’Italia post unitaria vantava un ministro dell’Istruzione di tutto rispetto, quel Francesco De Sanctis di cui quest’anno si celebra il bicentenario della nascita, era un’area del Paese anonima quanto o più di altre. “…venga la ferrovia, e in piccol numero d’anni si farà il lavoro di secoli”, scrisse non a caso il critico letterario irpino nel suo “Viaggio elettorale”. La ferrovia venne e portò sicuramente la civiltà. E’ stato più volte ricordato in questi anni di battaglia per la sua riapertura che essa veniva utilizzata per il commercio verso Napoli dei prodotti irpini, o che fu il mezzo attraverso il quale far arrivare a Lioni i soccorsi in occasione del terremoto, mentre le strade erano interrotte e i paesi annichiliti. Fu strumento per l’emigrazione, anche questo è noto.

    Non stiamo qui a ripercorrere le tappe della sua storia. Il presente ci dice che questa strada ferrata è tra le 18 individuate a livello nazionale come turistiche, grazie a un lavoro portato avanti dal Parlamento e dall’Alleanza per la mobilità dolce. E’ anche la prima in Italia a essere interessata da un provvedimento di tutela storico-paesaggistico sul quale hanno lavorato tre soprintendenze e l’Università di Napoli. Sono binari senza tempo, per utilizzare una definizione cara a Fondazione Fs, sui quali la Regione Campania ha deciso di investire 20 milioni di euro per ripristinare l’intero percorso, mentre il ministero per i Beni culturali e il turismo approvava un Piano strategico per la mobilità dolce e decideva di proclamare il 2019 Anno del turismo lento, sia esso a piedi, in bici o in treno. Parrebbe quindi improvvisamente che tutti i pezzi del puzzle stiano andando al loro posto, secondo un disegno, una strategia. Non in maniera caotica e causale.

    Ma dei punti interrogativi restano. Il primo è stato evidenziato da uno dei principali protagonisti della riattivazione della tratta. “Noi mettiamo il treno e assicuriamo che sia tirato a lustro, che funzioni – ha detto ieri Luigi Cantamessa, direttore di Fondazione Fs – Però che cosa facciamo quando scendiamo dal treno?“. E’ la domanda delle domande, sulla quale si è ragionato anche ieri e si sta ragionando a più livelli per mettere in campo una programmazione: dall’area vasta alle associazioni, dall’Alta Irpinia a singoli imprenditori. Domanda preceduta o seguita da un’altra osservazione. “Avellino città è fuori dal sistema di trasporto ferroviario regionale e non si può non fare i conti con l’egemonia della gomma“, sono state le parole di Carlo De Vito, presidente di FS Sistemi Urbani. Che anche due addetti ai lavori sollevino queste questioni non è aspetto di poco conto, non possono certo essere rubricate a sfogo di scettici, bensì appaiono come urgenti sollecitazioni.

    Si diceva comunque che dalla giornata sono venuti fuori spunti interessanti. Circa 30 gli interventi. Uno è stato fornito da una ricercatrice del Cnr. “Il progetto va reso sostenibile – ha spiegato – in termici economici, culturali e di empowerment delle comunità”. Il che significa che non potrà reggersi in eterno grazie al sostegno di risorse pubbliche e che – è l’auspicio – venga sviluppato un vero e proprio modello di business. E’ anche per questo che non si potrà prescindere dalla collaborazione pubblico-privato, come ha dichiarato il sottosegretario del Mibact Antimo Cesaro. “Essa nasce – ha detto – dalla consapevolezza che la cura di questo patrimonio non può essere affidata alla sola dimensione pubblica. La bellezza non è il solo valore di un bene culturale. L’altra dimensione è la relazione, le risorse umane“. Non basta essere belli, dobbiamo far prendere coscienza agli altri della nostra bellezza. Un concetto leggibile tra le righe anche dell’intervento di Anna Donati, presidente di A.Mo.Do. “Per me l’Irpinia prima di conoscere Pietro Mitrione era solo il terremoto”.

    Lo abbiamo scritto anche altrove (leggi qui): da 37 anni siamo identificati soltanto per il sisma del 23 novembre e quindi l’operazione da fare per rendere la ferrovia un progetto sostenibile è innanzitutto quella di scardinare questo cliché e provare a non risultare più anonimi. Paradossalmente, partire da “poco”, da una tavolozza di colori non ancora assemblati in dipinto, da un’autenticità derivante dall’essere rimasti ai marginali in quanto area interna, può essere vincente. “Più il territorio è puro, più è attrattivo”, ha detto un convinto Cantamessa.

    L’unico limite potrebbe essere l’ostinazione a leggere con le lenti del passato uno strumento che guarda al futuro, il tentativo di applicare al progetto ferrovia o ai progetti ferrovia che dovessero nascere modelli di governance vecchi, che replicano schemi e logiche superate quali campanilismi e partitizzazione. Un rischio rilevabile anche nella sincera preoccupazione del sindaco di Montemarano Beniamino Palmieri, uno dei pochi amministratori presenti ieri. “Avverto la preoccupazione di dover tramutare in pratica le tante cose dette e la difficoltà di tenere tutti allo stesso tavolo”.

  11. 16 avellinorocchetta 19/11/2017 alle 11:04 PM

    ://www.youtube.com/watch?v=s7140LUkkj4&feature=share
    ricordando Agostino Della Gatta

  12. 19 avellinorocchetta 19/11/2017 alle 11:09 PM


    Il ritorno di Giovanni LABBIENTO sulla ferrovia a Campo di Nusco

  13. 20 avellinorocchetta 23/11/2017 alle 5:06 PM

    1980-2017. Dove eravate?
    22/11/2017 Di Paola Liloia

    Ma dove eravate? La domanda, neanche troppo retorica, è rivolta anche a comuni cittadini di varia estrazione. E a voi imprenditori, amministratori o classe dirigente che scoprite ogni giorno, assieme chi prova a raccontarla, la realtà di una provincia che arranca e dove molte cose non vanno bene.

    Siamo bravi a puntare il dito. Siete bravi anche voi a indossare le vesti dei soloni e a mettere nel mirino questo e quel responsabile del disastro. Un “disastro” che in Irpinia porta il nome di post terremoto, espressione con la quale chi scrive non intende la ricostruzione, quella fase nella quale arrivarono risorse e, sebbene con tempi lunghi, fu ridata forma a ciò che la violenza devastatrice della natura aveva reso informe. Il disastro post terremoto corrisponde a quella ancor più estesa fascia temporale che dal maledetto 23 novembre 1980 arriva fino ai giorni nostri: 37 anni di costruzione di una società e di un’Irpinia che fanno acqua da più parti.

    Ecco, dove eravate? Voi che da qualche anno avete scoperto, moderne principesse sul pisello, che le cose non funzionano, che i trasporti magari non esistono e la sanità è spesso inefficiente; che in caso di infarto si può correre il rischio di morire nell’attesa di un’ambulanza. Che le reti idriche sono un colabrodo e i rubinetti possono restare (e restano) a secco. Voi che avete, giustamente, timore di mandare i vostri figli a scuola in edifici che potrebbero non essere sicuri e che alla prima scossa potrebbero venire giù. Voi che scoprite che le strade sono dissestate o pericolose da percorrere; che le aree industriali, salvo rari casi, sono vuote. Che fiumi e campi spesso sono contaminati. Dove eravate?

    Eravate, purtroppo, intenti a fare altro. Eravate concentrati sul fare carriera in vari settori professionali, a raggiungere posizioni di potere, ad accomodarvi negli enti, dalle comunità montane alle Asl e ai consorzi. Eravate lì a costruire rendite, a veder allungarsi i curriculum vitae con incarichi e consulenze. A mettere su case, tenori di vita o semplicemente ad assicurarvi un posto onorabile in una catena di montaggio con le giuste tutele sindacali, o dietro al desk di una banca. Eravate impegnati a voltare lo sguardo altrove.

    Oggi però vi accorgete che per noi, vostri figli, qui non c’è futuro e magari neppure una dignitosa pensione per voi altri. O che forse c’è un futuro molto peggiore di quello di cui voi avete goduto. Oggi vi accorgete che l’emigrazione alla quale voi avete potuto rinunciare, è l’unica via per tanti giovani che hanno voglia di dare forma al loro avvenire in modo concreto, senza elemosinare. Oggi vi accorgete che “qualcosa” non va e siete anche certi di conoscere i responsabili della disfatta.

    Ebbene, tra questi ci siete anche voi. Voi che oggi vi lamentate, voi che oggi suonate la carica e prendete coscienza delle mancanze; voi che cascate dal pero come se per tre decenni foste vissuti altrove. Voi che adesso siete trendy e arrabbiatissimi sui social e nelle chat di Whatsapp. Siete responsabili anche voi perché potevate scegliere. Scegliere di non rinnovare la fiducia ai protagonisti sotto varie forme del post terremoto. Potevate non ingrossare il loro consenso, non dare loro carta bianca nel decidere le sorti della nostra Irpinia post terremotata. Potevate scegliere di opporvi strenuamente, come pure alcuni hanno fatto. Di vigilare, pungolare. Dai Comuni ai Governi nazionali, dalle segreterie di partito ai posti di comando delle varie associazioni di categoria. I nomi li conoscevate e li conoscete ancora oggi. Abitano in Alta Irpinia e nell’Arianese, ad Avellino o nel suo vasto hinterland e hanno il volto di coloro ai quali solitamente vi rivolgete per risolvere un problema.

    Potevate non votarli e potete ancora non farlo, selezionando e risparmiandovi i loro eredi politici e i loro sodali. E sia chiaro, non c’entrano nulla le foghe rottamatrici o i venti spiranti grillismo. Anche perché di giovani vecchi la classe dirigente, politica e istituzionale irpina, ha già dato prova dal piccolo paese al grande Parlamento di essere satura. Non si tratta di agitare la scure di un rancoroso qualunquismo in base al quale “sono tutti uguali” e tantomeno di cedere alla tentazione di un’antipolitica disinformata che non sa discernere tra buoni e cattivi decisori.

    Ma bastava e basta poco, bastava non sguazzare nel sistema clientelare nel quale anche voi avete sguazzato. Bastava insegnare ai vostri figli, innanzitutto con l’esempio, che si può essere protagonisti, che non tutto va demandato alla benevolenza altrui. Bastava scegliere tra convenienza e coscienza, tra omertosa accettazione di una società costruita sul metodo mafioso che vuole un diritto sottoposto all’amministrazione informale dei rapporti, all’accesso controllato alle risorse e al potere, e morale. Vi bastava scegliere. A modo vostro lo avete fatto, ora però evitateci la predica.

  14. 22 avellinorocchetta 25/11/2017 alle 9:14 PM

    Una giornata di studio intensa come annunciava la locandina.
    Chi si aspettava la solita passerella pseudo politica deve essere stato deluso assai; è stata davvero una giornata di approfondimento scientifico e il tema è stato la celebrazione di un primato: la prima dichiarazione d’interesse culturale, monumentale e paesaggistico, su una strada ferrata.
    Un’apripista, dunque, l’Irpinia per il copioso patrimonio storico ferroviario, attivo, sospeso, e dismesso, che caratterizza il territorio italiano.
    L’apposizione di un vincolo o, come si è più volte specificato, di un provvedimento d’interesse culturale è un fattore di estrema importanza al fine della salvaguardia di un bene, ma è, contemporaneamente, un punto di partenza. Come ricordato in apertura di conferenza, un bene non ha valore intrinseco, non ha, paradossalmente, valore se non in relazione al suo riconoscimento e, appunto, alla valorizzazione, al risalto che si sa dare.
    Da qui la giornata è iniziata con il viaggio storico sulle ferrovie italiane e sulla Avellino-Rocchetta della quale si sono mostrate, grazie alla lectio magistralis del professor Andrea Pane, le opere d’arte e dunque il valore architettonico di monumento sul quale il vincolo si attesta.
    L’iter di preparazione del provvedimento è stato invece illustrato nella seconda parte della conferenza, dall’Ingegner Miccio, promotore iniziale per conto della Soprintendenza di Salerno e Avellino assieme al professor Andrea Pane, che ha spiegato la procedura tutt’altro che semplice della dichiarazione di notevole interesse.
    Come già detto, essa è sia di tipo monumentale che paesaggistico e si comprende bene il perché della dualità: la strada ferrata ha valore come opera d’arte ma essendo una via di trasporto, un’infrastruttura che copre un’intera provincia e lambisce altre due regioni, ha un grande valore paesaggistico, senza considerare che proprio la sua costruzione modifica il territorio attraversato e il territorio stesso guida la costruzione della ferrovia. Dunque, luogo e oggetto sono strettamente interrelati e restano tali anche nel provvedimento di interesse. E’ cruciale sottolineare l’unicità di questo procedimento per la particolarità che lo caratterizza in quanto oggetto lineare inserito nel territorio che implica la necessità di proteggere l’oggetto e contemporaneamente l’ambiente del quale fa parte integrante.
    Esemplarmente moderata dal presidente di Fondazione FS, Luigi Cantamessa, il quale da esperto del settore ha saputo stimolare il ragionamento con le giuste domande, l’ora dedicata al tema della valorizzazione si è rivelata particolarmente interessante, grazie agli interventi scientifici di Stefania Oppido, ricercatrice del CNR, della professoressa Maria Cerreta, del professor Stefano de Luca e quello “amministrativo” e determinante dell’Onorevole Famiglietti, grazie al quale oggi in Italia possiamo contare su un ulteriore strumento di valorizzazione delle nostre ferrovie storiche, ovvero la legge n.128/2017 “Disposizioni per l’istituzione di ferrovie turistiche mediante il reimpiego di linee in disuso o in corso di dismissione situate in aree di particolare pregio naturalistico o archeologico”.
    Il concetto di “viaggiatore”, non di semplice turista, è al centro della scena, poiché si può parlare di valorizzazione se si parla anche di turismo lento, una ferrovia turistica ha tempi non compatibili con un viaggio mordi e fuggi. Il turismo può costituire motore di sviluppo se è lungimirante, se è sostenibile e se è autosostenibile (Stefania Oppido). Questo implica tempo, citando il Professore Stefano De Luca, “possiamo aspettarci anche primi anni ‘in perdita’”, senza che questo sconforti, considerandolo tempo per rodare quello che sarà un guadagno a distanza ma stabile.
    Uno sguardo all’Europa ci consente di verificare che il turismo, e quello ferroviario in particolare, è in crescita anche all’estero e questo ci suggerisce la necessità di esportare il nostro turismo, di internazionalizzare la nostra proposta rendendo le nostre aree e le nostre offerte “accessibili”; questo significa digitalizzazione, significa proposta che viaggia in rete, realtà aumentata, app, piattaforme comuni e interattive.
    Ma “cosa si fa una volta scesi da quel treno?”.
    E’ necessario riconnettere le realtà esistenti e il treno potrebbe essere il collegamento – è la risposta della Professoressa Maria Cerreta – Estimo e Valutazione, UniNa.
    La ferrovia potrebbe e dovrebbe costituire parte di un sistema di rigenerazione culturale, sociale e dunque economico che, iniziando dalla offerta turistica, possa portare alla creazione di altre e nuove richieste, richieste di nuovi servizi culturali che a loro volta porterebbero nuove offerte e dunque nuovi modelli di consumo. Tutto ciò necessita di un’Agenda Territoriale che preveda interesse nel confronti non solo dell’architettura, dell’ambiente, e del paesaggio, ovvero oggetti primi della tutela, ma creazione di nuova accoglienza contemporaneamente alla cura per l’esistente e per chi già vive questi luoghi giornalmente, attraverso una necessaria opera di reinserimento lavorativo e sociale. E’ banale dedurre come tutto questo sia possibile solo attraverso una “nuova cultura” e attraverso l’innovazione. Perfettamente si aggancia qui l’intervento del professore De Luca il quale sottolineando la necessità della cura dell’esistente, auspica attraverso il lavoro sulla ferrovia l’eliminazione del rischio desertificazione, per queste zone così come per molte zone interne dello stivale. D’altronde a cosa servirebbe un treno nel deserto?
    Come in precedenza accennato, il treno turistico può essere un aiuto alla non desertificazione ma bisogna rendersi conto che è necessario o imperativo ragionare in termini temporali lunghi, l’ottenimento di certi risultati importanti, di cambiamento, stabili e stabilizzanti non può essere preteso se non nell’arco di 10-20 anni, ciò che succederà prima potrà avere le sembianze di una perdita ma sarà solo un investimento. Anni di investimento durante i quali determinante sarà favorire l’aggregazione, agevolare chi decide di restare e cercare di attrarre nuovamente chi ha deciso di andare via. E’ necessario stimolare la popolazione residente, perché la caratteristica di resilienza che potrebbe possedere chi resta non si trasformi in apatia che è ciò che spesso distrugge popolazione e territorio, favorendo desertificazione ed abbandono. Incentivare l’aggregazione attraverso sistemi di trasporto, di movimento e di connessione che oggi come in passato rappresentano l’ossatura dello sviluppo, coadiuvata oggi dall’innovazione che favorisce l’integrazione attraverso il supporto digitale. Ripensare i sistemi di connessione significa anche ripensarli senza spreco; inutile è, dunque, riaprire tutte le stazioni, ma più importante, per De Luca, sarebbe ripensare la ferrovia anche come trasporto collettivo competitivo, alternativo a quello su gomma, se solo si aumentasse la velocità di percorrenza. Questo comporterebbe lavori sull’infrastruttura e, dunque, investimenti economici sostanziosi che al momento potrebbero non essere facilmente reperibili, per questo il Presidente Cantamessa, pur ribadendo la condivisione della quasi totalità del pensiero del De Luca, dissente sulla necessità di prevedere oggi tali lavori e sulla imminente necessità che la ferrovia sia competitiva al trasporto su gomma, pensando piuttosto che procedere a piccoli passi possa consentire un più proficuo recupero della ferrovia, una sua manutenzione nel tempo tale da poter valutare in seguito anche altre utilità ed usi. “La ruggine dai binari” – dice – “la togli col sistema turistico”.
    La conclusione della giornata è affidata ad una serie di interventi più o meno programmati sul tema del Protocollo di Intesa che Regione Campania, FS e Ministero per i beni culturali hanno firmato assieme ai sindaci della tratta ferroviaria.
    Tra gli interventi, quello dell’Ing. Carlo De Vito che sottolinea ancora l’importanza della connessione dell’intera provincia di Avellino alla rete nazionale ferroviaria, grazie alla quale la ferrovia turistica può trarre maggior vantaggio e lavorare meglio. Ancora tra gli interventi di esperti del settori trasporti, c’è quello di Anna Donati, già direttore ACAM, che nel lontano 2009, a capo dell’ ufficio che gestiva i trasporti regionali includeva la linea Avellino Rocchetta nelle corse ordinarie ma con funzione turistica dando credito alla proposta dell’Associazione InLoco_Motivi. La Donati che vide l’idea vincente dietro quei “trenini”, oggi dichiara la soddisfazione nel vedere, proprio in questa occasione, quanto sia cambiata la considerazione nei confronti delle ferrovie da parte delle istituzioni e del mondo scientifico.
    Ma la vitalità del territorio è altrettanto importante; non è un caso che l’idea di Vinicio Capossela sia stata vincente, lui ha ridato vita ad un territorio, riconoscendolo come suo luogo del cuore, riaffermando come l’appartenenza e il riconoscimento siano punto di partenza fondamentale per tutela e valorizzazione. “Questa cosa del vincolo” – dice la Donati– “sta già facendo storia, ho ricevuto già moltissime richieste per replicare l’esperienza altrove”. Auspica, rispetto al protocollo di intesa, che vengano presto incluse le associazioni locali.
    Si susseguono due amministratori, l’ ing. Ugo Tommasone assessore del Comune di Avellino, che propone un’agenda che parte dal recupero delle opere d’arte per arrivare ad turismo sostenibile, passando per un concorso di progettazione sulle stazione e promozione del territorio tramite eventi e manifestazioni.
    E il sindaco di Montemarano Beniamino Palmieri il quale sprona a stare insieme, suggerendo che sia il miglior modo per farsi concorrenza – evidenziando la maggiore delle difficoltà della nostra provincia ovvero lo strenuo campanilismo che paradossalmente portò ad avere lo strano percorso sinuoso della ferrovia in modo che toccasse più stazioni ma è quello che oggi maggiormente impedisce una coazione che permetta la valorizzazione del territorio.
    CI sono poi gli interventi di esperti dal mondo dell’università come Laura Lieto che sottolinea ancora l’importanza della giornata che vede per la prima volta forse un vincolo della soprintendenza acquisire un grande valore politico e diventare bozza di programma. Pone poi l’attenzione sul delicato territorio irpino nel quale le comunità vanno ricostruite tramite una pianificazione sociale. La ferrovia può essere l’oggetto di ricucitura e l’Irpinia un grande laboratorio. Stessa idea per Stella Casiello, che si augura un lavoro continuo e proficuo dopo questo grande traguardo.
    Chiudono Giovanni Pandolfo del Touring club che suggerisce ancora l’attenzione nei confronti dei borghi e Veronica Barbati, Coldiretti Avellino, che rappresenta il numero in aumento di giovani che tornano a dedicarsi all’agricoltura, un’agricoltura che sta cambiando, si sta evolvendo ed è attualmente supportata da finanziamenti imponenti e che guarda all’Avellino Rocchetta come un ottimo strumento di valorizzazione del prodotto irpino.
    Le conclusioni sono affidate all’onorevole Rosetta D’Amelio che come rappresentante di tutte le istituzioni presenti e promotrici della giornata e del Protocollo di Intesa, si impegna a dare il massimo per portare avanti il progetto di valorizzazione.

    E’ importante sottolineare quanto la giornata sia un unicum, sia per il tema affrontato, sia per il respiro scientifico e nazionale, se non internazionale, che il tema ha avuto ed ha.
    E’ importante che questo traguardo sia condiviso sul territorio italiano e internazionale perché questa sia un’opportunità disponibile da oggi anche per altre ferrovie che necessitino di essere tutelate, e perché non ci si fermi proprio ora che abbiamo conoscenze, disponibilità e sprone a continuare.
    E’ fondamentale che il territorio irpino capisca che grande opportunità è questa di dimostrare che è possibile creare qui ed esportare modelli di progettazione sociale, culturale, economica nuovi ed innovativi. E’, qui ed ora, l’occasione per superare campanilismi e divisioni, è l’occasione per recuperare o creare aggregazione, traguardare il risultato immediato per iniziare a dare un futuro a questa terra.

    Ad Maiora
    Valentina Corvigno

  15. 23 avellinorocchetta 14/02/2018 alle 5:35 PM

    http://www.irpiniapost.it/ferrovie-turistiche-lirpinia-e-gia-quarta/
    La Avellino-Rocchetta è la quarta ferrovia turistica più frequentata d’Italia. Il bilancio sull’anno 2017 diffuso da Fondazione Fs sul turismo ferroviario mostra segnali positivi per tutto il settore e incoraggia a lavorare sul progetto di recupero totale della ferrovia del De Sanctis.

    Intanto perché complessivamente 130mila turisti hanno scelto, nel biennio 2016-17, i treni d’epoca di Fondazione FS per provare un’esperienza di viaggio lenta, scoprire scorci suggestivi d’Italia e luoghi ricchi di storia e cultura. Un +47% di corse effettuate rispetto al 2016, +53% di chilometri percorsi, ma anche +14% di turisti e oltre il doppio dei ricavi rispetto all’anno precedente per un incasso su tutto il territorio nazionale pari a 2 milioni e 200mila euro. Un trend positivo e in crescita che può aprire la strada a nuovi investimenti, anche alla luce della legge 128 del 2017 che individua, tra le linee prive di servizio di trasporto pubblico locale, quelle da adibire a ferrovie turistiche. Tra queste c’è anche la Avellino-Lioni-Rocchetta Sant’Antonio.

    Ma delle nove linee ferroviarie riaperte in Italia all’esercizio turistico a partire dal 2014 attraverso l’iniziativa “Binari senza tempo”, sono due quelle campane. Oltre alla tratta irpina, figura nel progetto anche la Benevento-Boscoredole che passa per Pietrelcina.

    E i numeri incoraggiano. La Avellino-Rocchetta si piazza al quarto posto della classifica delle linee più scelte dai turisti. In vetta spicca la Sulmona-Carpinone, detta anche la Transiberiana d’Italia – foto in basso da “Le rotaie”, con le sue 92 corse nel 2017 e i suoi 12.780 passeggeri. Al secondo posto troviamo la Asciano-Monte Antico tra le province di Siena e Grosseto, che di corse ne ha fatte 122 nello scorso anno per un totale di 7920 viaggiatori. Medaglia di bronzo per la Agrigento-Porto Empedocle, che attraversa la suggestiva Valle dei templi, con 92 corse e 4516 passeggeri.

    Tutte e tre le linee sono state riattivate però nel 2014. La Avellino-Rocchetta invece, dopo un weekend di viaggi nell’agosto del 2016, ha ripreso a funzionare e in modo ancora parziale soltanto nella scorsa estate. La riapertura e il recupero dell’intero percorso è tuttora in divenire, domenica scorsa la consegna di ulteriori due stazioni: Cassano Irpino e Montemarano. Eppure nel 2017, con la tre giorni dello Sponz Fest Express e con il weekend del Treno delle castagne a Montella, la ferrovia irpina ha totalizzato 22 corse e 4484 viaggiatori. Quarto posto appunto nella classifica stilata da Fondazione Fs, ma se si prova fare una media per viaggio addirittura primo. Parliamo di biglietti venduti a pochi euro, in questa fase, ma che in presenza di servizi e un’offerta turistica qualificata sul territorio (a partire dalla predisposizione o meno di navette per collegare le stazioni ai luoghi di interesse) potrebbero anche costare qualcosa in più.

    Numeri migliori anche della vicina Benevento-Boscoredole che con treni in partenza alternativamente da Salerno e Napoli consente di raggiungere il polo religioso di Pietrelcina, luogo natale di Padre Pio. 34 corse e 1304 viaggiatori totali per la linea sannito-molisana nel 2017. Dati sicuramente destinati a crescere per la presenza di un attrattore riconosciuto e riconoscibile come appunto il santo. Attrattore che manca alla Avellino-Rocchetta, dove però il modello del treno collegato a singoli eventi sembra avere buone potenzialità. Il boom oggi è sicuramente giustificato dalla novità, per gli anni a venire molto dipenderà da come amministrazioni e associazioni sapranno organizzarsi, fare rete e attivare canali promozionali, sulla scia ad esempio di quanto fatto per Montemarano con il Touring Club.

  16. 24 avellinorocchetta 22/02/2018 alle 4:31 PM

    http://mobilitadolce.net/tesi-laurea-sulla-ferrovia-avellino-rocchetta-s-antonio-la-ciclovia-dellacquedotto-pugliese/
    Una Tesi di Laurea sulla ferrovia Avellino – Rocchetta S. Antonio e la Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese.

  17. 25 avellinorocchetta 22/02/2018 alle 4:32 PM

    Una Tesi di Laurea sulla ferrovia Avellino – Rocchetta S. Antonio e la Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese: un’opportunità di riattivazione territoriale per le aree interne di Campania, Basilicata e Puglia.

    di Andrea Lo Conte

    Il lavoro presentato è il frutto della mia tesi di laurea magistrale in architettura sostenuta presso il Politecnico di Milano ed elaborata sotto la guida del professore Andrea di Franco e dell’architetto Ilaria Di Genova. Lo scopo di questa ricerca progettuale è stato quello di individuare una possibile strategia di sviluppo territoriale e turistico sostenibile per le aree interne di Campania, Basilicata e Puglia attraversate dalla ferrovia turistica Avellino – Rocchetta S. Antonio. Le interessanti correlazioni nate sovrapponendo il tracciato ferroviario ai percorsi delle Ciclovie dell’Acquedotto Pugliese e dei Borboni, nonché il tracciato della Via Appia Antica, hanno indirizzato la ricerca verso l’individuazione dell’obiettivo, ovvero, la costruzione modello che coniuga la ferrovia e i percorsi cicloturistici e/o di viaggio lento con lo scopo di riattivare il territorio e restituire valore alle improduttive risorse di cui l’Irpinia – come molte aree interne del nostro paese – è piena.

    Si tratta di un lavoro durato circa otto mesi – da marzo a dicembre del 2017 – che ha messo a frutto l’interesse verso la mobilità dolce ed il cicloturismo sviluppato attraverso la precedente esperienza di studio di progetti e programmi simili come quello della ciclabile VenTo, sviluppato proprio da un gruppo di ricerca del Politecnico di Milano, e quello spagnolo delle Vias Verdes, itinerari cicloturistici che, in parte, ho avuto la fortuna di percorrere durante un periodo di studio svolto nei Paesi Baschi.

    Forte dell’esperienza acquisita attraverso l’analisi di questi progetti, ho deciso di affrontare una ricerca che declinasse l’obiettivo prefisso alle differenti scale che caratterizzano un’ipotesi di intervento così ampia. Partendo dalla definizione di un’area vasta alla scala regionale sulla quale proporre un’ipotesi di trasformazione territoriale, ho ristretto mano a mano il campo di indagine individuando – grazie al confronto con amministrazioni ed associazioni avvenuto durante la presentazione di tale lavoro allo Sponz Fest 2017 – un frammento “pilota” di questo sistema territoriale per il quale sono state redatte proposte progettuali alla scala urbana ed architettonica; da qui il titolo Lioni – Calitri: frammenti di un progetto territoriale lungo la ferrovia Avellino – Rocchetta S. Antonio. La presentazione di questo lavoro al festival diretto da Vinicio Capossela è stata di fondamentale importanza anche perché mi ha permesso di conoscere personalmente Pietro Mitrione di In Loco Motivi, associazione che per anni ha lottato per la riapertura della ferrovia d’Irpinia e che ha aderito sin dall’inizio all’Alleanza per la Mobilità Dolce. Da qui il contatto con Anna Donati e la possibilità di pubblicare questo lavoro sulla piattaforma web di A.Mo.Do., per cui, prima di passare alla descrizione della tesi, ringrazio loro e tutte le persone e le associazioni che hanno contribuito alla stesura di questo lavoro, tra queste il Coordinamento dal Basso per la Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese, il personale dell’Oasi WWF Lago di Conza e l’associazione Sponziamoci.

    Il territorio e la Avellino – Rocchetta S. Antonio

    Il primo passo di questa ricerca è stato quello di definire il campo di indagine su cui concentrare l’analisi e la successiva ipotesi di progetto alla scala territoriale. Prendendo in considerazione il tracciato della ferrovia e degli itinerari precedentemente citati, si è delineato il contorno di un’area vasta costituita da 47 comuni situati in tre differenti regioni, Campani, Basilicata e Puglia; più precisamente nelle provincie di Avellino, Potenza e Foggia.

    Successivamente, attraverso numerosi sopralluoghi e l’analisi geomorfologica del territorio si sono evidenziate le componenti che permettono di definire a pieno titolo la ferrata Irpina una ferrovia del paesaggio in quanto, partendo da Avellino, il suo tracciato solca le valli del Sabato, del Calore e dell’Ofanto in uno scenario in cui fanno da sfondo la catena montuosa dei Picentini, l’altopiano del Formicoso e la sagoma vulcanica del monte Vulture, ultimo rilievo ad accompagnare i viaggiatori all’ingresso della Daunia, nella stazione di Rocchetta S. Antonio.

    La lettura e la conoscenza di questo paesaggio multiforme è proseguita attraverso un’operazione di mappatura e georeferenziazione di quei caratteri palesi, nascosti o dimenticati che costituiscono le già citate risorse improduttive di questo territorio. Dal punto di vista ambientale, in riferimento alla natura, all’agricoltura e all’enogastronomia, le risorse individuate sono numerose e tutte suscettibili di caratterizzare gli itinerari. Basti pensare che soltanto lungo la linea ferrata si contrano quattordici riserve e aree di interesse naturalistico (SIC/ZPS) tra cui il Parco Regionale dei Monti Picentini, il Laghi di Conza, Monticchio e Monteverde. Da Avellino a Rocchetta, inoltre, si incontrano diverse aree di produzione specifica capaci definire i percorsi, come ad esempio, le strade del Fiano e del Taurasi, i centri di produzione dell’Olio di Ravece – a cavallo tra valle del Calore e quella dell’Ufita – le castagne, il tartufo ed i formaggi nel territorio di Bagnoli e Montella, il circuito delle fattorie didattiche, di cui se ne contano ben diciassette e proseguendo nella Valle D’Ofanto e sull’altopiano del Formicoso le specifiche colture di cereali nonché le rinomate produzioni casearie quali il caciocavallo podolico e il pecorino di Carmasciano.

    Analizzando, invece, i valori storci, culturali e sociali del territorio ci si trova, anche in questo caso, di fronte ad un enorme potenziale da valorizzare. Per semplificare il lavoro di individuazione e mappatura in questo caso, si è deciso di suddividere le risorse culturali in luoghi, attività e suddividendo la prima sezione secondo sette categorie: i siti archeologici e le tracce di archeologia rurale, i principali castelli e borghi medievali, il cammino di San Guglielmo e altri itinerari religiosi, il circuito dei musei etnografici e della ruralità; le tracce dell’Acquedotto Pugliese, le testimonianze della Via Appia Antica e le masserie ed i mulini ad acqua che costellano gli itinerari alla scoperta dell’architettura rurale dell’Alta Irpinia.

    Per quanto riguarda le attività e gli eventi da svolgere nel territorio, se le prime sono facilmente intuibili e strettamente relazionate al paesaggio ed alle sue forme – come ad esempio il trekking, le escursioni in mountain bike o la pesca fluviale – il palinsesto degli eventi risulta di notevole importanza per la riattivazione della Avellino – Rocchetta, che in quanto ferrovia turistica potrebbe funzionare, come sembra stia iniziando a fare, in stretta relazione con questi sollecitando e recependo la fattiva collaborazione delle pro-loco, delle associazioni e dei residenti che a qualsiasi titolo vogliano partecipare al progetto.

    Anche lo studio del tracciato ferroviario e della sua storia, infine, si è dimostrato un’importantissima risorsa da valorizzare, in quanto l’infrastruttura, oltre che costituire un’importante testimonianza dal punto di vista dell’archeologia industriale ed ingegneristica della fine del XIX secolo, anche carica di valori e memorie sociali e collettive che costituiscono la storia moderna di queste terre. Dalla sua costruzione, fortemente caldeggiata da Francesco de Sanctis, si sono sedimentate lungo questa ferrata i ricordi e le tracce di oltre un secolo tra cui quelli dei bombardamenti della seconda guerra mondiale, dell’emigrazione e del drammatico sisma del 1980.

    Il contesto decisionale

    Alla lettura e ed alla conoscenza del territorio è seguita una fase di un’ulteriore fase analisi che si è occupata di definire il contesto decisionale e gli obiettivi da raggiungere attraverso la formulazione di un’ipotesi di progetto del territorio. Questa fase del lavoro è stata condotta nella convinzione che ipotesi di trasformazione territoriale di questo tipo sono caratterizzate da orizzonti temporali lunghi, ancor di più se da attuare in aree che versano in uno stato di immobilismo e presentano un trend di crescita negativo da ormai oltre tre decenni. Per questo ho deciso di analizzare il contesto decisionale sottolineando la necessità che tale processo sia affrontato attraverso l’utilizzo di strumenti capaci di coinvolgere tutti gli enti interessati, all’interno di un dibattito che, pur tenendo sempre presenti le numerose istanze locali, sia capace di travalicare la dimensione regionale, specialmente per quanto riguarda l’individuazione di una regia unitaria. Ciò è stato fatto un’indagine, su scala nazionale come su quella locale, degli strumenti normativi ed organizzativi esistenti e capaci di portare alla definizione dell’obiettivo di questa ipotesi di trasformazione territoriale.

    Partendo dal piano locale, l’analisi delle possibili strategie di sviluppo territoriale è stata effettuata, con riferimento all’intero bacino dei comuni potenzialmente interessati, considerando gli studi già in corso, gli attuali programmi e le istituzioni capaci di costituire una rete ed un sistema strategici tra le varie piccole realtà che costellano il nostro territorio, mappando e classificando anche la tipologia dei collegamenti infrastrutturali attualmente esistenti tra loro. Su scala nazionale, invece è stata condotta una ricerca riguardo i possibili strumenti legislativi e/o di finanziamento che, integrati tra loro e “pilotati” da una regia unitaria, potrebbero costituire l’opportunità per costruire – dal basso verso l’alto – questa di riattivazione territoriale nel segno della mobilità dolce e del viaggio lento. In particolare, gli strumenti più interessanti sono costituito, a mio avviso, dal Sistema Nazionale delle Ciclovie turistiche, dalla legge Iacono sulle ferrovie turistiche e dalla legge Realacci riguardo le misure per contrastare lo spopolamento nei piccoli comuni.

    Passando all’analisi del contesto infrastrutturale, uno sguardo alla scala interregionale, da un lato evidenzia ulteriori possibilità di sviluppo nell’ambito del turismo lento e della mobilità dolce costituite dal passaggio, non lontano dai due capi della linea, delle due Ciclovie Romea – Francigena (EV5) e della Pista del Sole (EV7) – dall’altro mette in luce la criticità che caratterizza il collegamento tramite trasporto pubblico di queste aree con i capoluoghi di riferimento come Foggia, Avellino e Napoli. Sottolineando così, come uno degli obbiettivi da perseguire sia quello del potenziamento e della ricerca di una maggiore intermodalità. Mentre in riferimento al bacino di comuni precedentemente delineato, le già citate correlazioni nate dalla sovrapposizione della linea ferroviaria con il tracciato di alcuni percorsi cicloturistici nazionali hanno portato ad effettuare un lavoro di mappatura geo-referenziazione di itinerari locali e collaterali che a partire dalla rete precedentemente descritta si dipanano nel territorio costruendo un sistema guidando il viaggatore alla scoperta del territorio e delle sue risorse.

    Infine, un ultimo passo di questa fase di analisi del contesto decisionale è stato quello di effettuare un’analisi demografica e del peso insediativo; così, se da un lato è emersa la criticità costituita dal fatto che la maggior parte degli insediamenti sul territorio sia costituita da i cosiddetti piccoli comuni, dall’altro il calcolo del potenziale bacino d’utenza “stabile” ha portato alla stima di circa 195.000 abitanti e/o utenti potenziali: dato che mi ha permesso di pensare che avallare un’ipotesi di trasformazione territoriale di questo tipo non vuol dire che oltre al treno ci si è sognati anche la bicicletta. Facendo con ciò riferimento ad un’espressione in uso nella zona per dire di una persona che si mette in testa un’idea impossibile[1].

    L’ipotesi di progetto territoriale

    Così, in relazione a quanto emerso dallo studio del contesto decisionale e delle potenzialità e criticità del sistema territoriale, la prima fase propriamente progettuale di questo lavoro si è occupata di individuare le tematiche e le conseguenti strategie progettuali necessarie, a perseguire una duplice volontà: da un lato quella di mirare, attraverso la riapertura della ferrovia storica, ad uno sviluppo di un turismo sostenibile, lento e consapevole; dall’altro, invece, quella di riattivare una serie di luoghi, suscettibili di modifica o di nuovo utilizzo, per restituirli al servizio della popolazione locale, evitando in questo modo, di relegare le opere architettoniche ed i luoghi della linea a mere archeologie ferroviarie da ammirare – nella migliore delle ipotesi – un paio di volte al mese e in occasione delle corse celebrative e delle festività del territorio. Tutto ciò perché sono convinto che la stagionalità e la sporadicità che caratterizzano il funzionamento di una tratta ferroviaria turistica costituiscano un enorme rischio sia per il funzionamento del servizio che per la tutela del suo patrimonio architettonico che, lasciato all’incuria nei periodi di minor utilizzo, sarebbe nuovamente soggetto al degrado ed al danneggiamento, così come è accaduto in questi anni di abbandono e di funzionamento a singhiozzo. Al fine di evitare ciò la pratica di una metodologia progettuale che riconnetta i luoghi della linea al tessuto ed al contest urbano e sociale esistente è fondamentale.

    Per questo motivo il progetto individua sono tre linee strategiche principali, che si riferiscono ad altrettante tematiche progettuali:
    •Il ridisegno dello spazio aperto di pertinenza alle stazioni – specialmente nei casi in cui la ferrovia è prossima ai centri storici – con l’obbiettivo restituire la funzione pubblica e sociale a questi manufatti e di riconnetterli al tessuto urbano esistente;
    •Il riuso e la riconfigurazione, individuando con ciò due linee progettuali diverse relative alla medesima strategia progettuale:
    •la prima, basata sull’idea che l’inserimento di nuove e particolari funzioni negli edifici più significativi (anche quelli di fermate ormai dismesse da tempo) costituisce un’occasione sia per la promozione turistica e la valorizzazione del territorio che per la restituzione di questi manufatti alla vita sociale delle comunità che abitano il territorio;
    •la seconda – la riconfigurazione – pensata principalmente come linea progettuale da utilizzare sulle fermate prefabbricate, prevede un approccio più standardizzato, che attraverso la modifica della loro struttura mira ad aprire questi moduli al paesaggio, offrendo dei punti di approdo ed informazione per i cicloturisti ed i viaggiatori lenti;
    •Infine, la sistemazione paesaggistica di alcune aree, attualmente degradate o non adeguatamente valorizzate ha lo scopo di risolverne le criticità, di aumentarne l’attrattività turistica e, in alcuni casi, di incrementare l’offerta e le potenzialità del sistema ricettivo senza però comprometterne l’integrità e le dinamiche eco-sistemiche di tali luoghi.

    Il frutto di tale fase del lavoro è andato così a definire un abaco delle possibilità che riassume l’ipotesi di progetto territoriale avanzata e che ipotizza per ogni tematica progettuale, una serie di funzioni “standard” da declinare, a seconda dei casi, in 16 aree di progetto situate lungo la linea ed individuate proprio in questa fase del progetto del territorio.

    Lioni – Calitri: il progetto di un frammento del sistema territoriale e le aree di intervento

    Come detto all’inizio la prima fase di questo lavoro svolta alla scala territoriale è stata presentata in occasione della riapertura estiva della linea per lo Sponz Fest 2017 all’interno del programma Libera Università per Ripetenti. Questo evento ha costituito un’opportunità di confronto con i rappresentanti di alcune amministrazioni ed associazioni, territoriali e non, permettendomi, in relazione ai feedback ricevuti, di restringere il campo d’indagine su cui concentrare la ricerca progettuale al tratto di ferrata che corre da Lioni a Calitri. Così, alla scala territoriale, il progetto si è sviluppato attraverso lo studio e l’elaborazione di un percorso ciclopedonale che colleghi i due comuni intersecando la ferrovia in più punti e lambendo 6 delle 16 aree di progetto individuate nella precedente fase.

    Per la realizzazione di questo percorso sono state proposte delle sezioni stradali schematiche, che non fanno riferimento a delle soluzioni tecniche da adottare, quanto piuttosto ad un approccio progettuale da utilizzare a seconda della tipologia di strada o percorso su cui intervenire per garantire la sicurezza degli utenti del percorso. La scelta di non approfondire questa parte del progetto del percorso è dovuta alla volontà di individuare delle soluzioni che in linea di principio possano essere facilmente declinate facilmente anche sugli altri itinerari individuati nella precedente fase di studio e progetto alla scala regionale.

    Per quanto riguarda le aree di progetto, invece, una volta ristretto il campo, sono stati individuati degli interlocutori all’interno delle amministrazioni e delle associazioni ai quali sottoporre i programmi funzionali ipotizzati nella fase precedente in modo da modificare e definire in maniera condivisa le possibilità di intervento su questo tratto del territorio. Successivamente, dopo aver precisato i limiti ed i programmi funzionali area per area, il lavoro è stato indirizzato alla redazione di tre progetti architettonici per tre delle sei aree d’intervento. La scelta di sviluppare i progetti architettonici illustrati nel capitolo che segue sulle tre stazioni piuttosto che per gli altri luoghi individuati durante questa fase è dipesa, oltre dalla più forte opportunità di trasformazione offerta dalla prossima riattivazione della ferrovia, dalla volontà di lavorare su aree che implicassero una scala omogenea, al fine di controllare e verificare, attraverso il disegno architettonico, i criteri progettuali delineati precedentemente.

    Nel redigere i progetti architettonici, nonostante la eterogeneità delle funzioni proposte – un Archivio Storico dell’Emigrazione ed una piazza a Lioni, uno spazio espositivo, un ostello, un’area concerti ed un bike-park per Conza della Campania e un mercato agroalimentare a chilometro zero per Calitri – la ricerca di continuità tra i siti è stata affrontata mediante l’utilizzo di un medesimo approccio progettuale. In tutte e tre le occasioni, infatti, la principale azione attraverso la quale si ricerca la costruzione del luogo è quella di un lavoro di suolo, declinato caso per caso in relazione alle differenti esigenze. La scelta di operare quasi sempre a volume zero, intervenendo sull’esistente senza nuove costruzioni, ad eccezione dello scalo di Calitri – Pescopagano, è anch’essa frutto di una linea progettuale che, in accordo con le scelte fatte nella fase di progetto alla scala territoriale, vuole stabilire un sottile nesso tra le aree di progetto. Infine, l’utilizzo degli stessi materiali per le pavimentazioni ed i rivestimenti, come la ripetizione di una serie di funzioni e/o di elementi dello spazio pubblico (sedute, punti bike sharing, ecc.), cercano ancora una volta di rafforzare il legame che intercorre tra le tre aree di progetto.

  18. 26 avellinorocchetta 12/03/2018 alle 5:35 PM


    PRESENTAZIONE DEL DOCUFILM ” pROSSIMA FERMATA”
    f. cURCI


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