riapertura totale della ferrovia Avellino Rocchetta 26/27 maggio 2018

332 Risposte to “riapertura totale della ferrovia Avellino Rocchetta 26/27 maggio 2018”


  1. 12 pietro mitrione 04/07/2018 alle 9:40 PM


    visita liceali a Nusco

  2. 13 pietro mitrione 28/08/2018 alle 8:55 am


    la storia di Franceschina la calitrana

  3. 14 pietro mitrione 28/08/2018 alle 8:57 am


    canti calitrani

  4. 15 pietro mitrione 28/08/2018 alle 8:59 am


    quadriglia calitrana

  5. 16 pietro mitrione 03/09/2018 alle 8:52 PM

    PASSA-PORTI
    ponti non steccati

  6. 24 pietro mitrione 03/09/2018 alle 8:58 PM

    /www.flickr.com/photos/sponzfest/42641049890/in/photostream/

  7. 25 Michele De Simone 03/09/2018 alle 9:42 PM

    Quante corse ci sono ?Sono giornaliere, settimanali o mensili, perché ho 85 anni e vorrei rivivere i giorni della mia gioventù, di quanto viaggiavo col treno a Vapore e anche con le littorine.

  8. 26 pietro mitrione 08/09/2018 alle 4:36 PM

    https://www.nuovairpinia.it/2018/09/07/quella-incantatata-irpinia-doriente-ammirata-a-new-york/
    Viaggio alla scoperta dell’Irpinia d’Oriente, dove il tempo s’è fermato
    di Angelo Perone

    da La Voce di New York | 2 marzo 2018

  9. 27 pietro mitrione 25/09/2018 alle 4:32 PM

    IL TRENO DEI DESIDERI
    E’ questo il treno dei silenzi.
    La macchina dei sensi.
    Dove i baci diventano eroi.
    Rumore di velocità inafferrabile.
    Fischio lento a passo d’uomo.
    Serpente si muove fra fiori di ginestre,
    origano e stramonio.
    Sfugge sferragliando…..rincorso.
    Mentre immobili in alto, spicchi di umanità,
    nell’incanto della solitudine.
    Sinuoso insegue il fiume… che accarezza.
    A tratti lo attraversa… per poi perdersi .
    Sul suo metallo, dal fondo dei carri,
    giunse il grano dai paesi senza nome.
    Ubriaco di uve e di vino sul binario sostò.
    Di bestiame e donne con cesti ammassato.
    Valige di cartone, sogni stipati, frittate di bambini.
    Sul suo tragitto un susseguirsi di stazioni mendiche,
    come insegne appena illuminate ,
    dove duole ciò che si apprende,
    addormentandosi al finestrino.
    E’ stato viaggio.
    Per altri fu mani, congedo, esilio, ritorno.
    Ma in tutto il tempo, sospeso.
    Fino a diventare esistenza.
    Oblio.
    E il bisogno improvviso di essere passeggeri soli.
    Qualunque sguardo o nome,
    solo passeggeri.
    Un desiderio :
    ancora un viaggio da fare.
    Ora che ho imparato a godere.
    Sul treno dei sensi.
    La ferrovia dei silenzi.
    Non dimenticarmi.
    Io sono Andrea Forgione .
    Aspettami .

  10. 28 pietro mitrione 26/09/2018 alle 4:31 PM

    da la voce di New York
    02 Mar 2018

    viaggio alla scoperta dell’Irpinia d’Oriente, dove il tempo si è fermato
    Le zone del nord est della provincia di Avellino sono bellezze da scoprire, nel cuore di un’Italia incontaminata e spesso poco considerata

    L’Irpinia nella sua parte più orientale, oltre i monti dell’Appennino, vicino alle pianure pugliesi è infatti un mondo a parte, lontano dalle moderne frenesie, raccolto tra colline silenziose e piccoli villaggi antichi, che rientrano nella lista dei “borghi più belli d’Italia”

    Sant’Andrea di Conza

    Distese di grano a vista d’occhio, circondate dal vento, immerse in spazi inesplorati. Non ci sono fabbriche, o grandi officine, né strade di traffico frenetico. Solo grano, uliveti o vigneti, e qualche trattore al lavoro, con il suo lento cigolio tra le zolle. Nessun rumore molesto arriva a scuotere i borghi sulle colline lontane. La maggior parte, piccolissimi e distanti tra loro, eppure simili l’uno all’altro, ciascuno specchio della vita degli altri paesi. Mancano grandi insediamenti urbani.

    L’Irpinia, oggi compresa soprattutto nella provincia di Avellino, nella sua paarte più a nord-est, detta “d’Oriente”, è terra che vive in un silenzio rarefatto e sonnolento, scandito dal ritmo delle campane della chiesa, dal vociare delle donne alla finestra, dai sussulti dei crocchi radunati davanti ai pochi bar. Da quei volti segnati nel tempo, conosciuti da tutti con i loro soprannomi, che ricordano radici profonde. Vi regna la calma di un clima aspro, lontano dal mare, che non è scosso dal clamore del nuovo, da ritmi eccitati, se non in certi momenti dell’anno, con il ritorno di chi è già andato via.
    E’ un territorio prevalentemente montuoso, inciso da valli, e rilievi, tra i quali serpeggiano torrenti e fiumi, collocato in alto, tra due pianure, campana e pugliese, ad oriente della catena appenninica e della vallata napoletana. Orientamenti geografici – questo essere nello stesso tempo “in alto” e “ad oriente” – che segnano il carattere della gente.

    Si dice che ciascuno assomigli a chi gli sta accanto, e allora l’Irpinia dovrebbe possedere i tratti propri dei territori con cui confina, la Puglia, la Basilicata, il napoletano stesso con le sue perle Capri ed Ischia, ma la differenza con queste zone è piuttosto marcata.
    L’essere in alto rispetto ai centri abitati campani distribuiti sulla costa ne accentua la lontananza e pone l’Irpinia “fuori gioco” rispetto alle convulsioni napoletane, d’altra parte questo trovarsi ad oriente di qualcosa, nella parte più a levante della Campania, e soprattutto oltre l’Appennino, la proietta verso un altrove, che è un mondo diverso: le fotografie di un secolo fa, chissà perché, riprendevano uomini e donne dai profili balcanici se non asiatici.
    La posizione geografica lascia dietro di sé una eterna sensazione di sentirsi in sospeso. Difficile, per l’altitudine e la lontananza, riconoscersi un’appartenenza emotiva alla costa campana. La barriera dell’Appennino fa volgere inevitabilmente lo sguardo ancora più ad est, un orizzonte mai effettivamente raggiungibile, una meta che non c’è. Prende corpo una sospensione emotiva che provoca un sentimento di immobilismo, come se il tempo, privato di ogni vibrazione, si fosse fermato del tutto.

    Castello del Monte

    L’Irpinia d’Oriente è luogo di mancanze più che di presenze, per quel non trovarsi dove la vita potrebbe sorriderle più dolcemente, o forse anche travolgerla superando le deboli difese che possiede. Un ambiente che dà vita a piccoli paesi, solitari nel verde e incantevoli forse anche per questa solitudine, spesso indicati, tra “i borghi più belli d’Italia”, capaci di raccontare la storia del difficile insediamento umano in una zona agraria, in gran parte rimasta incontaminata.
    Da gustare quei panorami: nessuno potrebbe dire che ogni casa pur piccola non abbia il suo sguardo sulle vallate, o addirittura non possa illudersi, con le visuali offerte da una piccola finestra, di possedere spazi ampi di terra; per questo, molti, a prima impressione, potrebbero anche finire per immaginare questa terra come proprio habitat ideale dove fermarsi almeno un po’ di tempo, dimora per il presente al di fuori degli stereotipi che corrodono la contemporaneità.
    Senza cemento e veleni, a Monteverde può nidificare la rarissima cicogna nera, un animale schivo e selvaggio insieme, che ha bisogno di essere lasciato in pace per sopravvivere, e che sembra essere così simile ai suoi abitanti per quell’amore verso una terra di confine.

    Irpinia d’oriente

    Con le sue case e terrazze coltivate che si arrampicano lentamente verso l’alto, Nusco forma una sorta di sciame di antica pietra, imperturbabile ai venti capricciosi. La montagna che scende in contrafforti e declivi offre un paesaggio inesauribile di vecchi casali e di antiche fontane.
    La valle del Cervaro, un insieme di campi coltivati a grano e fieno a testimonianza della vena agricola della zona, trova in Savignano il suo rifugio di montagna. Un borgo di origine mitica, risalente secondo la leggenda ad una migrazione del popolo sabino, ma di consistenti e attualissimi sapori, regalati dalle magiche orecchiette affogate nel ragù di carne.

    I turisti nonostante le possibili attrattive però sono rari; arrivano a fatica tra valli, torrenti, montagne; pesa la lontananza dai movimentati e popolosi centri sulla costa. Così gli abitanti di questi luoghi non hanno modo di perdersi in cerimonie con loro e trascorrono le giornate con altri ritmi.
    A chi abita tra queste alture, al riparo dalle parole, sembra quasi che non ci sia nulla da fare se non osservare i campi all’orizzonte e il cielo. Meditare, passeggiando nelle valli. Non è una questione di età, né di ispirazione romantica, se a tanti capita di attardarsi a guardarle, quelle nuvole così in alto, sfumate o color pastello, che sembrerebbero stampate o ricamate su una tela, se il vento non le rendesse tanto guizzanti.
    Pare che il presente, dopo tante partenze, sia fatto di poco e che la vita mostri il suo lato più parco. Quel minimo, che però fa ascoltare meglio i profumi e le voci di sempre: il bucato appena steso dalle lavandaie, il miagolio dei gatti tra i vicoli, la minestra di legumi che cuoce sulle vecchie cucine a legna. Ora però, sulle creste dei colli circostanti, qualcosa cambia e si sente il ronzio insolito delle pale eoliche in movimento. Che tanto disturba proprio la cicogna nera.

    Angelo Perrone

  11. 29 Pietro mitrione 21/11/2018 alle 11:01 PM


    quark

  12. 30 Pietro mitrione 26/11/2018 alle 6:32 PM


    la bellezza

  13. 31 Pietro mitrione 26/11/2018 alle 6:36 PM


    Circa 4000 i viaggiatori saliti tra il 25 ed il 27 agosto 2017,

  14. 32 Pietro mitrione 13/12/2018 alle 9:57 am

    Il “Principe” di Lapio brilla con il treno storico e chiude un anno di Avellino-Rocchetta
    Da Avellino a Calitri, passando per Montemiletto, Lapio, Paternopoli, Castelfranci, Cassano, Bagnoli, Montella, Lioni, Teora e Conza della Campania, migliaia di viaggiatori hanno riscoperto l’Irpinia grazie al treno turistico più apprezzato in Campania. E domenica 16 dicembre ultimo viaggio del 2018 e brindisi finale nella patria del Fiano

    commenta
    L’illuminazione del ponte ottocentesco a 3 campate d’acciaio, detto “Principe” per la maestosa struttura, è un tributo simbolico all’intera tratta storica Avellino-Rocchetta Sant’Antonio.

    La realizzazione del suggestivo spettacolo la si deve interamente all’Amministrazione comunale di Lapio e al suo sindaco, Trisa Lepore, che caparbiamente ha voluto che il Natale lapiano e, in qualche modo, irpino iniziasse proprio dal lì, con la classica “accensione delle luminarie di Natale” e, quest’anno, del Ponte “Principe” che l’8 dicembre alle 17:20 circa ha salutato così il treno turistico al suo passaggio in corsa verso Lioni.

    Un tributo che paga e appaga a conclusione di un anno pieno di iniziative a cominciare proprio dalla riapertura dell’intero percorso ferroviario da Avellino a Rocchetta Sant’Antonio, il 26 e 27 maggio scorsi. Quei giorni hanno visto migliaia di persone prendere d’assalto il treno e l’Irpinia.

    A seguire, grazie alla collaborazione tra l’Assessorato ai trasporti di Regione Campania, Consiglio Regionale della Campania e Fondazione FS, una quindicina di treni, storici e turistici, sono partiti da Benevento alla volta della terra irpina; da Avellino a Calitri, passando per Montemiletto, Lapio, Paternopoli, Castelfranci, Cassano, Bagnoli, Montella, Lioni, Teora e Conza della Campania, hanno accompagnato migliaia di viaggiatori.

    Viaggiatori non solo del tempo libero ma anche studenti, provenienti da scuole di diverso grado e indirizzo, con l’obiettivo di utilizzare il treno come mezzo didattico, per un approccio multilivello che spazi dalla conoscenza geografica dell’Irpinia fino allo studio di progetti di rigenerazione territoriale. Il progetto per il 2019 è di riuscire a coinvolgere le scuole in maniera più continua, con viaggi didattici mirati.

    Con quasi l’80% dei biglietti venduti, per quest’anno l’Avellino Rocchetta S.A. sembra essere il treno turistico più apprezzato in Campania.

    Il treno come mezzo e come parte integrante di un nuovo modo di viaggiare, di conoscere; un viaggio lento, a volte forse in solitaria, senza fretta certamente, il tipo di viaggio che ti permette di apprezzare quei luoghi poco estroversi come i borghi irpini, che hanno bisogno della pazienza di chi vuole percepire il genius loci: questo è il treno irpino del paesaggio.

    Queste le premesse per proseguire verso la programmazione 2019, sempre grazie alla collaborazione tra Regione Campania e Fondazione FS. Ma a dare il saluto al 2018 e ad augurarvi un buon natale sarà il treno del 16 dicembre, verso Lapio. inserito anche nella manifestazione “L’Altro Natale 2018” della Soprintendenza di Avellino e Salerno.

    Il programma prevede una giornata speciale all’insegna di tutto ciò che rappresenta la tradizione natalizia, ovvero presepi, in mostra nel borgo, Babbo Natale per i più piccini, le luci e i canti.

    Il treno a doppia automotrice ALn663 parte da Benevento alle ore 10:30, fermando a Tufo (11:03) e Avellino (11:24), da qui prosegue alla volta di Lapio, con fermata intermedia a Montemiletto (12:07). Durante la tratta, volontari dell’UNICEF con presidio “Adotta una pigotta a Natale” e Clan H con le sue note performance teatrali.

    Arrivati alla Stazione di Lapio alle 12:19 accolti da Babbo Natale, si verrà accompagnati al borgo in navette e qui ci sarà la possibilità di un pranzo (su prenotazione) presso i ristoranti del certo storico.

    Dopo pranzo un momento dedicato ai più piccini con uno spettacolo teatrale e la consegna delle letterine a Babbo Natale (invitiamo tutti i bimbi a portare con loro le richieste per i doni di quest’anno). Seguirà un tour del borgo con visita ai presepi e ad alcuni locali dello straordinario Palazzo Filangieri in fase di ultimazione di restauro. Per tutto il pomeriggio sarà possibile degustare il Fiano DOCG (su prenotazione)

    La giornata si concluderà con il concerto della Nuova Compagnia di Canto Popolare. Alle 20:46, tutti di nuovo in carrozza per il ritorno. Invitiamo tutti domenica 16 dicembre per un brindisi di Buon Natale e Felice Nuovo Anno.

    riapertura totale della ferrovia Avellino Rocchetta 26/27 maggio 2018

  15. 33 matteo 14/12/2018 alle 7:37 PM

    ancora con questa ferrovia.ma stiamo fuori di testa..che vergogna.

  16. 34 matteo 14/12/2018 alle 7:38 PM

    ma di chi è stata questa idea balzana

  17. 35 matteo 14/12/2018 alle 7:41 PM

    il tempo si è davvero fermato..al magna magna generale..

  18. 36 Pietro mitrione 17/12/2018 alle 6:04 PM


    lapio 16 dic

  19. 37 Pietro mitrione 15/01/2019 alle 10:55 PM

    forum itv 15 gennaio 2019

  20. 38 Pietro mitrione 31/01/2019 alle 10:07 am


    venga la ferrovia….

  21. 39 pietro mitrione 30/03/2019 alle 10:55 PM

    https://www.nuovairpinia.it/2019/03/30/la-stazione-di-avellino-compie-140-anni-il-futuro-della-citta-in-partenza-dal-suo-binario/
    La stazione di Avellino compie 140 anni. Il futuro della città in partenza dal suo binario

  22. 41 pietro mitrione 30/03/2019 alle 10:58 PM

    Dopo alterne discussioni circa la sua allocazione il 31 marzo 1879 viene ufficialmente inaugurata la stazione ferroviaria di Avellino.
    Anche allora le scuole di pensiero circa l’ubicazione e il percorso dei tracciati ferroviari si scontravano facendo primeggiare più motivi campanilistici che generali.
    Così avvenne anche per la nostra stazione e per il tracciato che congiungeva la nostra città con Napoli.
    Ci fi addirittura chi come Luigi Amabile, cui è dedicato l’Istituto Tecnico Commerciale di Avellino, si dimise dalla carica di deputato del collegio di Avellino in quanto avversato e sconfitto dal rappresentante del collegio di Atripalda, Michele Capozzi, in merito al tracciato della ferrovia da Avellino-Mercato S. Severino.
    L’Amabile sosteneva che l’ubicazione della stazione di Avellino dovesse essere prevista al centro della città mentre “re” Michele sosteneva la realizzazione nell’hinterland atripaldese.
    La conseguenza di quello scontro sortì l’effetto del “solito” compromesso che previde l’allocazione della stazione ferroviaria a metà strada fra Avellino ed Atripalda, ubicazione che successivamente favorì lo sviluppo abitativo e commerciale in quel rione oggi meglio conosciuto con il nome di Borgo Ferrovia
    Questo breve flash storico ci aiuta a capire perché quella decisione fu una scelta infelice che ancora oggi paghiamo.
    In una provincia prevalentemente agricola fino agli anni 60 del secolo scorso la stazione FS di Avellino ebbe un ruolo importante nel movimento merci e passeggeri nonostante la distanza dal centro cittadino. Carrozzelle e “filobus” furono i mezzi ante-litteram per un trasporto cittadino integrato fino a quando scelte irreversibili a favore della gomma non contribuirono alla lenta agonia del trasporto su ferro.

    Il sisma dell’80 contribuì in modo definitivo alla “morte” fisica dell’ edificio ferroviario, che fu scelleratamente abbattuto, ma più di questo fece il non capire che la ricostruzione post-sisma avrebbe potuto significare una rivoluzione per il sistema di trasporti in Irpinia. Invece, si investì in nuove infrastrutture stradali lasciando la rete ferroviaria esistente nella obsolescenza funzionale.
    Fino alla fine degli anni ‘90 la stazione continuò a vivere in una situazione di “sospensione” nonostante l’istituzione di corse veloci con Napoli, circa 75 m., un collegamento notturno da Avellino a Milano e comode relazioni con Benevento.
    Nel silenzio assoluto delle istituzioni pubbliche di qualsiasi livello, la stazione e la rete ferroviaria languivano mentre la scoibentazione delle prime carrozze avveniva sui quegli stessi binari, in commistione con viaggiatori e personale delle FS; in pochi udirono strani “boati” in quell’ambiente.
    Il resto è storia, prima la sospensione della Avellino Rocchetta nel 2010, poi la riduzione dei servizi con le altre città della Campania; ancora oggi Avellino è l’unica città della Campania a non avere un efficiente collegamento su ferro con il capoluogo della Regione.
    Lentamente la stazione è andata verso il declino, fino a giungere alla sua completa chiusura, nel 2012. Fu una decisione drammatica che sembrava punto di non ritorno, l’epilogo di una storia collettiva: l’Irpinia cancellata dalla geografia ferroviaria italiana.
    Questa volta però le proteste dei cittadini portarono la Regione Campania ad un rapido dietrofront e il provvedimento fu ritirato dopo un paio di mesi. La stazione venne riaperta ma rimase la precarietà dei servizi senza una idea per il futuro.
    Oggi, però, sembra formarsi una diversa visione di sviluppo per la nostra città, una nuova idea di trasporto su ferro arriva dalla amministrazione regionale che ha proposto la elettrificazione della ferrovia Salerno-Avellino Benevento, i cui lavori sono in fase di esecuzione. La visione è quella di una Metropolitana Regionale. Una opportunità che consente di far rivivere anche le piccole tratte secorìndarie come la “sospesa” ferrovia Avellino Rocchetta, oggi riutilizzata a fini turistici.
    In questa ottica Avellino potrebbe collegarsi ai corridoi ferroviari primari in attesa della realizzazione della linea ad Alta capacità (Roma) Napoli-Bari (Taranto).
    L’ultimazione della metropolitana leggera cittadina di Avellino, che ha il capolinea nel piazzale della stazione FS, e la riapertura della bretella stradale a scorrimento veloce “Bonatti”, che in poco più di 5 minuti collega la zona della Ferrovia al centro della città, possono consentire la rivitalizzazione dell’intero quartiere di Borgo ferrovia attraverso una nuova politica di integrazione ferro/gomma.
    In questi ultimi anni si è discusso lungamente sul ruolo della nostra città, sul Piano Strategico e la costruzione dell’Area Vasta: oggi ci sono le condizioni per recuperare quei ritardi e quelle idee; oggi ci sono le condizioni, ancora una volta, per iniziare un percorso di uscita dall’isolamento che, se da una parte è caratteristica, anche positiva, dei borghi appenninici, dall’altra è la causa prima dell’abbandono di quegli stessi borghi, quando alla valorizzazione delle caratteristiche di arroccamento, tradizione, enogastronomia, non si unisce la possibilità reale di raggiungerli o di muoversi da questi per raggiungere capoluoghi con possibilità lavorative maggiori in tempi relativamente brevi.
    140 anni fa, il 31 marzo del 1879, la nostra stazione fu inaugurata e questo anniversario si aggiunge a quello della ricostruzione post terremoto. Approfittiamo per valutarne seriamente il futuro.

    140 anni stazione avellino

  23. 42 pietro mitrione 21/05/2019 alle 9:35 am


    quelli che ci hanno sempre creduto……

  24. 43 pietro mitrione 23/05/2019 alle 10:15 PM

    Treni didattici, la riflessione di “In loco motivi”

    “E’ l’educazione che ingrandisce i nostri cuori con l’ingrandire de’ nostri intelletti, e trasforma le società e le fa simili a noi. (…) Studiate, educatevi, siate intelligenti e buoni. L’Italia sarà quello che sarete voi.”

    Francesco De Sanctis pronunciò questa frase il 29 gennaio 1883, durante un importante discorso al teatro di Trani. E’ sul significato di queste parole straordinariamente attuali, sul valore profondissimo che hanno, che si basa quasi tutto il senso delle battaglie di InLocoMotivi degli ultimi anni e il forte impegno, in particolare, a portare il territorio nelle scuole o meglio le scuole nel territorio attraverso la ferrovia.

    Domani, 24 maggio, con un treno da Avellino diretto a Conza della Campania, si concluderà questo primo ciclo, 2018-2019, di treni didattici della riaperta e riscoperta tratta ferroviaria Avellino-Rocchetta SA. In collaborazione con il Forum Giovani Campania, con associazioni e proloco del territorio, InLocoMotivi è riuscita a costruire viaggi calibrati sul grado scolastico ma anche adatti agli indirizzi delle singole scuole e classi. Grazie ad un rapporto consolidato negli anni con il gruppo IRISS del CNR, si sono costruiti con alcune scuole progetti che hanno avuto il viaggio in treno come fulcro di un lavoro più ampio e ancora in corso sulla valorizzazione e rigenerazione territoriale.

    Questo pacchetto di treni dedicati alle scuole, inaugurato con un treno speciale il 19 marzo per una scolaresca di Assisi in visita ai vigneti e alle cantine irpine, ha registrato la partecipazione di circa 800 studenti, provenienti da scuole di ordine e grado diversi, scuole elementari e medie, istituti superiori, di Avellino e della Provincia. Le scolaresche hanno visitato borghi e località naturalistiche irpine: Morra de Sanctis, Sant’Andrea di Conza, le sorgenti di Cassano e Caposele, l’Oasi WWF di Conza della Campania.

    I viaggi didattici in treno con partenza dalla stazione di Avellino sono stati, però, anche un pretesto per riaprire le corse verso Napoli e portare studenti a Pietrarsa, in visita al Museo Ferroviario Nazionale.

    Proprio ieri, 22 maggio, in occasione di uno dei treni didattici per Pietrarsa, con una scolaresca dell’Istituto Comprensivo G. Tentindo di Chiusano di San Domenico e Lapio, alla presenza del Direttore del Museo, Dott. Orvitti, e del sindaco di Lapio, nel tempio italiano del treno, si è voluto celebrare Francesco De Sanctis, il cui impegno permise la realizzazione della strada ferrata nella terra d’Irpinia. In suo onore, è stata scoperta una targa che resterà affissa in una delle sale del Museo Ferroviario. La cerimonia è stata fortemente voluta alla presenza degli studenti riconoscendo in loro, partendo proprio dalle parole del De Sanctis, il ruolo determinante di dirigenti di domani bisognosi degli esempi e degli insegnamenti positivi del passato.

    La giornata, luminosa e piacevolmente tiepida, ha permesso agli studenti di godere appieno del museo e del bellissimo giardino, ma ha anche avuto un momento importante di riflessione con la PolFer che ha intrattenuto i ragazzi con una interessante lezione sulla sicurezza ferroviaria.

    Viaggiando da e verso Napoli, con gli studenti, riflettiamo poi su quanto necessaria sia la ferrovia per un bacino di utenza provinciale, in qualche modo, ancora scoperto, quello del serinese-solofrano che da Avellino, attraverso Mercato San Severino, Nocera, Torre Annunziata e Pompei potrebbe raggiungere Napoli aggirando ed evitando il doppio viaggio in bus passando per Avellino. Un bacino ancora una volta di studenti, quelli di tutta la provincia, che con la prossima elettrificazione potranno raggiungere le sedi universitarie salernitane in 30 minuti, e potrebbero raggiungere quelle napoletane in poco più di un’ora. Una riflessione necessaria, aggiungiamo doverosa, nei confronti delle giovani generazioni.

    A conclusione di questo primo anno di treni turistici, fortemente voluti dalla Regione Campania, traino ed esempio per altre regioni Italiane, l’Associazione InLocoMotivi esprime una grande soddisfazione per l’obbiettivo di grande partecipazione ed interesse nato attorno ai treni didattici che verranno senz’altro riproposti l’anno prossimo e speriamo in numero superiore viste le già numerose richieste di partecipazione che siamo stati costretti a declinare in questa prima tornata.

    Ribadiamo, con convinzione, oggi più che mai, l’importanza del coinvolgimento delle scuole, degli studenti, partendo da quelli della provincia, affinchè dalla conoscenza del proprio territorio, delle sue potenzialità, al più inespresse, e delle possibilità di poterle valorizzare nasca la consapevolezza delle scelte future, la consapevolezza di avere materiale per restare e il diritto di scegliere se andare, magari per tornare.

  25. 44 pietro 11/06/2019 alle 4:44 PM


    Estate in Irpinia con Info Irpinia – Tappa a Lioni

  26. 45 pietro mitrione 27/09/2019 alle 8:20 am


    regia Federico Curci

  27. 47 avellinorocchetta 07/03/2021 alle 8:59 PM

    Un train nommé espoir : petite histoire de la ligne Avellino – Rocchetta Sant’Antonio
    PUBLIÉ LE 2 mars 2021
    Vendredi 3 novembre 2017, 15h37. J’arrive enfin à la gare de Calitri, un bâtiment à l’aspect abandonné, caché entre de grands hangars industriels. Je gare ma voiture, je regarde l’heure ; c’est bon, je suis arrivée à temps. Je contourne l’édifice et me rend sur le quai. Je suis seule, il est encore tôt. Il fait froid et je mets mes mains dans mes poches ; l’hiver pointe déjà le bout de son nez en haute Irpinia. Pourtant, je ne louperais ce moment pour rien au monde. Aujourd’hui, le train qui n’a pas sifflé depuis longtemps est remis en circulation. La première course d’une longue série qui annonce la reprise progressive du trafic, à des fins touristiques, sur la ligne Avellino-Rocchetta Sant’Antonio.

    Le quai de la gare de Calitri-Pescopagano, au milieu d’une zone industrielle.
    ÉLOIGNEZ-VOUS DE LA BORDURE DU QUAI… LE TRAIN ENTRE EN GARE !
    Une voiture, puis une autre, se garent, et quelques personnes font leur apparition sur le quai. Derrière moi, j’écoute deux dames d’une soixantaine d’années discuter. Pour mon plus grand bonheur, elles parlent en italien et non en dialecte calitran – j’ai donc tout le loisir d’écouter leur échange. La première attend le train, elle ne va pas le prendre, mais elle veut le voir passer et prendre des photos. La deuxième déclare qu’elle descendue saluer son amie mais qu’elle ne reste pas : elle va monter dans un champ, sur la colline derrière nous, pour voir passer le train depuis là-bas. C’est là qu’elle jouait avec ses frères quand ils étaient enfants. Elle se souvient qu’ils entendaient siffler le train, qui effectuait alors des voyages quotidiens. Elle veut revivre cet instant d’insouciance, comme autrefois.

    Petite photo de mes pieds en attendant de voir le train arriver !
    Ce fut une belle émotion pour moi d’entendre ce récit. Lorsque la seconde est partie pour regagner les champs, la première est restée sur le quai et nous avons échangé quelques mots. Je lui ai dit que j’étais une jeune chercheure et elle m’a racontée qu’elle était retraitée, qu’elle avait longtemps vécu au nord (de l’Italie) et qu’elle était revenue au village pour ses vieux jours – mais uniquement parce que son mari avait insisté, car elle, elle serait volontiers restée en Lombardie.

    un train rouge et vert s’approche du quai
    Le train entre en gare de Calitri
    Le train est arrivé, avec un peu de retard, et je suis montée à bord ; c’était un vieux train avec du beau mobilier, des portes en bois ciré, du moins, c’est ainsi qu’il apparaît dans mes souvenirs. Les sièges étaient plutôt raides mais c’était une journée de fête, alors point de complainte ! Dès que la locomotive s’est mise en marche, j’ai eu le nez collé à la vitre pour observer les paysages de l’Irpinia. Si je commençais à prendre l’habitude de voir ses collines et ses villages depuis les axes routiers, je les découvrais désormais sous un tout nouvel angle, depuis la voie de chemin de fer qui coupe les champs et offre des points de vue différents, comme sur le village de Cairano ou le lac de Conza en photo ci-après.

    La Rupe de Cairano à gauche et le lac de Conza, clichés volés depuis le wagon.
    Plus le chemin avançait, plus nous nous rapprochions du terminus, plus le train se chargeait de voyageurs. Des familles, des vieux, des jeunes. A Calitri, nous n’étions que quelques curieux à bord et sur les quais, mais c’était à présent un autre histoire ! On riait, on s’interpellait. Une fanfare composée principalement d’adolescents est passée dans les wagons, en se frayant difficilement un chemin avec leurs cuivres ! A chaque gare, le train s’arrêtait une dizaine de minutes. La foule se pressait sur chaque quai pour entendre siffler le train, pour admirer les beaux wagons, pour capturer quelques clichés. D’autres fanfares, des compagnies de théâtre ou des groupes de danse étaient au rendez-vous. Nous, les voyageurs, nous passions notre tête par les fenêtres semi-ouvertes du train pour admirer l’animation. Nous faisions nous-aussi un peu partie du spectacle !

    Fanfare à bord du train… pardon pour le flou, ça bougeait par ici !
    Le terminus, c’était la petite ville de Montella. Ici encore, la foule sur le quai, la musique, les flashs des téléphones et quelques politiques prêts à faire un discours. Je regardais ce joyeux spectacle par les vitres en attendant de descendre ; émerveillée d’un tel engouement de la population et heureuse de partager avec elle ce moment presque « historique ». Ce week-end-là, c’était la Fête de la Châtaigne, un véritable événement local – on y vient parfois même de Naples ou de Salerno, c’est dire !

    La châtaigne de Montella est labellisée IGP (Indication Géographique Protégée), et comme bon nombre de produits agroalimentaires de qualité en Italie, une grande fête lui est dédiée chaque année ! C’est début novembre, au moment où ce fruit est mûr, et c’est l’occasion de déambuler dans les rues entre les stands de victuailles toutes plus appétissantes les unes que les autres… des châtaignes grillées bien sûr, mais le caciocavallo impicato ne manquait pas non plus au rendez-vous. Pour ma part, j’ai craqué pour une sorte de hot-dog de saucisse locale !

    Quelques stands de la Fête de la Châtaigne 2017 à Montella (AV)
    C’est donc à l’occasion de la Fête de la Châtaigne 2017 que la ligne de chemin de fer Avellino- Rocchetta a été remise en marche, lançant officiellement sa réouverture progressive dans l’année qui a suivi. Une année 2017-2018 qui a effectivement été ponctuée de passages occasionnels du train pour desservir plusieurs événements d’envergure : après la Fête de la Châtaigne en novembre, il y a eu notamment le Carnaval de Montemarano en février.

    Mais revenons un peu en arrière pour comprendre pourquoi le passage du train fut un tel événement le 3 novembre 2017, un tel jour de fête pour les habitants de l’Irpinia.

    L’AVELLINO-ROCCHETTA : EMBLÈME D’UN PEUPLE QUI RÉSISTE
    Le chemin de fer reliant Avellino (en Campanie) et Rocchetta Sant’Antonio (dans les Pouilles) a été inauguré en 1895, après avoir été réalisé en plusieurs tronçons. Voulu et défendu par Francesco de Sanctis, homme de lettre et homme politique originaire d’Irpinia, elle était censée permettre le désenclavement du territoire et son ouverture à la modernité. Mais il était probablement illusoire de penser que cela suffirait pour réduire les écarts de développement entre Nord et Sud et pour amorcer un réel développement économique de l’Irpinia.

    La ligne a alors vécu pendant un peu plus d’un siècle – mais sa fréquentation fut toujours limitée. D’abord parce que le tracé est sinueux et donc les temps de parcours plutôt longs (plus de 4h pour une centaine de kilomètres) et ensuite parce que les villages, perchés en haut des collines, sont éloignés des gares. Les seules exceptions sont Montella et Lioni, deux communes desservies directement par le train. Les autres gares sont au fond des vallées, avec une station pour deux ou trois communes alentours.

    A gauche, un poster réalisé par In Loco Motivi à partir du graphisme des premiers billets de train à l’ouverture de la ligne Avellino-Rocchetta en 1895. A droite, le « voyage électoral » de Francesco De Sanctis.
    La menace de sa fermeture, à l’aube des années 2000, met en marche un véritable mouvement citoyen. De quelques passionnés regroupés autour d’un ancien cheminot, le groupe s’élargit et deviendra l’association In Loco Motivi. Ils organisent d’abord des voyages touristiques sur la ligne, des parcours sur une demi-journée qui permettent de faire découvrir les paysages et les mets locaux– des « viaggi sentimentali » (voyages sentimentaux) en référence au « viaggio elettorale » (voyage électoral) que Francesco De Sanctis, l’homme politique mentionné plus haut, avait effectué dans la région en 1875. Ces événements festifs sont un moyen de faire entendre leur voix contre la fermeture de la ligne, et démontrer par la même occasion le potentiel touristique de la ligne de chemin de fer.

    En 2010, la ligne est tout de même interrompue, malgré les tentatives d’In Loco Motivi, mais les passionnés ne renoncent pas. Ils ne peuvent plus parcourir la ligne en train ? Ils la parcourront désormais à pied ! D’autres événements sont organisés, des colloques pour débattre du futur de la ligne également. Les festivités d’autres associations locales sont aussi l’occasion de parler du chemin de fer. Et surtout, le discours autour du potentiel touristique de la ligne s’étoffe. L’Université de Naples s’intéresse à la question, ainsi que certaines personnalités publiques.

    personnes marchant sur une ligne de chemin de fer abandonnée, avec des drapeaux en l’air à l’effigie de leur association
    Marche joyeuse sur les rails de l’Avellino-Rocchetta à Morra lors d’un événement co-organisé par In Loco Motivi et Info Irpinia
    Le Sponz Fest est un festival mêlant les arts : musique, théâtre, cinéma, performances artistiques… Il se tient chaque année depuis 2013 dans la commune de Calitri, le dernier week-end du mois d’août. D’autres villages limitrophes sont aussi associés et reçoivent certains événements. Le directeur artistique n’est autre que Vinicio Capossela, musicien et chanteur que les amateurs de musique italienne connaissent peut-être. Il n’est pas insensible au sort de la ligne Avellino-Rocchetta, et à partir de 2016, le train est relancé, pour un ou deux trajets, à l’occasion du festival.

    Il s’agit d’un trajet symbolique, sur une toute petite partie du tracé et ne desservant que quelques communes, mais cela signifie déjà beaucoup pour ceux qui se battent depuis bientôt deux décennies.

    L’engouement pour cette ligne de chemin de fer finit par gagner la sphère politique régionale, ainsi que la Fondation pour les Chemins de Fer de l’État (Fondazione delle Ferrovie dello Stato) qui travaille à la valorisation touristique des petites lignes historiques du pays.

    tracé de la ligne de chemin de fer
    le tracé de l’Avellino-Rocchetta
    En 2017, l’Avellino – Rocchetta Sant’Antonio a été reconnue depuis 2017 comme « bien culturel d’intérêt remarquable » par le Ministère de la Culture italien (Mibact). Cela signifie que ses rails ne pourront pas être démantelés. Une véritable victoire, qui s’est accompagnée de la reprise du trafic pour desservir les événements majeurs du territoire. Comme ce jour riche en émotion de novembre 2017 !

    TOUS LES ESPOIRS SONT PERMIS ?
    Alors oui, me direz-vous, la route est encore longue avant que des trains journaliers ne parcourent la ligne historique. Les villages sont toujours aussi loin des gares, et l’engouement des premiers retours du train s’estompera peut-être avec le temps. Une partie de moi ne veut pas s’emballer, je sais trop bien qu’en l’absence d’une vraie stratégie politique pour le territoire, la reprise du trafic sur l’Avellino-Rocchetta ne sera peut-être qu’un nouvel espoir déçu pour les habitants d’Irpinia.

    Paysage d’Irpinia depuis l’Avellino – Rocchetta !
    Mais quelque part, l’abnégation et la passion de Pietro M., l’ancien cheminot, de jeunes chercheur(e)s et architectes comme Valentina C., Maria S., Maria Giulia C., de l’ingénieur Luigi C. (et de tant d’autres dont je n’ai pas croisé le chemin) a porté ce combat déjà bien plus loin qu’on aurait pu l’imaginer il y a vingt ans ! Et il n’y a pas que le train qui suscite de l’engagement et des actions de la part des habitants d’Irpinia : ils sont tous les jours plus nombreux à vouloir se retrousser les manches pour améliorer les conditions de vie dans leur territoire – à travers l’agriculture, le tourisme, les services.

    Alors je veux croire que l’histoire n’est pas finie, car je sais que tout ce joyeux petit monde n’en restera pas là et n’aura de cesse d’être créatif et débrouillard. C’est avec une grande excitation que je continuerai – derrière mon écran – à suivre leurs aventures ferroviaires, en espérant pouvoir programmer un jour un Paris – Montella ou un Besançon – Calitri tout en train, pour une fête de la Châtaigne ou un prochain Sponz Fest !

  28. 49 avellinorocchetta 07/03/2021 alle 9:07 PM

    Pietro Mitrione
    Coordinatore osservatorio CGIL Avellino
    Da martedì 1 settembre riapre la linea ferroviaria Avellino – Lioni – Rocchetta S. Antonio, dopo uno stop programmato da parte di Trenitalia, di circa due mesi. Per chi ha condiviso una vita con vecchie carrozze, milioni di viaggiatori e l’indiscusso fascino che da sempre il treno suscita, avendo ispirato canzoni e poesie, la riapertura della Avellino-Rocchetta non poteva passare inosservata, come invece sembra. Per questo motivo, anche attraverso i potenti mezzi dei social network abbiamo deciso di onorare la riattivazione del servizio, con una iniziativa, che mi auguro porterà tanti viaggiatori a salire in carrozza per il “primo viaggio” previsto per martedì, attraverso i luoghi più suggestivi d’Irpinia. Mi auguro che il “primo” viaggio della Avellino-Rocchetta possa essere il primo passo verso una nuova fruizione di questa linea, da troppo tempo dimenticata, bistrattata, mai effettivamente potenziata per darle un autentico spirito di servizio. Così come immaginata, si tratta di un servizio inutile per i cittadini dei pur numerosi comuni che tocca. Troppo poche le corse, del tutto assente ogni integrazione intermodale, di scambio con altri mezzi di trasporto, nessuna possibilità di raggiungere i nuclei industriali di Calitri e Morra. Le istituzioni, Regione e Provincia in primis, hanno un obbligo irrinunciabile, chiedere con forza a Trenitalia, l’attivazione di corse festive, in particolare di domenica, quando la linea rimane “morta”. E’ l’unica via uscita dalla moribonda fase in cui si trova la Avellino-Rocchetta, un modo irrinunciabile anche per far uscire dall’isolamento numerosi comuni dell’Irpinia, programmando corse festive e di supporto agli itinerari turistici che la tratta suggerisce. Si impone, dunque, come abbiamo fatto sollecitando l’adesione all’iniziativa dei numerosi amici irpini di face book, il coinvolgimento delle istituzioni, dei cittadini, delle scuole e delle associazioni, per promuovere un servizio turistico e di promozione territoriale fino ad ora trascurato e mai degnamente considerato nelle sue potenzialità di sviluppo e di opportunità per tutta l’Irpinia.

  29. 52 avellinorocchetta 14/03/2021 alle 10:41 PM

    https://thetinypoints.wordpress.com/2021/03/02/un-train-nomme-espoir-petite-histoire-de-la-ligne-avellino-rocchetta-santantonio/?fbclid=IwAR0ZVq83XFmc5Jzl9B3Ol0quMbkHXUTylX5FddsDnX2Yzk3BjVmjVWAdvcU

    Un train nommé espoir : petite histoire de la ligne Avellino – Rocchetta Sant’Antonio

    Vendredi 3 novembre 2017, 15h37. J’arrive enfin à la gare de Calitri, un bâtiment à l’aspect abandonné, caché entre de grands hangars industriels. Je gare ma voiture, je regarde l’heure ; c’est bon, je suis arrivée à temps. Je contourne l’édifice et me rend sur le quai. Je suis seule, il est encore tôt. Il fait froid et je mets mes mains dans mes poches ; l’hiver pointe déjà le bout de son nez en haute Irpinia. Pourtant, je ne louperais ce moment pour rien au monde. Aujourd’hui, le train qui n’a pas sifflé depuis longtemps est remis en circulation. La première course d’une longue série qui annonce la reprise progressive du trafic, à des fins touristiques, sur la ligne Avellino-Rocchetta Sant’Antonio.

    Le quai de la gare de Calitri-Pescopagano, au milieu d’une zone industrielle.
    ÉLOIGNEZ-VOUS DE LA BORDURE DU QUAI… LE TRAIN ENTRE EN GARE !
    Une voiture, puis une autre, se garent, et quelques personnes font leur apparition sur le quai. Derrière moi, j’écoute deux dames d’une soixantaine d’années discuter. Pour mon plus grand bonheur, elles parlent en italien et non en dialecte calitran – j’ai donc tout le loisir d’écouter leur échange. La première attend le train, elle ne va pas le prendre, mais elle veut le voir passer et prendre des photos. La deuxième déclare qu’elle descendue saluer son amie mais qu’elle ne reste pas : elle va monter dans un champ, sur la colline derrière nous, pour voir passer le train depuis là-bas. C’est là qu’elle jouait avec ses frères quand ils étaient enfants. Elle se souvient qu’ils entendaient siffler le train, qui effectuait alors des voyages quotidiens. Elle veut revivre cet instant d’insouciance, comme autrefois.

    Petite photo de mes pieds en attendant de voir le train arriver !
    Ce fut une belle émotion pour moi d’entendre ce récit. Lorsque la seconde est partie pour regagner les champs, la première est restée sur le quai et nous avons échangé quelques mots. Je lui ai dit que j’étais une jeune chercheure et elle m’a racontée qu’elle était retraitée, qu’elle avait longtemps vécu au nord (de l’Italie) et qu’elle était revenue au village pour ses vieux jours – mais uniquement parce que son mari avait insisté, car elle, elle serait volontiers restée en Lombardie.

    un train rouge et vert s’approche du quai
    Le train entre en gare de Calitri
    Le train est arrivé, avec un peu de retard, et je suis montée à bord ; c’était un vieux train avec du beau mobilier, des portes en bois ciré, du moins, c’est ainsi qu’il apparaît dans mes souvenirs. Les sièges étaient plutôt raides mais c’était une journée de fête, alors point de complainte ! Dès que la locomotive s’est mise en marche, j’ai eu le nez collé à la vitre pour observer les paysages de l’Irpinia. Si je commençais à prendre l’habitude de voir ses collines et ses villages depuis les axes routiers, je les découvrais désormais sous un tout nouvel angle, depuis la voie de chemin de fer qui coupe les champs et offre des points de vue différents, comme sur le village de Cairano ou le lac de Conza en photo ci-après.

    La Rupe de Cairano à gauche et le lac de Conza, clichés volés depuis le wagon.
    Plus le chemin avançait, plus nous nous rapprochions du terminus, plus le train se chargeait de voyageurs. Des familles, des vieux, des jeunes. A Calitri, nous n’étions que quelques curieux à bord et sur les quais, mais c’était à présent un autre histoire ! On riait, on s’interpellait. Une fanfare composée principalement d’adolescents est passée dans les wagons, en se frayant difficilement un chemin avec leurs cuivres ! A chaque gare, le train s’arrêtait une dizaine de minutes. La foule se pressait sur chaque quai pour entendre siffler le train, pour admirer les beaux wagons, pour capturer quelques clichés. D’autres fanfares, des compagnies de théâtre ou des groupes de danse étaient au rendez-vous. Nous, les voyageurs, nous passions notre tête par les fenêtres semi-ouvertes du train pour admirer l’animation. Nous faisions nous-aussi un peu partie du spectacle !

    Fanfare à bord du train… pardon pour le flou, ça bougeait par ici !
    Le terminus, c’était la petite ville de Montella. Ici encore, la foule sur le quai, la musique, les flashs des téléphones et quelques politiques prêts à faire un discours. Je regardais ce joyeux spectacle par les vitres en attendant de descendre ; émerveillée d’un tel engouement de la population et heureuse de partager avec elle ce moment presque « historique ». Ce week-end-là, c’était la Fête de la Châtaigne, un véritable événement local – on y vient parfois même de Naples ou de Salerno, c’est dire !

    La châtaigne de Montella est labellisée IGP (Indication Géographique Protégée), et comme bon nombre de produits agroalimentaires de qualité en Italie, une grande fête lui est dédiée chaque année ! C’est début novembre, au moment où ce fruit est mûr, et c’est l’occasion de déambuler dans les rues entre les stands de victuailles toutes plus appétissantes les unes que les autres… des châtaignes grillées bien sûr, mais le caciocavallo impicato ne manquait pas non plus au rendez-vous. Pour ma part, j’ai craqué pour une sorte de hot-dog de saucisse locale !

    Quelques stands de la Fête de la Châtaigne 2017 à Montella (AV)
    C’est donc à l’occasion de la Fête de la Châtaigne 2017 que la ligne de chemin de fer Avellino- Rocchetta a été remise en marche, lançant officiellement sa réouverture progressive dans l’année qui a suivi. Une année 2017-2018 qui a effectivement été ponctuée de passages occasionnels du train pour desservir plusieurs événements d’envergure : après la Fête de la Châtaigne en novembre, il y a eu notamment le Carnaval de Montemarano en février.

    Mais revenons un peu en arrière pour comprendre pourquoi le passage du train fut un tel événement le 3 novembre 2017, un tel jour de fête pour les habitants de l’Irpinia.

    L’AVELLINO-ROCCHETTA : EMBLÈME D’UN PEUPLE QUI RÉSISTE
    Le chemin de fer reliant Avellino (en Campanie) et Rocchetta Sant’Antonio (dans les Pouilles) a été inauguré en 1895, après avoir été réalisé en plusieurs tronçons. Voulu et défendu par Francesco de Sanctis, homme de lettre et homme politique originaire d’Irpinia, elle était censée permettre le désenclavement du territoire et son ouverture à la modernité. Mais il était probablement illusoire de penser que cela suffirait pour réduire les écarts de développement entre Nord et Sud et pour amorcer un réel développement économique de l’Irpinia.

    La ligne a alors vécu pendant un peu plus d’un siècle – mais sa fréquentation fut toujours limitée. D’abord parce que le tracé est sinueux et donc les temps de parcours plutôt longs (plus de 4h pour une centaine de kilomètres) et ensuite parce que les villages, perchés en haut des collines, sont éloignés des gares. Les seules exceptions sont Montella et Lioni, deux communes desservies directement par le train. Les autres gares sont au fond des vallées, avec une station pour deux ou trois communes alentours.

    A gauche, un poster réalisé par In Loco Motivi à partir du graphisme des premiers billets de train à l’ouverture de la ligne Avellino-Rocchetta en 1895. A droite, le « voyage électoral » de Francesco De Sanctis.
    La menace de sa fermeture, à l’aube des années 2000, met en marche un véritable mouvement citoyen. De quelques passionnés regroupés autour d’un ancien cheminot, le groupe s’élargit et deviendra l’association In Loco Motivi. Ils organisent d’abord des voyages touristiques sur la ligne, des parcours sur une demi-journée qui permettent de faire découvrir les paysages et les mets locaux– des « viaggi sentimentali » (voyages sentimentaux) en référence au « viaggio elettorale » (voyage électoral) que Francesco De Sanctis, l’homme politique mentionné plus haut, avait effectué dans la région en 1875. Ces événements festifs sont un moyen de faire entendre leur voix contre la fermeture de la ligne, et démontrer par la même occasion le potentiel touristique de la ligne de chemin de fer.

    En 2010, la ligne est tout de même interrompue, malgré les tentatives d’In Loco Motivi, mais les passionnés ne renoncent pas. Ils ne peuvent plus parcourir la ligne en train ? Ils la parcourront désormais à pied ! D’autres événements sont organisés, des colloques pour débattre du futur de la ligne également. Les festivités d’autres associations locales sont aussi l’occasion de parler du chemin de fer. Et surtout, le discours autour du potentiel touristique de la ligne s’étoffe. L’Université de Naples s’intéresse à la question, ainsi que certaines personnalités publiques.

    personnes marchant sur une ligne de chemin de fer abandonnée, avec des drapeaux en l’air à l’effigie de leur association
    Marche joyeuse sur les rails de l’Avellino-Rocchetta à Morra lors d’un événement co-organisé par In Loco Motivi et Info Irpinia
    Le Sponz Fest est un festival mêlant les arts : musique, théâtre, cinéma, performances artistiques… Il se tient chaque année depuis 2013 dans la commune de Calitri, le dernier week-end du mois d’août. D’autres villages limitrophes sont aussi associés et reçoivent certains événements. Le directeur artistique n’est autre que Vinicio Capossela, musicien et chanteur que les amateurs de musique italienne connaissent peut-être. Il n’est pas insensible au sort de la ligne Avellino-Rocchetta, et à partir de 2016, le train est relancé, pour un ou deux trajets, à l’occasion du festival.

    Il s’agit d’un trajet symbolique, sur une toute petite partie du tracé et ne desservant que quelques communes, mais cela signifie déjà beaucoup pour ceux qui se battent depuis bientôt deux décennies.

    L’engouement pour cette ligne de chemin de fer finit par gagner la sphère politique régionale, ainsi que la Fondation pour les Chemins de Fer de l’État (Fondazione delle Ferrovie dello Stato) qui travaille à la valorisation touristique des petites lignes historiques du pays.

    tracé de la ligne de chemin de fer
    le tracé de l’Avellino-Rocchetta
    En 2017, l’Avellino – Rocchetta Sant’Antonio a été reconnue depuis 2017 comme « bien culturel d’intérêt remarquable » par le Ministère de la Culture italien (Mibact). Cela signifie que ses rails ne pourront pas être démantelés. Une véritable victoire, qui s’est accompagnée de la reprise du trafic pour desservir les événements majeurs du territoire. Comme ce jour riche en émotion de novembre 2017 !

    TOUS LES ESPOIRS SONT PERMIS ?
    Alors oui, me direz-vous, la route est encore longue avant que des trains journaliers ne parcourent la ligne historique. Les villages sont toujours aussi loin des gares, et l’engouement des premiers retours du train s’estompera peut-être avec le temps. Une partie de moi ne veut pas s’emballer, je sais trop bien qu’en l’absence d’une vraie stratégie politique pour le territoire, la reprise du trafic sur l’Avellino-Rocchetta ne sera peut-être qu’un nouvel espoir déçu pour les habitants d’Irpinia.

    Paysage d’Irpinia depuis l’Avellino – Rocchetta !
    Mais quelque part, l’abnégation et la passion de Pietro M., l’ancien cheminot, de jeunes chercheur(e)s et architectes comme Valentina C., Maria S., Maria Giulia C., de l’ingénieur Luigi C. (et de tant d’autres dont je n’ai pas croisé le chemin) a porté ce combat déjà bien plus loin qu’on aurait pu l’imaginer il y a vingt ans ! Et il n’y a pas que le train qui suscite de l’engagement et des actions de la part des habitants d’Irpinia : ils sont tous les jours plus nombreux à vouloir se retrousser les manches pour améliorer les conditions de vie dans leur territoire – à travers l’agriculture, le tourisme, les services.

    Alors je veux croire que l’histoire n’est pas finie, car je sais que tout ce joyeux petit monde n’en restera pas là et n’aura de cesse d’être créatif et débrouillard. C’est avec une grande excitation que je continuerai – derrière mon écran – à suivre leurs aventures ferroviaires, en espérant pouvoir programmer un jour un Paris – Montella ou un Besançon – Calitri tout en train, pour une fête de la Châtaigne ou un prochain Sponz Fest !

    Un treno che si chiama speranza:
    Storia della linea storica Avellino – Rocchetta Sant’Antonio
    di Lucie

    Venerdì 3 novembre 2017, 15 :37. Arrivo finalmente alla stazione di Calitri. L’edificio sembra abbandonato, si nasconde tra i capannoni industriali. Parcheggio la macchina e raggiungo i binari, sono sola, è ancora presto. Fa freddo e infilo le mani nelle tasche del mio cappotto: l’inverno sta arrivando in Alta Irpinia. Però, non mancherei per niente al mondo questo momento. Oggi, il treno che non ha fischiato da tanto tempo torna in circolazione: un primo viaggio che introduce la ripresa progressiva del traffico sulla linea Avellino – Rocchetta Sant’Antonio, per scopi turistici.

    Allontanarsi della linea gialla…

    Una macchina, poi due, arrivano. Un paio di persone appare sul binario. Dietro di me, ascolto due signore di una sessantina d’anni. Per mia fortuna, parlano in italiano e non in dialetto calitrano… e riesco a capire quello che si raccontano. La prima aspetta il treno, non salirà su però lo vuole vedere da vicino e scattare delle foto. La seconda gli risponde che è venuta a salutarla ma non resta: il fischio del treno, lei lo vuole sentire dai campi, nella collina dietro di noi, laddove giocava con i fratelli quando era bambina. All’epoca vedevano e sentivano passare il treno più volte al giorno. Vuole rivivere quell’istante di spensieratezza, ritrovare per qualche minuto le sensazioni della sua gioventù.

    Quel racconto mi ha emozionato, e mi ha fatto capire quanto era importante per gli Irpini assistere al ritorno del treno. Quando la seconda signora se n’è andata, la prima si è avvicinata e abbiamo scambiato qualche parola. Gli ho detto che ero una giovane ricercatrice e mi ha raccontato che lei aveva vissuto per decine di anni al Nord ed era tornata da poco a Calitri per la pensione. Il suo marito aveva insistito perché loro tornassero a vivere giù. Lei sarebbe rimasta volentieri in Lombardia.

    Il treno è arrivato con un po’ di ritardo. Sono salita a bordo, era un vecchio treno, arredato con semplicità e materiali di qualità. I sedili erano piuttosto rigidi, però era una giornata di festa quindi nessuno ci faceva caso ! Non appena la locomotiva è partita, sono stata assorbita dal paesaggio e niente poteva più distrarmi. Avevo preso l’abitudine di vedere le colline e i paesi dalle strade principali, però li scoprivo adesso da un angolo completamente nuovo. Li vedevo per la prima volta dalla ferrovia che taglia i campi e offre dunque nuovi punti di vista sul paesaggio – come Cairano o il lago di Conza nelle foto qui sotto.

    Ad ogni stazione, il treno si riempiva sempre di più. Famiglie, vecchi, giovani, c’era di tutto. A Calitri eravamo solo un paio di curiosi, adesso era tutta un’altra storia ! La gente rideva, si interpellava da un punto all’altro della carrozza. Una band di giovani musicisti suonava, e provava a farsi strada tra le numerose persone presenti a bordo. Ad ogni stazione, il treno si fermava per un quarto d’ora e fuori era festa. La folla si pressava sui binari per scattare foto, altri band e gruppi di teatro o di danza presentavano uno spettacolo. Noi, viaggiatori, cercavamo di seguire quello che succedeva fuori passando la testa nei finestrini semi aperti.

    Il capolinea era la cittadina di Montella. Anche qui una folla ci aspettava, con la musica, i flash dei telefonini che immortalavano il momento e un gruppo di politici pronti a fare qualche discorso. Guardavo questo gioioso spettacolo dal finestrino aspettando il mio turno per scendere della carrozza. Mi meravigliavo di vedere un tale entusiasmo degli abitanti e ero felicissima di condividere con loro un momento quasi storico ! Quel weekend si teneva la Sagra della Castagna, un vero e proprio evento a scala regionale. La castagna di Montella è un IGP – indicazione geografica protetta, e come molti prodotti agroalimentari in Italia, una sagra gli è dedicata ogni anno. Ha luogo all’inizio del mese di novembre, quando il frutto è maturo. È l’occasione di passeggiare nella città tra i numerosi stand di cibo, ognuno più appetitoso dell’altro: caldarroste, ovviamente, ma non mancavano le caramelle e il caciocavallo impiccato !

    L’edizione 2017 della Sagra della Castagna è quindi stata la prima tappa della riapertura ufficiale della linea Avellino – Rocchetta Sant’Antonio, per scopi turistici e in corrispondenza delle festività locali. Ad esempio, tre mesi dopo, il treno è stato messo in funzione per servire la stazione di Ponteromito all’occasione del Carnevale di Montemarano.

    Adesso, però, torniamo indietro per capire come mai il passaggio del treno fu un tale evento il 3 novembre 2017: un giorno di gioia e di festa per gli abitanti dell’Irpinia.

    L’Avellino-Rocchetta Sant’Antonio: l’emblema di un popolo che resiste

    La ferrovia che collega Avellino (in Campania) e Rocchetta Sant’Antonio (in Puglia) è stata inaugurata nel 1895, dopo esser stata costruita in diversi tratti. Voluta e difesa da Francesco de Sanctis, uomo di lettere e politico originario dell’Irpinia, è stata pensata per far uscire il territorio dall’isolamento e aprirlo alla modernità. Ma era probabilmente illusorio pensare che la ferrovia basterebbe per ridurre il divario tra Nord e Sud del paese e per innescare uno sviluppo economico reale in Irpinia.

    La linea ha vissuto per poco più di un secolo, ma la sua frequentazione è sempre stata limitata. Prima perché il suo percorso è sinuoso e i tempi di percorrenza sono rimasti alti (più di 4 ore per una centinaia di chilometri), e poi perché i paesi sono arroccati sopra le colline mentre le stazioni sono nelle valli. Le uniche eccezioni sono Montella e Lioni, servite direttamente dal treno.

    Si parla della sua possibile chiusura alla fine degli anni 1990. Si crea allora una prima reazione degli Irpini. Da alcuni appassionati, il gruppo si allarga e diventa poi negli anni 2010 l’associazione In Loco Motivi. Il gruppo organizza per esempio delle giornate a tema, a bordo del treno, per far scoprire i paesaggi e la gastronomia locale. Sono viaggi sentimentali, in riferimento al viaggio elettorale che Francesco De Sanctis ha compiuto nella provincia nel 1875. Gli eventi organizzati sono un mezzo per far sentire la voce del gruppo contro l’interruzione del traffico sulla linea Avellino-Rocchetta. La partecipazione a queste giornate dimostra nello stesso tempo il potenziale turistico del treno irpino.

    Nel 2010 purtroppo, il traffico sulla linea è interrotto, nonostante i tentativi d’In Loco Motivi. Gli appassionati però non rinunciano. Non possono più viaggiare in treno? Adesso percorreranno la linea a piedi ! Altri eventi sono organizzati, come convegni e giornate di studio per dibattere del futuro della ferrovia in Irpinia. Le festività di altre associazioni locali sono anche l’occasione di parlare dell’Avellino-Rocchetta. Man mano, il discorso intorno al potenziale turistico della linea si fa strada. L’Università di Napoli si interessa alla questione, così come alcune personalità pubbliche.

    In particolare penso sia utile parlare dello Sponz Fest. È un festival che onora diverse arti : musica, teatro, cinema, happening, ecc. Si tiene ogni anno dal 2013 nella città di Calitri alla fine del mese di agosto. Alcune attività del festival sono programmate anche in altri comuni dell’Alta Irpinia. Il direttore artistico è il musicista e cantante Vinicio Capossela. Non è insensibile al destino dell’Avellino-Rocchetta e già nel 2016, il treno è rimesso in circolazione tra Rocchetta Sant’Antonio e Conza della Campania all’occasione dello Sponz Fest. Questo tragitto è simbolico, riguarda solo una parte piccola della linea ferroviaria, però significa molto per chi lotta da quasi due decenni per il ritorno del treno.
    L’entusiasmo per l’Avellino – Rocchetta Sant’Antonio si estende finalmente alla sfera politica regionale, e alla Fondazione delle Ferrovie dello Stato, che si occupa di valorizzazione delle ferrovie storiche d’Italia. Nel 2017 infatti, la linea è riconosciuta “bene di notevole interesse culturale” dal Mibact. Questo significa che i binari non potranno essere rimossi. Questa grande novità è completata dalla rimessa in circolazione di alcuni treni per servire i principali eventi del territorio… così come la Sagra della Castagna, quel giorno ricco di emozione di novembre 2017.

    C’è spazio per la speranza? / Tutte le speranze sono ammesse?

    Certo, la strada è ancora lunga prima che treni quotidiani circolino di nuovo sulla linea storica. I paesi sono sempre distanti dalle stazioni, e l’entusiasmo dei primi ritorni del treno forse svanirà col tempo. Una parte di me non vuole sperare troppo, perché so bene che senza una vera strategia politica per il territorio, la riapertura della linea Avellino – Rocchetta Sant’Antonio sarà soltanto una nuova disillusione per gli Irpini.

    Eppure una parte di me è fiduciosa. Prima di tutto, dobbiamo riconoscere che la caparbietà e la passione dell’ex-ferroviere Pietro M., di giovani ricercatori e architetti come Valentina C., Maria S., Maria Giulia C., dell’ingegnere Luigi C. (e di tanti altri) hanno portato la loro battaglia molto più lontano di quanto avrebbero potuto immaginarlo vent’anni fa. Poi, non è solo il treno oggi che suscita l’attivazione degli Irpini : molti giovani e meno giovani si impegnano per cambiare le condizioni di vita nel territorio, sviluppando attività nel campo turistico, agricolo o dei servizi.

    Allora voglio crederci, perché sono convinta che tutte queste persone non molleranno e sapranno ancora essere creative e ingegnose di fronte agli ostacoli. Continuerò a seguire le loro avventure, a quasi 1500 chilometri di distanza e dietro il mio schermo, aspettando di poter programmare un giorno un viaggio Parigi – Montella o Lione – Calitri tutto in treno, per una prossima sagra della castagna o per uno Sponz Fest.

  30. 53 avellinorocchetta 29/05/2021 alle 4:01 PM

    Assanti ed il sogno della ferrovia

    Il senso del film “ULTIMA FERMATA” di Giambattista Assanti trovò completezza il 26 maggio 2018 allorquando la intera tratta ferroviaria Avellino Rocchetta fu riaperta.
    L’ultima fermata terrena di Giambattista coincide con lo stesso giorno.
    Sembra quasi una significativa coincidenza.
    La nostra associazione Inlocomotivi si stringe attorno alla famiglia, agli amici e a tutti coloro che hanno avuto il privilegio di conoscerlo e di apprezzare il suo lavoro e la passione che metteva in quello che faceva.
    Abbiamo avuto la fortuna di accompagnarlo per un breve tratto quando diede l’opportunità, una delle tante, al suo (e nostro) territorio di raccontarsi, durante le riprese del film “Ultima fermata”.
    Ci resteranno per sempre i ricordi di quei giorni e le immagini dei tuoi film.
    Noi di in locomotivi vogliamo ricordarlo con quanto scritto da una giovanissima scrittrice irpina, Cristina Colace, nel suo libro “Non c’è un luogo. È il luogo”
    PREMIO CAMPIELLO GIOVANI 2018, in cui descrive la comune passione per la terra Irpina.
    27/05/2018… RIAPRE LA STORICA TRATTA FERROVIARIA AVELLINO-ROCCHETTA SANT’ANTONIO
    “Il fischio invade l’aria frizzante del mattino. Turbini di foglie arse dai colori caldi danzano sui binari, ignare di quanto stia per succedere. Il treno avanza lentamente, lo stridere del ferro sembra un lungo, interminabile sospiro di sollievo. I bambini, incuriositi, schiacciano i teneri nasi e le manine contro il vetro dei finestrini. Sulla banchina scoppia un applauso commosso: la ferrovia rinasce, risplende, brulica di vita nuova. “In carrozza!” grida emozionato Giuseppe, amplificando la voce rauca col palmo della mano. Le parole di Dora gli tornano alla mente e lo fanno sorridere, volge lo sguardo al cielo sperando che, dovunque lei sia, lo stia guardando. Stavolta non interromperà alcun addio, alcun bacio appassionato, ma solo l’euforica attesa di scoprire quanto questa nostra Irpinia abbia ancora da offrire.”
    “….L’avevo immaginata così, quell’attesissima giornata primaverile in cui alla nostra comunità sarebbe stato restituito il primo tassello di ottocentesca modernità. Ed ora, rileggendo(mi) dopo aver compiuto questo viaggio a metà fra il paesaggio e l’interiorità, tra il passato ed il presente, sento di aver dato il mio minuto contributo a tutto questo. Perché è così che l’avevo immaginata. Spero che le mie righe immature, inesperte, abbiano aiutato a restituire alla nostra linea irpina lo spazio che merita. C’è ancora tanta strada da fare (…E non è un gioco di parole!), sarà necessario informare e pubblicizzare, organizzare gli eventi, curare i dettagli, coinvolgere ancora di più, ma possiamo festeggiare, per ora, la prima di una lunga e desiderata serie di conquiste.
    Ciascuno può scegliere di fare la rivoluzione a suo modo: io ho scelto di farla con le parole, scrivendo. Eppure mi sento di ringraziare chi l’ha fatta concretamente, con le azioni, con le mani. Grazie per questo viaggio, a nome mio, della mia famiglia, ma soprattutto dei miei nonni. Perché erano seduti sul treno sorridenti e commossi, accanto a me. Innamorati quanto me di questa terra.
    Noi tutti pensiamo che, con Giambattista Assanti, l’Irpinia perda uno dei suoi registi più appassionati e dei suoi più strenui difensori, amante della poesia che solo la lentezza di un treno riesce a trasmettere. Ciò che Cristina timidamente ha tentato di fare nel suo breve racconto, lui l’ha magistralmente trasformato in cinema, ne “L’Ultima Fermata”.
    Ti raggiunga il fischio del treno irpino del paesaggio.
    Buon viaggio, ovunque tu sia,

  31. 54 avellinorocchetta 29/05/2021 alle 4:03 PM

    Giambattista Assanti, giovane per sempre. L’ultima fermata sarà il paradiso.

    Vogliamo immaginare che l’ultima fermata di Giambattista Assanti, cineasta di Mirabella Eclano, sia il paradiso. Con la sua prima vera opera cinematografica, ‘L’ultima fermata’ appunto, e grazie a un cast d’eccezione, ha fatto incetta di premi, e ha fatto soprattutto conoscere le bellezze, ai più ancora ignote, del profondo Sud. Ha portato l’Irpinia e angoli di Puglia e Lucania in giro per il mondo con una pellicola che lo ha consacrato, anche se tardivamente, regista sensibile e di spessore. E Battista, come tutti da sempre lo conoscono, lo è stato per davvero. E lo è stato per una vita. Chi ha avuto la fortuna di imbattersi nel suo talento innato, nella sua straordinaria cultura cinematografica, frutto di gavetta e di studio serrato, è rimasto puntualmente disorientato dalla preparazione artistica impareggiabile e dall’umiltà umana ineguagliabile. Battista, cresciuto a pane e pellicola nel primo cinematografo irpino, quella della famiglia Assanti a Mirabella Eclano, non si è mai montato la testa. Mai. E’ rimasto fino alla fine un operaio a servizio della diffusione della produzione cinematografica nella sua comunità e nei dintorni.
    Non si è dato mai arie da regista, neppure quando la divina Claudia Cardinale lo ha fatto volare fino a Parigi per accettare la partecipazione al copione de ‘L’ultima fermata’. Un cameo incastonato magistralmente da Assanti nella pellicola che dopo una vita dietro la macchina da presa lo ha reso finalmente famoso al grande pubblico. Allievo di Sergio Leone, appassionato di sceneggiatura e titolare della Multisala Carmen, è stato instancabile promotore della settima arte nella povera provincia campana e ideatore della famosa rassegna ‘Scrivere il cinema’ nella sua Mirabella Eclano. L’uomo delle stelle ha portato in Irpinia le vere stelle del cinema nazionale e mondiale.
    Spesso bistrattato non ha mai avuto, nella sua terra, il riconoscimento che spetta a chi al contrario si è sempre adoperato per la promozione culturale e sociale del territorio.
    Il cinema è stato la sua vita. Quella che da tre generazioni è legata al nome della famiglia Assanti di Mirabella Eclano. Papà Tanino ha portato il cinematografo ovunque, nelle piazze polverose e sferzate dalla tramontana dei borghi irpini e sanniti. Battista ha seguito le sue orme, e così Giuseppe, il fratello minore. Mamma Maria Mongiello alla cassa ha staccato biglietti e strappato sorrisi e confidenze a generazioni e generazioni di mirabellani e forestieri. L’Irpinia perde una figura qualificata, competente, un artista come pochi nell’anima innanzitutto. Siamo sicuri che Battista resterà giovane per sempre come il suo Pertini, la sua recente e, purtroppo, ultima passione cinematografica.
    Oggi, in occasione dei funerali, il sindaco Giancarlo Ruggero ha proclamato il lutto cittadino a Mirabella Eclano.
    Alla moglie Francesca, ai figli Gaetano e Camilla, giungano le più sentite condoglianze dalla redazione di XD Magazine e in modo particolare dal direttore Barbara Ciarcia.

  32. 55 avellinorocchetta 29/05/2021 alle 4:06 PM

    Ilde Rampino

    Il passato che ritorna, attraverso ricordi, tenuti a freno da un impulso insopprimibile di affermare la propria identità, da parte del protagonista e dall’altra l’immagine forte di un desiderio di rivalsa e di speranza da parte del padre, di avere un figlio “ingegnere”, segno concreto che rappresenta e incarna la voglia di cambiare una situazione precaria – quella della eliminazione della ferrovia Avellino – Rocchetta S. Antonio – trasformandola in possibilità di riscatto di un paese e anche della propria famiglia. Questo il senso del film “Ultima fermata”, scritto e diretto dal regista avellinese Giambattista Assanti che affronta un tema, quello della cancellazione di questo tratto ferroviario, che rimane una ferita ancora aperta nel cuore di molte delle persone che abitano in quella zona. Domenico Capossela, il capostazione, che per anni, ha lavorato nella ferrovia e che in un certo senso “sceglie” di morire proprio là, è un simbolo per tutti e, di fronte a questo simbolo, il figlio Rocco è fuggito, lasciandosi alle spalle il passato, un mondo fermo contro cui non è riuscito a vincere. Profondo è il disagio iniziale del protagonista, tornato dopo la morte del padre, e acclamato da tutti come una sorta di “salvatore”, colui che potrà – sicuramente, a detta di tutti – ripristinare la ferrovia. Rocco si sente avvinto inconsapevolmente da questa rete di affetti, di ricordi e depositario di una responsabilità a cui non riesce a sottrarsi, nonostante continui a mostrare un’immagine falsata della sua vita, ma le sue menzogne sembrano stringersi attorno a lui. Le figure che ruotano attorno al protagonista sono figli e figlie di quel territorio, ancorati a riti, usanze centenarie, fisse nella loro ripetitività, che preservano tuttavia il seme della tradizione e della stabilità, che il protagonista aspira invano a raggiungere. La protagonista femminile, Nina, è a metà strada tra tradizione e modernità, ancorata, sebbene molto giovane, alla sua terra e alla sua famiglia, ma anche lei, ansiosa di fuggire da quel mondo, che però non rifiuta, ma accetta in modo naturale e poi, nel rapporto con Rocco, trasforma in qualcosa di nuovo. Appena tratteggiato è il personaggio del fratello del protagonista,Francesco, un alter ego più pacato, ansioso di capire, quanto il fratello è istintivo: il suo incontro con Rosa è caratterizzato da poche parole, appare più come un ascolto, che come una prevaricazione o un’accusa. Il personaggio di Rosa è bellissimo: la prima immagine che appare di lei è di spalle,come se si volesse definire il silenzio di questa donna che ha amato tacendo, e stando accanto al suo uomo, Domenico, padre del protagonista, come una sorta di ancella, una presenza costante e protettiva, che poteva amarlo solo negli angoli bui e di nascosto. Rosa è una donna umile, che tuttavia conserva in sé una profonda autenticità e determinazione.La recitazione di Claudia Cardinale è stata meravigliosa, intensa, mai sopra le righe, nel delineare questo personaggio, che anche nell’atteggiamento, curva su se stessa, appariva presente, ma senza invadere la vita degli altri: ha dato mestizia e dolore agli occhi del personaggio e le ha regalato una sorta di calma e dolcezza; bellissimo è lo sguardo che rivolge a Francesco, mentre lo abbraccia e gli dice: “Questa è casa tua”. E poi pregnante è la descrizione visiva del paesaggio, brullo e ventoso, che il regista ha caratterizzato in modo preciso, facendo rivivere quel senso di solitudine e attesa spesso vana di un cambiamento che appartiene alla gente di quei luoghi e che, in un certo senso li rende particolari. Molto buona è stata la recitazione degli attori e un particolare risalto va dato alla scelta delle musiche che hanno scandito i momenti importanti del film.

  33. 58 avellinorocchetta 30/05/2021 alle 3:42 PM

    Giambattista Assanti,
    il sorriso buono del cinema

    Paolo Saggese

    Ci sono persone, che, nonostante la vita, hanno saputo coltivare progetti e sogni, hanno saputo immaginare ciò che non si vede, hanno saputo far rivivere il passato e il racconto, hanno alimentato con dolce tenacia le loro idee e utopie.
    Chi era Giambattista Assanti se non un grande sognatore, se non una persona, che sapeva andare oltre ciò che gli altri uomini possono immaginare? Perciò, era diventato sceneggiatore e regista, perché l’arte del racconto, l’arte visionaria del cinematografo, lo aveva accompagnato tutta la vita, dal primo all’ultimo giorno.
    Figlio di una famiglia di “cinematografari”, come lui stesso amava affermare, Giambattista Assanti avrà seguito il padre Gaetano sin dalla culla nelle proiezioni estive in giro per la provincia di Avellino, un padre che aveva ereditato quest’anno da suo padre. E infatti, in una foto d’epoca, vediamo un signore (Gaetano), che amorevolmente deposita un bambino quasi neonato sul cofano di una macchina, forse proprio durante uno dei viaggi cinematografici irpini.
    Novello protagonista di un nostrano “Nuovo cinema paradiso”, ha coltivato l’arte del cinema per decenni, è nata la multisala “Carmen” a Mirabella Eclano, quindi il Festival di sceneggiatura “Scrivere il cinema”. Giambattista ha appreso l’arte di raccontare il cinema attraverso la vita vissuta, ma poi ha perfezionato tecnica e racconto al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, dove ha avuto maestri i migliori cineasti italiani, tra cui gli irpini Sergio Leone ed Ettore Scola. Di questi “Maestri” parlava sempre con gratitudine e affetto.
    La passione per il racconto, che Giambattista curava con notevole gusto estetico, portava il regista a lavorare in modo meticoloso e attento ai particolari, a vedere e rivedere la sua opera, a non avere fretta. E così ha firmato i lungometraggi “Ultima fermata” (2015), con Claudia Cardinale, che valse la candidatura al David di Donatello, e “Il giovane Pertini” (2019) – incompiuto “Il segreto di Hanna” – e una serie di cortometraggi, alcuni impegnati per la terra d’Irpinia, tra cui “Le campane di S. Ottone”, con Giulio Scarpati.
    Relativamente giovane – si è spento all’età di 59 anni il 27 maggio scorso -, ancora nel pieno della sua energia creativa, per quasi un quarantennio è stato tra i protagonisti del cinema in Irpinia. Non a caso, lo troviamo a Torella dei Lombardi, nel 1993, alla prima edizione del Premio Sergio Leone, pronto a dare consigli, a intrecciare contatti, a fornire idee, protagonista del dibattito sul futuro della nostra “Terra del cinema”.
    Giambattista era una persona molto umile, alla mano, perciò talvolta veniva tenuto poco in considerazione. Ma quel giovane fu in grado di portare a Torella per la prima volta Franco Nero, diede ottimi consigli all’Amministrazione comunale, ai sindaci di allora Vincenzo Lasprogata e Angelo Marciano, al Vicesindaco Rosario D’Agostino.
    Curava anche le proiezioni del Festival, da “manovale” del cinema. Sapeva affrontare le difficoltà senza scoraggiarsi, aveva sempre pronta l’arma di un sorriso intelligente.
    E poi la sua creatura, “Scrivere il cinema”. Ricordo ancora con emozione la sera del 9 settembre 2016, quando con “Lettera a un giudice” ebbi il Premio per il romanzo, che Giambattista considerava uno spunto utile per un film, per una sceneggiatura.
    Avrei voluto realizzare con lui questo sogno. Ma il destino – come si dice – ha voluto altro.
    La sua fama, a livello irpino e nazionale, si è consolidata con il film “Ultima fermata”, un racconto appassionato, leoniano, con la presenza di Claudia Cardinale. La pellicola, particolarmente apprezzata anche in Irpinia perché collegata alla rinascita della ferrovia storica Avellino – Rocchetta Sant’Antonio, ha accompagnato dibattiti e discussioni, ha coinvolto politici, istituzioni, intellettuali e tante persone comuni. Allora il regista seppe cogliere attraverso una narrazione attenta l’importanza di un progetto, la speranza di un sogno ancora una volta.
    Si richiamava ad una antica tradizione, contrassegnata da figure quali Francesco De Sanctis, Giustino Fortunato, Manlio Rossi-Doria, per arrivare ai movimenti portati avanti da Pietro Mitrione, Francesco Celli, Vincenzo Pacifico, Agostino Della Gatta e tanti altri. La sfida coinvolse anche Vinicio Capossela, e fu sostenuta con vigore dalla Regione Campania, da molte amministrazione comunali, dalla Presidente Rosetta D’Amelio. Il film di Giambattista diede un’ulteriore spinta al progetto.
    Nel 2016 ottenne anche la nomination al David di Donatello per Claudia Cardinale quale attrice non protagonista. E allora facemmo tutti il tifo per Giambattista.
    Quella sarebbe stata una giusta consacrazione per l’amico di tutti sognatore di storie.
    Ma Giambattista non si fece prendere dalla delusione, anzi lo considerò un ulteriore sprone per fare di più. Iniziò il suo nuovo “viaggio” con l’omaggio al Presidente Pertini, con un cast di eccezione (tra gli altri Giancarlo Giannini, Ivano Marescotti, Piera degli Esposti, Cesare Bocci), una storia narrativa ed epica ancora all’insegna di Sergio Leone, con flash back narrativi preziosi, con un vecchio Pertini, che va con la memoria al giovane rivoluzionario e partigiano, tra gli anni Venti e la Liberazione. Un film epico, che racconta l’Italia migliore.
    Ed oggi, commossi per la perdita di un Amico e di un Artista, che se fosse rimasto a Roma forse avrebbe avuto anche maggiori soddisfazioni e più successo, possiamo registrare con rammarico che non solo è stata spezzata la vita di un uomo, ma è stato interrotto un percorso artistico che avrebbe regalato a tutti noi altri sogni, … altre speranze.
    Perciò, adesso ti abbracciamo tutti, per dirti che ti volevamo e ti vogliamo bene.

  34. 60 avellinorocchetta 06/06/2021 alle 8:03 PM

    http://www.clamfer.it/02_Ferrovie/PontePrincipe/PontePrincipe.htm

    L’argomento di queste note scaturisce dalla recente gita ‘fuori-Porta’ fatta con gli amici del Clamfer. Avendo scelto di pranzare a Taurasi, quale occasione migliore per andare a vedere il famoso viadotto ferroviario che si trova sulla Avellino – Rocchetta S. Antonio?

    Come già illustrato in altra parte di questo sito (vedi), la ferrovia Avellino – Rocchetta Santa Venere (oggi Rocchetta S. Antonio) al tempo della sua inaugurazione (28 ottobre 1895) era gestita dalle Strade Ferrate del Mediterraneo. Su tale ferrovia, fra le fermate di Lapio (km 20+782) e di Taurasi (km 22+326), per superare il corso del fiume Calore, fu realizzato il ponte-viadotto più bello e più lungo della linea che, per la sua magnificenza, fu chiamato ‘Ponte Principe’.

    Prospetto e pianta del ponte-viadotto tratto da una pubblicazione di fine ‘800 (coll. A. Gamboni).

    In realtà si tratta di un viadotto progettato dall’ing. Sangiorgi delle Strade Ferrate del Mediterraneo e realizzato, tra il marzo e settembre del 1893, dalla Impresa Industriale Italiana Costruzioni Metalliche (I.I.I.C.M.) con sede in Castellammare di Stabia e facente capo al noto ingegnere Alfredo Cottrau.

    La ferrovia corre a circa metà altezza tra travi a grandi maglie alte 10,60 metri. Per il montaggio furono costruiti tre grandi ponti di servizio in legno i quali costarono 60 mila lire.

    In effetti tutto il viadotto, lungo circa 300 metri, è composto da tre travature di circa 98 metri di luce ciascuna che poggiano sulle spallette e su due pilastri intermedi; essi furono fondati utilizzando aria compressa. La sottostante vallata è a circa 35 metri. Ancora oggi il ponte è considerato un’opera eccezionale che testimonia il trionfo del progresso.

    Sezione trasversa e particolari del ponte-viadotto tratto dalla stessa pubblicazione della figura precedente (coll. A. Gamboni).

    Ma torniamo a quel 1893, e precisamente al 20 settembre, giorno del collaudo del ponte.

    Sebbene non pubblicizzata, la notizia dell’avvenimento non passò inosservata alla comunità lapiana; infatti accorsero in massa le popolazioni di Lapi, di Taurasi e di tutti i paesi vicini. Riportiamo, di seguito, una cronaca del tempo che narra come l’evento fu festeggiato alla grande: “Il giorno 20 settembre cadente fu giorno d’inaspettata festa per il Comune di Lapio. Saputosi, appena il dì innanzi, che si sarebbe proceduto alle prove del grandioso ponte in ferro sul Calore, nel tronco ferroviario Avellino-Paternopoli, la voce corse come elettrica per tutto il paese e per i vicini comuni, ed accese di grande entusiasmo l’animo di tutti, già colpiti di ammirazione per la costruzione dell’opera colossale. A secondare il movimento popolare, per iniziativa del sindaco Caprio Errico e dei signori Mottola e Forte, fu improvvisata una dimostrazione, che riuscì veramente splendida ed imponente . . .

    Rara fotografia dell’epoca che mostra le quattro locomotive mentre collaudano il Ponte.

    (da Ogliari, Terra di Primati, biblioteca A. Gamboni)

    . . . Imperocché il mattino del detto giorno 20 si fece giungere in Lapio una banda musicale, con la quale la intera Rappresentanza Municipale, preceduta dalla bandiera Nazionale, e seguita da una calca di popolo, percorse il paese, e quindi si recò festante alla propria Stazione, una delle più belle della linea per la sua ridente posizione. Quivi fu attesa la Commissione, che alle 8:30 a. m. arrivò con quattro macchine per le prove. L’arrivo fu salutato con tre salve di mortaretti e col suono della marcia reale, in mezzo all’unanime ovazione del popolo che gridava: Viva il Re! Viva la Mediterranea! Viva l’Impresa Industriale! La Commissione, dopo aver ringraziato tutti, procedette agli esperimenti. Al risultato delle prove, che non poteva riuscire più felice, lo scoppio fragoroso di una magnifica batteria echeggiò nella valle del Calore e la musica intonò di bel nuovo la marcia reale, mentre il popolo non cessava dall’acclamare entusiasticamente al re, alla Società, all’Impresa. Quindi la Rappresentanza Municipale sempre preceduta dal Concerto municipale e dal vessillo, percorse, per ben due volte, il ponte, seguitando nelle ovazioni al Capo Sezione, Sig. Menoni ed al corpo degl’ingegneri. Quasi fino a sera, poi, non solo i cittadini di Lapio, ma anche quelli dei vicini paesi si fermarono ad ammirare il maestoso ponte ed a passeggiare su di esso. Il giorno 20 settembre rimarrà memorando per Lapio”. Il 27 ottobre dello stesso anno, dopo il riuscito collaudo, il viadotto venne inaugurato in occasione dell’apertura Avellino – Paternopoli, primo tratto della ferrovia.

    Durante la seconda guerra mondiale il ponte fu seriamente danneggiato tanto che, ad ostilità terminate, si rese necessario modificare la prima campata (lato Lapio) costruendo un pilone intermedio in muratura sul quale fu aggiunta una piccola travata metallica di circa 17 metri in sostituzione della vecchia testa di ponte in muratura.

    La foto a destra, scattata da A. Bertagnin, mette in evidenza il ponte a travata metallica inferiore ed il pilone

    che hanno sostituito, dopo il bombardamento, la spalletta in muratura visibile nel disegno a lato.

    Oggi quel viadotto, che congiunge le sponde del fiume Calore tra Lapi e Taurasi, è muto testimone dei numerosi ponti in acciaio che caratterizzarono la storica, ma ormai dismessa, linea ferroviaria Avellino-Rocchetta Sant’Antonio.

  35. 61 avellinorocchetta 08/06/2021 alle 9:06 am


    passione per i binari pietro mitrione

  36. 63 avellinorocchetta 22/06/2021 alle 9:28 am

    «Abbiamo una quindicina di linee abbandonate che sono attualmente usate solo per treni turistici, in maniera occasionale. Alcune riattivate negli ultimi quattro anni da Fondazione FS che è nata nel 2013, quindi si tratta di un ente abbastanza recente, altre invece come in Sardegna, Toscana e Lombardia sono curate da gruppi di appassionati. Il recupero del patrimonio ferroviario dismesso come ferrovia turistica può essere fatto su una minima parte, perché non tutte le ferrovie rispondono ai criteri dell’Avellino-Rocchetta che è stata comunque chiusa da pochi anni, quindi è ancora in buone condizioni, mentre nel 70-80% dei casi non ci sono neanche più i binari e non è possibile riconoscerle come ferrovie, sembrano strade di campagna, su molti di questi 7mila chilometri ci sono stati problemi infrastrutturali importanti, per cui quella del treno turistico sembra un’opzione più difficile da praticare che ha anche dei costi importanti. Ma questo non è il caso dell’Avellino-Rocchetta che ha trovato nel treno turistico un modo per conservare l’infrastruttura».

    E funziona?

    «Non mi occupo specificamente di treni turistici, ma li riconosco certamente come la novità di questi ultimi anni, i dati sull’afflusso sono importanti, circa 100mila persone all’anno tra le linee di Fondazione Fs e le altre, quindi possiamo parlare di un boom dei treni storici e di una modalità che funziona. Mi lascia però un po’ scettico sul lungo periodo, perché il mantenimento dell’infrastruttura richiede dei costi che non si ripagano con i biglietti dei pochi treni che circolano, se dovessero verificarsi importanti danni o dovesse esserci necessità di lavori bisognerebbe porsi il problema del reperimento dei fondi».

    Però il treno turistico è uno strumento per la promozione del territorio…

    «Non ci sono dubbi, temo solo che non possano funzionare se non abbinati al ripristino della circolazione ordinaria dei treni, perché un conto è mantenere un’infrastruttura percorsa quotidianamente a cui associare il treno turistico, un conto è mantenerla per qualche corsa all’anno. Non si mantiene da sé il treno turistico, ha bisogno del supporto anche economico degli enti locali, nel momento in cui le Regioni non avranno più possibilità di assegnare queste risorse, i treni turistici andranno incontro ad un destino incerto come le ferrovie».

    Quindi recuperare il patrimonio ferroviario dismesso con il progetto delle greenways sembra essere la soluzione migliore?

    E’ quella che potrebbe essere applicata alla maggior parte del patrimonio ferroviario dismesso. Infatti solo un 5% potrebbe tornare ad avere il treno per un servizio regolare, un 15% è destinato al solo uso turistico, ma non vedo altre possibilità per quello che resta, a meno che non si intenda ricostruire le ferrovie.

    Ma né l’una né l’altra soluzione può avere futuro in mancanza di servizi turistici…

    «Uno dei problemi dell’Avellino-Rocchetta è la lontananza dei paesi rispetto alle stazioni, per cui i servizi turistici diventano essenziali, questo vale per i treni turistici come per le greenways. Quindi ristoranti, bar, noleggio biciclette, piccoli musei, pannelli informativi, tutto questo arricchisce l’esperienza e diventa il motivo per cui si sceglie di percorrere queste tratte. Oggi al passaggio del treno turistico corrispondono degli eventi legati all’enogastronomia o a festival culturali, quindi il treno serve alla scoperta del territorio e questa è la formula migliore anche per chi pedala in bicicletta. Il recupero solo del tracciato non è sufficiente, come dimostrano le esperienze estere, come dicono gli spagnoli questi devono essere dei progetti integrati, che accanto all’infrastruttura per muoversi, devono offrire delle occasioni di riscoperta del territorio con le sue peculiarità, è questa la chiave per attrarre dei visitatori».

    Maria Fioretti

  37. 64 avellinorocchetta 22/06/2021 alle 9:30 am

    Sento fischiare il treno
    “Ho pensato che sarebbe stato meglio
    lasciarci senza un addio
    non avrei avuto il cuore di rivederti.
    Ti posso immaginare tutta sola, abbandonata
    sul marciapiede, tra tutti quegli addii
    Stavo per correre verso di te
    stavo per urlare verso di te
    è stata una pena trattenermi
    è così lontano dove stai andando
    avrai mai occasione di tornare?
    Ho pensato che sarebbe stato meglio
    lasciarci senza un addio
    ma sento che ora tutto è finito
    è così triste il fischio di un treno la sera
    sentirò fischiare quel treno per tutta la vita”.
    F. Battiato
    Avellino – Rocchetta S. Antonio, riproviamoci.
    Quando si hanno tra le mani dei depliant che propagandano la bontà dei prodotti, che si vuole invogliare a comprare, o la qualità dei servizi, che si offrono ai potenziali clienti, vi si dà un’occhiata distratta e poi si lasciano sul tavolo o nel primo raccoglitore che s’incontra.
    Recentemente una brochure di Trenitalia, invece, mi ha incuriosito perché tra l’altro elencava dieci motivi validi per servirsi del treno come mezzo di locomozione appropriato.
    Nel decalogo si pone l’accento sulla bontà del treno, rispetto agli altri mezzi di trasporto, perché col treno si salvaguardano: il rispetto dell’aria, il risparmio d’energia, il rispetto del territorio (al contrario di strade, autostrade, superstrade, assi mediani, ecc.), il decongestionamento delle città, la sicurezza, il godimento del paesaggio, la tranquillità dei timpani, la possibilità di fare amicizia. Le proposte sono convincenti.
    E poi il treno nell’immaginario collettivo rappresenta l’evasione, la fuga verso il nuovo, l’incognito.
    Sui sedici mila chilometri della rete ferroviaria italiana ci si può muovere in lungo e in largo, da Nord a Sud (fino ad un certo punto) da Est a Ovest.
    La lettura mi ha fatto ricordare con forza della dimenticata “mia ferrovia”, di quel binario unico che – “ormai appeso al chiodo”, si snodava, strada maestra dell’Altopiano Irpino, da Avellino a Santa Venere attraversandolo nella parte mediana della grande valle della Fiume Calore prima e del Fiume Ofanto poi.
    Il progetto della strada ferrata Ofantina Avellino – Ponte Santa Venere (così si chiamava l’attuale stazione di Rocchetta S. Antonio) nacque per liberare da uno stato medioevale la Valle dell’Ofanto e proiettarla nel mondo moderno e realizzava un punto d’incontro e fusione tra le province di Avellino, Foggia e Potenza, al servizio delle loro attività commerciali e sociali.
    Con l’Avellino – Rocchetta S. Antonio si mirava ancora a dare uno sbocco a tutti i prodotti pugliesi verso i mercati napoletani e a realizzare un rapido mezzo di comunicazione tra il versante del mare Adriatico e quello del Tirreno.
    Nel mese di luglio del 1879 ne fu approvato il progetto e solo nel 1888 furono stanziati i fondi per la sua realizzazione affidata alla Società Strade Ferrate del Mediterraneo che la terminò, per l’intero, percorso nell’anno 1895.
    A causa della natura del terreno, dei dislivelli da percorrere e vincere, le difficoltà da superare richiesero importanti opere di consolidamento e di difesa per la messa in sicurezza della strada ferrata.
    La nostra strada ferrata attraversa il fiume Sabato, il torrente Saloli segue il corso dei fiumi Calore e Ofanto per assicurarsi i continui rifornimenti di acqua di cui necessitavano le locomotive a vapore creando così un percorso estraneo e mai veramente integrato con il cuore dei Paesi attraversati che, quasi sempre mal collegati con la Stazione posta a valle, restavano lontani.
    Il percorso da tracciare fu ancora condizionato dalla scelta di attraversare il territorio di alcuni comuni già produttori di uve e vino pregiato (Taurasi, Luogosano, S. Mango Sul Calore, Castelfranci e Montemarano) e quelli dei comuni di Cassano Irpino, Montella e Bagnoli Irpino, sedi di fiorenti attività commerciali di legname e della commercializzazione della castagna.
    In ogni caso la strada ferrata segue il serpeggiare dei corsi del fiume Calore e dell’Ofanto, attraversandoli e riattraversandoli mediante ponti e poderose travi metalliche. La lontananza delle stazioni ferroviarie dai centri urbani e gli scarsi collegamenti tra questi non fecero mai registrare il “traffico” sperato fino al 1933 data in cui la locomotiva a vapore fu sostituita con le prime “ littorine “. Con l’avvento della Littorina, le corse giornaliere furono portate da tre a cinque fino ad arrivare – massima espansione del servizio – a otto corse giornaliere utilizzate sia per il trasporto merci – in particolare vino e legname – sia per il trasporto passeggero.
    Negli anni 90 nei mesi invernali nelle giornate del Sabato e della Domenica era disponibile anche un collegamento speciale tra la città di Bari e Bagnoli Irpino per consentire di raggiungere i campi da sci dell’Altopiano laceno.
    I lavori per la realizzazione della strada ferrata fecero registrare un continuo moto migratorio che portò nei cantieri della ferrovia delle nostre contrade, ” lontane, isolate e, terre di emigranti da sempre”, ingegneri, tecnici e una moltitudine di operai in cerca di lavoro proveniente da ogni regione d’Italia.
    Non pochi furono i malintesi e gli attriti tra la nostra gente e questi “stranieri”, portatori di nuovi linguaggi, nuovi saperi e culture. I Nostri, non abituati ad accogliere, li vedevano come una minaccia alla quiete abitudinaria dei luoghi: “ … … invasi da nemici, facce equivoche da mane a sera”. Le risse scatenate da codesti operai in giro per il paese in festa, armati di roncole e coltelli spaventano i cittadini esposti a pericoli senza che vi sia chi li garantisca”. ( 1893: nota del Sindaco di Calitri al Prefetto di Avellino).
    La lettura della brochure e il riaffiorare di ricordi mi hanno spinto, un tardo pomeriggio di questa primavera, a raggiungere la Stazione Ferroviaria di Nusco .
    Qualche chilometro in macchina, poi l’indicazione Nusco Scalo.
    Uno spiazzo ampio delimitato su tre lati da un bel muro in pietra, sulla sinistra un brutto e anonimo fabbricato, di quelli costruiti dopo il terremoto del 1980, oltre il fabbricato, la massicciata della ferroviaria dove sono i binari, due linee perché la stazione di Nusco è tra le 10 sedi d’incrocio.
    Tutto è immerso nel silenzio, tutto appare disadorno, i colori delle cose privi di luce, non c’é più nell’aria il profumo di olio bruciato, quello del grasso che impregnava le assi della massicciata della linea ferroviaria. Unici segni di vita la presenza di alcuni cani randagi e di un gatto che impaurito e sospettoso ha guadagnato velocemente la cima di un arbusto di spine cresciuto rigogliosamente dove – non troppi anni fa – i nostri Capi Stazione Carmine Iuliano e la famiglia di Nino Crispino avevano impiantato e curavano un roseto e un accogliente giardinetto ricco di fiori che rendevano profumi e grazia al luogo e ospitalità ai passeggeri in attesa del treno.
    Oggi il giardino non c’è più, le insegne divelte e imbrattate da scritte. Eppure questo luogo respira ancora animato, forse, dal vento della valle che lo percorre senza sosta in ogni ora del giorno. Come la luce attrae nella notte le falene, la nostra stazione attrae ancora e racconta storie a chi qui capita per caso o a chi, come me, viene a farle visita animato da nostalgia e da ricordi.
    Il circostante verde dei prati pieni di fiori colorati, e due imponenti pioppi che riempiono di ombra la desolazione dell’antistante ampio piazzale mi confermano che non è, e non può essere, la stazione di una di quelle “città morte” che siamo abituati a vedere nei film americani.
    Il piazzale della stazione e il marciapiede lungo i binari sono deserti, nessun passo li anima, nessun viaggiatore è in attesa del suo treno, nessuna vedova bianca, ansiosa, vive lo scorrere lentissimo degli ultimi minuti in attesa dell’arrivo del treno che le restituirà all’affetto il suo uomo.
    Un tempo, non troppo lontano, questo luogo era la scena teatrale che vedeva protagonisti, tra gli altri, “ i Corrieri “, così erano chiamati in segno di affetto, quelle persone che si erano inventate il lavoro di andare giornalmente nella lontana Napoli e Avellino per svolgervi dei servigi in nome e per conto di chi non poteva allontanarsi dal proprio paese. A sera poi, di ritorno, andavano di casa in casa a rendere conto della commissione, a fare le consegne, …; altre figure pittoresche che popolavano questa linea ferroviaria erano le venditrici di prodotti locali: sulla littorina era facile incontrare la “ venditrice di formaggi e di ricotta “ che da Bagnoli Irpino e da Montella raggiungeva il mercato di Avellino e Napoli alla ricerca di nuova clientela e di prezzi di vendita più vantaggiosi; spesso parte del vagone era invasa da tini, botti e mastelli in legno, sapientemente realizzati da artigiani falegnami di Caposele, e portati per la vendita presso qualche fiera/mercato dei paesi vicini. Poi, quando il treno sostava presso le stazioni da Montemarano e fino a quella di Taurasi, ospitava numerose “ botticelle “ (botte di legno di castagno e/o faggio -, di forma cilindrica schiacciata sui due lati, portata litri 25 circa) piene di buon vino aglianico, nettare irpino destinato al mercato di fuori provincia.
    La porta di un deposito, a lato del brutto e anonimo edificio/stazione, è spalancata, all’interno di quest’unico vano i segni di un fuoco acceso, forse, da qualcuno che ha voluto lì trascorrere la notte. Sulla parete una scritta e il tentativo di rappresentare un cuore trafitto da una freccia inneggiano all’amore eterno tra Gianni e una Tiziana, per terra i resti sparsi di qualche fascina di legna .
    Tra i binari, dal pietrisco della massicciata, accarezzati dal vento della valle, spuntano ciuffi di erba verde e dei fiori gialli – non capirò mai come – cresciuti rigogliosi tra i sassi.
    Guardando verso Sud Est la linea ferroviaria si sottrae allo sguardo attraversando la luce del ponte della Strada Provinciale. Oltre la porta del ponte era la Stazione di Rocchetta S. Antonio, poi quella di Foggia e poi … le “ terre promesse” dove i nostri emigranti speravano realizzare e vincere la scommessa della propria vita.
    Per tutti gli anni ’50 e fino ai primi anni ’70 il nostro treno è stato il primo compagno di viaggio per chi lasciava la nostra terra in cerca di un futuro più giusto e migliore, verso la grande industria del nord Italia o del nord Europa o verso le lontane Americhe.
    Ogni giorno sulle pietre di questo marciapiede, ora in disuso, e sul pietrisco del piazzale abbandonato gli emigranti con le loro valigie di cartone ripetevano l’addio ai loro cari, lasciavano le loro donne e figli per raggiungere la Stazione di Rocchetta Sant’Antonio, poi quella di Foggia e da lì la grande e lontana meta… -.
    Uno dei due binari sembra meno arrugginito dell’altro, è quello della sede dell’ultima corsa attiva della tratta, quella riservata al convoglio che di buon mattino da Avellino raggiungeva Rocchetta S. Antonio e viceversa nella serata dello stesso giorno così come i nostri contadini che ogni giorno, scandivano il tempo rapportandolo al passaggio del treno: all’alba, con la prima corsa, lasciavano la propria abitazione per recarsi nei campi per rientrare al tramonto, ora di passaggio dell’ultima corsa.
    Poco più poco meno di 119 chilometri di strada ferrata, costruita più di 100 anni fa per collegare Avellino con Rocchetta Sant’Antonio. Un solo binario che aveva acceso tante speranze!
    La linea era divisa inizialmente da 31 stazioni oltre i due capolinea e correva su un binario unico non elettrificato. Lungo il percorso sono presenti 52 ponti metallici, 19 gallerie di cui una lunga 2.595 metri. L’altitudine minima è di 217 metri s.l.m.( Rocchetta S. Antonio) mentre la massima è pari a 672 metri s.l.m. ( Stazione di Nusco).
    La linea ferroviaria da Avellino, dopo aver attraversato Atripalda, percorre per un breve tratto la valle del Fiume Sabato, si dirige poi verso la valle del Torrente Salzola per passare ai piedi delle verdi colline di Montefalcione e, attraversata una galleria, raggiunge a Lapio il corso del Fiume Calore, ( attraversato poi per ben 9 volte) che risale toccando Ponteromito, Montella e Bagnoli; da qui, passa a Sud di Nusco, ( altitudine massima della linea ferroviaria 672 s.l.m.) raggiunge il fondovalle dell’Ofanto, che segue nel senso di scorrimento del fiume, passa nei pressi dell’Abbazia del Goleto, entro l’abitato di Lioni, e quindi ai piedi degli abitati di Morra, Teora, Conza, Calitri, Pescopagano (in Basilicata), Aquilonia, Monteverde, e Rocchetta Sant’Antonio (all’epoca in provincia di Avellino, oggi in quella di Foggia), presso cui valica il fiume sul Ponte Santa Venere, collegandosi alle reti ferroviarie lucane e pugliesi.
    Delle tre strade ferrate (Avellino- Cancello, Avellino – Benevento e Avellino – Rocchetta) che in definitiva furono costruite in Irpinia tra il 1887 e il 1895 (170 km circa, in esercizio ancora oggi senza aggiunte o modifiche), la Avellino – Rocchetta Sant’Antonio fu l’unica che interessasse le zone interne e che in qualche modo rompesse il loro isolamento, fino al periodo di costruzione delle autostrade e delle strade a scorrimento veloce nell’ultimo trentennio del secolo XX”.
    Alla nostra ferrovia fu assegnato il compito di fungere da motore e da volano al servizio della nostra industria, del commercio e agricoltura.
    Non fu così.
    Come i fiumi, la Nostra correva lungo le valli e i Paesi circondati dai boschi e collegati da pessime strade erano lassù sulle cime dei monti circostanti e della locomotiva non sentivano nemmeno il fischio .
    La scelta politica negli anni ’60 di prediligere il trasporto su gomma a discapito di quello ferroviario e la costruzione dell’autostrada che collegava Napoli a Bari contribuì, caso mai ci fosse stato bisogno, a ridurre l’utilizzo della linea a ferroviaria a livelli minimi ed economicamente svantaggiosi per il gestore.
    I meno giovani del posto “ricordano” l’importanza che questa linea ferroviaria ebbe per le nostre comunità, ma nello stesso tempo sottolineano lo stato di abbandono in cui versa l’unica strada ferrata dell’Alta Irpinia.
    Raccontano della loro esperienza; soprattutto quelli che abitavano nelle campagne senza strade di comunicazione; potevano anche morire prima che il medico del paese o di quelli vicini potesse raggiungere i loro casolari sperduti.
    Poi venne la ferrovia: da Nusco in meno di due ore (!!!) si poteva raggiungere Avellino non solo per fare compere ma anche per studiare nelle scuole secondarie della città; si poteva andare alla “visita di leva” a Bagnoli Irpino, prima, e a Salerno poi, oppure a Lioni per vedere un film e mangiare una pizza.
    Per chi abitava nei pressi della strada ferrata, il treno scandiva il tempo sostituendo l’orologio. Ci si alzava, per il lavoro nei campi, appena passata la prima corsa, si consumava la colazione alla terza corsa e comunque non dopo la quarta corsa e così fino all’ultima corsa quando a sera, luminoso e sbuffando riattraversava la valle e perdendosi nel buio confermava che era finito un altro giorno.
    I ragazzini dai belvedere di Nusco – via Coste – era la postazione migliore – amavano guardare il treno che attraversava la valle annunciato, appena sbucato dalla galleria nei pressi del ponte a cinque archi , da un pennacchio bianco che andava a perdersi nell’azzurro del cielo e che , quasi avvertisse i loro sguardi li salutava con il suo fischio prima di fermarsi in stazione e poi quando riprendeva la sua corsa, dopo aver fatto provvista di acqua per il suo cuore a vapore .
    Burbero, lungimirante e industrioso il buon “Filuccio ri Mastu Roccu” con un luccicante pulmino, verniciato di blu, assicurava il servizio pubblico di collegamento tra il centro urbano di Nusco e la Stazione Ferroviaria. Dopo ogni corsa in modo maniaco lucidava la carrozzeria e provvedeva alla pulizia degli interni a cui si era ammessi, a suo insindacabile giudizio, a condizione di non costituire alcun pericolo per la nettezza dell’abitacolo e di essere nelle sue grazie; diversamente per l’incauto viaggiatore “ non c’era posto “. Altri tempi !
    Grazie alla ferrovia da Nusco si esportavano, soprattutto nel napoletano, i formaggi di pecora e di mucca, la copiosa e remunerativa produzione di castagne, delle noci, del grano e della frutta, in particolare le mele – “le annurche”, “le cotogne”, “Le mungelle” e in appositi barilotti il nostro vino aglianico.
    Tra Bagnoli Irpino e Nusco i binari della ferrovia corrono su un ardito ponte in muratura a cinque luci ( lu pontu a cinqu’archi” ) , che può essere annoverato tra i monumenti di archeologia industriale della nostra provincia.
    Per la sua maestosità e imponenza è sempre stato oggetto dell’immaginario collettivo e, il convoglio ferroviario lo percorreva silenzioso e dolcemente, “ quasi in punta di rotaia” rallentando al minimo la sua velocità non tanto per la sua precaria stabilità ma, a me piace crederlo, per una forma di rispetto dovuta a tanto vegliardo e testimone del tempo andato.
    Che cosa ne sarà della ferrovia Avellino – Rocchetta Sant’Antonio ?
    Difficile previsione.
    La linea è stata compresa tra quelle definite “ rami secchi” e, quindi, soppressa.
    Venti anni fa furono impiegate delle risorse per rifare gli edifici di tutte le stazioni della linea; poi il loro abbandono e la vanificazione di una spesa.
    Ridare vita a questa linea ferroviaria è forse un’idea non al passo con i tempi?
    Potrà mai ancora portare frutti questo “ramo secco”?
    Mi piace credere che questo possa essere possibile se solo fosse data la giusta energia a un’azione politica intensa, intelligente e puntuale di utilizzo del treno per valorizzare e sostenere, in particolare, la nostra produzione agricola e quella della pastorizia, l’attività artigianale e turistica del territorio. Il nostro territorio, tra l’altro, è naturalmente idoneo per l’attività zootecnica, per la coltura dei frutteti; e allora perché non riprenderci queste attività che ci appartenevano e dalle quali le nostre “ masserie” ricavavano un reddito certo? Perché e in cambio di cosa le abbiamo incautamente svendute ai Paesi del Nord Europa ?
    Sarebbe opportuna un’attenta riflessione prima di un altro impegno di eventuali risorse, avere ben chiaro il fine e gli obiettivi che s’intendono raggiungere.
    Forse, se si ponesse a volano dello sviluppo la potenziale ricchezza del nostro territorio che dimenticato ed escluso oggi è ricco di tutto ciò che altrove è stato distrutto dal cosiddetto “progresso”, si potrebbe stilare un decalogo di motivi per riprendere il treno Avellino – Rocchetta Sant’Antonio.
    La linea ferroviaria attraversa la Valle dell’Ofanto e quella della Media e Alta Valle del fiume Calore un territorio bellissimo che deve essere scoperto lentamente, goccia a goccia, senza alcuna fretta, occorre fermarsi, ascoltarne il silenzio e il suono della voce, gustarne il profumo, la purezza dell’aria e delle sue numerose acque, gustare e immergersi nei paesaggi meravigliosi che disegnano i pioppi lungo le sponde dei fiumi per offrirci un’armonia di colori unici e inimitabili.
    Perché non promuovere delle escursioni attraverso questa Italia figlia di un Dio Minore per scoprirne l’arte, la cultura e le tradizioni, le squisitezze enogastronomiche ? Credo che il nostro Territorio non abbia poi tanto da invidiare , per esempio, alla bella Umbria e Toscana se non una diversa politica di programmazione economica e sociale.
    Si potrebbe immaginare dei viaggi con locomotive a vapore o con motrici storiche a gasolio; di organizzare presso le Stazioni dei mercatini di accoglienza, dei Campus enogastronomici, dei collegamenti agili e mirati con i Centri Storci, così da rendere disponibile ai visitatori il nostro mondo che non possiamo permettere possa essere cancellato.
    Cosi la nostra memoria, la nostra storia, la inimitabile bellezza della nostra terra amalgamate dalla cerniera brunita delle rotaie potrebbero trovare un alleato formidabile per essere ancora protagoniste per lo sviluppo sostenibile del nostro territorio ancora poco conosciuto ma certamente meritevole di attenzione da parte di chi ama il bello.
    Certo i rami secchi possono fiorire e portare ancora frutti!
    Perché non pensare alla realizzazione di un progetto integrato di sviluppo dell’Alta Irpinia nel quale siano riconsiderati i rapporti tra la linea ferroviaria e il suo territorio ?
    E’ quasi sera, è tempo di andare, adesso sono di nuovo sul piazzale, oltre il bel muretto in pietra la primavera trionfa su tutto; posso ancora vedere i filari di un vigneto tempestato di nuove foglie di un tenero colore verde giada e, in ordine sparso, piante di melo e ciliegi impreziosite da delicatissime gemme bianche.
    Le chiome degli alberi sono mosse dal vento che, soffiando delicatamente, riempie l’aria del profumo dei campi che la recente pioggia ha reso ricchi e pieni di misteriose attese. Con l’avanzare della sera una leggera brezza sparge silenziosamente nella valle una sottile nebbia che sembra nascere dalle zolle della terra arata di fresco; come un velo avvolge già la collina e i campi circostanti, adesso nasconde allo sguardo i binari della linea ferroviaria.
    Forse attraverso questa terra appena arata, ricca di profumi e di promesse si dovrebbe articolare una risposta per riprendere insieme la corsa.
    Forse …se rifiorisse la nostra agricoltura, se si consentisse agli operatori del settore di recuperare la dignità persa di Agricoltore e ricavare da queste attività un giusto reddito, forse … anche queste brunite rotaie ritroverebbero la loro prima ragione di essere. Forse … .
    Occorre, quindi, cercare anche attraverso la linea ferroviaria le possibilità nuove per funzioni compatibili con le opportunità e le necessità del territorio; affidare al progetto il compito di rianimare la nostra storia e la nostra memoria in armonia e nel rispetto di quello che comunemente si definisce sviluppo sostenibile del territorio .
    Adesso la nostalgia mi sta allontanando dalla realtà delle cose; non mi lascia considerare con la dovuta serenità gli aspetti economici, in particolare il rapporto costi-benefici che, ne sono convinto, anche se dispiaciuto, deve essere tenuto sempre nella giusta evidenza e considerazione, per non trasformare il nostro ramo secco in un inutile e costoso giocattolo destinato, alla fine, a essere ancora una volta dimenticato e riposto in cantina. Grazie.

    Nusco – Scalo FF.SS., un sabato pomeriggio della primavera 2014
    AMARCORD
    13 GIUGNO 1940,
    INCIDENTE FERROVIARIO NELLA TRATTA FERROVIARIA COMPRESA TRA IL CASELLO FF.SS. E STAZIONE DI NUSCO.
    Scontro frontale tra un carrello ferroviario di servizio con a bordo nr. 4 operai che percorreva la tratta in direzione Campo Nusco – Stazione Nusco e un treno che viaggiava in direzione opposta.
    DECEDUTI a causa del sinistro:
     Delli Gatti Carmine, nato a Nusco il dì 8.12.1899
     pt. Raffaele – mt. Lombardi Giovita
     Coniugato Pepe Angiola,
     residente in Nusco alla c.da S. Martino, n. 29
     deceduto il 14 giugno 1940, ore 02.05, ad Avellino presso l’Ospedale Civile ove era stato ricoverato a causa delle ferite riportate nel sinistro. Atto di morte n.3 P.II Serie C
    * INFO: figlio Stefano – Vado Della Creta, 5
     Caprariello Pasquale , nato a Nusco il 16 maggio 1889
     pt. Nunzio – mt. Rullo Maria Teresa
     Coniugato Scotti Rosa,
     residente in Nusco alla c.da Chianole, 36
     deceduto il 13 giugno 1940 sul luogo del sinistro a causa delle ferite riportate nel sinistro. Atto n. 2 P. II Serie B .
    * INFO: figlia Teresa – cng. Della Sala – c.da Chianola,3
     Pasquale Angelo Maria Donato , nato a Nusco il dì 11 aprile 1902
     pt. Giuseppe – mt. Spiniello Giovanna
     Coniugato Rullo Filomena,
     residente in Nusco alla c.da Campo, 38
     deceduto il 13 giugno 1940 a Nusco – propria abitazione alle ore 21.30 – a causa delle ferite riportate nel sinistro. Atto n.40 P. I
    * INFO: sorella Rosina vedova Rullo Amato – c.da Campo,14
    FERITI – Capo squadra operai di Lioni –
    Giuseppe Capone

  38. 65 avellinorocchetta 26/06/2021 alle 8:47 am

    …….Napoletano Goffredo, avellinese senza tempo!

    Quel treno per Rocchetta.

    Stazione di Avellino ;
    binari vuoti ;
    treni che non partono
    e neanche arrivano.
    Biglietteria chiusa;
    ristoro sigillato;
    sale d’attesa
    vuote.
    Un cane randagio,
    solo e annoiato,
    mi chiede :
    “Che succede ?”.
    E’ scoppiata la guerra?
    Gli uomini son fuggiti,
    le cose impaurite;
    paesaggio da foresta senza alberi.
    Camminiamo storditi,
    nel silenzio irreale,
    il vuoto che ci divora
    espelle solo ricordi.
    La littorina,sempre affollata,
    destinazione finale Rocchetta,
    partiva puntuale
    alle 6 di ogni mattina.
    ( Goffredo Napoletano)

  39. 69 avellinorocchetta 09/07/2021 alle 9:20 PM

    Se l’Italia post Covid riscopre le ricchezze d’Irpinia
    Dal Goleto allo Sponz sulla rivista Freccia.
    Mitrione: è il tempo di agire
    E’ un racconto delle bellezze d’Irpinia che non passa certo inosservato quello che consegna “La Freccia”, il magazine di FS Italiane in formato cartaceo e digitale. Un itinerario che parte dall’intervista a Gabriele Salvatores, il regista premio Oscar, a cui è affidato il compito di dare voce al paese, tra paesaggi suggestivi e mestieri artigianali, in un video che sarà proiettato durante tutta la durata dell’evento nel Padiglione Italia. Per poi passare in rassegna gli itinerari del gusto tra l’Appennino Campano e i Monti della Daunia, il cammino a piedi da Aquileia al Monte Lussari per attraversare il Friuli-Venezia Giulia. Fino ad approdare in Irpinia, dal fascino della natura alla bellezza dei piccoli borghi. Un viaggio alla scoperta di una provincia a lungo relegata in un angolo, dall’imponenza del Goleto alla casa natale di De Sanctis, dalla Mefite con i riti e le leggende ad essa legate al borgo di Monteverde fino al castello di Bisaccia dove nel 1588 soggiornò il poeta Torquato Tasso, ospite del Mecenate Giambattista Manso, da Zungoli con le sue cantine adibite a depositi per la stagionatura dei formaggi al castello di Taurasi, senza dimenticare i vini d’Irpinia. Una terra, quella irpina, definita la meta ideale per un turismo slow all’insegna del relax e del silenzio, attraverso un elenco dettagliato di attrattori e tipicità. Un viaggio alla riscoperta dell’Irpinia, che non puo non fermarsi a Calitri, in attesa di quel miracolo che è lo Sponz, in programma a fine agosto, a cui è dedicato un secondo approfondimento. E’ Vinicio Capossela a fare da guida all’inviato alla scoperta del borgo “La ferrovia in questi luoghi è stata la luce del pensiero e dell’azione….Lo spopolamento ha segnato le aree interne. Le vecchie ferrovie sono andate estinguendosi. Ma la rivoluzione del trasporto, della comunicazione, deve stare al passo dei nuovi compiti che la storia assegna alle aree interne, sempre più polmone salvifico del paese”. Di qui il riferimento alla scommessa rappresentata dalla realizzazione della bretella che collega l’interno al Tirreno, la Eboli-Contursi-Calitri “La ferrovia – spiega Capossela – non è mai finita fuori dalla storia ed è più che mai un mezzo dei tempi ma il progresso tecnologico non può applicarsi solo all’alta velocità. Le linee interne possono essere la metropolitana a cielo aperto di quel paese di paesi che è l’Italia. Anche per questo nel 2014 realizzammo la prima edizione allargata dello Sponz sulla ferrovia abbandonata dedicandola al sogno del treno. Che da sempre è stato sogno di libertà, di frontiera”. Inevitabile il riferimento alla nuova edizione dello Sponz, in programma dal 25 al 29 agosto, “Sarà un più ampio dibattito – spiega Capossela – per ripensare le aree interne in una visione verticale della geografia che non distingue tra Nord e Sud ma tra spina dorsale e aree urbanizzate. Proporremo anche una riflessione su cosa davvero riteniamo importante in tempi di crisi…Vogliamo coinvolgere altre aree del paese, a sottolineare che il destino delle zone interne è comune, a prescindere della latitudine”. Ma l’Irpinia trova spazio anche nel bel servizio di Francesco Bovio dedicato alla trasformazione delle stazioni in luoghi d’arte, come testimonia il murale di Milo nella stazione di Avellino “The world is sick” nell’ambito del progetto Boca. Un termometro gigante conficcato nella terra che misura una temperatura altissima, quello che appare un chiaro invito alla sostenibilità. Un murale a cui in tanti non fanno più caso oggi ma che è stato tra i primi ad essere scelto per riqualificare le stazioni. E’ Pietro Mitrione di InlocoMotivi a sottolineare l’orgoglio per l’attenzione riservata all’Irpinia da una rivista nazionale “E’ la conferma della ricchezza del patrimonio culturale e paesaggistico. E’ un segnale importante da non sottovalutare che restituisce finalmente l’interesse del paese nei confronti dei piccoli borghi e di province come l’Irpinia. Ora è tempo di valorizzare appieno queste risorse ma serve fare sistema. Non si può delegare tutto allo spontaneismo, al volontariato delle associazioni che non durerà all’infinito. Le potenzialità, soprattutto all’indomani della pandemia, ci sono ma bisogna intervenire su infrastrutture e collegamenti. Chi legge di queste mete e vuole raggiungerle usando mezzi pubblici non può non incontrare difficoltà. Ora più che mai bisogna scommettere sul turismo delle aree interne, quelle che con la linea turistica Avellino Rocchetta sosteniamo da tempo. Del resto, basterebbe uno sforzo minimo perchè si compia una vera rivoluzione”
    Floriana Guerriero
    quotidiano dell’Irpinia
    09/07/2021

    • 73 avellinorocchetta 26/09/2021 alle 4:22 PM

      La trasmissione televisiva di RAI3, Presa diretta, ha descritto perfettamente lo stato delle infrastrutture in Italia ed in particolare nel Mezzogiorno. Abbiamo visto l’Italia spaccata in due: una parte che fa fatica a stare al passo con l’Europa ed un’altra che sta ormai fuori dal vecchio continente e destinata, quindi, ad essere sempre di più un peso per l’economia nazionale. Ha spiccato nel contesto giornalistico la problematicità delle ferrovie: un patrimonio nazionale che sta andando in rovina! Una vergogna nazionale senza fine! L’inchiesta di Rai3 ha raccontato il disastro dei collegamenti ferroviari del sud Italia, stazioni abbandonate, treni soppressi, linee tagliate. Un pezzo del nostro paese staccato dal resto del mondo.
      Ancora una volta la nostra Irpinia è stata al centro di queste problematicità, abbiamo visto la nostra città, Avellino, cancellata dalla geografia ferroviaria italiana: un territorio che sta morendo giorno dopo giorno, mentre altrove, vedi Salerno, si inaugura la metropolitana cittadina………….Può considerarsi paese civile una nazione che abbandona al suo destino infrastrutture ferroviarie che sono state la spina dorsale dei collegamenti fra zone diverse dal punto di vista demografico e costate ingenti investimenti economici? Qui in Irpinia si è preferito impostare la mobilità di uomini e cose solo su gomma, una organizzazione che prima o poi è destinata a scoppiare. Un sistema fatto di circa 15mln di km bus a fronte di appena 325 mila km treni. Solo a citare questo dato una classe politica assennata dovrebbe pensare, da subito, ad un riequilibrio del sistema trasportistico. Invece abbiamo subito l’onta vetrelliana della chiusura della stazione ferroviaria di Avellino, dopo la chiusura della Avellino Rocchetta e della Funicolare di Montevergine. Avellino è ormai cancellata dalla geografia ferroviaria italiana, è l’unica città della Campania a non avere un collegamento con Napoli, è di fatto esclusa da ogni ipotesi di costruzione della metropolitana regionale mentre potrebbe essere baricentrica fra Tirreno ed Adriatico se si elettrificasse la tratta SA/AV/BN. Una idea da praticare in attesa della costruzione della linea ad ALTA CAPACITA’ Roma/Napoli/Bari. Tre anni fa, quando fu chiusa la ferrovia desanctisiana, lanciammo l’allarme per quanto sarebbe accaduto per la nostra Irpinia ed infatti siamo arrivati allo scippo dell’acqua. Togliere una ferrovia significa togliere storia, sentimenti, piccole economie, speranze per tutte le aree emarginate d’Italia. Chi lo fa pensa solo di togliere qualche traversina marcia e stop. Non è così, toglie anche una fetta di paesaggio, perché il treno sta nel nostro paesaggio, dal finestrino lo si osserva, lo si misura e lo si apprezza. Se questo è il futuro, e i segni si vedono ormai chiari, dobbiamo reagire. Dobbiamo fare in modo che tutto il patrimonio ferroviario dismesso diventi patrimonio della collettività, come è sempre stato. Ho rivisto senza audio il servizio televisivo ed è stato come sfogliare un libro che abbiamo scritto, nel bene e nel male, tutti insieme. Nell’ultima pagina c’era scritto: NON ARRENDETEVI!

  40. 77 avellinorocchetta 31/07/2021 alle 5:45 PM


    vinicio Capossela
    le conzoni della cupa

  41. 78 avellinorocchetta 01/08/2021 alle 4:36 PM

    Sul Quotidiano del Sud dell’1 agosto 2021
    IL TRENO DEL TEMPO PERDUTO: ULTIMA FERMATA
    Da decenni, a ogni scadenza elettorale, gli “statisti” nostrani, fra le tante palle che ci propinavano, mai trascuravano la linea ferroviaria Avellino-Rocchetta: da salvare, da rilanciare, da riscoprire.
    Epigoni di Francesco De Sanctis, sempre nel loro “viaggetto elettorale” inserivano il tour sull’antica linea, a volte ridotto alla sceneggiata della zampetta sul predellino.
    L’antica linea, di palla in palla, era così arrivata sul letto di morte, certificata e sancita dallo scellerato Piano Territoriale varato pochi anni fa dalla Provincia di Avellino (quella stessa che oggi battezza l’immaginifico traforo dei monti su cui incanalare il commercio di provole fra Cervinara e Avella).
    La si voleva trasformare in pista ciclabile, e il discorso rientrava, con buona pace di tutti, nella strategia per lo sviluppo turistico e culturale in Irpinia, affiancandosi alle sagre del cecatiello, alle corse sulla botte col caciocavallo impiccato in mano, alla frittura di pesce con castagne irpine, al record di lunghezza della mozzarella, al concorso per la bella velina appennina.
    La storia, l’Archeologia, l’Arte, la Tradizione Religiosa, il Paesaggio dell’Irpinia non producevano voti, almeno nel breve, e oltre tutto in quel campo era meno agevole intrallazzare che non su sagre e dintorni.
    Quel che è certo, dal 13 dicembre 2010 la storica ferrovia, su decisione della Regione Campania, veniva dichiarata “sospesa”, e da lì alla definitiva dismissione il passo era breve.
    I nomi dei responsabili di quello scempio sono noti, arcinoti, e alcuni ce li ritroviamo, mutatis mutandis (nella versione di Totò), in ruoli altrettanto importanti che nel 2010.
    Era finita.
    La pagina su cui erano state scritte 150 anni di storia dell’Irpinia erano state strappate.
    I pagliacci erano saltati giù dal predellino, e s’era avviato il solito querulo scaricabarile, giusto pper dare il tempo di passare dalla prima pagina alla seconda e poi nell’angolino dei necrologi.
    Debbo confessare che neanche io, spesso l’ultimo dei mohicani ad arrendersi agli episodi ricorrenti dello strazio dell’Irpinia, avrei puntato neanche un facsimile usato di Mastella sulla speranza di rivedere un treno su una di quelle magiche curve d’acciaio che segnavano il bel paesaggio fra valli, colline e fiumi.
    Eppure è successo che lunedì 22 agosto 2016, mi sono annotato quella data nel cuore, da Rocchetta a Conza un treno ha ripreso a correre lungo quei binari, annunciando il recupero dell’intera tratta Avellino-Rocchetta entro il 2018.
    Ricordo bene la corsa di tanti ad accaparrarsi i meriti, a risalire sul predellino.
    A parte quello di chi ha materialmente realizzato il magistrale intervento di recupero e riuso, la Fondazione Ferrovie Storiche, parte della Rete Ferroviaria Italiana (RFI), presidente l’ing. Carlo De Vito, rivedendo con obiettività gli eventi in retrospettiva, credo che ad un unico uomo si debba il merito di questo miracolo.
    Pietro Mitrione, già dirigente e sindacalista delle FF.SS. (mai poteva essere diversamente), oggi animatore di varie Associazioni impegnate sul tema, ha letteralmente lanciato il suo cuore oltre i cento ostacoli spuntati da ogni dove, e con parole e fatti ha prima resistito alla logica imperante dello scempio sistematico, lo ha contrastato, non so come è riuscito a riunire intorno a sé un manipolo di seguaci e alla fine – la storia la si sta ancora scrivendo – la linea ferroviaria è ancora lì, i treni pronti ad avviarsi, il popolo irpino pronto a riabbracciarla.
    Credo che il nome di Pietro possa affiancare quello di Francesco De Sanctis, per quanto hanno saputo fare per quest’opera.
    Vediamola più da vicino, quest’opera straordinaria pensata e voluta 150 anni fa dal grande Maestro della Letteratura Italiana.
    Un grande scrittore dell’Ottocento sosteneva che una delle letture a lui più gradite era quella dell’Orario ferroviario.
    Aveva ragione.
    Proviamo difatti a leggere la sequenza delle stazioni che si susseguono sulla nostra “antica linea” e con lo scorrere dei nomi proviamo a evocare le immagini dei tanti luoghi attraversati, come in un film.
    Si parte a poche decine di metri di distanza dall’antica Abellinum, il municipio romano dedicato a Venere.
    Si imbocca la verdeggiante valle del Sabato, da dove si diramavano due fra i più importanti acquedotti romani, che per secoli hanno alimentato tutte le città della Campania, oltre che la flotta imperiale del Tirreno.
    Tutt’intorno sulle alture si scorgono i resti degli antichi castelli che, dall’età di Arechi presidiarono il vitale collegamento lungo la valle fra Salerno e Benevento.
    Alla fermata di Salza e Sorbo ci passa davanti l’immagine del magnifico castello sulla cima del monte (oggi in verità profanato da un indecente restauro) e dei luoghi che videro il miracolo di Sant’Amato, il vescovo di Nusco vittima di un agguato a Sorbo e miracolosamente sopravvissuto a una freccia che gli aveva trapassato il cranio.
    Subito dopo la linea si protende verso la valle del Calore che, fiume nato nello stesso punto del Sabato, fra Terminio e Acellica.
    Mentre il treno scende verso il fondovalle, di fronte si intravedono gli avamposti di una seconda linea di castelli, che proteggevano sin dall’età longobarda anche la valle del calore, nel vitale collegamento fra Benevento e Salerno.
    Ora la corsa del treno corre parallela al fiume.
    Si resta affascinati dallo straordinario ponte-viadotto in ferro, realizzato ai tempi della torre parigina voluta dal grande ing. Eiffel, e proprio da tecnici della stessa scuola.
    Siamo sul fondovalle, verso Luogosano, Taurasi, Lapio, dove un tempo la via romana Campanina-Domicia (via che collegava Napoli con l’Appia ad Eclano) attraversava il fiume sospesa sulle agili arcate di un antico ponte, ancor oggi ben conservate, a pochi passi dalla odierna stazione di San Mango.
    Già in lontananza si scorge il profilo dei monti, ancora punteggiati di santuari e castelli che cingono la valle del Calore fra Bagnoli, Cassano, Nusco e Montella.
    Il treno attraversa uno dei luoghi più misteriosi dell’Irpinia, che per anni è stato percorso documentato dall’amico Domenico Cambria
    La zona è compresa in un perimetro ben delimitato, per un’area omogenea e regolare di circa 300 ettari, che si estende fra le località bagnolesi di Prebenda, Paterno, Pietre Bianche, Valle Romana, Fieste, Pietà, Cunei, Sierro dell’Aurora.
    All’interno dell’area si rilevano cinte murarie, terrazzamenti, recinti, tumuli di varia grandezza, sorgenti, pozzi, resti di capanne in pietra, strade, che si susseguono in modo continuo e regolare.
    Le murature, nel loro insieme, sono disposte secondo un disegno urbanistico regolare e ben leggibile: in senso longitudinale delimitano terrazzamenti pianeggianti e degradanti verso valle, in senso trasversale dei camminamenti stretti e ripidi, protetti da mura su entrambi i lati; in alcuni punti sono evidenti resti di piccole torri poste in punti strategici, con funzione di osservatori privilegiati.
    Nell’area, oltre i numerosissimi tratti di muratura in opera poligonale, sopravvivono un paio d’arcate di un antico acquedotto, pietre lavorate reimpiegate in una fontana, basi di colonne.
    Il ritmo delle rotaie è come scandisse i versi di Silio Italico (ottavo libro de La guerra punica, ove è il racconto dettagliato dei popoli italici che affiancarono Roma nella battaglia di Canne):
    Affluit et Samnis, nondum vergente favore – ad Poenos, sed nec veteri purgatus ab ira: – qui Batulum Nucrasque metunt, Boviana quique – exagitant lustra …
    (C’erano anche i Sanniti, non ancora inclini ai Cartaginesi, ma non ancora purgati dell’antico rancore. C’erano quelli che mietono i campi di Batolo e Nucre, quelli che battono i boschi di Boviano …).
    E’ possibile che i toponimi Batulum e Nucras evochino Bagnoli e di Nusco?
    È solo un caso che non lontano da Bagnoli e Nusco, e precisamente fra Lioni, Teora e Materdomini, in prossimità della cinta poligonale di epoca sannita del monte Oppido si registri una straordinaria sequenza di toponimi quali: Bosco di Boiara, Pietra Grande di Boiara, Cesine di Boiara, Pietra di Boiara?
    È forse da queste parti che localizzata la Boviano della III guerra sannitica, ove trovarono scampo dopo una marcia di una sola notte gli abitanti di Aquilonia assediata dai Romani ?
    Anche nei nomi sembra riaffiorare la Storia antica dei luoghi “accarezzati” dal nostro treno fra Bagnoli e Nusco: il Monte Terminio rievoca Termino, una delle principali divinità dei Sanniti; l’Acellica che ripropone forse il nome di Ceres, divinità comune a Greci, Sanniti e Romani; il Monte Magone e il contiguo Montagnone di Nusco, che ripropongono il nome del generale Magone, fratello di Annibale; il Vallone d’Italia, al confine fra Bagnoli e Nusco, che richiama il nome VITALIA, che si dette la Confederazione dei Sanniti nella vittoriosa guerra sociale contro Roma.
    Con un’ampia voluta il trenino attraversa ora la magia dei boschi ai piedi del Terminio e del Cervialto, non riuscendo a distogliere lo sguardo sulla chiesa di san Francesco a Folloni, che come un’isola bianca si eleva sul mare verde dei pioppeti circostanti.
    Si risale il crinale che separa la valle del Calore da quella dell’Ofanto, e si scorge il maestoso monastero del Goleto, presso il quale piccoli rivoli iniziano a riunirsi nel fiume che da qui in poi si ingrossa sempre di più e compie il miracolo, dopo essere nato a pochi chilometri dal Tirreno, di portare le sue acque attraverso la terra di Puglia nel lontanissimo Adriatico.
    Da qui in avanti è proprio l’Ofanto, l’antico Aufidus, sulle cui sponde si sono svolte cento battaglie, ad accompagnare fino in Puglia la corsa del treno.
    Si percorre la sponda del lungo invaso, sosta obbligata delle grandiose migrazioni di uccelli e si arriva all’antico centro di Conza, che fu gloriosa città sannita, romana, bizantina, normanna, emersa dall’oblio dopo il terremoto.
    Di fronte la mascella di roccia su cui sorge Cairano, dove il grande Gianni Bailo ha operato per anni, portando alla luce i resti di quel popolo antico che gli archeologi chiamano “cultura di Oliveto-Cairano”, ma che forse dovrebbe chiamarsi col suo antico nome osco: popolo degli Irpini, popolo dei lupi.
    La corsa continua ai piedi del Formicoso, dove il Paleolitico ha lasciato tracce profonde ancorché inesplorate, tracce che hanno rischiato e forse ancora rischiano di essere sommerse da montagne di immondizia.
    Con la corsa del treno, che serpeggia da una sponda all’altra dell’Ofanto, da una parte all’altra del confine fra Irpinia e Basilicata, arriviamo alle ultime stazioni.
    Da queste parti arrivavano l’antica Appia (oggi localizzabile con buona attendibilità a cavallo del percorso della SS 303) e l’ancor misteriosa Via Erculea, che da Aequum Tuticum (Località Sant’Eleuterio di Ariano Irpino) arrivava a Grumentum e a Potenza).
    In ogni punto ci sono i resti, più o meno ben conservati, di antichi ponti romani: Conza, Pietra Palomba, Pietra dell’Oglio, Santa Venere.
    Per una singolare coincidenza, le ultime stazioni della nostra linea sono ognuna a poche centinaia di metri da un ponte antico romano.
    Oggi l’Avellino-Rocchetta (ma a ben guardare gran parte dell’intera rete ferroviaria di Avellino, Salerno, Benevento e Foggia) ha l’occasione per diventare molto di più di ciò per cui era stata in origine pensata.
    Museo di sé stessa, con le sue ardite opere d’ingegneria ottocentesca e il suo sinuoso percorso fra valli, fiumi e monti.
    Supporto alla crescita economica del territorio, se solo si pensa alle varie aree industriali attraversate e spesso già attrezzate, a partire dal nucleo ASI di Avellino e dalla sua area di interscambio (quanti anni è durata la nostra battaglia per i 10 cm maledetti?).
    Mezzo ideale per un viaggio nella terra del paesaggio, del vino (sono qui gli areali del Taurasi, del Greco, del Fiano) e dei tanti prodotti gastronomici di qualità.
    Porta d’acceso alla terra dei fiumi e delle acque, che attraversa non solo le valli dei fiumi Sabato, Calore ed Ofanto, ma tutti i punti donde rigurgitano e s’irradiano le acque che costituiscono la linfa vitale del Mezzogiorno intero, da Napoli al remoto assetato Salento.
    Via “pulita” per muoversi attraverso i Parchi Naturalistici Regionali.
    Occasione di visita a antichi borghi, pievi e castelli.
    Grande libro sulle cui pagine si può leggere la nostra Storia più antica.
    Infine oggi che – più che ai tempi andati di De Sanctis – è possibile integrarla coi trasporti locali su gomma, concentrare l’attività ordinaria su poche efficienti stazioni, raccordarla efficacemente con le grandi linee dell’Alta Velocità che di fatto non hanno emarginato bensì reso centrale l’Irpinia (sagge parole di Carlo De Vito), in una oggi è possibile conferire a quest’opera insigne quel ruolo di anima d’acciaio della nostra terra, per il quale era nata e per il quale è stata miracolosamente preservata.
    È davvero L’ULTIMA FERMATA
    Nota:
    Questa nota pezzo è la sintesi frettolosa di una bella “chiacchierata al bar” con l’amico Vanni Chieffo, iscritto d’ufficio al ristretto club degli Utopisti Irpini, cui debbo spunti e suggerimenti, di un confronto on-line con l’archeo-artista Francesco Roselli, con cui abbiamo percorso idealmente il territorio fra Lioni e Teora alla ricerca di Bovianum, “capitale” dei Sanniti.

  42. 79 avellinorocchetta 14/08/2021 alle 9:21 am

    BINARIO MORTO di Antonello Caporale

    AVELLINO, L’ITALIA CHE HA UCCISO I TRENI E I SOGNI

    Viaggio sulla strada ferrata nata nel 1892 per portare gli irpini alla stazione di Rocchetta Sant’Antonio: luogo delle speranze da dove partivano i convogli “Espresso” per Torino, Milano e per la Germania. Dal dicembre 2010 quei 119 Km non vengono più percorsi: ormai è solo deserto

    Avellino – Se puoi, se ti va bene, tra le sette e le dieci del mattino trovi il treno. Se ritardi torni a casa e aspetti. Perché intorno alle 14 ripassa una locomotiva ma alle 18 finisce ogni ansia, ogni movimento. D’altronde è corretto: quasi tutti i treni sono stati soppressi. Tenere aperta un intero giorno la stazione di Avellino a cosa serve? E soprattutto: a chi? L’Italia sprecona, che ha consumato ogni pudore dirottando verso tasche bucate miliardi di euro, solo con la ferrovia ha avuto la mano di ferro. In mezzo secolo sono stati dismessi circa seimila chilometri di binari, solo negli ultimi vent’anni un supplemento di qualche centinaia di tratte sono state destinate alla ruggine e alle erbacce. Il treno costa e non passa più. Non sostenibile economicamente. Troppo pesante il salasso delle casse pubbliche, troppo oneroso tenere aperta una strada ferrata, specie se corre tra le montagne. Adesso ci sono le strade (e ponti, viadotti, assi attrezzati) e i bus. E tutti oggi hanno l’auto. Chi vuole parte. All’ora che gli piace, quando gli fa comodo. Veloce, sicuro, tranquillo.

    E’ così? Siamo proprio sicuri che sia così?

    Allora partiamo. Partiamo dal punto più debole dell’Italia, dall’osso del Sud, come scriveva Manlio Rossi Doria, dalle montagne irpine lungo il tragitto che da ovest spostava i contadini verso est, gli operai verso nord, i malati verso la speranza di un ospedale decente, di una cura possibile. La Avellino-Rocchetta, completata tra il 1892 e il 1895, era il treno dei sogni, delle speranze, del lavoro. Era il treno di chi partiva: “Rocchetta era l’alba, il punto di non ritorno, la nuova frontiera di una vita finalmente felice. Chi cercava lavoro, a Torino, a Milano, in Germania, sapeva che a Rocchetta doveva andare. Lì intercettava le linee veloci, i treni “espresso”. “Quanti pianti ci siamo fatti, quanti abbracci alla stazione di Rocchetta. E quanti ritorni!”. Le lacrime, sì. Pietro Mitrione, una vita nelle ferrovie, ricorda la tratta della speranza e della disperazione, della fatica e della salute. Chi partiva per curarsi e chi tornava dalla cura. Chi partiva per il lavoro e chi tornava per la pensione. Oggi non esiste nulla più, solo la finzione. I binari sono rimasti, i treni se ne sono andati per sempre. Trent’anni dopo, e con qualche centinaio di miliardi di euro spesi, si parte per gli stessi motivi: la salute, perché gli ospedali stanno chiudendo, non sono attrezzati, non ispirano fiducia e quelli del nord sono migliori. Per il lavoro, perché la vita nelle montagne è rinsecchita ancora, l’osso si è fatto pietra e se non ti muovi non esisti. L’altrove resta il nostro destino. Ieri come oggi.

    Quell’assurdo parco giochi già chiuso per abbandono

    La ferrovia per Rocchetta -dismessa il 12 dicembre 2010- è il monumentale documento di un viaggio mancato ma anche dello spreco, dell’irragionevolezza, della mancanza di idee e della assoluta mediocrità di una classe di governo che sta facendo affogare l’Italia come un barcone di migranti. A quaranta chilometri da Avellino inizia l’area metropolitana di Napoli. Lì si ammassano tutti. Tutti sulla sponda del mare, tutti verso Napoli. La più alta concentrazione demografica è sulla costa. Lì si muore perché gli ospedali affogano sotto il peso dell’emergenza. Qui si muore perché gli ospedali sono vuoti. E se sono vuoti risulta insopportabile il loro costo. E dunque chiudono. Lì non si trova casa. Qui sono stati costruiti quattrocentomila vani in più del necessario, il cosiddetto ristoro della ricostruzione seguita al sisma del 1980. Lì le case si alzano fin dentro la bocca del Vesuvio, e si decide addirittura per legge, la cosiddetta VesuVia, di finanziare i traslochi e gli abbattimenti. Qui le case aspettano da anni un inquilino. Rimaste vedove, si sgretolano da sole, muoiono senza che nessuno le abbia mai per un solo giorno abitate. Il declino è costante e visibile. Ogni anno una lesione in più, un pezzo di intonaco che si stacca, una ringhiera che si arrugginisce. Lì, sulla costa, la pressione demografica è tale che l’immondizia non è possibile stoccarla. Occorre sigillare sui treni (i cosiddetti “treni della monnezza”) il surplus di rifiuti prodotti e mandarli nell’Europa del Nord. Pagando il tragitto e il disturbo naturalmente. La crisi dei rifiuti è endemica e irrisolta: finora Napoli da sola ha inghiottito, nel turbinìo di opere vuote e inconcludenti che si sono succedute, sette miliardi di euro. Resta in piedi un termovalorizzatore, quello di Acerra, che brucia a singhiozzo, e per il resto è quasi tutto identico a prima. Qui, nelle aree interne, gli spazi sono ampi, la vista è nuda, le possibilità di ingegnarsi ci sarebbero, anche di resistere se solo la vita fosse resa più facile, più logica, più comoda. Crisi endemiche sul fronte mare per sovrappopolamento. Non trovi un letto in ospedale, se sei fortunato una barella al pronto soccorso. Crisi endemiche nelle aree interne per spopolamento. Gli ospedali a bassa intensità non reggono il regime del rapporto costi-benefici. Si svuotano le corsie, si chiudono i reparti. Chi vuol farsi curare deve partire. Bastava tenere ferma la congiunzione mare-monti per rendere più equilibrata la navigazione del barcone. La ferrovia serviva a questo. Trasportare da ovest verso est, rendere possibile la vita nei paesi e il lavoro in città con uno spostamento celere ed economico.

    Invece eccoci qua, ad ammirare la ferrovia chiusa. Giungiamo sul Ponte Principe, siamo a Lapìo, terra di grandi vini: il Fiano, il Taurasi, l’Aglianico. E’ un’opera magnifica, sembra la Torre Eiffel adagiata su un piano nell’atto di addormentarsi. Intatta, maestosa. E vuota. Doveva traghettare speranze, rimane un segno all’orizzonte, un filo che lega due montagne. Sotto la torre abita Anila Haxhiraj. Fuggì dall’Albania vent’anni fa, come migliaia di connazionali. Ha trovato qui, sotto questo ponte la vita, l’America. Un futuro, una famiglia: “Coltiviamo la terra, abbiamo aperto un b&b. Mi trovo bene, ho una vita felice e anche tanti impegni. Mi sono persino candidata alle ultime elezioni municipali. Abbiamo perso però”.

    I binari avanzano verso San Mango sul Calore , che è il punto del disonore. Qui il Sud ha perso la dignità, lo Stato ogni prudenza e tutela. Qui il nord ha saccheggiato le provvidenze, e i meridionali hanno fatto da palo. Collusi o felicemente ignavi del sacco. La ferrovia doveva condurre le merci e il lavoro nell’area industriale di San Mango, nuova di zecca. Miliardi (di lire) impegnati per realizzare fabbriche, contributi a fondo perduto, compresi nelle provvidenze della legge sulla ricostruzione dal terremoto del 1980. Ecco i binari. Entrano ed escono dalle fabbriche. Vuoti i primi, cadenti le seconde. Sembra una zona di morte, è un maestoso monumento allo spreco. Imprenditori falsi che hanno corrotto, funzionari che si sono fatti corrompere, soldi finiti nel nulla. Dovevano esserci aziende meccaniche, altre di trasformazione. Niente, solo scempio. Un’azienda, la Dragon Sud, che aveva ottenuto i contributi per impiantare un’attività di carpenteria metallica e trattamento dei rifiuti, trasforma lo stabilimento ricevuto dallo Stato in un parco giochi. Davvero: un parco giochi nell’area industriale! Un giudice della Corte dei conti, Maria Teresa Polito, non crede all’idea. Le sembra uno scherzo, un pesce d’aprile. Manda i finanzieri a controllare. Scriverà nella sentenza, afflitta e incredula: “Dall’accertamento diretto nell’area si è constatata l’effettiva trasformazione dello stabilimento in parco divertimenti, attualmente chiuso e in avanzato stato di abbandono”.

    Conza, il borgo antico “regalato” ai richiedenti asilo

    Solo saccheggio. I treni costano, e invece quest’area industriale? Cos’è lo spreco, chi rende conto dello spreco e, soprattutto, chi lo paga? E’ in attività solo la Zuegg, fa le marmellate. Sede principale nell’Alto Adige. Certo, anche Zuegg ha ottenuto più di quanto avrebbe dovuto, si è fatta pagare per aprire l’azienda: “Si evidenzia che la somma erogata, 12 miliardi 748 milioni di lire, è superiore al contributo definitivo. Nel collaudo finale la commissione ha inoltre rilevato una serie di variazioni rispetto al progetto originario mai approvate”, scrivono i magistrati contabili. Si sono fatti pagare, e tanto. Ma in questo deserto almeno la fabbrica c’è. Non fa confetture di nocciole, non confeziona le buonissime castagne che qui, tra Montella e Lioni sono il prodotto tipico. Arrivano pesche e albicocche da lontano. Il prodotto cosiddetto a chilometro zero non esiste. Però ci sono gli autotreni, che corrono lungo la Fondovalle, la nuova bretella di scorrimento veloce. E’ già intasata, sono bastati pochi anni di attività a renderla inadeguata.

    A Lioni la stazione è terra di nessuno. Troviamo Angelo, il capotreno di vent’anni fa. Lui e un gruppo di ex ferrovieri la accudiscono, montano di guardia: “Che peccato, era una linea tutta automatizzata”. Lioni è un paese con più case che abitanti. Vani vuoti, palazzi deserti. Il terremoto ha colpito, e si vede. Chi può scappa. Resiste il diavoletto del rancore. I paesi infatti vivono nel sentimento del rancore. Alcuni ragazzi hanno occupato una saletta pubblica, pochi metri quadrati, e hanno realizzato un centro sociale: si chiama Rouge. Vedono film, si ritrovano con una birra, parlano, contestano, discutono. Nel paese vuoto, un fiore rosso, un punto vivo. L’amministrazione ha deciso di sfrattarli. Non hanno il permesso. Si sfratta la ragione, mentre il treno immaginario prende la via di Conza della Campania. Il paese è nuovo di zecca, lucido e senz’anima. Il terremoto rase al suolo il vecchio borgo. I superstiti hanno deciso di lasciare le macerie e trasferirsi in pianura. Casone a due piani, strade larghe come neanche a Los Angeles. Il monumento principale in piazza è costituito dall’antenna per la ricezione dei telefonini. E’ la modernità che irrompe, il nuovo che incrudelisce gli animi. In collina, nel paese morto, hanno sistemato gli stranieri richiedenti asilo. Vengono dall’Asia e dall’Africa, dalle zone di guerra. Corpi perseguitati, fuggiti per non morire. La loro pelle è nera. In Italia esistono luoghi di stazionamento. Uno di essi è proprio qua. Il Comune ha trovato una sistemazione ai venticinque residenti temporanei, un ritrovo turnario. Ciclo di arrivi e di ripartenze. Gli ospiti ricevono per il proprio sostentamento un pocket money dal governo italiano (due euro e cinquanta centesimi più buoni pasto). Hanno l’obbligo di spenderli presso i negozi del paese che li ospita. Li ospita, ma li tiene a distanza. Si fa pagare, ma insomma li ha sistemati nelle retrovie, tra le macerie. Nella disperazione che c’è, questa piccola fabbrica della speranza, fuggitivi, testimoni di carestie e di morte, frutta qualcosa. Sono tutti in cima alla montagna, nell’unico edificio restato in piedi dopo la tremenda scossa del terremoto dell’80. Lontani dagli occhi, lontani dal cuore. Davanti Conza della Campania si scorge la gola che conduce a Rocchetta. Era la stazione da dove si partiva per andare lontano o si arrivava dopo anni di sacrifici. Ora è il deserto. Binari alla memoria.

    (ha collaborato Valentina Corvigno)

    da Il Fatto Quotidiano, mercoledì 14 agosto 2013

  43. 83 avellinorocchetta 28/08/2021 alle 4:04 PM


    venga la ferrovia
    documentario di Federico Curci
    vincitore del premio Taurasi film dest 2021

  44. 84 avellinorocchetta 03/09/2021 alle 9:00 PM

    Francesco Saverio Nitti
    “La costruzione delle Ofantine non è stata punto nè una buona impresa nè tanto meno un buon affare: ma è stata un grande atto di civiltà”

    IL TRENO DELLA CIVILTÀ
    Un importante reportage del 1895 sulla ferrovia Avellino-Rocchetta
    PAOLO SPERANZA

    E’ stato il 30 ottobre del 1895 che l’opinione pubblica italiana apprese nei dettagli la nascita – e l’importanza storica – della “nuova linea ferroviaria Avellino-Rocchetta Santa Venere”, come titolava l’articolo a firma di T. Corsi su “Il Secolo illustrato”.
    Fu il supplemento illustrato del “Secolo” di Milano, edito da Sonzogno, all’epoca il quotidiano più letto in Italia con oltre 115.000 copie di tiratura, ad informare i lettori del Paese sulla nuova opera di progresso tecnologico e civile che segnava una svolta storica per il Mezzogiorno interno. Un’opera che l’articolista non esitava a definire “fra le più difficili che siansi eseguite nel mezzogiorno d’Italia a tutt’oggi”.
    Il reportage era corredato da un’intera pagina di preziose illustrazioni: otto disegni da altrettante foto dello stesso Corsi, che documentavano non solo alcuni aspetti tecnici (ponti, gallerie ecc.) della colossale opera pubblica, ma anche il paesaggio naturale ed umano delle zone attraversate, ovvero gran parte dell’Irpinia e alcuni lembi della Basilicata. Un documento importante che, acquisito dall’Archivio di Cultura Contemporanea ArCCo, fondato da chi scrive, è oggi disponibile in una riproduzione a tiratura limitata, realizzata in occasione del CalitriSponzFest, che ha per tema conduttore dell’edizione 2014 “Mi sono sognato il treno”. A collaborare con ArCCo alla diffusione della pagina del “Secolo Illustrato”, finalizzata ad informare e sensibilizzare l’opinione pubblica sulla “questione ferroviaria” esistente (non da oggi) in Irpinia, sono state la Cgil irpina (la segreteria provinciale, guidata da Vincenzo Petruzziello, e la categoria Filctem, segretario Franco Fiordellisi), che da sempre è impegnata su questo tema, l’associazione “In loco motivi”, di cui è storico animatore Pietro Mitrione, la rivista “Quaderni di Cinemasud” e il Photoclub “Werner Bischof”.
    Dall’articolo del “Secolo illustrato” si percepisce inoltre, con precisione e dovizia di particolari, la portata di un’opera davvero straordinaria. Ecco i passi del reportage:
    “La linea si stacca da Avellino all’estremità verso Napoli, attraversa il fiume Sabato e dopo aver costeggiato il torrente Salzola e passati diversi valloni, si immette al km. 20 nella vallata dell’altro fiume Calore che segue ed attraversa parecchie volte.
    Da Paternopoli la linea costeggia il Calore fin quasi alla fermata di Cassano, percorre quindi la vallata dell’Avella fino ai pressi della stazione di Nusco, per la valle dell’Acquabianca raggiunge presso Sant’Angelo dei Lombardi il fiume Ofanto che costeggia ed attraversa più volte prima di arrivare a Monteverde, dopo la quale stazione la linea continua a svolgersi nella stessa vallata dell’Ofanto fino all’ingresso nella stazione di Rocchetta Santa Venere. Il raggio minimo delle frequenti curve che si trovano su tutta la linea è di metri 250 e la pendenza massima è del 25 per 1000.
    Lungo la linea si costrussero 21 stazioni e 6 fermate: i principali centri abitati sparsi sui pendii delle valli attraversate sono i seguenti: Salza Irpina, Montefalcione, Montemiletto, Taurasi (dai vini molto apprezzati), Paternopoli, Castelfranci, Montemarano, Montella (che è posta sul pendio di una collina, conta 8100 abitanti ed è capoluogo di mandamento). Così pure Sant’Angelo dei Lombardi, che è anche capoluogo di circondario, Andretta, Calitri. Debbo poi ricordare Lioni, Morra, Conza ed infine Rocchetta Santa Venere (4000 abitanti), paese steso in collina, bagnato ai confini dal torrente Calaggio e dal fiume Ofanto: il suolo vi è fertile e sparso di molti altipiani. Tutte le stazioni furono munite di apparati di sicurezza sistema Bianchi-Servettaz per la manovra degli scambi e dei semafori.
    Le gallerie costruite sulla linea furono 17, lunghe in totale m.9300, le più importanti delle quali sono quelle denominate di Montefalcione, Parolise, Lioni, Vallone oscuro, Montemiletto, lunghe rispettivamente metri 2595, 1303, 835, 756, 685 e 643.
    I manufatti speciali furono 58, di cui 26 con travate metalliche, gli altri con arcate in muratura. I ponti sul Calore sono 10; quelli sull’ Ofanto 23; e gli altri ponti e viadotti furono costruiti su valloni secondari. Si hanno inoltre sulla linea: 390 manufatti di luce inferiori a m.10; 30 chilometri di muro di sostegno e rivestimenti del corpo stradale; 12 chilometri di dighe di difesa e scogliere lungo il Calore e l’ Ofanto; 40 chilometri circa di fognature per raccogliere le acque sotterranee, ed infine uno sterminato sviluppo di cunette, cunettoni, canali, ecc., tutti in muratura, che raccolgono a monte ed a valle le acque esteriori per convogliarle fuori della linea”.
    Era per questa colossale opera di ingegneria e di progresso che si era speso per anni in Parlamento Giustino Fortunato, il meridionalista di Rionero in Vulture che giunse a minacciare l’ostruzionismo e l’occupazione dell’aula di Montecitorio, pur di ottenere – come poi avvenne – l’approvazione definitiva della nuova linea ferroviaria, la più ambiziosa tra le linee Ofantine. Tanto che, sette anni dopo, un altro importante uomo politico del Sud, Francesco Saverio Nitti, potè affermare con convinzione:
    “La costruzione delle Ofantine non è stata punto nè una buona impresa nè tanto meno un buon affare: ma è stata un grande atto di civiltà”: una lezione più che mai valida in questa fase di liberismo sfrenato e di “spending review” senza metodo e prospettiva.
    P.Speranza

  45. 85 avellinorocchetta 03/09/2021 alle 9:01 PM

    ROSSI-DORIA E LA FERROVIA PER ROCCHETTA E NAPOLI IN UN PROMEMORIA DEL 1974
    Fiorenzo Iannino

    UTILE LETTURA PER I CANDIDATI IRPINI E NON ALLE PROSSIME ELEZIONI REGIONALI IN CAMPANIA

    Durante i suoi due mandati parlamentari (fu senatore dal 1968 al 1976), Manlio Rossi-Doria si occupò più volte della linea ferroviaria Avellino-Rocchetta Sant’Antonio, quasi interamente dislocata nel suo collegio elettorale di Sant’Angelo dei Lombardi: “è opportuno ricordare che è l’unica esistente a servizio di un’area di 5000 Kmq e di una popolazione direttamente servita di 150 mila abitanti, ai quali si debbono aggiungere oltre 80 mila emigrati che spesso ritornano nei loro paesi, nonché altri 150 mila abitanti, che potrebbero raggiungere e utilizzare il trasporto ferroviario con percorsi automobilistici relativamente brevi. Essa d’altra parte, è la sola ferrovia di servizio dell’intera provincia di Avellino sia per i suoi collegamenti interni, sia per i collegamenti con Napoli-Roma, da un lato, e la Puglia, dall’altro”. Il senatore ne chiese ripetutamente il “rifacimento” strutturale, da integrare in un’organica e ben ponderata programmazione socioeconomica del territorio. Insomma, la ferrovia poteva assecondare il tanto auspicato processo di trasformazione e crescita della cosiddetta ‘terra dell’osso’ (“pur trattandosi di una zona a prevalente agricoltura montana, l’area è tra le più suscettibili di sviluppo agricolo-industriale dell’Appennino meridionale.”). Rimasto inascoltato, il primo febbraio 1974 Rossi-Doria elaborò un ‘promemoria’ dedicato allo ‘stato ed al funzionamento’ della linea, sperando di ottenere almeno una “accurata e realistica ispezione tecnica”. Il documento doveva insomma favorire un celere “programma di manutenzioni e riparazioni” oltre che di efficace riorganizzazione dei servizi. Rimasto fermo nel cassetto per quasi un anno (forse per le turbolenze politiche del tempo), fu poi inviato al ministro Mario Martinelli.

    Disservizi e rimedi
    Rossi-Doria lamentò innanzitutto “uno stato di grave deperimento, che è conseguenza della vecchiaia”: negli ottanta anni di esercizio si erano infatti registrati “ben pochi interventi manutentori e migliorativi, con il conseguente “indebolimento della solidità del tracciato e della efficienza delle rotaie in alcuni tratti, con obbligo di rallentamento delle corse”. Non a caso, il senatore segnalò la critica situazione statica delle gallerie (la chiusura temporanea di quella di Montemiletto costringeva i viaggiatori ad un fastidioso trasbordo). Di più, lamentò anche la “vecchiaia ed il pessimo stato” delle automotrici, l’eccessiva instabilità delle linee telefoniche collegate alle stazioni nonché l’abbandono pressoché totale di molti caselli e soprattutto degli scali-merci (“risulta, ad esempio, che lo scalo di Calitri- al quale fanno capo otto-dieci comuni con una popolazione di 25.000 abitantri- è chiuso, obbligando all’autotrasporto di tutte le merci in arrivo e in partenza”). Un’ulteriore nota dolente era riservata agli orari e ai movimenti: le “otto corse giornaliere sono tutte accelerate, con fermate in tutte e trenta le stazioni intermedie del percorso, con la conseguenza che per percorrere 119 chilometri si impiegano sull’orario tre ore e cinquanta minuti ma, di fatto, per i ritardi, da quattro a cinque ore. I ritardi sono normalmente non inferiori a una o due ore”. Per garantire ai viaggiatori un più proficuo servizio di “andata-ritorno in giornata” e la possibilità di collegarsi celermente con le linee pugliesi e lucane, il senatore propose non solo una più razionale organizzazione degli orari ma anche la riduzione delle fermate (da limitare alle stazioni di Calitri, Conza, Morra De Sanctis, Lioni, Nusco, Bagnoli, Montella, Castelfranci, Paternopoli, Taurasi, Montemiletto): in definitiva, “delle otto corse giornaliere, quattro potrebbero essere ‘dirette’ e quattro restare accelerate”. Rossi-Doria chiese infine di rimodulare la più complessiva rete dei collegamenti: “Problema strettamente connesso è quello del funzionamento della linea (Benevento)-Avellino-Napoli, dal quale dipende il collegamento dell’Alta Irpinia con Napoli e con Roma. Oggi la linea segue il percorso Avellino-Mercato S.Severino-Codola-Cancello-Napoli di chilometri 97, nonostante che il percorso Avellino-Codola-Nocera-Napoli risulti di 15 chilometri più breve. Ciò non basta. I 97 chilometri sono percorsi solo da treni accelerati che, senza tener conto dei sistematici ritardi, impiegano ben due ore e venti minuti. Una revisione del percorso e l’introduzione di corse ‘dirette’ dovrebbe ridurre il viaggio a poco più di un’ora. Quando, poi, sarà realizzata la programmata linea di diretto congiungimento Nocera-Roma (saltando Napoli), da Avellino dovrebbe raggiungersi Roma in poco più di tre ore”.
    Il ministro frena…
    Rispondendo il 13 gennaio 1975, il ministro Martinelli ammise che le sofferenze della linea erano destinate a perdurare: “la attuale situazione finanziaria dell’azienda F.S. non consente, purtroppo, di riservare alla rete secondaria tutti i fondi necessari per metterla in grado di assolvere nel migliore dei modi ai compiti che le sono propri”. Per completare gli interventi di stabilizzazione del terreno servivano circa due miliardi di lire: al momento, il governo prevedeva solo un intervento di graduale miglioramento al binario del tratto Montella-Nusco, che era il più vecchio e malandato dell’intera linea (per il futuro, il ministro riservava solo una labile speranza: “ti assicuro comunque che il rinnovamento dei residui 76 chilometri sarà tenuto presente nell’ambito dei provvedimenti da attuare con futuri stanziamenti”). I treni merci erano stati invece disattivati per l’esiguità dei movimenti, che al momento non rientrava nei parametri previsti dall’azienda. In fin dei conti, sembrava fattibile la sola introduzione delle quattro corse dirette, sia pur subordinata al parere degli enti locali e di servizio. Ancor più deludenti furono poi le risposte relative al raccordo con le più importanti linee dell’area interregionale: “Nella stazione di Rocchetta più comode coincidenze per Bari potrebbero realizzarsi solo con l’istituzione di nuovi treni, in quanto per le funzioni espletate da quelli esistenti non riesce possibile modificare il loro orario. All’istituzione di nuove relazioni si frappone però, al momento, la scarsa disponibilità di mezzi e di personale per cui l’esigenza prospettata sarà tenuta presente per il futuro. Per quanto riguarda infine le comunicazioni con Napoli, pur riconoscendo che l’istradamento via Codola-Nocera anziché via Cancello comporterebbe un minor percorso, occorre considerare che la linea Salerno-Napoli, interessata da un traffico assai intenso, non consente l’inserimento di altri treni. D’altra parte, nel piano di interventi straordinari, è previsto il raddoppio del tratto di linea Cancello-Nocera Superiore che renderà senz’altro più scorrevole la circolazione sul tratto stesso con evidenti benefici riflessi anche sulle relazioni tra Napoli e Avellino”. A ben vedere, l’unica nota positiva riguardava l’imminente conclusione dei lavori avviati nelle gallerie Montefalcione e Gelsa. Per il resto, pur sinceramente cortese e rispettoso verso Rossi-Doria, il ministro gli lasciava davvero poche speranze: “Ti assicuro che non mancherò di tenere presenti le esigenze segnalate affinché, anche per la linea Rocchetta S.A.-Avellino siano attuati tutti i possibili accorgimenti per rendere più efficiente l’esercizio ferroviario a servizio delle zone interessate”.
    La successiva storia della più nota ferrovia irpina oggi la conosciamo un po’ tutti. Meno nota è invece l’appassionata lungimiranza di Rossi-Doria che, pensando al futuro dell’Alta Irpinia, aveva scommesso su un più razionale rilancio della Avellino-Rocchetta.
    Corriere Irpinia

  46. 86 avellinorocchetta 11/09/2021 alle 8:39 am

    … non è propriamente la mia mano a scrivere, ma di certo è il mio cuore a dettare…
    Avvenimenti imprevedibili e fortemente indesiderati accadono e… ti travolgono verso una ‘nuova dimensione’ a cui giungi all’improvviso ma colmo di felici ricordi e per i quali vorresti aver tempo e modo di ringraziare tutti…
    … tento di farlo, certo di raggiungere ognuno di voi…
    Sinatra in My Way cantava:
    “E ora la fine è qui, e così che affronto l’ultimo sipario…”
    Fate delle vostre vite il migliore dei palcoscenici e rendete sempre gradevole lo spettacolo!
    Giambattista Assanti
    31 maggio 2021

  47. 89 avellinorocchetta 23/09/2021 alle 9:19 PM

    visioni di un futuro possibile per l’alta irpinia attraverso il recupero della tratta ferroviaria Avellino – Rocchetta Sant’Antonio
    Nell’ambito di un ragionamento complessivo di sviluppo, necessario per le terre irpine, la proposta che segue è solo un frammento di ciò che vorremmo intendere come progetto di sviluppo.
    Nata già da tempo l’attenzione nei confronti della strada ferrata Avellino-Rocchetta Sant’Antonio, sì è consolidata ed ha incontrato l’interesse di associazioni, singoli amatori, professionisti ed ultimamente anche enti.
    La storia dell’Avellino – Rocchetta si ferma quasi all’indomani della sua inaugurazione, non per un non funzionamento ma per una mancata promessa di sviluppo, per la quale era nata. Strana la sua storia, fondi investiti, gente sacrificata, grandi lavori strutturali per una infrastruttura che avrebbe dovuto rendere l’alta irpinia terra di grande sviluppo e ponte tra il tirreno e l’adriatico.
    Mai forse fu realmente investita di questo ruolo, surclassata quasi subito dal trasporto su ruote.
    Oggi si parla della strada ferrata come di un ramo secco…e il dilemma è se lasciarla lì o dismetterla e l’unico discrimine è solo, eventualmente, la convenienza o meno di una dismissione.
    Le persone che hanno potuto studiare e vivere questa tratta ferroviaria insieme a coloro che abitano i comuni attraversati dalla stessa pensano invece che sia un peccato, l’ennesimo “treno perso”, non concedere a questa ferrovia di tornare ad avere…o forse di iniziare realmente ad avere un ruolo nello sviluppo di una porzione importante della nostra provincia.
    La cartografia che ci restituisce lo studio preliminare del PTCP fa evincere facilmente la spaccatura netta della provincia in 2, il territorio che gravita attorno al capoluogo di provincia fino ai paesi di Castelvetere, Castelfranci e limitrofi da nord a sud, e tutto ciò che da questi arriva fino alle terre di Lucania e di Puglia. Questa seconda parte è fortemente carente di infrastrutture e servizi, ma potenzialmente gravida di risorse da sfruttare.
    Grandi risorse dal punto di vista paesaggistico (Parco Regionale dei Monti Picentini), naturalistico (l‘Oasi WWF di Conza della Campania), artistico-architettonico (tutti i paesi, essendo arroccati hanno facilmente conservato il loro centro storico, il castello o la chiesa madre; esistono conventi di spettacolare interesse come l‘Abbazia del Goleto, già meta di un ottimo turismo), e più generalmente culturale (consideriamo i diversi eventi enogastronomici che contraddistinguono la nostra provincia, basati sulle forti e consolidate tradizione agricole, sulle produzioni di eccellenza come quella dei vini D.O.C. e D.O.C.G. di cui questa terra è fertile madre) sono presenti assieme a poli industriali anche essi di eccellenza (la Ferrero a Sant’Angelo dei Lombardi, l’ Ema che di occupa di microfusioni aereospaziali e la GeosLab per la produzione di ricognizioni aerofotogrammetrie nel comune di Morra De Danctis, o la Desmon che si occupa a livello mondiale di refrigerazione industriale nell‘area industriale di Nusco, come la Targetti Sankey, l’HolzbauSud che si occupa di componenti in legno anche essa a livello internazionale, con tutta la filliera delle fornaci per la produzione di elementi in laterizio, nel plesso di Calitri).
    La combinazione di cultura intesa in senso lato, risorse naturali ed opportunità industriali fanno di questi luoghi i candidati ideali di progetti da sottoporre al vaglio della comunità europea come finanziabili. Progetti Integrati nell’abito di una progettazione e conservazione urbana integrata e partecipata che non è fatta di tutti quei microprogetti disgiunti gli uni dagli altri che nella passata stagione 2000-2006 hanno visto anche questa provincia bagnata da una pioggia di finanziamenti che essendo però indirizzati in modo scollato gli uni dagli altri, non essendo parti di un ragionamento complessivo non sono riusciti, benchè validi, a produrre alcun tipo di sviluppo.
    Quello che ora si chiede è un ennesimo “Fate Presto” che ricorda tanto l’indomani dell’evento sismico che sconvolse questa provincia e che molti di noi 20-30 enni non hanno vissuto propriamente ma che in maniera devastante vivono oggi…come conseguenza di errori di ieri. Questa provincia ha bisogno di una buona politica territoriale che riporti qui o almeno tenti di frenare l’emorragia violenta di generazioni giovani e meno giovani che non vedono non solo un lavoro hic et nunc, ma una speranza di vita.
    Bene, in questo ragionamento l’Avellino-Rocchetta Sant’Antonio diventa essenziale, l’intenzione del suo recupero diviene il mezzo o uno dei mezzi per il fine ultimo di un adeguato sviluppo. Ora è il tempo di questo sviluppo. Uno sviluppo, si badi bene, non consegnato solo ed esclusivamente nelle mani di una retorica valorizzazione di tradizioni agricole ed enogastronomiche e al turismo che da essa consegue, o al contrario al solo sviluppo industriale, ma in maniera integrata all’insieme di queste risorse, alla valorizzazione di quelle eccellenze già esistenti e al potenziamento di quelle che potrebbero diventare eccellenze. In questo la strada ferrata integrata con trasporti su gomma, può e deve essere la cucitura tra queste potenzialità. Si aggiunge a questo il riammagliamento della provincia alle realtà universitarie oggi raggiungibili, da queste terre, in tempi biblici o il collegamento a quella che sarà la metropolitana veloce e l’Alta velocità. Insomma ci sono tutte le condizioni perché la speranza possa efficacemente diventare progetto e questo realizzazione di sviluppo, se un’accorta politica riesce a ricevere gli imput che questa terra cerca di inviare.
    Da qui cominciamo per step a rivitalizzare quella parte di progetto, quel mezzo importante che è la ferrovia che da Avellino, città capoluogo, attraversando l’intero presepe irpino giunge in quel di Rocchetta Sant’Antonio. Attualmente le corse sono limitatissime, il primo treno parte da Avellino alle 6:40 del mattino e ci impiega circa un’ora e mezzo per giungere a Rocchetta, ha poi poche altre corse durante la giornata che non riescono ad essere competitive rispetto ai trasporti privati su gomma che compiono esattamente lo stesso tragitto, visto che costeggiano la ferrovia in quasi tutta la sua tratta. Il sabato le corse sono quasi dimezzate e la domenica così come in tutti i festivi e nel periodo estivo è completamente sospesa(esiste il treno che partendo da Avellino arriva a Rocchetta, ma non compie nessuna fermata durante il tragitto)…non cercando neanche di essere competitiva in quei momenti in cui un turista, potendo, decide di visitare queste terre. Il progetto a cui aspiriamo è più grande e complesso ma già cominciare a fornire un servizio alternativo, ecologico ed economico al turismo avellinese è un inizio importante.
    L’idea è quella di :
    ripristinare la tratta Lioni-Calitri (il treno nella stazione di Calitri-Pescopagano non fa fermata);
    aumentare il numero delle corse il sabato favorendo l’utilizzo del treno a tutti quei turisti che visitano i paesi dell’alta irpinia come Bagnoli Irpino ed il Laceno, magari in comunione con i comuni stessi, mettendo a disposizione anche un servizio di navetta che porti i passeggeri dalla stazione, spesso a valle dei paesi, fino al paese stesso);
    Ripristinare il treno della domenica in prima battuta per poi giungere al ripristino delle corse durante tutta l’estate ed i festivi.
    Questo è solo un piccolo passo. Attorno a questa proposta, benchè piccola e limitata, potrebbero nascerne altre complementari per un servizio turistico più complessivo. Si potrebbe pensare di organizzare assieme ad alcuni comuni della tratta, alle pro-loco dei comuni stessi, in collaborazione con i punti di ristoro, coadiuvati da servizi navetta, un tour in 2 giornate che preveda la visita ai centri storici, alle abbazie, presso le aziende vitivinicole di eccellenza, pernottando alla fine della tratta presso i Bed&breakfast esistenti a Calitri.
    Tutto questo va sicuramente concertato con gli enti comunali, con i quali si auspica a breve un incontro che possa essere proficuo nell’interesse di chi ama questo territorio e di chi in questo territorio vive e lavora.
    Valentina Corvigno……22 settembre 2009

  48. 91 avellinorocchetta 26/09/2021 alle 9:00 PM

    origine scartamento ferroviario
    Lo scartamento ferroviario standard degli Stati Uniti (distanza tra le rotaie) è di 4 piedi e 8,5 pollici. È un numero estremamente dispari.
    Perché è stato usato quel calibro?
    Beh, perché è così che le hanno costruite in Inghilterra, e gli ingegneri inglesi hanno progettato anche le prime ferrovie statunitensi.
    E Perché gli inglesi le hanno costruite così? Perché le prime linee ferroviarie sono state costruite dalle stesse persone che hanno costruito le carrozze tranviarie, e questo è lo scartamento che hanno usato.
    E allora, perché “loro” usavano quella misura? Perché le persone che costruivano i tram usavano le stesse maschere e strumenti che avevano usato per costruire i carri, che usavano la stessa distanza tra le ruote.
    E perché i carri avevano quella particolare distanza tra le ruote?
    Ebbene, se avessero provato a usare qualsiasi altra distanza, le ruote dei carri si sarebbero rotte più spesso su alcune delle vecchie strade a lunga distanza in Inghilterra poiché questa è la distanza tra i solchi scavati dalle ruote.
    E allora chi ha costruito quelle vecchie strade piene di solchi?
    La Roma Imperiale costruì le prime strade a lunga distanza in Europa (compresa l’Inghilterra) per le sue legioni. Quelle strade sono state utilizzate da allora.
    E per quanto riguarda i solchi nelle strade? I carri da guerra romani formarono i solchi iniziali, che tutti gli altri dovevano eguagliare o correre il rischio di distruggere le ruote dei loro carri. Poiché i carri erano fatti per la Roma imperiale, erano tutti uguali per quanto riguarda la distanza tra le ruote. Pertanto lo scartamento standard della ferrovia degli Stati Uniti di 4 piedi e 8,5 pollici è derivato dalle specifiche originali per un carro da guerra romano imperiale. Le burocrazie vivono per sempre.
    Quindi la prossima volta che ti viene consegnata una specifica/procedura/processo e ti chiedi “Che culo di cavallo ha inventato questo?”, potresti avere esattamente ragione. I carri dell’esercito imperiale romano furono fatti appena abbastanza larghi da ospitare le estremità posteriori di due cavalli da guerra (due culi di cavalli).
    Ora, la svolta alla storia: quando vedi uno Space Shuttle seduto sulla sua rampa di lancio, ci sono due grandi razzi booster attaccati ai lati del serbatoio del carburante principale. Questi sono booster a combustibile solido, o SRB. Gli SRB sono realizzati da Thiokol nella loro fabbrica nello Utah. Gli ingegneri che hanno progettato gli SRB avrebbero preferito renderli un po’ più “ciccioni”, ma gli SRB dovevano essere spediti in treno dalla fabbrica al sito di lancio. La linea ferroviaria della fabbrica passa attraverso un tunnel in montagna e gli SRB hanno dovuto passare attraverso quel tunnel. Il tunnel è leggermente più largo del binario della ferrovia, e il binario della ferrovia, come ora sapete, è largo circa quanto il sedere di due cavalli.
    Quindi, una delle principali caratteristiche del design dello Space Shuttle, di quello che è probabilmente il sistema di trasporto più avanzato del mondo, è stata determinata oltre duemila anni fa dalla larghezza del culo di un cavallo. E pensavi che essere il culo di un cavallo non fosse importante? Gli antichi culi dei cavalli controllano quasi tutto……
    Thanks to Fabrizio Leo

  49. 92 avellinorocchetta 27/09/2021 alle 9:16 PM

    Nusco, 13 giugno 1940
    incidente ferroviario

    Nel pomeriggio di ieri, 13 giugno, ho percorso a piedi e lungo la massicciata, la tratta ferroviaria che separa il Casello FF.SS. di Campo di Nusco dalla Stazione FF.SS. di Nusco in località Vado Della Creta alla ricerca del punto esatto ove, ottant’anni fa, avvenne un tragico sinistro ferroviario nel quale persero la vita tre operai ferrovieri nuscani e rimase gravemente ferito un altro operaio della vicina cittadina di Lioni.
    Non sono riuscito a trovare nulla, non un cippo ne’ una targa che ricordasse i caduti sul lavoro e indicasse il luogo esatto del sinistro ma la cosa che maggiormente mi è dispiaciuta è stata di dover constatare che diverse persone alle quali ho chiesto di indicarmi il luogo del sinistro non avevano alcuna conoscenza del sinistro mentre altri ne avevano sentito parlare ma non sapevano più di tanto.
    Sono trascorsi 80 anni, non lasciamo cadere nel vuoto il loro ricordo, la morte dei tre ferrovieri deceduti durante la loro attività di servizio, possiamo farlo ancora.
    Un comitato di Cittadini nuscani, magari supportati da rappresentanti dell’Amministrazione comunale potrebbe rendersi parte attiva e promuovere l’installazione di una targa o di un cippo presso la località teatro del sinistro, a ricordo dei tre ferrovieri nuscani deceduti durante la loro attività di servizio: Carmine Delli Gatti di anni 41, Pasquale Caprariello di anni 51, Angelo Maria Donato di anni 38.
    Proprio dalle pagine di questo sito voglio lanciare un appello a porre in essere quanto possibile per lasciare traccia di questa memoria che è andata quasi definitivamente perduta.
    Il tema delle morti sul lavoro resta ancora drammaticamente attuale ed è doveroso non dimenticare quanto avvenuto in passato ai nostri tre concittadini.
    Possiamo anche far finta di pensare che la morte dei nostri tre ferrovieri non c’entri nulla con l’escalation delle morti sul lavoro registrate in Italia negli ultimi tre anni, che sia il destino cinico e baro a portarci via mille e rotti persone all’anno.
    Possiamo pure crederlo, ma non è così. Quei morti sono la nostra zona d’ombra, un pezzettino della nostra coscienza sporca di cittadini e consumatori, quella che abita il nostro stesso Paese. Quei morti sono i costi bassi delle case che abitiamo, sono i pomodori con lo sconto del 30% al supermercato, sono il gadget tecnologico comprato online che arriva dopo un giorno dall’ordine, sono il made in Italy che esportiamo nel mondo, di cui ci riempiamo la bocca.
    Chiunque sia al governo, dovrebbe farsi carico di tutto questo e chiedere a se stesso l’ambizione di fare dell’Italia un Paese in cui nessuno muore mentre lavora. Garantendo sanzioni più severe, controlli più stringenti e magari pure incentivi per chi rispetta le regole e tutela il suo capitale umano. Banalmente, che non faccia finta di dimenticarsi del problema. Che dite, ci proviamo?

    In questa pagina pubblico le sole informazioni anagrafiche dei ferrovieri caduti; mi riprometto, successivamente, di pubblicare anche la cronaca del sinistro come trasmessa verbalmente; doveroso e bello sarebbe ricostruire le loro storie e reperire sui giornali dell’epoca la cronaca circostanziata dell’avvenimento e, quindi, in futuro, pubblicarle.
    Erano padri di famiglia, lavoratori con degli affetti, una moglie, dei figli, che la mattina sono usciti per andare al lavoro e poi non sono più tornati a casa.

    Questo ricordo non dovrebbe essere un freddo database di numeri, ma una sequenza di nomi e cognomi, di brevi ricostruzioni, piccoli frammenti delle loro vite per raccontare chi fossero le persone che non ci sono più.

    A volte, come nel nostro caso e come ho verificato, nemmeno si conoscono i nomi di chi è morto e la circostanza. Ma anche loro hanno delle storie, degli affetti e delle famiglie che hanno perso un proprio caro, è giusto che venga ricordato.

    13 GIUGNO 1940

    INCIDENTE FERROVIARIO SULLA TRATTA FERROVIARIA COMPRESA TRA IL CASELLO FF.SS. – località campo di Nusco – E LA STAZIONE FF.SS. DI NUSCO.

    Scontro frontale tra un carrello ferroviario di servizio con a bordo nr. 4 operai – dei quali 3 nuscani – che percorreva la tratta in direzione Campo Nusco – Stazione Nusco e un treno che viaggiava in direzione opposta.

    DECEDUTI a causa del sinistro:
     Delli Gatti Carmine, nato a Nusco il dì 8.12.1899
     pt. Raffaele – mt. Lombardi Giovita
     Coniugato Pepe Angiola,
     residente in Nusco alla c.da S. Martino, n. 29
     deceduto il 14 giugno 1940, ore 02.05, ad Avellino presso l’Ospedale Civile ove era stato ricoverato a causa delle ferite riportate nel sinistro. Atto di morte n.3 P.II Serie C
    * INFO: figlio Stefano – Vado Della Creta, 5

     Caprariello Pasquale, nato a Nusco il 16 maggio 1889
     pt. Nunzio – mt. Rullo Maria Teresa
     Coniugato Scotti Rosa,
     residente in Nusco alla c.da Chianole, 36
     deceduto il 13 giugno 1940 sul luogo del sinistro a causa delle ferite riportate nel sinistro. Atto n. 2 P. II Serie B .
    * INFO: figlia Teresa – cng. Della Sala – c.da Chianola,3

     Pasquale Angelo Maria Donato , nato a Nusco il dì 11 aprile 1902
     pt. Giuseppe – mt. Spiniello Giovanna
     Coniugato Rullo Filomena,
     residente in Nusco alla c.da Campo, 38
     deceduto il 13 giugno 1940 a Nusco – propria abitazione alle ore 21.30 – a causa delle ferite riportate nel sinistro. Atto n.40 P. I
    * INFO: sorella Rosina vedova Rullo Amato – c.da Campo,14

    FERITI – Capo squadra operai di Lioni – ??? –

  50. 94 avellinorocchetta 12/10/2021 alle 10:07 PM


    IL circolo del viaggiatore
    ponte principe

  51. 95 avellinorocchetta 01/11/2021 alle 4:55 PM

    Antonio Camuso

    Nell’articolo dedicato a Scipione Capone, in questo numero de il Monte vi è la testimonianza del suo autorevole contributo affinchè la ferrovia Rocchetta Avellino percorresse l’Alta Valle del Calore, ma anche come a sostenere quella richiesta, presidiando il Consiglio Provinciale di Avellino, quasi un secolo e mezzo fa, ci fossero 200 montellesi muniti delle loro famose “piroccole”.

    Un rapporto di amore e rabbia, di speranze e sogni infranti, di tante lacrime e pochi sofferti sorrisi, è quello vissuto dagli uomini e le donne di questo territorio con la storica ferrovia inaugurata nel 1895 e chiusa, per una presunta non-economicità, nel 2010. Oggi, grazie a pochi ma ostinati volenterosi, e tra essi l’amico Pietro Mitrione, la Rocchetta-Avellino è stata inserita tra le ferrovie storiche, auspicando che essa sia elemento di rilancio del turismo nei paesi-presepe della verde Irpinia, e fonte di speranza per i giovani che non vogliono abbandonarli.

    Una ferrovia cui sono legati i miei più cari ricordi d’infanzia e in particolare le estati trascorse a Montella, quando la nostra grande famiglia si ritrovava riunita al cospetto del suo patriarca, mio nonno Generoso Camuso. Sono nato il 31 luglio del 1953 e il festeggiamento del mio compleanno era l’occasione per l’annuale riunione della famiglia Camuso, della Cisterna: in quel giorno figli, nuore, generi, nipoti, provenienti dai luoghi ove il destino o meglio il bisogno e la voglia di riscatto da un’umile condizione li aveva dispersi, si ritrovavano in una Babele di lingue e dialetti.

    L’Italia degli anni ’50 soffriva ancora per la guerra voluta dal fascismo, e il Meridione pagava maggiormente le spese tra stagnazione e bassi salari; anche chi come mio padre, il montellese Camuso Luigi “Gino”, sottufficiale della Marina Militare, aveva il “privilegio” di un salario fisso, era costretto a far i salti mortali per tirare avanti una famiglia, a Brindisi, con due figli piccoli frequentanti un asilo privato, e due anziani genitori residenti a Montella da sostenere economicamente. Abitavamo in una piccola casa rurale, a qualche chilometro da Brindisi e distante un centinaio di metri dalla Polveriera Cillarese, coperta da segreto NATO, dove mio padre svolgeva servizio da artificiere.

    L’unico mezzo di locomozione a nostra disposizione era la bicicletta ed essa svolgeva un ruolo determinante affinchè d’estate potessimo recarci a Montella. Il viaggio iniziava quando ancora il sole non si era levato sull’Adriatico e, insonnoliti, io e mia sorella Angela prendevamo posto a cavalcioni dei portapacchi delle biciclette di mio padre e mia madre, mentre sulla canna e sui manubri erano poste valigia e borse da viaggio. Lungo la strada, un acciottolato che congiungeva la periferia di Brindisi alla Polveriera, s’incontravano i traìni tirati da possenti cavalli di razza brindisina selezionati per i pesanti lavori di campagna quali l’aratura e il trasporto delle botti colme di uva durante la vendemmia. Giunti in stazione, le biciclette erano posteggiate tra quelle dei lavoratori dello scalo ferroviario, sicuri che venti giorni dopo si sarebbero ritrovate, intatte…

    Ad attenderci sui binari una sbuffante locomotiva a carbone in testa al convoglio 1812 delle FFSS, accellerato di prima, seconda e terza classe delle 04.30 che sarebbe giunto a Bari dopo circa due ore, alle 07.20, dopo un percorso di 110 chilometri e sedici fermate intermedie. Per noi bambini nonostante la scomodità dei sedili di legno autarchici, ideati prima della Seconda Guerra Mondiale, una volta saliti, scompariva ogni insonnolimento e sgranavamo gli occhi nell’ammirare dal finestrino alla velocità di un Bartali, il paesaggio pugliese, ricco di vigneti, ulivi, muretti a secco, intercalati da filari di fichi d’India, mentre negli scompartimenti si alternava l’umanità più varia: dai braccianti che scendevano alle stazioni intermedie, agli impiegati e operai diretti al capoluogo di regione. Giunti a Bari si aveva il tempo di prender posto sul diretto 153 con partenza alle 0822 e arrivo previsto a Foggia alle 10.22, giusto in tempo per prendere la coincidenza, su un binario tronco, per il convoglio A205, munito di automotrice diesel in partenza per Potenza alle 10,32 e tappa intermedia a Rocchetta Sant’Antonio.

    Preso posto su quel treno, l’atmosfera per noi bambini diveniva elettrica, poiché già sentivamo prossima Montella, nonostante che fossimo a metà del percorso e mio padre, per farci star tranquilli, iniziava a elencarci i luoghi dove ci avrebbe portato: al fiume, sotto San Francesco, a pescare trote o anguille e in montagna tra i boschi. Il paesaggio nel frattempo cambiava e il verde di uliveti e vigneti era sostituito dal giallo dei campi di grano calcinati dal sole .

    Giungevamo alle 11.27 a Rocchetta Sant’Antonio dove attendevamo l’arrivo dell’inconfondibile Littorina del convoglio A327 con orario di partenza per Avellino alle 12.00. Quella mezz’ora di attesa mio padre la dedicava per discorrere con il capostazione di Rocchetta e un suo collaboratore, vecchie amicizie, con le quali aveva condiviso l’amore per la pesca nel vicino fiume Ofanto. Li aveva conosciuti giovanissimo, prima della guerra, quando si spostava su quella linea per lavorare insieme al fratello Antonio Camuso, per il taglio e il trasporto del legname per conto dei Marinari. Spesso rimaneva loro ospite e durante la notte andava, insieme ai loro figli a pescare nelle anse dell’Ofante, attraendo i pesci con la lampada di segnalazione delle ferrovie.

    La Littorina mi affascinava per quella sua linea aerodinamica e, forse, essa ha contribuito a stimolare in me la passione per tutto ciò che vola e spingermi a lavorare per 40 anni nel settore del traffico aereo. Quell’ora e 40’ di viaggio che ci separava da Montella la trascorrevamo io e mio padre con il naso fuori dal finestrino, tra i rimproveri di mia madre, giacché già il mio viso era stato abbondantemente cosparso di nerofumo dalla locomotiva alimentata a carbone del treno preso a Brindisi. I nomi delle stazioni che precedevano Montella li imparai ben presto a memoria, come a memoria mio padre conosceva i nomi dei casellanti: di ognuno ricordava i nomi dei figli maschi che erano partiti in guerra, quelli caduti e quelli tornati, ma anche, con un pizzico di gelosia da parte di mia madre, delle loro figlie cui lui, insieme ad altri montellesi e cassanesi aveva fatto la corte da ragazzo.

    Quelle stazioncine fiorite e i caselli con nel retro l’orto dove spuntavano galline e caprette e dove vedevi a seccare al sole larghe foglie di tabacco, per me erano un’esplosione di colori ma anche di sensazioni che ancor oggi mi fanno pensare a un mondo perduto, dove l’innocenza, l’umanità si riconosceva dalla modestia, al limite della miseria in cui si viveva allora. Tra Calitri e Cairano la littorina, sino allora colma di emigranti in ferie, si svuotava di pacchi pieni di oggetti acquistati in Germania, in Svizzera o nel Nord Italia ed introvabili in quei paesi cui Carlo Levi avrebbe potuto scrivere mille altri “Cristo si è fermato a Eboli”.

    Gli ultimi chilometri. prima che Montella apparisse dietro il “curvone”, li dedicavamo alla visione del verde dei boschi e all’apparire delle montagne, col SS. Salvatore che sembrava ci aspettasse a braccia aperte, ricordandoci di non mancare di dedicare a lui una giornata nel visitarlo.

    Quando per motivi di servizio, a mio padre non era concessa la licenza estiva, questo viaggio si faceva in concomitanza della stagione delle castagne, o durante le feste natalizie ed allora, a farci compagnia su quella Littorina, altri personaggi mi avrebbero affascinato, che sembravano tratti dai racconti di mia nonna Carbone Angelina su briganti e storie di transumanza. Erano anziani pastori e contadini, intabarrati con mantelli a ruota e pantaloni di fustagno e il cui suono delle scarpe chiodate ne annunciava l’arrivo. Si sedevano silenziosi, in un angolo fumando la pipa o talvolta un sigaro, così come faceva la sera mio nonno Generoso accanto al focolare. Visi dalle mille rughe, con la pelle asciugata dal sole e dal gelo della neve , ma trapelanti un grande senso di dignità di uomini liberi.

    Quando i miei figli son stati in grado di viaggiare, nonostante che possedessi un’auto, ho voluto far conoscere loro per la prima volta Montella, viaggiando in treno seguendo quell’itinerario a me familiare. Di questa scelta loro me ne sono grati, così come io sono grato ad uomini come Scipione Capone che volle quella ferrovia ed anche a quei 200 montellesi e le loro piroccole che lo sostennero oltre un secolo fa in questa battaglia…forse di essi/e ancora ce n’è bisogno.

  52. 96 avellinorocchetta 01/11/2021 alle 5:02 PM

    ” grr.. gr…e’ in partenza dal binario 3 il treno turistico per Bagnoli… gruh gr”

    Sabato 31 e domenica 1 novembre 2010, dopo anni di silenzio sulle rotaie e di deserto nelle stazioni, è ripartito un treno festivo e pre-festivo, sulla coinvolgente (paesaggisticamente parlando) linea ferroviaria della Avellino-Rocchhetta Sant’Antonio, inaugurata nel 1895. E che solca valli, canaloni, montagne di quella Irpinia più intrisa di valori naturalistici ed ambientali, oltre che agricoli, ma anche di triste svuotamento dei borghi e delle campagne.

    Ci sarà dal 13 dicembre e fino al 30 giugno nell’orario ufficiale di TreniTalia, che ne ha addirittura data ampia evidenza sul suo sito ufficiale. Un pò mi sono emozionato, quando domenica , ad esempio, alle 8,30 dagli altoparlanti della stazione di Avellino si annunciava ” ….è in partenza dal binario 3 il treno turistico per Bagnoli ..”. Ed è stata una carica di fiducia, vedere la faccia del capotreno, a Bagnoli Irpino, alle 18,30 della stessa domenica, in una stazione malandata ed abbondonata, vedere 115 persone che salivano sulle due carrozze riempendole con bambini festanti, anziani loquaci, giovani sorridenti (sì pure una quindicina di ragazzi , che non hanno detto : “.. eh sì mò ci svegliamo alle otto per prendere un treno.”).

    Il treno porta con sé la magia dell’eterno partire, dell’eterno andare, della necessità di vedere sempre altri luoghi, la magia dell’attesa di come si svolgerà un ‘ora della tua vita una volta a destinazione.

    La forza delle idee e della passione, si è tramutata in una azione concreta di progetto, programmazione, previsione, che ha accumunato persone speciali. Si, donne ed uomini speciali per questa Irpinia, che credono in un modo altro, di stare al mondo e di stare in questo paesaggio, in questa Irpinia. Pietro, Agostino, Mimma, Giovanni, PaolaMaria, Flaviano, Fiorella, Valentina sono persone che ci hanno creduto in un progetto, che hanno lavorato in una rete costruita anche grazie alla potenza del web. Ecco senza finanziamenti pubblici, ma valutando la disponibilità a pagare di quanti non vogliono stare beceramente inermi davanti alla tv, il treno si è di nuovo riempito. Certo i tempi mutano, cambiano le sensibilità, i livelli dirigenziali dell’ACAM e della Regione Campania, sanno cosa vuol dire ad esempio “Slow mobility” , e decidono di riconfigurare orari e tempi dei treni regionali, nel contratto con TreniItalia, anche rimettendoci, da un punto di vista prettamente economico. Ma la qualità della vita e la ricchezza di un territorio, ormai si è capito mica si misura solo in termini di PIL.

    2011

  53. 98 avellinorocchetta 13/11/2021 alle 9:45 PM

    Ai miei nonni, Giuseppe e Dora,
    che vivono ancora nei ricordi e nelle parole.
    EST LOCUS
    Fissò il fondo della bottiglia ancora per qualche secondo. Vuota, completamente. Ma la pupilla non volle staccarsi, imprigionata in quel caleidoscopio color verde brillante, fino a poco prima reso più scuro dal vino corposo dell’annata precedente. Il mondo sembrava migliore, così: verde come la speranza, come le gemme dell’albero di amarene nel cortile della parrocchia, come il manto di cui si ricopre il profilo del monte che si staglia, guardiano, sulla valle. Si chiese se una montagna dovesse essere necessariamente capita, scomposta, ridotta a forme semplici, familiari: perché illudersi? C’era chi vedeva un gigante addormentato, chi una donna distesa, chi vi leggeva intere frasi. Giuseppe vedeva solo una montagna. Anzi, vedeva la Montagna Vergine, col suo profilo arrotondato e gentile, così dolcemente eroso e smussato da far scoppiare a ridere chi fosse abituato alla vista del Monte Bianco o delle Dolomiti. E poi, perché “Vergine”? Forse perché era uno dei pochi luoghi intatti, neanche i barbari sarebbero stati in grado di martoriare quella Madonna sacra, quell’Olimpo. Si rese conto che quei ragionamenti all’apparenza collegati l’uno all’altro da fili sottili, connessioni quasi inesistenti, dovevano essere l’effetto del vino. “Invecchiato con classe, se una bottiglia ti fa’ filosofo, due ti fanno premio Nobel?” pensò, passandosi la mano sulla fronte “Invecchiato bene, a differenza mia”. Settanta primavere, una guerra, due terremoti, un’istruzione fatta di omelie e libri presi in biblioteca mai più restituiti, una pensione residuo di un impiego alle ferrovie dello Stato, un matrimonio finito troppo presto. Ed, ultimamente, s’era aggiunto il desiderio di bere più vino che acqua, di trasformare il sangue in mosto, ‘ché il colore era su per giù lo stesso. Non era blasfemia né tantomeno alcolismo, solo voglia di non farsi pesare quei settant’anni portati male e di stordirsi un po’. Di sentirsi, dopo una bottiglia mandata giù, un po’ poeta, un po’ artista, un po’ rivoluzionario e partigiano.
    Aveva lo sguardo inchiodato in un punto indefinito del soffitto da quasi due ore. La notte gli sembrava scorrere lentamente, più che altro gocciolare seguendo il ritmo della perdita delle tubature arrugginite. Il vuoto accanto a sé, quella notte, gli pareva incolmabile più del solito: dormire con le braccia e le gambe divaricate rendeva la situazione pietosa, se non ridicola.
    “È in queste notti afose che mi manca sentire il tuo respiro, quel leggero fischio che provocava l’aria entrando nel tuo naso all’insù, mi manca il tuo braccio che, mentre sognavi, arrivava fin sopra al mio cuscino e la tua mano raggiungeva la mia bocca, impedendomi di dormire. Da quando ho perso tutto questo, coricarmi senza un goccio di vino è diventato impossibile. È paradossale, sembra che quella dannata ambrosia mondana abbia colmato il vuoto. Ma che cosa potrei fare? Lo so, in realtà. Il mio cuore malandato me lo sta sussurrando all’orecchio da un po’…”
    Aprì l’armadio, inspirò il profumo di quei fiori secchi che LEI era solita utilizzare per allontanare i tarli: non aveva mai avuto il coraggio di rimuoverli. Non volle neanche sfiorare la custodia contenente l’abito che, in quella lontana e sbiadita data di quasi cinquant’anni prima, aveva avvolto il corpo non ancora maturo della donna che aveva amato tanto intensamente quanto brevemente; rovistò in un cassetto, alla ricerca della sua vecchia e scolorita divisa da lavoro color grigio fumo, impreziosita da bottoni d’ottone. Si infilò la giacca, abbottonandola fino alla terzultima asola, come suo solito. Aprì una scatola cilindrica, a fiori, in cui Dora teneva i cappellini ed i foulard che indossava quando, le domeniche d’autunno, andavano a messa. Ora accoglieva il suo berretto da capotreno, orgoglioso impiegato delle ferrovie di Stato. Lo indossò ed uscì, senza neanche curarsi di spegnere il ventilatore. L’unica cosa che portò con sé fu il fiaschetto di vino rosso che aveva appoggiato sul comodino.
    Era diventato nottambulo da qualche tempo. Ormai non ricordava nemmeno come ci si sentisse dopo una bella dormita, il sapore della bocca impastata e secca di prima mattina. Attraversò a passo cadenzato il vialone deserto, puntellato dalla luce intermittente e giallognola dei lampioni, attorno ai quali si radunavano nugoli di moscerini e zanzare: segno che mancava poco all’alba. La vecchia stazione ferroviaria pareva un veterano di guerra, i murales cicatrici, gli orologi medaglie al valore. Aveva sempre immaginato la rete ferroviaria come un corpo umano: se una misera, singola parte smette di funzionare, il resto finisce in cancrena. Se l’orologio della stazione si fermasse, se non venissero più stampati i biglietti, se il fischio non precedesse la partenza, allora tutto si fermerebbe inesorabilmente. Era un’interpretazione che gli piaceva. Arrivato davanti all’entrata, frugò nella tasca dell’uniforme, che lo rendeva un ingranaggio importante e vitale dell’immenso sistema che aveva dinnanzi. Tirò fuori un mazzo di chiavi incrostato, arrugginito: era da molto tempo che non ripeteva quel gesto meccanico, allora gli sembrò un momento sospeso, un’istante infinito. La chiave girava nella toppa con una certa difficoltà, opponendo resistenza, ma l’unicità di quell’attimo stava proprio nel suo essersi ripresentato dopo anni apparentemente identico. Quando gli sarebbe ricapitato di aprire la stazione alle sei di mattina, con una chiave annerita e impolverata? Quando finalmente la estrasse dalla serratura ed abbassò la maniglia, una ventata d’aria calda ed acre lo investì. La stazione era chiusa ormai da anni: dopo il suo pensionamento, aveva resistito poco. In un certo senso, questa coincidenza astrale lo riempiva di orgoglio: era morta insieme ai suoi anni migliori. Stringeva nella sinistra sudata il collo del fiaschetto, al cui interno il vino doveva essersi riscaldato tanto da risultare quasi imbevibile. Ma che gli importava, dopotutto. Sul pavimento polveroso giacevano ancora biglietti, mozziconi di sigarette, gomme da masticare rinsecchite di ogni colore. C’è ancora bellezza negli oggetti quotidiani caduti in disuso, pensava. Arrivò alla banchina, solcando un mare di polvere e sperando di evitare i ricordi con passo veloce: gli occhi stanchi gli si inumidirono quando vide il suo fido compagno abbandonato, sporco, invaso da edera e sterpi, ormai i suoi unici passeggeri. Caduto in battaglia, aveva patito la solitudine per troppo tempo senza che qualcuno facesse scorrere le ruote sui binari, sfregare il metallo e produrre quel suono stridulo, rassicurante per alcuni, presagio di un imminente addio per altri. La cosa che l’aveva sempre reso orgoglioso era osservare i pendolari, i ventenni che partivano per il servizio militare guardare con tenerezza negli occhi mesti delle mogli o delle fidanzate, durante quei secondi sospesi che precedevano baci appassionati, poco prima di vederli voltarsi con amarezza, come se con uno sguardo compassionevole, con una preghiera si potesse fermare il tempo. Rompere quel momento fischiando era delirio d’onnipotenza ed al contempo senso di colpa. Chissà che cosa si provava a stare dall’altra parte, ad avere cinque minuti o meno per dire alla propria donna che la si ama, che si sentirà la sua mancanza… Che sapore avrebbe quell’ultimo bacio, quelle lacrime salate? Non lo aveva mai provato. Lei se n’era andata senza prendere un treno, senza baci e senza parole sussurrate, mentre lui ascoltava gli addii degli altri.
    “Vecchio amico” accarezzò la fiancata rugginosa e vandalizzata del vagone “come ti hanno ridotto ‘sti pepi”. Con una certa difficoltà, forzò il portellone della locomotiva con la stessa reverenza di un sepolcro. L’edera aveva ormai avvolto i comandi, pochi bottoni e leve erano scampati alle sue spire. Eppure non aveva perso fascino. Il sole stava per sorgere, i suoi occhi per chiudersi. Stappò il fiaschetto, portandolo al naso per respirarne l’essenza acidula. Si attaccò alla bottiglia e bevve tutto d’un fiato, dovette restare in apnea e riprendere aria, tossendo e boccheggiando. Ma sentiva la vita scorrere lungo il suo esofago insieme al vino e depositarsi nello stomaco. Non distingueva forme e contorni netti. Riuscì a posizionarsi dove l’edera sembrava avergli lasciato spazio appositamente. Guardò i binari, investiti dalla luce dell’alba. “Vecchia gloria, andiamo a fare un giro? No, non posso guidare… Che importa, la stazione è disabitata. Fischi ancora come trent’anni fa?” allungò la mano, tastando l’aria alla ricerca del fischietto, ma la vista offuscata glielo impedì. “Portami a casa”, sussurrò al metallo. Si accasciò a terra con un tonfo sordo ed indolore, preso in ostaggio da Morfeo.
    Percepì un ronzio ovattato ed indistinto che disturbava le orecchie. L’abitacolo era vuoto. Si stropicciò gli occhi. La banchina non fiatava, deserta, il treno ancora arrugginito ed ancorato al suolo dai rampicanti. Ebbe un guizzo. Afferrò la catenella e la tirò con vigore: un fischio lungo ed un po’ soffocato squarciò il silenzio delle prime luci del mattino. Assaporò gli ultimi istanti prima che il suono svanisse e l’aria smettesse di vibrare. Funzionava. Non s’era mai fermato, l’aveva semplicemente aspettato. Fino ad allora. Avviò il motore, lasciando che le mani scorressero sul pannello. Percepì il sussulto della locomotiva. Camminava. Lentamente, strappando quelle catene verdeggianti e contro ogni logica, la locomotiva, staccatasi dai vagoni, scivolava sulle rotaie come se non si fosse mai fermata, come se stesse assaporando quel momento di bramata libertà.
    Rideva. Come un ragazzino, sgravato dal peso di quelle settanta non-vite, quasi fosse il suo primo giorno di lavoro, quando aveva timidamente preso le redini di quel destriero metallico. Le rughe sembravano distendersi, il sorriso spento da anni tornò, come dopo un’eclissi, ad illuminargli il volto. “Dora! Dora! Voglio tornare da lei! Portami da Dora, andiamo da Dora!” lo gridò con la stessa euforia con cui l’aveva chiamata, tremante, con l’anello in mano ed il cuore in gola. Udì ancora un volta quel brusìo, ma non ne fu turbato, anzi, era caldo e rassicurante.
    Tirò il freno, attivando il deviatoio, quasi per inerzia, si lasciò guidare. “Miracolo,” continuava a ripetersi “è un miracolo!”.
    CALITRI – MONTEVERDE
    Il primo incontro. Ne era passato di tempo… Attraversando campi biondi, canali quasi prosciugati, viuzze tortuose e immerse nel verde, arrivò a Calitri. Lì, dove l’aveva rapito ed affascinato, appena ragazzino, quando puzzava ancora di sudore e di impertinenza. Il paese sembrava deserto, aleggiava un’aria inquietante. Il sole del primo mattino proiettava le ombre poco definite delle pietre fredde che componevano la piazza. Quella piazza. Come si ricordano i dettagli di un evento guardando una vecchia foto, le immagini di quella lontana sera di Maggio riemersero dalle pieghe della sua memoria. Doveva essere il venticinque o giù di lì. Sì, lo era. Perché scorrazzava a piedi nudi con la sua banda di giovinastri fannulloni, andando a zonzo a burlarsi del paese. Quella limpida sera di primavera, per la festa di San Canio, avevano ideato uno scherzo che li avrebbe resi eroi agli occhi dei più piccoli, farabutti a quelli degli anziani. Avevano sfilato una vecchia calza rossa dal baule della nonna di Checco, il più grande del gruppo. Gliela avevano infilata in testa, coprendogli i capelli: essendo il più esile, sembrava perfetto per interpretare lo Scazzamauriello, il dispettoso folletto che quanto più si rimpicciolisce, tanto diventa pesante. Rapito un cardellino domestico per simulare la metamorfosi, avevano adocchiato, durante la processione, un gruppo di ragazzine, con le gonne lunghe e ricamate, i capelli raccolti ed ordinati: gli pareva di non averle mai viste, quindi sembrarono bersagli perfetti. Nascosto dietro un muretto, durante la processione, aveva lasciato che il cardellino volasse tra le signorine: s’era avvicinato alla spalla di una di loro e, nascosto tra i fedeli in preghiera, aveva sussurrato: “Bella vagliuncella, se mi appoggio alla tua spalla, stai certa che ti faccio cadere! Sono Scazzamauriegghje e peso assai più del ferro!”. Lei s’era voltata di scatto: “Che voce sgraziata ha questo cardellino!” aveva ridacchiato e l’aveva poi guardato fisso. Due occhioni verdi, densi come l’olio, penetranti, l’avevano inchiodato al suolo, pietrificato. Un viso vivace, incorniciato da capelli castani su di un collo esile e diafano. Un abitino bianco a fiori lasciava intravedere le curve immature. S’era fatto più rosso della calza. Il cardellino intanto si era liberato, volando sul ramo di un melo. Aveva biascicato qualcosa, alludendo ad uno scherzo e al fatto che l’idea non fosse stata sua: “Mi chiamo Dora. Tu sei Scazzamauriegghje, immagino?” disse, ironica, inarcando il sopracciglio.
    “N-no no, sono Peppin… Cioè, Giuseppe…Non sei di Calitri, a chi appartieni?”
    “Di Nusco. Due amiche sono di Calitri e m’hanno invitato per la festa.”
    Giuseppe si guardò intorno, sperando di non esaurire tanto presto gli argomenti. Checco e gli altri ora lo guardavano con ammirazione, perché uno scherzo infantile si era trasformato nel primo, timido approccio al gentil sesso. “Le hai pigliate le scarpegghie di suor ‘Cetta?”
    “Ocché?”
    “Non sai che sono? Se vuoi te le faccio assaggiare” propose imbarazzato, toccandosi la nuca “così mi faccio perdonare per prima.”
    Dora fece un cenno alle sue compagne che, avendo assistito alla scena, sorrisero beffardamente, parlottando tra loro. La accompagnò alla fiera, dove già stavano “impiccando” il caciocavallo e affumicando il provolone. Suor ‘Cetta stava ricoprendo di miele alcune frittelle e, quando i due arrivarono al banchetto, gliele porse con gentilezza. Giuseppe affondò il muso nel cartoccio, non curandosi del miele che già gli incorniciava le labbra, mentre Dora lo assaporava piano e mangiava le scarpegghie lentamente, una alla volta. Scoppiò a ridere quando si rese conto che lo scapestrato con cui stava passando il tempo aveva ancora in testa la calza rossa e rattoppata: accortosene, Giuseppe se la strappò di dosso, usandola per pulirsi il mento appiccicaticcio. “Sono buone” gli aveva sussurrato a bocca piena. Si soffermò su quelle labbra morbide, che descrivevano, con piccoli archetti, la forma di un cuore roseo e, rese appiccicose dal miele, facevano fatica a dischiudersi perfettamente: lo incantavano. Dopo essersi leccato le dita sporche, la guardò soffermarsi sul cielo e sulle luci delle prime stelle che cominciavano ad apparire. “Conosci la storia della criatura ‘r la Cupa?” Scosse la testa “Avvicinati, così te la racconto. Però ti avviso eh, fa un po’ paura.”
    Le immagini di quella sera di primavera gli erano passate davanti come in un film, con i colori vivi della calza di lana, della sua gonna lunga a fiori, dei suoi capelli color castagna e delle sue labbra, l’odore d’incenso e di fritto che aleggiava per le viottole del paese in festa. Bevve l’ultimo sorso di vino, depositato sul fondo del fiaschetto.
    ***
    Riportare alla mente le sensazioni che provocarono in lui quei primi, timidi scambi di sguardi con la donna che avrebbe poi amato per il resto della sua vita lo aveva scombussolato non poco. Ma, come una maledizione, il suo corpo implorava d’assumere alcol. Ancora una volta quella dipendenza lo aveva preso in ostaggio. Incatenato. Da Calitri, lo costrinse a spostarsi verso nord, al confine, dove ricordava ci fosse un luogo d’eccellenza per la produzione di birre: nel punto in cui il fiume Ofanto ed il torrente Osento ritagliavano ed incorniciavano una valle florida e rigogliosa si stagliava Castrum Montis Verdis, che dominava le distese verdi attorno a sé, dall’alto dell’antico maniero gentilizio. Fu quest’ultimo che, come un faro, gli indicò dove fosse la meta: una volta arrivato, vagabondò per qualche tempo alla ricerca di un luogo dove poter acquistare il prodotto che aveva reso Monteverde ben nota. Entrò in un bar: vuoto. “Permesso, buongiorno” disse, schiarendosi la voce. Non si udì risposta. “Avrei bisogno di comprare una delle vostre birre artigianali, è possibile?”. Silenzio. “Lascio i soldi sul bancone…” altro silenzio. Scrollò le spalle, aprì il vecchio freezer che ronzava e stappò la bottiglia di vetro marrone. La portò alle labbra e lasciò che il sapore della schiuma amarognola e del malto gli invadessero la bocca. Era ghiacciata e gli venne da tossire, ma bevve ancora un sorso. Ed ancora, ed ancora. Le stradicciole del paese apparivano deserte, non suonavano neanche le campane della chiesa. Tuttavia era il luogo stesso ad accogliere in sé una certa vitalità, forse grazie alla presenza del grande lago che affiancava il borgo. Decise che sarebbe andato proprio lì, sperando magari di trovare qualcuno intento a pescare e con cui scambiare due parole. Ma era evidentemente troppo presto. L’unica traccia di uso recente che riuscì a trovare fu una canna da pesca lasciata lì, appoggiata. Un bell’arnese, con il mulinello ben oleato, l’impugnatura comoda. Buttò un occhio alle acque verdazzurre del lago: le scaglie di due grosse carpe risplendevano al sole del mattino. Azzardò un lancio, ma il piccolo banco cambiò direzione, spaventato. Si soffermò sui tratti della sua immagine riflessa nello specchio che l’acqua offriva: i raggi rifratti che creavano forme mutevoli sulla superficie sembravano quasi schegge, come se questa si fosse frantumata in mille pezzi dalle forme più disparate. Anche la sua immagine appariva frammentata, da quella prospettiva. E forse lo era effettivamente, spaccata e contesa dal desiderio di rincorrere il simulacro di Dora e dalla necessità di appagare la sua continua sete di alcolici. Bevve un altro sorso di bionda, fu il suo cuore a condurlo alla bottiglia. Mandò giù le ultime gocce di birra fresca e l’abbandonò lì, accanto alla canna, lasciando che proiettasse i suoi ghirigori dorati e luccicanti sullo sterrato.
    MORRA DE SANCTIS – CAPOSELE
    La birra l’aveva rinfrescato ed al contempo aveva catalizzato il suo desiderio di tornare nei luoghi che erano stati teatro dell’evoluzione di quel sentimento, nato in giovane età e bruscamente interrotto dal destino alla soglia della vecchiaia. Si domandava, mentre il treno percorreva le rotaie arroventate dal sole, che cosa avrebbe trovato. Sapeva solo che non doveva essere lontano, ogni tappa di quel suo pellegrinaggio nel passato sembrava posta in sequenza ordinata, a poca distanza dalla stazione precedente e da quella successiva. Si lasciò guidare dalla traccia dei binari e si ritrovò, così, a Morra. Arrivato nel cuore del piccolo borgo medievale, restò, come per la fermata precedente, stupito dal silenzio e dalla staticità del luogo che, quand’era stato teatro dei suoi ricordi invece, appariva vivace. Ricordava di essersi recato a Morra per dare una mano ad un amico di famiglia nel suo caseificio, sperando di ricevere un compenso. Mentre s’avviava per le viottole di pietra chiara, notò una ragazza pressappoco della sua età, che aspettava la corriera e teneva tra le mani un librone impolverato e dalla copertina slabbrata. Dall’altra parte della strada, alcune anziane la guardavano con disappunto e curiosità. Non riconobbe subito i capelli castani che incorniciavano elegantemente il viso, su cui spiccavano delle labbra rosee, leggermente contratte nella seccatura dell’attesa. Era passato un mese circa da quando l’aveva vista per la prima volta, ma temeva che lei non ricordasse nulla. Decise di tentare comunque: le si avvicinò e sussurrò, in modo un po’ impacciato: “Buongiorno”
    “Buongiorno, posso aiutarti?” rispose, con un sorriso gentile.
    “Non ti ricordi di me?” scoppiò a ridere.
    “Mh…”
    “A Calitri. ‘O Scazzamauriegghje.”
    “Ah, sei tu!” ebbe l’impressione che stesse soltanto fingendo di averlo riconosciuto e che volesse liquidare la conversazione quanto prima “che ci fai qui?”
    Scrollò le spalle. “Lavoro. Tu?”
    Mostrò il libro che teneva in grembo “Sono venuta a prendere un libro in archivio per mio padre.” Giuseppe tirò fuori la lingua, come se il nome di quell’oggetto demoniaco lo infastidisse e lei ridacchiò per la sua gestualità plateale tipicamente popolare. Parlarono ancora. Lei spiegò che suo padre di professione faceva il maestro. Quello che aveva tra le mani era Il viaggio elettorale di Francesco De Sanctis ed era il motivo per cui s’era spostata a Morra: era l’unico luogo nel raggio di chilometri a possedere una biblioteca ed un archivio storico ben fornito. Gli disse anche che da qualche tempo era venuta pure a lei la curiosità di spulciare quei volumi, nell’attesa. Lui invece le parlò del mastro casaro, dell’affumicatura del caciocavallo e dei suoi primi tentativi di guidare l’ape del padre. Le disse che gli sarebbe piaciuto imparare a leggere e a scrivere meglio, dato che conosceva poco la grammatica, ma la poesia gli piaceva molto e lo affascinava. In realtà a Giuseppe non importava minimamente della poesia e dei libri, che considerava inutili: voleva semplicemente avvicinarsi al mondo di quella giovane donna che l’aveva stregato e che esercitava prepotentemente la sua attrazione. “Se vuoi” disse “ti ci porto io qua, con l’ape. Così non devi prendere la corriera.” Dora accettò di buon grado. L’ultima immagine che vide fu quella di lei che lo accompagnava al caseificio parlandogli del contenuto di quelle poche pagine lette, ricordava di non aver capito una parola, ma di essere rimasto incantato ascoltando la sua voce melodiosa e delicata. Ciò che gli era rimasto maggiormente impresso del loro (ri)incontro fu il modo in cui Dora aveva pronunciato il suo nome. Lentamente, legando le vocali e marcando appena le due ‘p’, la ‘e’ chiusa. Gli aveva provocato un’inspiegabile sensazione di vuoto nello stomaco. Guardò la statua bronzea di De Sanctis, che gli abitanti gli avevano dedicato e che sembrava guardare un punto preciso della piazzola. Negli anni a venire, aveva riletto quella galeotta pagina de Il viaggio elettorale ed era giunto alla conclusione che, alla base dell’amore, c’è sempre la poesia.
    ***
    Sospirò profondamente, chissà se per la stanchezza o per l’emozione di quel brandello sfumato di vissuto. Alla guida della locomotiva, macinava chilometri di rotaie pensando alla prossima meta da raggiungere. Buttò un occhio fuori e si accorse di star viaggiando parallelamente ad un fiume, il cui letto sembrava stringersi sempre più. Capì dov’era: Caposele, o Capussela, era il paese delle acque, dove avevano luogo le sorgenti del Sele, che attraversavano l’intera provincia ed, attraverso un acquedotto storico, distribuivano acqua non solo all’Irpinia, ma pure alla vicina Puglia. Perché si sa, a noi meridionali piace condividere, che si parli di un sentimento o di un bene materiale. Ed ora, ironia della sorte, all’Irpinia di quella copiosa ricchezza blu non resta molto, tant’è che soffre per carenza idrica. Ma Giuseppe credeva che fosse giusto così. Condividere l’oro della propria terra, che “apparteneva” agli Irpini soltanto perché era rientrato all’interno di un’invisibile linea di confine. Qualche volta però, durante l’ennesima notte senz’acqua corrente, li aveva maledetti, i pugliesi e gli stordi che avevano ceduto Caposele “a tempo indeterminato”. Riuscì ad arrivare con qualche difficoltà al Museo Delle Acque, lì dove l’impeto del fiume veniva domato e canalizzato. Rimase ad osservare quell’energia dimenarsi, frusciare contro le pareti di pietra bianca dell’acquedotto, forza naturale che si lasciava imbrigliare, condurre. Il frastuono al passaggio di quella massa d’acqua era assordante e quasi lo stordiva. Gli sembrava che avesse, oltre ad un colore vivo e cristallino, un profumo, un odore fresco che si diffondeva tutto intorno. Uscì fuori, accostandosi ad una fontanella di ghisa che doveva essere il primo punto di sgorgo di quell’acqua: la aprì e lasciò che quella freschezza ancora intatta e non contaminata da chilometri di tubature gli rinfrescasse il viso. Sollevò la testa, piccole goccioline se ne stavano appese al naso e ai baffi, cadendo poi liberamente ad una ad una. Sulla strada del ritorno, lo stomaco brontolò rumorosamente. Così com’era accaduto a Monteverde, non ricevette alcuna risposta entrando in una panetteria, ma ciò non gli impedì di gustare un fragrante muffletto, impasto di farina e di patate, morbido e ben lievitato. Stavolta non lasciò i soldi sul bancone.
    CALABRITTO – MONTEMARANO
    Calavrìttu non era molto distante, fermarsi anche lì sembrava doveroso. Ricordava che, quand’era ragazzino, Checco raccontava che al paese, nel lontano Medioevo, c’era una locandiera bellissima: si chiamava Britta. Quando i clienti arrivavano al paese e bevevano nella sua locanda, erano soliti gridare in coro “Cala, Britta!”, probabilmente invitandola ad alzarsi la veste. Così era diventata famosa in tutto il Meridione ed il paese l’avrebbe onorata acquisendo come nome il coro che echeggiava ogni notte per le strade. Quando l’aveva raccontato a Dora, lei aveva riso, spiegando che il realtà era il biancospino, chiamato calabrix in latino, il motivo di quel toponimo.
    I calabrittani erano, nell’immaginario di Giuseppe, sempre un po’ tronfi. Certo non perché dovessero la loro denominazione ad una meretrice o ad un arbusto, ma perché si diceva che il gladiatore Spartaco avesse perso la vita lì, a Quaglietta, e che i calabrittani fossero i suoi discendenti. Chissà… Discendenti o meno, che la loro stirpe fosse stata generata da uno schiavo ribelle in seguito sconfitto o da una locandiera irriverente, la resilienza era una loro grande virtù.
    Quando la terra aveva tremato, quando il suolo sembrava cedere e tutt’intorno crollare come fosse di carta, quando il cielo rosso d’autunno aveva predetto il sangue versato in quel minuto di tremore catastrofico, quando tutto sembrava perduto, i calabrittani s’erano rialzati, fieri. Scrollandosi la polvere di dosso, avevano ricostruito la loro realtà, pietra dopo pietra, mattone su mattone. Figli di puttana o figli di Spartaco che fossero, nessuno aveva dimostrato tanta forza d’animo quanto loro, che nel dolore e nel disorientamento s’erano rimboccati le maniche e avevano ricominciato. Il 23 Novembre 1980, lesse il terrore sul viso di Dora, che sembrava un uccellino in gabbia, ricordava d’averla stretta forte sotto lo stipite della porta, mentre tutto intorno crollavano calcinacci. Calabritto era risorta dalle macerie, rinata come la fenice dalle sue ceneri, a discapito di speculazioni ed appalti truccati. “È come se la terra non avesse mai smesso di tremare” pensava “come se ogni giorno avvoltoi e sciacalli consumassero la carcassa martoriata della nostra Irpinia, iniziando cantieri, abbattendo edifici, costruendo mostri di cemento. Stiamo lentamente morendo.”
    Camminando tra gli ulivi nodosi che incorniciavano la strada per raggiungere la fermata, Giuseppe pensò che fosse il caso di lasciar sbiadire la malinconia insieme al ricordo di quegli attimi di terrore. Tirò fuori una fiaschetta metallica dal taschino dell’uniforme, sulla quale era inciso il simbolo delle Ferrovie dello Stato: la F che si intrecciava con la S, sovrapponendosi, incastrandosi perfettamente come i pezzi di un puzzle, in un abbraccio sinuoso. La fiaschetta gliela avevano regalata i colleghi quando era andato in pensione: quanto è ironica ed amara la sorte. Era di ottima fattura, un regalo originale, ma l’aveva presa un po’ come un’offesa, all’epoca, come se gli stessero dando dell’ubriacone. Forse era un presagio. La portò alla bocca e lasciò che la grappa gli bruciasse le labbra screpolate. Prese un amaro respiro, dopo un lungo sorso.
    ***
    Inerpicandosi per le stradicciole del paese, gli sembrò di sentire ancora l’eco lontana della festa: gli pareva di udire il suono corposo e nasale della ciaramella, il ritmo della danza scandito dalle castagnole, il rumore metallico dei sonagli del tamburello. I suoni ravvivavano Montemarano, davano colore alla notte e vivacità alle immagini, alla vista di quelle lunghe gonne rosse che ruotavano e di quelle mani che battevano scandendo i passi simmetrici della tarantella. Forse, ancor più dei tamburelli, il ritmo periodico lo davano i brindisi, l’alzare all’unisono ed avvicinare bicchieri di vino rosso in cui galleggiavano pezzi di pesca matura. La gonna rossa di Dora ondeggiava, scoprendo le caviglie sottili ed evidenziando ora il fianco destro, ora il sinistro. Ad ogni giravolta, Giuseppe rimaneva ammaliato guardandola aprirsi come un fiore, roteando su sé stessa, per poi richiudersi avvolgendo le gambe magre e la vita stretta. Osservava le mani affusolate far schioccare le castagnette con un rapido ma soave movimento del polso: la camicia di flanella bianca, benché larga, non nascondeva le forme definite della ventenne. Stregato dai suoi riccioli scuri, tenuti in ordine da un fazzolettino, sarebbe potuto restare lì a fissarla per tutta la notte, con un bicchiere di vino ancora pieno in mano, che gocciolava pericolosamente, tingendo di porpora la pietra chiara della piazza. La danza si chiuse in un fragoroso applauso, la giovane gli si avvicinò come un miraggio dai contorni sfumati, tendendogli la mano: “Vieni a ballare con me!” sorrise, infastidendolo con le nacchere accanto all’orecchio.
    “No no, non so ballare” fece per scacciarla con un gesto della mano.
    “Almeno ci facciamo due risate, su!” disse, strattonandolo per il polso. Giuseppe buttò giù quel poco di vino rimasto nel bicchiere, ingoiando i pezzi di frutta interi, incitato dagli applausi e dai fischi della sua comitiva ubriaca: ebbe un capogiro, ma rimase coi piedi in terra, traballante. La fisarmonica della banda emise un suono prolungato, quasi stesse spirando, per poi riprendere affannosamente a suonare, accompagnata dal tono nasale della ciaramella e dai sonagli dei tamburelli, che sembravano voler ricreare l’atmosfera di un mondo altro, fatto di sola musica e sole voci. Tese la mano alla compagna, che la strinse, dopodiché aspettarono che le altre coppie si fossero disposte. Si posizionarono l’uno di fronte all’altra, simmetrici: lo guidò, lasciando che cingesse con la mano il suo fianco e appoggiando la sua sulla spalla di lui. Le altre due mani si strinsero, come se quella danza popolare fosse un valzer ottocentesco alla corte di Vienna. In fin dei conti, a Giuseppe importava poco: un po’ stordito dal vino, un po’ dalla confusione, forse pure dall’amore, vedeva la donna che aveva di fronte come una principessa dal portamento elegante e soave, che gli abiti fossero popolari o sgualciti poco importava. I loro corpi vicini, speculari, si muovevano come fossero uno solo, a ritmo di musica, volteggiando e piroettando. Dora sorrideva, mentre Giuseppe tentava goffamente di tenere il passo senza inciampare, sbeffeggiato dal gruppo di amici, ormai sbronzi. D’improvviso sciolse la stretta di mano e le accarezzò la guancia. Dora lo fissò, corrugando le sopracciglia ed alzando il mento: la guardò intensamente e, stringendola a sé, premette le labbra sulle sue. Lei sembrava tesa, ma, dopo poco, si abbandonò, trasportata da un sentimento che covava da mesi e che le pareva innaturale. Giuseppe la baciò spinto da un’intraprendenza che solo il vino era stato in grado di donargli.
    Le sembrava quasi di aver portato alla bocca una bottiglia e di star bevendo dell’aglianico, il contatto con le labbra di lui aveva il retrogusto dell’alcol. Non vi diede molta importanza, perché finalmente quei silenzi imbarazzati, quel rossore sulle guance all’apparir di lui sulla soglia, quella timidezza nel guardarlo avevano acquistato un sapore, una sensazione di morbido trasporto e di emozione sincera. Quando le loro labbra si allontanarono, solo allora si fermò la musica. Sorrisero entrambi, tra gli applausi e i brindisi degli unici componenti sobri della brigata. Ricordava quell’aria di festa e quella gioventù, seduto su una panchina, acciaccato e dolorante. Mai come in quel momento gli pesarono sul cuore e sulla schiena curva quei settant’anni.
    NUSCO
    Nusco sorgeva nel punto di contatto tra le valli dell’Ofanto e del Calore, un luogo ameno, circondato da una vastità verde incontaminata. I boschi che nel 1254 avevano fornito riparo al giovane Manfredi cantato da Dante nel Purgatorio, poco prima della disfatta, apparivano ancora più rigogliosi, quella mite mattina di primavera. Veniva soprannominato “il balcone fiorito d’Irpinia” e Giuseppe aveva immediatamente capito perché: le stradicciole del paese erano invase da fiori, edera e rampicanti, che rendevano i muri delle case quasi invisibili, mostrando qualche sprazzo di tanto in tanto, tra le foglie. Dopo aver parcheggiato l’ape color verdone, si ingegnò per cercare la strada ed il numero civico che Dora aveva segnato su un pezzettino di carta pieghettato. “Via Sotto Castello, 22”: le rovine del castello longobardo dirimpetto. Ai due lati della stradicciola si intravedevano case dalle tinte chiare, dal giallo al verde, dal bianco al rosa. I numeri, che sembravano essere disposti in maniera completamente casuale, alternavano in realtà pari e dispari. Sulla sinistra, trovò il numero 22, le cui cifre erano scritte elegantemente in blu su due piastrelle di ceramica, accanto al portone di legno, inserito in un antico arco di pietra. Il balcone di ferro battuto sembrava cedere sotto il peso di una dirompente cascata di campanule e di gerani rossi. Leggeva il tocco di Dora, il suo buon gusto in quella casa che sembrava una bomboniera. Insicuro, bussò al campanello, ascoltando il trillo al di là della porta. Udì il ticchettio di scarpe femminili, il passo leggero dell’amata che trotterellava verso l’uscio. La porta si aprì lentamente, rivelando il volto sorridente di Dora. L’irreale data delle nozze pareva più vicina di quanto fosse in realtà: la madre, la nonna e la vecchia zia della promessa sposa impiegavano i loro pomeriggi a cucire, ricamare, immaginare la loro figliola all’altare. Giuseppe entrò nel salottino immacolato, invaso dalla luce del mattino. Dora si sedette su una seggiola, davanti ad un piedistallo di legno chiaro, su cui era appoggiato quello che sembrava un cuscino rigonfio dalla forma cilindrica. Il tombolo lo aveva visto usare tante volte dalle compaesane, dalle vedove e dalle madri di famiglia: sedervisi attorno era considerato non solo un privilegio, poiché si tramandava l’arte sacra del cucito e del pettegolezzo, ma un vero e proprio rito, prima del matrimonio. In particolare, il corredo non indicava solo lo stato sociale della sposa, ma anche l’unità del nucleo familiare, che si prodigava per renderlo davvero principesco. Ed in quella casuccia nel centro di Nusco la confraternita del tombolo si stava impegnando in modo non indifferente da più di tre mesi, cucendo tovaglie, camicette, lenzuola e centrini. Quella mattina, però, le tre donne erano impegnate nel preparare il pranzo domenicale ed un gradevole profumo invadeva la casa.
    “Com’è andato il colloquio?”
    “Ancora con quella storia della ferrovia…” bofonchiò, seccato “Dora, ascoltami” disse, con estrema serietà “andiamocene via. Andiamo a Forlì, mio cugino c’ha già l’azienda avviata, avremmo lavoro entrambi, ti prego” la guardò dritto negli occhi “perché non vuoi cogliere quest’opportunità?”
    Le dita sottili si muovevano nervosamente, tenendo stretti i numerosi bastoncini di legno, che, intrecciandosi, avrebbero generato quei candidi disegni astratti: la velocità della tessitura rendeva quasi impossibile distinguere le dita flessuose dai legnetti chiari. “Io non abbandonerò questa terra” sentenziò fermamente “qui sono nata, qui sono cresciuta, qui rimarrò e ci morirò pure.”
    “Smettila di fare la sentimentale” ringhiò “coi sentimenti non si mangia. E se accettassi l’incarico alla ferrovia come vuoi tu, poi inizieresti a lamentarti perché non passiamo abbastanza tempo insieme.” Dora sobbalzò, guardandosi la punta delle scarpe. Poi, come sostenuta da una forza interiore crescente, disse decisa: “Io ho fiducia nel futuro.”
    “Nel futuro di una ferrovia che collega paesi sparsi nel nulla? Il mondo sta cambiando, non c’è posto per il romanticismo, pensa realisticamente, Dora.” “Giuseppe” scattò in piedi, urtando il tombolo e facendolo tremolare “l’impiego nelle ferrovie è un posto fisso, non possono licenziarti, se andassimo a Forlì e l’azienda di tuo cugino fallisse, saremmo nella miseria.”
    “Ah, certo, perché qui la miseria non si patisce. Non ci pensi ai nostri figli? Che opportunità vuoi che abbiano quaggiù?”
    Un breve attimo di silenzio.
    “Il Meridione è in queste condizioni per la gente come te, che si arrende e lo abbandona a sé stesso, si lamenta in continuazione senza far nulla per cambiare le cose!” gli gridò, con gli occhi lucidi per la foga.
    Sospirò amaramente. “A me sembra che tu voglia frenare le mie ambizioni. Io cerco di garantirci un futuro migliore e tu…”
    “No. Magari un giorno te ne accorgerai… Così non avrò sprecato fiato e forse non mi maledirai per averti impedito di partire.”
    “Venite a tavola!” esclamò la madre della giovane in tono gioviale, interrompendo la feroce discussione “Ché ho preparato i cicaluccoli col ragù!”
    Ripercorreva l’evoluzione dei suoi timori giovanili davanti a quel numero 22, che gli appariva completamente sfigurato, ora. La casa coi balconi in fiore era stata messa in affitto dopo il terremoto del 1980, l’angelo della morte che aveva portato con sé più di tremila anime, nel tempo di un interminabile minuto: il nuovo inquilino l’aveva quasi interamente ricostruita. Ora c’era un modernissimo citofono, una porta blindata e i fiori erano contenuti in vasi di plastica marrone. “Serve qualcosa?”, gridò una voce femminile. Guardò verso l’alto e vide una giovane sporgersi dal balconcino e chiamare nella sua direzione: “No, no, scusate” si giustificò “pensavo di trovare un’altra persona”; la ragazza alzò le spalle, per poi tornare in casa.
    Si chiese con quale coraggio si fosse sbarazzata della cascata di gerani e campanule, sostituendola con quei vasi anonimi di pessimo gusto.
    ROCCA SAN FELICE
    “Est locus Italiae medio sub montibus altis…” ripeteva piano, in tono cantilenante, i pochi versi che riusciva a ricordare. Da qualche ora vagava per il paese, tra le case di pietra, salendo verso l’antica rocca e poi riscendendo fino in piazza, per bere alla fontana e sedere sotto il frondoso tiglio che la affiancava. “C’è un posto nel mezzo dell’Italia sotto alti monti, nobile e celebrato per fama in molte contrade…” traduceva, mentre improvvisamente, dopo l’ennesima salita, s’apprestò a percorrere strade non battute… Il sentiero si faceva sempre meno distinguibile, nel fitto degli arbusti che, avvicinandosi al vallone, s’andavano facendo sempre più radi e giallastri. Il vento li accarezzava, scoprendo lembi di terra pallida e arsa: “questo luogo è chiuso da entrambi i lati da nereggianti pendici boscose e in mezzo un fragoroso torrente fa rumore per i sassi e per il tortuoso vortice”. I boschetti rigogliosi, infatti, si diradavano man mano, scoprendo una valle grigia e fangosa, puntellata da pozze dall’odore pungente e nauseabondo, che ribollivano in un continuo frastuono somigliante allo scorrere di un fiume o allo scroscio di una cascatella. Grosse bolle gassose increspavano la superficie di melma, scoppiando e rumoreggiando nella fanghiglia putrida. “Pestiferas aperit fauces”, spalanca le fauci pestifere. Quel verso dell’Eneide si caricava di una potenza straordinaria, sembrava di sentire il puzzo acre dello zolfo, di visualizzare quelle mascelle mostruose aprirsi, inquietanti: la sola lettura ricreava l’atmosfera dell’Inferno, al quale si accedeva, secondo Virgilio, tramite il vallone sulfureo della Mefite. Dopo chilometri di campi biondi, di colline verdeggianti e rivoli d’acqua, un paesaggio brullo come la Valle d’Ansanto non poteva che ricordare l’ingresso dell’oltretomba. Tossì seccamente, quei vapori venefici non facevano certo bene a polmoni affaticati e consunti come i suoi: portò un fazzoletto davanti alla bocca, deciso a resistere all’aria pesante ed ignorando i segnali di pericolo. I fumi sulfurei che provenivano dal lago mefitico, resi all’apparenza meno scuri e densi dalla luce pomeridiana che li attraversava, avvolgevano il luogo. Si tende sempre a pensare che la forza della natura si palesi in luoghi ameni, vitali e rigogliosi o che rassomigliano, in qualche modo, alle creazioni umane e, per questo motivo, suscitano meraviglia… Eppure, pensava Giuseppe, spesso i paesaggi misteriosi, inquietanti e nebbiosi, quelli che smuovono l’animo e turbano la mente, quelli dai contorni indistinti e voluttuosi sono la manifestazione più elevata della reale potenza della terra. D’altronde, l’Inferno è il luogo del vizio e della tentazione per antonomasia, e questi riescono a far vacillare le ben radicate certezze del Paradiso solo grazie alla loro struggente e sublime bellezza.
    LAURO
    Camminava lentamente, trascinando i piedi sulla pietra viva della stradicciola che s’inerpicava sinuosamente verso il punto più alto del paese. Il corpo gli pareva una zavorra, gravava sotto il peso della stanchezza e degli acciacchi, mentre lo sguardo vispo e curioso si posava agilmente ora su un lato, ora sull’altro della stradina buia. Il passo cadenzato era scandito dai sussulti della schiena curva, dietro cui si intrecciavano le mani sudate. Si fermò, alzando lo sguardo ammirò il grande arco che costituiva il primo portale d’accesso: accarezzò il bugnato scuro con i polpastrelli ruvidi, poi appoggiò le mani sulle ginocchia tremanti, ansimando. Osservò il passeggio levigato e chiaro, sul quale era inciampato più volte ed aveva rischiato di cadere miseramente: quanti uomini, quante dame, quante carrozze e cavalli avevano calpestato quei massi dalla forma irregolare, quanta pioggia battente, quanti soli di mezzogiorno e chiari di luna avevano ammirato quelle pietre mute, spettatrici e testimoni di una storia secolare. Arrancò a fatica verso il portone d’ingresso, che si affacciava sul primo cortile interno del maniero. Varcò quella soglia antica, sovrastata dallo stemma della famiglia Lancellotti, una croce latina composta da cinque stelle puntute. Dall’esteso cortile, s’ammirava tutto intorno l’architettura del castello, i torrioni svettanti e le merlature illuminate dalle fiammelle delle candele, che diffondevano nell’aria un delicato odore di cera. Il cortile pareva un’immensa cornice, impreziosita qui e lì da deliziosi alberelli ben potati. Salì una scaletta laterale, attraversando file di colonnine e volte a crociera, che terminarono all’aprirsi di una terrazza panoramica, affacciata sulla valle sottostante del Pago di Lauro. Il belvedere meridionale del castello Lancellotti offriva una vista mozzafiato, ponendo alla portata dello spettatore il Vesuvio e le colline verdeggianti dell’entroterra irpino, tinte già di rosso e violetto dal crepuscolo imminente. Le fiamme tremolanti delle candele e il progressivo avanzare della notte rendevano l’atmosfera incantata. Chiuse gli occhi, ascoltando il suono melodioso del vento. Quando li riaprì, vide un cielo grigio e costellato da bulloni: neppure sbattendo ripetutamente le palpebre l’immagine cambiò, tantomeno si definirono i contorni. Sì alzò a sedere, ma un fortissimo capogiro lo costrinse a tenersi la testa fra le mani: la parte posteriore del cranio gli doleva. Accanto a sé giaceva, in frantumi, il fiaschetto. Sorrise, pensando all’ironica sorte riservata a ciascuno di noi ed alle cose più disparate, regolata da una sorta di sarcastico ed amaro contrappasso. Il treno, luogo chiuso, una scatola metallica in cui si ammassano persone differenti l’una dall’altra: i passeggeri sono mutevoli, dinamici, un persona non ripeterà mai due volte lo stesso viaggio. Il vagone è il regno degli sguardi, siano essi di invidia, di intesa, di sfida, di biasimo o rimprovero, è lo scenario delle telefonate, degli abbracci, delle letture, dei saluti, delle strette di mano e dei convenevoli disinteressati. I passeggeri condividono unicamente l’esser rimasti, per un determinato lasso di tempo, rinchiusi in quell’involucro ferreo: potreste esser saliti prima, dopo due o tre fermate, essere scesi al capolinea o qualche stazione prima, aver trovato un posto vicino al finestrino o essere stati costretti a rimanere in piedi. Ed ora i sedili del treno sono invasi da sterpi, non si sente neanche l’eco lontana del chiacchiericcio nelle carrozze. Silenzio, malinconico silenzio.
    ***
    “25 Ottobre 2017 – RIAPRE LA STORICA LINEA FERROVIARIA AVELLINO-ROCCHETTA SANT’ANTONIO”
    Il fischio invade l’aria frizzante del mattino. Turbini di foglie arse dai colori caldi danzano sui binari, ignare di quanto stia per succedere. Il treno avanza lentamente, lo stridere del ferro sembra un lungo, interminabile sospiro di sollievo. I bambini, incuriositi, schiacciano i teneri nasi e le manine contro il vetro dei finestrini. Sulla banchina scoppia un applauso commosso: la ferrovia rinasce, risplende, brulica di vita nuova. “In carrozza!” grida emozionato Giuseppe, amplificando la voce rauca col palmo della mano. Le parole di Dora gli tornano alla mente e lo fanno sorridere, volge lo sguardo al cielo sperando che, dovunque lei sia, lo stia guardando. Stavolta non interromperà alcun addio, alcun bacio appassionato, ma solo l’euforica attesa di scoprire quanto questa nostra Irpinia abbia ancora da offrire.
    Non c’è un luogo. È il luogo

    CRISTINA COLACE

  54. 99 avellinorocchetta 29/11/2021 alle 4:28 PM


    Sotto un diluvio
    Le irpine
    668 1870/1882
    Le uniche della serie in servizio
    in arrivo a Montella

  55. 100 avellinorocchetta 15/12/2021 alle 10:49 PM

    Peppone Calabrese

    Gita fuori porta a Monticchio, in provincia di Potenza. Dopo aver fatto colazione sul lago piccolo – sono due i laghi vulcanici nelle viscere del monte Vulture – il gestore del bar mi informa della possibilità di arrivare a Calitri, in provincia di Avellino, grazie a un treno storico in uso in alcune occasioni e perfetto per lo Sponz fest, l’evento nato per far rivivere questa antica tratta che faceva da ponte tra due regioni limitrofe, Campania e Basilicata. L’idea del ponte mi affascina, la possibilità di crescere grazie alla conoscenza dell’altro è un valore che va coltivato in ogni forma ed è per questo che decido di andare a Calitri.

    Il viaggio in treno è una continua scoperta dell’incontenibile fantasia della natura e di quanti nuovi orizzonti si possono conoscere, soprattutto quando il viaggio è lento e consapevole. Non un trasferimento, ma un modo nuovo per riconoscere se stessi nel creato. Il colore verde la fa da padrone e ti accorgi di quanto è bello ritrovarsi felici per lo stupore di riuscire a individuare tantissime altre tonalità di un solo colore. Immagino i profumi, ho voglia di scendere dal treno e tuffarmi nella natura.

    Calitri (AV)

    La stazione di Calitri mi sta aspettando, ma prima ho un appuntamento importante allo scalo di Conza-Andretta-Cairano, luogo meraviglioso ai piedi del promontorio di Cairano, appunto. Per tutto il tempo immagino il suo ingresso in questa carrozza, cosa dirgli, come esordire. Sono emozionato. La prima volta che ho visto un concerto suo, a Siena, ero uno studente e già un suo fan, e poi ce ne sono stati tanti altri, una volta anche al Potenza folk festival, organizzato dall’associazione Portatori del santo di cui faccio parte.

    Sale sul treno, mi alzo per accoglierlo, sono emozionato, la salivazione è praticamente inesistente. Ha una camicia bianca, un gilet, pantaloni e cappello neri, mi sorride e dice: «Non sembra il monte del Purgatorio? Nell’anno dantesco si vedono geografie del Poeta in ogni selva, particolarmente nelle aree interne, dove la geografia si è sempre imposta sulla storia. La ferrovia in questi luoghi è stata la luce del pensiero e dell’azione. Basta rileggere le pagine di Giustino Fortunato dedicate all’Avellino-Rocchetta Sant’Antonio, un progetto eroico che faceva irrompere la storia nella geografia. Lo spopolamento ha segnato le aree interne. Le vecchie ferrovie, linee vitali di ferro e nerbo, sono andate estinguendosi. Ma la rivoluzione del trasporto, della comunicazione deve stare al passo dei nuovi compiti che la storia assegna alle aree interne, sempre più polmone salvifico del Paese».

    Lo guardo affascinato, ogni parola è accompagnata da un gesto, come fosse un direttore d’orchestra. Continua: «Per esempio, la realizzazione della bretella che collega l’interno al Tirreno, la Eboli-Contursi-Calitri. Immaginiamo tutto il trasporto merci e ortaggi che ora avviene solo su ruota per la angusta Ofantina, come si gioverebbe di una linea ferroviaria efficiente. La ferrovia non è mai finita fuori dalla storia ed è più che mai un mezzo dei tempi, ma il progresso tecnologico non può applicarsi solo all’Alta Velocità. Le linee interne possono essere la metropolitana a cielo aperto di quel Paese di paesi che è l’Italia. Anche per questo, nel 2014, realizzammo la prima edizione allargata di Sponz fest sulla ferrovia abbandonata, dedicandola al sogno del treno. Che da sempre è stato anche sogno di libertà, di frontiera. La ferrovia rinnova sempre il sogno di Prometeo. Anche, e tanto più, a umana velocità».

    Conza, Assalto al treno (2016) © Giuseppe Di Maio

    Il nostro viaggio prosegue lento, il mio orizzonte è il suo cappello nero, sono entusiasta di quanto Vinicio Capossela – è lui il mio compagno di viaggio – sia in contatto con questa comunità e con le sue radici più profonde. Arriviamo in paese e ci incamminiamo verso il centro, mentre l’artista mi parla della nuova edizione dello Sponz fest, prevista dal 25 al 29 agosto: «Sarà un più ampio dibattito per ripensare le aree interne in una visione verticale della geografia, che non distingue tra nord e sud ma tra spina dorsale e aree urbanizzate. Proporremo anche una riflessione su cosa davvero riteniamo importante in tempi di crisi, parola greca il cui intimo significato è “scelta”. Vogliamo coinvolgere altre aree del Paese, a sottolineare che il destino delle zone interne è comune a prescindere dalla latitudine».

    Ci fermiamo a gustare una meritata merenda a base di u cavzon, un panzerotto con pomodoro e mozzarella rigorosamente fritto, e gazzosa. Siamo ancora una volta seduti uno di fronte all’altro, capisco che deve andare via, non vorrei lasciarlo ma un artista puro come lui non va ingabbiato. Così, lo ringrazio per il tempo che mi ha dedicato e mentre se ne va gli do appuntamento allo Sponz. Si volta, mi sorride e continua la sua marcia.

    Resto ancora un poco al bar pensando al mio ultimo Sponz, il festival culturale ideato da Vinicio che porta in paese migliaia di turisti, con spettacoli, musica e artisti da tutto il mondo. Tratta temi del territorio e delle aree interne, crea sinergie e promuove l’ecosostenibilità. In questi otto anni, ha riunito una specie di comunità mobile che si è data appuntamento nel nome dello stare insieme. L’incontro è affidato alle idee, alla musica, al ballo, al cammino, all’arte, alle performance e ai più diversi ambiti dell’espressione.

    Sponz fest 2017 © Michele Annechini

    La storia di Sponz fest, mi ha spiegato Vinicio, è quella di una comunità non geograficamente localizzata che ha cercato di farsi laboratorio di un’idea del mondo più vicina a quella che si vorrebbe. Non esattamente un festival, più invece una festa che ha per tema l’arte dell’incontro. Le aree interne vanno difese a partire dall’immaginario, perché se le perdiamo non abbiamo più un rifugio. La loro potenzialità è emersa per rafforzare il concetto della ricerca della felicità basata sempre più sulla prossimità e sullo stare insieme. Sui borghi e le sue botteghe artigiane come centro nevralgico dove si sviluppa affettività.

    Non ho mai perso un’edizione dello Sponz, appuntamento fisso per me e i miei amici. Siamo sempre stati affascinati dalla bellezza del messaggio che si vuole trasferire, dall’amore per la terra natia e dall’orizzonte lunghissimo proiettato alla salvaguardia delle culture del mondo.

    I due temi cardine, come mi ha raccontato Vinicio, sono sempre stati il fest (la festa) e il locus (il paesaggio). Fest è un’alternativa alla “festivalizzazione” e alla spettacolarizzazione, che spesso si traduce in esclusività e nella concentrazione in aree circoscritte di eventi costruiti per intrattenere il pubblico con panem et circenses. Fest è sovvertimento dell’ordine, del tempo orizzontale della produzione. Una crepa nel tempo ordinato dell’utile. Partecipazione fisica in luoghi e modi non ordinari, evento come occasione di partecipazione diretta e non subita. Il locus diventa quindi diversificazione dei luoghi e attraversamento del paesaggio.

    Mi si avvicina una ragazza, si chiama Federica, vive a Milano ma è di Calitri. Capelli biondi, vestita alla milanese, sbarazzina, torna in paese appena le è possibile. Mi ha visto parlare con Vinicio, mi chiede se sono un artista, le rispondo dicendo che sono un frequentatore dello Sponz. Federica fa parte dell’organizzazione – sono tanti i ragazzi dell’associazione che collaborano alla festa – e mi parla della nuova edizione, dal titolo Sponz all’osso – Per un manifesto delle aree interne. Mi spiega orgogliosa che sarà speciale, inserita in un anno difficile ma proprio per questo più stimolante.

    La ringrazio per le preziose informazioni e mi dirigo in piazza della Repubblica, il centro storico, fatto di vicoli e grotte di tufo per la stagionatura di formaggi, salumi e funghi. All’apice c’è Borgo Castello, ristrutturato dopo il terremoto del 1980, dove si svolgeva la vita della comunità. Immagino bambini giocare, donne chiacchierare sull’uscio di casa e panni stesi.

    All’interno del borgo, c’è il Museo della ceramica. Mi perdo nei vicoli e scorgo una nonnina che, con la seggiolina davanti alla porta di casa, sta preparando la pasta. Si chiama zi Maria, e sta facendo i cingul (cavatelli), mentre il profumo del ragù riempie la via e il mio olfatto. È l’ora di pranzo, la tappa in osteria è d’obbligo. Tris di primi, cannazze, cingul e gravaiuol (ravioli) al ragù con vrasciola. Lo Sponz fest mi aspetta anche quest’anno.

    Articolo tratto da La Freccia

    https://www.fsnews.it/it/viaggiare/mete/2021/7/26/vinicio-capossela-sponz-fest-2021-calitri.html?fbclid=IwAR3EZN9-JbGGTzBfyV1_J0Eiu2A1LLY4tatSBTORaN8oH2o3PJfD26KGgo0

  56. 101 avellinorocchetta 11/03/2022 alle 9:45 am

    vinicio a San Tommaso del piano

  57. 102 avellinorocchetta 11/03/2022 alle 9:50 am

    BUONGIORNO GRUPPO, OGGI VI PORTO CON ME IN UN LONTANO GIORNO DEL 1980 QUANDO ERA ANCORA FORTE IL CALORE CHE TRASMETTEVA LA NOSTRA FAMIGLIA FERROVIARIA.
    Tratto da “ATTRAVERSO UN LUNGO VIAGGIO” di Armando Minichini.
    4.5 – PALO INDICATORE SULLA ROCCHETTA S.A.L.
    Era una calda, afosa giornata di agosto del 1980.
    Appena dopo pranzo ci apprestammo a partire da Avellino con un treno per servizio viaggiatori diretto a Rocchetta SAL.
    Il materiale era formato da una automotrice Aln556 e a bordo era più numerosa la presenza del personale in servizio che quella dei viaggiatori.
    In cabina di guida prendevano posto il macchinista e il suo aiuto, nella carrozza, insieme ai viaggiatori, il capotreno e il sottoscritto, nel piccolo bagagliaio i due messaggeri postali il cui compito era smistare la posta nelle numerose stazioncine lungo quella linea che, con i suoi centodiciannove chilometri, collegava la provincia di Avellino con quella di Foggia, attraversando le zone interne dell’Irpinia, oltre a servire alcuni comuni delle province di Potenza e Foggia e creando un collegamento con la Regione Puglia.
    Era una strana linea quella, alquanto tortuosa, dal tracciato particolare che non consentiva certo un rapido e veloce collegamento con la destinazione finale, ciò non tanto per l’orografia del territorio quanto piuttosto per la necessità di raggiungere determinate località.
    Essa andò in esercizio tra il 1892 ed il 1895 per servire le zone più interne dell’Irpinia, era una via ferrata molto panoramica che s’inerpicava dai trecento metri di Avellino ai quasi settecento di Nusco, prima di ridiscendere ai duecento circa di Rocchetta Sant’Antonio, varcando con viadotti mozzafiato le vallate dei fiumi Calore, Sabato e Ofanto.
    Ai miei occhi ignari quella ferrovia apparve dal primo momento con tutto il suo fascino antico che, nonostante il trascorrere del tempo, non si trasformò mai in moderno fino a quel giorno dell’anno 2010 in cui fu chiusa all’esercizio commerciale.
    Se quelle rotaie potessero parlarmi, farmi sapere del loro vissuto, immagino che potrebbero raccontare di essere state accanto l’una all’altra senza mai potersi toccare né tantomeno sfiorarsi tuttavia percependo ciascuna le vibrazioni dell’altra e sentendosi appagate quando, schiacciate dalla fatica, collaboravano nel sostenere e guidare le tante vite che si affidavano a loro con fiducia, complici della loro inevitabile sorte a cui andavano incontro.
    Sento la loro voce che mi arriva dritta al cuore:
    -Per tutto il tempo siamo rimaste al nostro posto in religioso silenzio, senza intelletto, senza poter prendere iniziative, senza chiedere nulla in cambio se non un po’ di cura e attenzione, inoperose, in attesa di dimostrare la nostra importanza nulla ci spaventava, concepite per correre in ogni dove ma senza digressioni nello spazio a noi riservato, correvamo affiancate attraverso la natura alla scoperta di località, sempre pronte a soddisfare le necessità del genere umano assecondandolo nella buona o cattiva sorte.
    Abbiamo sostenuto la storia del nostro amato paese, quella di ogni singola persona che ci giungeva la sentivamo nostra, ci apparteneva, imparammo nel tempo a percepire ogni piccola presenza di vita attraverso le cui esperienze, emozioni e sensazioni, abbiamo provato empatia, comprensione e compassione nel momento di una tragedia.
    Tante volte siamo state oggetto di riferimento, di attenzione, terreno fertile per sentimenti e odi, imparammo dai dolori e dall’ acquisita consapevolezza dell’umanità che la vita di ogni cosa non sarebbe stata infinita e provammo paura, sconcerto nell’intuire che così sarebbe stato anche per noi ritrovandoci un giorno in un silenzio assoluto, tuttavia non disperammo mai.
    Malgrado ciò non bastarono le nostre speranze, quel dì si presentò senza pietà in quel nostro lembo di territorio ormai isolato e abbandonato a sé stesso forse perché lontano dal fulcro dei tanti primari interessi nazionali, terra che ormai aveva esaurito il proprio compito, le proprie energie, quel mondo a cui non fu mai data possibilità di evolvere.
    Fu deciso che non avevano più bisogno di noi, ci liberarono dal peso della storia futura, da quel carico di vita che fu costretto a intraprendere altre strade ritenute più valide, spegnendo la nostra esistenza ma non la nostra storia.
    Qualche anno dopo grazie al progetto di Fondazione FS, “binari senza tempo”, è stata inserita anche la Avellino–Rocchetta tra le dieci linee storiche, un’iniziativa volta al recupero di tratte ferroviarie ormai in disuso per ridare loro nuova vita a scopo turistico.
    La Avellino-Rocchetta era una linea a semplice binario, non elettrificata, prevalentemente con segnalamento ad ala semaforica, la cui circolazione dei treni era regolata a dirigenza unica, pertanto le stazioni erano di norma rette da agenti abilitati soltanto a determinate operazioni, denominati “aiutanti di movimento”. Le fermate erano presenziate da “addetti alla fermata”.
    Gli aiutanti di movimento e gli addetti alle fermate provvedevano anche ai servizi di biglietti, bagagli e merci. La circolazione dei treni era regolata tramite telefono. I dispacci trasmessi venivano registrati dalle stazioni e trascritti su un protocollo M100C e dal dirigente unico su un M100d/DU. Gli addetti alle stazioni e fermate provvedevano ad aprire e chiudere i segnali al momento opportuno.
    Alcune stazioni, rette da aiutante, potevano essere munite di “pali indicatori”, anziché di “segnali di protezione”.
    Il palo indicatore era un segnale rudimentale, costituito da un paletto verticale a sezione quadrata e dipinto in bianco a strisce orizzontali nere, posto in modo che una delle diagonali della superficie di sezione risultasse parallela al binario.
    Il palo veniva collocato a non meno di cento metri dallo scambio d’ingresso delle stazioni, per definire il punto di fermata che un treno non doveva oltrepassare se non dopo essere stato chiamato dall’agente di stazione o dal conduttore del treno entrato per primo, in caso di incrocio, con gli opportuni segnali a mano.
    In una di queste stazioni, sede d’incrocio, avvenne qualcosa che non ho mai più dimenticato, un evento che fortunatamente si concluse nel migliore dei modi e che mi fece comprendere che non bisogna mai perdere la concentrazione, in special modo nell’effettuare operazioni delicate.
    I deviatoi in queste stazioni venivano disposti normalmente per il corretto tracciato o altro prestabilito e assicurati da “fermascambi di sicurezza”. Le “chiavi dei fermascambi” erano poste nell’ufficio delle stazioni, vincolate in apposita “serratura centrale” e non potevano essere estratte se non previo inserimento di un’altra chiave che veniva denominata “chiave di comando”.
    Tale chiave veniva custodita, dall’aiutante, in cassaforte. Il servizio dei deviatoi era assegnato al capotreno al quale, su richiesta, veniva consegnata la chiave di comando dall’aiutante.
    Dopo questa premessa sarà possibile venire al dunque accennando però l’argomento “incrocio”, operazione inevitabile su quella linea, essendo a semplice binario.
    Quel pomeriggio il nostro convoglio aveva, da orario prescritto, un incrocio con un altro treno viaggiatori, proprio in una di quelle stazioni munite di palo indicatore.
    Essendo stati noi designati dal dirigente unico a giungere per primi fummo fatti entrare dall’aiutante, dal palo indicatore con segnale a mano, sul corretto tracciato come da regolamento. Il treno incrociante sarebbe invece entrato su un binario deviato, limitando la velocità a trenta chilometri orari sugli scambi d’ingresso e sarebbe ripartito prima di noi.
    Alla disposizione del deviatoio d’ingresso del treno incrociante provvedeva preventivamente l’aiutante su disposizione del dirigente unico. Il capotreno del treno giunto per primo assumeva la dirigenza delle operazioni.
    Il mio compito consisteva nel portarmi presso il deviatoio d’ingresso dell’incrociante, attendere il suo arrivo al palo indicatore e autorizzarlo a entrare a mezzo di segnale a mano, dopo di che ritornare in stazione, prendere in consegna la chiave del fermascambio di sicurezza e tornare sul deviatoio per predisporlo per la nostra uscita.
    Quel pomeriggio, giunti in stazione per primi, provvedevo a portarmi presso il deviatoio di ingresso ad attendere l’arrivo del treno incrociante, non prima però di entrare già in possesso della chiave del fermascambi, chiave che in quel frangente sarebbe stato meglio non avere in mano.
    Ero tranquillo, sicuro e consapevole di ciò che avrei dovuto fare ma, in quel pomeriggio afoso, non so perché, prima che giungesse il treno infilai quella chiave nel fermascambi riposizionando il deviatoio per il corretto tracciato, operazione che avrei dovuto compiere dopo l’ingresso del treno.
    Tranquillo attendevo l’arrivo dell’incrociante al palo indicatore che, dalla mia posizione, si intravedeva abbastanza bene.
    In cuor mio avevo però il presentimento che qualcosa non stesse andando per il verso giusto, continuavo a fissare quello scambio ma, con la mente intorpidita dall’afa e privo di concentrazione, non riuscivo a mettere a fuoco l’errore presente, la falsa posizione dello scambio. Il deviatoio, così posizionato, avrebbe consentito al treno incrociante di entrare in stazione sullo stesso binario del mio, fermo nel frattempo all’altezza del fabbricato viaggiatori, con conseguenze inimmaginabili.
    Fui ridestato da quel torpore sentendo il fischio dell’automotrice che intanto si era presentata al palo indicatore e autorizzai il suo ingresso in stazione con la bandiera. Il treno si mosse e, solo nell’istante in cui impegnò e superò il deviatoio mi resi conto dell’errore commesso, stavo mandando quel convoglio incontro al mio e non avrei più potuto fare nulla per fermarlo.
    La professionalità del macchinista e il tratto in rettilineo fecero sì che la situazione non degenerasse.
    Egli si rese conto di essere stato indirizzato sul corretto tracciato e, dal momento che ciò non doveva accadere per regolamento, provvide immediatamente a fermare il suo treno.
    Affacciatosi al finestrino ci guardammo e io potei osservare la maschera di stupore stampata sul suo viso e lui il terrore sul mio.
    Dopo una frazione di secondo, tra di noi si instaurò un’intesa di complicità e, come nulla fosse accaduto, con il mio segnale a mano, gli feci cenno di retrocedere e lui iniziò a muoversi.
    Arrivato alla mia altezza, volgendo lo sguardo in alto, lo guardai attentamente negli occhi, aspettandomi qualche suo richiamo, invece mi fece cenno con il capo che tutto andava bene, abbozzando anche un sorrisetto benevolo.
    Liberato lo scambio e riposizionatolo per la deviata, provvidi nuovamente a far avanzare il treno che finalmente poté entrare in stazione sul binario giusto.
    Riposizionai il deviatoio per consentire successivamente la nostra uscita ed estrassi la chiave che riconsegnai al mio capotreno. Espletate tutte le operazioni richieste per la nostra partenza, lasciammo la stazione proseguendo il nostro viaggio.
    Una volta al cospetto del capotreno mi sarei aspettato una reazione da parte sua circa l’accaduto, ma non vi fu e io non capivo se non se ne fosse avveduto o se avesse deciso di non redarguirmi.
    Avrei potuto tacere, vista la situazione, ma non stavo vivendo una condizione serena, per ciò che avevo commesso sentivo il bisogno di tirare fuori tutto il mio malessere, di espiare quella colpa, sentivo il bisogno di essere rimproverato, punito.
    Attirando la sua attenzione, guardandolo negli occhi, gli chiesi:
    -Non hai visto quello che ho fatto-? Lui annuì, quindi sapeva, -non hai niente da dirmi-? Continuai, e semplicemente, abbozzando un sorrisetto, mi rispose che in passato gli era capitato di commettere errori del genere e come era stato per lui questa esperienza mi avrebbe consentito, per il futuro, di non ricaderci.
    A quanto pare aveva ragione perché dopo quarant’anni ricordo ancora perfettamente le operazioni da compiere in una stazione, su una linea gestita con dirigenza unica provvista di palo indicatore, in caso di incrocio.
    Albino, ho scritto di noi, di quell’uomo ferroviere che sei stato, di quei tempi remoti, della nostra grande semplice famiglia irpina che sapeva dispensare immensa umanità.
    Il mio fu un passaggio veloce per Avellino ma quel breve tempo tracciò un solco indelebile nel mio cuore, 16 mesi mi bastarono per imparare a diventare “ferroviere tra i ferrovieri”, a farmi amare la semplicità delle cose, la genuinità della vita.
    Spesso avverto la necessità di ritornare in quei luoghi, mi sforzo di far rivivere quei tempi, ma ormai sono offuscati per sempre.
    Oggi, 13 febbraio 2021, in fase di correzione della bozza del mio libro, apprendo con gran dolore della morte del mio capotreno, di quell’uomo ferroviere che con la sua immensa comprensione e schiettezza mi insegnò come rispettare le persone anche nelle traversie, addio Albino Mazzone, sarai sempre nei miei ricordi, grazie di tutto.
    Armando Minichini.

  58. 105 avellinorocchetta 19/03/2022 alle 10:47 am

    in Irpinia
    Storia di vita sulla ferrovia Avellino Rocchetta
    ……..”Il fascino caratteristico delle piccole stazioni e dei caselli della Rete Italiana di un tempo: minuscole comunità, spesso isolate, costituite quasi sempre dal ferroviere titolare e da un suo eventuale aiutante, e dalle loro famiglie … un mondo ormai perduto per sempre, con le tante piccole storie legate ad una vita semplice ed autonoma, lontano com’erano queste persone da ogni possibile contatto con la società ed un più comodo modo di vita.
    Oggi, tre le mura sbrecciate di quegli edifici, restano ancora a ricordarlo anche i vecchi pozzi per l’acqua potabile, il forno a legna per la cottura del pane … le “monachine” addossate al fabbricato principale.”
    CS O. Mori
    Di seguito un ricordo di quella vita vissuta in un casello della ferrovia Avellino Rocchetta
    Mio nonno materno Bicchetti Felice, proveniva da Nusco ed incominciò a lavorare sulla linea Avellino – Rocchetta quale addetto nella squadra « Rialzo». A quell’epoca, si trattava di sollevare le rotaie con pesantissime leve per mettere la breccia sotto le rotaie.
    Suo nipote, Michele Bicchetti, è stato il responsabile del Tronco Lavori a Lioni (AV) fino agli anni 90.
    In seguito, mio nonno Felice, fu trasferito come casellante (guardiano di passaggio a livello) al casello km 4+900 sito tra Avellino e Salza Irpina, a 4 km di distanza dalla stazione di Avellino, unitamente alla moglie ed è lì che ho vissuto per diversi anni.
    Negli anni 60, anche la figlia BICCHETTI Elvira, mia zia, che compirà 80 anni il 30 marzo 2017, fu assunta in FS per coprire il posto da casellante.
    Il casello ferroviario aveva solo 2 stanze dislocate su 2 piani. Le stanze, ampie, avevano una metratura di circa 11 mt per 6. Al secondo piano si dormiva, mentre al primo piano si trascorreva la normale vita quotidiana. C’era una fornace in muratura con al centro un caminetto e ai lati due spazi da poter mettere le caldaie per l’acqua. Non vi erano riscaldamenti. D’inverno faceva freddo : il casello si trovava penso a 500 mt d’altezza s.l.m., nevicava spesso. All’epoca ci si riscaldava con i bracieri. Li portavamo alla stanza superiore e venivano posti al centro della camera. Non vi erano servizi igienici ne corrente elettrica, nonostante ciò riuscivamo a vivere con dignità!
    Ci illuminavamo con un lampada a carburo : si mettevano 2 pietre di carburo sul fondo della lampada e sopra acqua. L’acqua cadeva a gocce sul carburo provocando un fumo che passando in un tubo della lampada finiva nel suo becco strettissimo : è lì che usciva la fiammella per farci luce. La lampada era circa 65% più luminosa di una candela di cera e molto molto più chiara. Il casello ferroviario era anche provvisto all’esterno di un forno a legna, il tutto di proprietà delle FF.SS.
    Andavamo spesso alla stazione di Salza Irpina a piedi, camminando sulle rotaie con un bastone per mantenere l’equilibrio, come anche quando andavo a scuola nella contrada Cerzete, arrivavo ad un’altro casello ( forse era il km3 +031) li, lasciavo la strada ferrata dopo aver percorso un km sempre camminando con equilibrio su una rotaia per immettermi su una strada di campagna che mi portava alla scuola.
    Mi ricordo ancora la frase di mia zia che ogni mattino comunicava al telefono( utilizabile solo per la ferrovia ) : « dalle ore … assumo servizio Bicchetti Elvira… » e successivamente scriveva l’ora esatta su un registro fornito dalle F.S. alle 9,00 e alle 17,00 su indicazione del Dirigente Unico, funzionario delle FS che regolava la circolazione dei treni dalla sala operativa sita in Avellino. Era un sistema di esercizio chiamato « DIRIGENZA UNICA » adatto per le linee a scarso traffico.
    Ricordo ancora certi nomi dei collaboratori della AV – RO ( mia zia ne parlava con mio nonno) come: Pistolesi, Della Sala, Santaniello, Speranza, Greco…
    La linea ferroviaria era controllata periodicamente dal Sorvegliante (impiegato superiore delle FF.SS.) : controllava se tutto era a posto e c’era sempre un po di paura al suo arrivo, in quanto il rapporto di lavoro che legava questi operatori era molto precario. Bastava anche una piccola irregolarità e si correva il rischio di non continuare a lavorare in FS.
    La nostra vita quotidiana al casello di Km. 4 era tutta basata sul passaggio dei treni. Quando i treni (allora venivano chiamate littorine) erano in ritardo il casellante (mia zia) si metteva in contatto telefonico con altri caselli per capire la posizione del treno per poi prepararsi alla chiusura di n. 2 passaggi a livelli, la chiusura veniva eseguita a manovella. L’attenzione maggiore a telefono era quando a volte dovevano transitare treni non previsti negli orari giornalieri, i cosiddetti «treni straordinari».
    I casellanti, per lo svolgimento delle proprie funzioni, avevano in dotazione anche una tromba, una bandiera rossa e dei pedardi. Quest’ultimi venivano posti sulle rotaie in caso di problemi sulla linea ferroviaria tipo : frane improvvise, animali deceduti, incendi lungo le cunette, ecc. I pedardi venivano posti sulla rotaia di notte ad una distanza di circa 30 cm l’uno dall’altro. La Littorina nel passaggio faceva scoppiare i pedardi che dava l’allarme al macchinista il quale fermava immediatamente il treno constatando lo stato di pericolo anche attraverso la posizione della bandiera rossa apposta a pochi metri più avanti.
    La mia gioia più grande da bambino era quando arrivava il treno merci con la locomativa a vapore e si fermava al casello per scaricare l’acqua nel pozzo con relativa cisterna per la sussistenza familiare. Proveniva sempre da Salza quindi in pendenza. Quando il treno era fermo si collegava un tubo al vagone-cisterna per scaricare quindi l’acqua. Quella riserva d’acqua sarebbe stata sufficiente per circa 30/40 giorni, dunque stagnava e perdeva tutte le condizioni igieniche e di purezza (nonostante ciò siamo sopravvisuti a tutte queste criticità).
    Tra Lapio e Montemiletto la littorina attraversava un ponte di ferro molto alto e a quei tempi un opera di alta ingegneria. Quando lo attraversavo nel treno provavo una grande paura a causa delle vertigini. Era « ponte principe » così chiamato per la sua maestosità.
    Mia zia Elvira ha vissuto e lavorato anche al casello di Km 18 dopo la stazione di Montemiletto (dove tanti anni fa avvenne anche un incidente: una delle due littorine usci dai binari e finì in un burrone, fortunatamente senza morti.
    Con l’ammodernamento della Avellino Rocchetta tutti i passaggi a livello furono automatizzati e, conseguentemente, tutto il personale addetto fu utilizzato diversamente per cui mia zia fu trasferita (al Km. 39) della linea Mercato San Severino – Codola dove terminò l’attività di ferroviere.
    Ricordare questi episodi è un modo per far conoscere una parte del mondo del lavoro che si svolgeva sulla ferrovia Avellino Rocchetta.
    Ai tanti che vi hanno lavorato va il riconoscimento per i sacrifici e i disagi che hanno patito in particolare per quelle persone che in caselli o stazioni sperdute della nostra Irpinia hanno onorato il lavoro di ferroviere.
    Auguri Zia Elvira da parte di tutti quelli che non dimenticano il valore del lavoro dei ferrovieri.
    DEL SORDO Antonio

  59. 109 avellinorocchetta 02/05/2022 alle 7:40 am

    Ultima fermata, la stazione che non c’è più
    Partiamo? E come si fa? La linea ferroviaria sono ormai quattro anni che ce l’hanno soppressa, i servizi pubblici di trasporto su gomma ce li diradano sempre più… ditemi voi come si fa a percorrere le nostre belle e verdi colline, senza un’auto di proprietà a disposizione. “Aree interne”, le chiamano in burocratese, e di questa bella espressione si riempiono la bocca tutte le volte che qualcuno, dal capoluogo regionale o dal governo centrale di Roma, si ricorda di noi per patteggiare, in cambio delle solite vaghe promesse elettorali, l’ennesima chiusura di un ospedale o di un tribunale. “Lì tanto non c’è niente, ci sono già abituati”. E’ così che ci vedono, i politici della grande città e i cittadini dell’Italia rampante convinta di poter fare a meno di noi. Come se due interi massicci montani fossero “niente”. Salvo poi quando non si tratta magari di individuarci addirittura il sito di una nuova megadiscarica. Ma sì, forse hanno ragione, in tanti ce ne siamo già andati, e noi pochi rimasti alla fine ci siamo abituati, come dicono loro. Ma come si fa ad abituarsi del tutto all’idea di dover scomparire dalla carta geografica? Di essere destinati alla cancellazione dalle pagine dell’atlante di geografia fisica, politica ed economica, per sopravvivere soltanto nelle vestigia di un intrepido remoto passato di orgoglio prelatino e preromano? E a questo punto immagino che vi starete ancora chiedendo dove diamine siamo… siamo in Irpinia, ma non è poi così importante, perché sono sicuro che, stando ai discorsi fatti finora, avremmo potuto essere in parecchi posti altrove in Italia… o no?

    Pietro Mitrione ci ha lavorato una vita, sui treni, e adesso proprio non ci sta, a veder le rotaie seppellite dal bosco che lentamente, inesorabilmente le inghiotte. Quelle stesse rotaie che erano il senso del suo appassionato lavoro di servizio al territorio ed il legame di speranza per la propria terra di tante generazioni di emigranti e di pendolari. E’ per questo che ha fondato l’Associazione InLocoMotivi, che si batte per il ripristino della strada ferrata prima che sia troppo tardi, prima che i nostri cuori cessino definitivamente di desiderarlo, un futuro degno di tal nome per i nostri paesini – su tutti quello bellissimo e coloratissimo di Calitri – arroccati in cima alle rupi che troneggiano sulle valli disseminate di noccioleti e di vigne. Vi piace il vino, vero? Il nostro è dei migliori nel mondo… chissà se tutti quelli che lo bevono se lo chiedono ogni tanto, da dove viene, Il Greco di Tufo, il Fiano, il Taurasi. Ma torniamo a Pietro: con lui abbiamo trascorso, il 2 marzo scorso, la Settima Giornata Nazionale delle Ferrovie Dimenticate. Ve l’avevo detto, no, che avremmo potuto essere in molti altri posti in Italia… ad affrontare lo stesso tipo di problema. Ma intanto noi siamo in Irpinia, il treno che avremmo voluto prendere non c’è più e così abbiamo noleggiato un autobus, con cui partiamo dalla anch’essa moribonda stazione ferroviaria di Avellino per dirigerci verso quello che era il nostro vecchio capolinea, nonché ex snodo delle altre tre importanti direttrici di Foggia, Potenza, e Gioia del Colle: la stazione di Rocchetta Sant’Antonio, nell’attuale provincia di Foggia. Che oggi è naturalmente l’ennesimo scalo abbandonato e deserto, posizionato com’è al centro di un vasto altopiano che sarebbe completamente vuoto, se non fosse per la presenza di enormi pale eoliche che ruotano nel vento freddo e incessante. Il paese? A quindici kilometri di strada dissestata: ci arriveremo per pranzo, ma il grande calore della spontanea e genuina accoglienza a noi riservata riuscirà a stemperare solo in parte il senso di profondo isolamento che proviamo.
    Giambattista Assanti è uno sceneggiatore e regista cinematografico, ma soprattutto un amico di Pietro: basandosi sui tanti spunti di vita vissuta fornitigli dai suoi racconti, si era messo in testa di girare un film che parlasse della futura riapertura della ferrovia. E caparbiamente ci è riuscito: accaparrandosi addirittura, conquistati alla sua romantica causa, attori del calibro di Claudia Cardinale e Sergio Assisi. Il film è appena terminato, si intitola “Ultima fermata”, e Giambattista ce lo presenta nel silenzio spettrale della stazione di Rocchetta, che colma con la gioia del suo sogno realizzato e dell’annuncio della prossima, prestigiosa anteprima al Taormina Film Fest. Pietro lo affianca orgoglioso, e sta di certo pensando che forse anche altri sogni ben più ambiziosi potrebbero un domani divenire realtà. Oggi però, consentitemelo, la realtà più bella siamo noi: i due guerrieri Pietro e Giambattista reduci dalle loro ardue imprese, Francesco Celli ed i suoi amici dell’Associazione Info Irpinia, che sono qua per testimoniare cosa vuol dire avere vent’anni da queste parti e non volersi rassegnare ad andarsene, Rosanna Rebulla che ricorda di quando “di fronte alla stazione sostavano ancora le carrozzelle”, Valentina che è ferroviera anche lei e che, avendo saputo di noi dal web, è venuta addirittura da Orvieto per trascorrere questa giornata, l’intera popolazione ed amministrazione locale del minuscolo paesino di Rocchetta, che ci ha accolto – e pantagruelicamente rifocillato! – alla stregua di veri e propri graditissimi ospiti d’onore, e da ultimi permetteci anche di automenzionarci Giuliana ed io con la nostra videocamera, attraverso l’obiettivo della quale potete vedere qui com’è andata:

    e magari fare un pensiero di raggiungerci anche voi, l’anno prossimo…

  60. 111 avellinorocchetta 14/05/2022 alle 9:43 PM

    https://www.mymovies.it/film/2015/ultimafermata/
    GENERAZIONI DI UOMINI E DONNE, SCANDITE DAI PASSAGGI DI UNA LINEA FERROVIARIA ENTRATA NEL MITO DI UNA TERRA DEL SUD.
    a cura della redazione

    Il film racconta la storia di alcune generazioni di uomini e donne, le cui vite sono state scandite dai passaggi di una linea ferroviaria, presto entrata nel mito e nella leggenda di una terra del sud.
    Un treno che a partire dal secolo scorso, ha assistito come muto spettatore, a partenze e arrivi, amori e abbandoni, gioie e dolori di intere famiglie. Alcune partite per andare lontano, in cerca di fortuna, altre rimaste per onorare un giuramento con la propria terra.
    Rocco Capossela, capitano dell’Arma a Torino, torna nel sud, in occasione dei funerali del padre Domenico, capotreno della tratta ferroviaria Avellino- Rocchetta S.Antonio, oggi definitivamente ferma, in attesa dell’ormai inevitabile decreto di chiusura. Qui, lentamente e inconsapevolmente, prende coscienza di sè attraverso la scoperta di un diario segreto che il padre, in vita, aveva redatto e scritto, tentando invano di incrociare e incontrare il fratello maggiore, Francesco, con il quale vive da anni un rapporto di enigmatico silenzio.
    Attraverso le parole di Domenico Capossela, Rocco comprenderà quegli abbracci mancati e quelle misteriose incomprensioni che hanno caratterizzato gli ultimi anni di vita del padre. Ma soprattutto Rocco scoprirà che il padre, in questi anni, aveva raccontato a tutti di avere un figlio ingegnere delle ferrovie,colui che un giorno avrebbe salvato il treno e la ferrovia da un’inesorabile chiusura.
    Con un’altra vita addosso e con una curiosità in crescendo, Rocco incontrerà e conoscerà alcuni amici del padre, ripercorrendo paesi e borghi “toccati” dalla ferrovia. Una galleria commovente, straordinaria e a tratti divertente di persone e racconti popoleranno i pochi giorni di permanenza di Rocco. Un simpatico e zoppicante ferroviere nella solitaria stazione di Rocchetta, un profetico frate cieco nell’antica Abbazia del Goleto di Sant’Angelo dei Lombardi, un sindacalista senza più patria a Cerignola, un prete bizzarro a Cerignola, un ruspante e semplice contadino a Rocchetta S.Antonio, e infine Rosa, un amore straordinario e tenero di Domenico.
    Ma sarà grazie all’incontro con Nina, un nostalgico amore giovanile perso e ritrovato, che Rocco imparerà meglio a conoscere se stesso e il fratello Francesco con cui avvierà una timida quanto inevitabile riconciliazione. Quelle che fino a pochi giorni prima, per Rocco sembravano essere certezze, si dissolvono l’una dopo l’altra, lasciando spazio nel suo animo a emozioni inedite che faranno di Rocco un uomo nuovo e diverso. Un viaggio attraverso i luoghi del padre che diventa anche un viaggio dell’anima attraverso la riscoperta della propria storia e nelle proprie tradizioni. Dall’estate del ’65 ai giorni nostri, la storia ufficiale della ferrovia e del suo treno, l’Avellino Rocchetta S.Antonio, si incrocia con la storia privata del suo capotreno, Domenico Capossela. Un uomo, un ferroviere che sarà ricordato come l’uomo che fischiava le partenze dei treni in ritardo, quei treni che portavano via uomini e donne verso terre lontane, intere famiglie che forse non vi avrebbero più fatto ritorno. Domenico ha trascorso parte della sua vita,a scrutare commosso, con il fischietto che gli ciondolava tra le labbra, saluti e abbracci. E per ogni abbraccio, ha sempre tentato con il suo fischiare in ritardo di regalare un attimo di eternità.

  61. 114 avellinorocchetta 21/05/2022 alle 4:09 PM

    Sento fischiare il treno
    “Ho pensato che sarebbe stato meglio
    lasciarci senza un addio
    non avrei avuto il cuore di rivederti.
    Ti posso immaginare tutta sola, abbandonata
    sul marciapiede, tra tutti quegli addii
    Stavo per correre verso di te
    stavo per urlare verso di te
    è stata una pena trattenermi
    è così lontano dove stai andando
    avrai mai occasione di tornare?
    Ho pensato che sarebbe stato meglio
    lasciarci senza un addio
    ma sento che ora tutto è finito
    è così triste il fischio di un treno la sera
    sentirò fischiare quel treno per tutta la vita”.
    F. Battiato
    Avellino – Rocchetta S. Antonio, riproviamoci.
    Quando si hanno tra le mani dei depliant che propagandano la bontà dei prodotti, che si vuole invogliare a comprare, o la qualità dei servizi, che si offrono ai potenziali clienti, vi si dà un’occhiata distratta e poi si lasciano sul tavolo o nel primo raccoglitore che s’incontra.
    Recentemente una brochure di Trenitalia, invece, mi ha incuriosito perché tra l’altro elencava dieci motivi validi per servirsi del treno come mezzo di locomozione appropriato.
    Nel decalogo si pone l’accento sulla bontà del treno, rispetto agli altri mezzi di trasporto, perché col treno si salvaguardano: il rispetto dell’aria, il risparmio d’energia, il rispetto del territorio (al contrario di strade, autostrade, superstrade, assi mediani, ecc.), il decongestionamento delle città, la sicurezza, il godimento del paesaggio, la tranquillità dei timpani, la possibilità di fare amicizia. Le proposte sono convincenti.
    E poi il treno nell’immaginario collettivo rappresenta l’evasione, la fuga verso il nuovo, l’incognito.
    Sui sedici mila chilometri della rete ferroviaria italiana ci si può muovere in lungo e in largo, da Nord a Sud (fino ad un certo punto) da Est a Ovest.
    La lettura mi ha fatto ricordare con forza della dimenticata “mia ferrovia”, di quel binario unico che – “ormai appeso al chiodo”, si snodava, strada maestra dell’Altopiano Irpino, da Avellino a Santa Venere attraversandolo nella parte mediana della grande valle della Fiume Calore prima e del Fiume Ofanto poi.
    Il progetto della strada ferrata Ofantina Avellino – Ponte Santa Venere (così si chiamava l’attuale stazione di Rocchetta S. Antonio) nacque per liberare da uno stato medioevale la Valle dell’Ofanto e proiettarla nel mondo moderno e realizzava un punto d’incontro e fusione tra le province di Avellino, Foggia e Potenza, al servizio delle loro attività commerciali e sociali.
    Con l’Avellino – Rocchetta S. Antonio si mirava ancora a dare uno sbocco a tutti i prodotti pugliesi verso i mercati napoletani e a realizzare un rapido mezzo di comunicazione tra il versante del mare Adriatico e quello del Tirreno.
    Nel mese di luglio del 1879 ne fu approvato il progetto e solo nel 1888 furono stanziati i fondi per la sua realizzazione affidata alla Società Strade Ferrate del Mediterraneo che la terminò, per l’intero, percorso nell’anno 1895.
    A causa della natura del terreno, dei dislivelli da percorrere e vincere, le difficoltà da superare richiesero importanti opere di consolidamento e di difesa per la messa in sicurezza della strada ferrata.
    La nostra strada ferrata attraversa il fiume Sabato, il torrente Saloli segue il corso dei fiumi Calore e Ofanto per assicurarsi i continui rifornimenti di acqua di cui necessitavano le locomotive a vapore creando così un percorso estraneo e mai veramente integrato con il cuore dei Paesi attraversati che, quasi sempre mal collegati con la Stazione posta a valle, restavano lontani.
    Il percorso da tracciare fu ancora condizionato dalla scelta di attraversare il territorio di alcuni comuni già produttori di uve e vino pregiato (Taurasi, Luogosano, S. Mango Sul Calore, Castelfranci e Montemarano) e quelli dei comuni di Cassano Irpino, Montella e Bagnoli Irpino, sedi di fiorenti attività commerciali di legname e della commercializzazione della castagna.
    In ogni caso la strada ferrata segue il serpeggiare dei corsi del fiume Calore e dell’Ofanto, attraversandoli e riattraversandoli mediante ponti e poderose travi metalliche. La lontananza delle stazioni ferroviarie dai centri urbani e gli scarsi collegamenti tra questi non fecero mai registrare il “traffico” sperato fino al 1933 data in cui la locomotiva a vapore fu sostituita con le prime “ littorine “. Con l’avvento della Littorina, le corse giornaliere furono portate da tre a cinque fino ad arrivare – massima espansione del servizio – a otto corse giornaliere utilizzate sia per il trasporto merci – in particolare vino e legname – sia per il trasporto passeggero.
    Negli anni 90 nei mesi invernali nelle giornate del Sabato e della Domenica era disponibile anche un collegamento speciale tra la città di Bari e Bagnoli Irpino per consentire di raggiungere i campi da sci dell’Altopiano laceno.
    I lavori per la realizzazione della strada ferrata fecero registrare un continuo moto migratorio che portò nei cantieri della ferrovia delle nostre contrade, ” lontane, isolate e, terre di emigranti da sempre”, ingegneri, tecnici e una moltitudine di operai in cerca di lavoro proveniente da ogni regione d’Italia.
    Non pochi furono i malintesi e gli attriti tra la nostra gente e questi “stranieri”, portatori di nuovi linguaggi, nuovi saperi e culture. I Nostri, non abituati ad accogliere, li vedevano come una minaccia alla quiete abitudinaria dei luoghi: “ … … invasi da nemici, facce equivoche da mane a sera”. Le risse scatenate da codesti operai in giro per il paese in festa, armati di roncole e coltelli spaventano i cittadini esposti a pericoli senza che vi sia chi li garantisca”. ( 1893: nota del Sindaco di Calitri al Prefetto di Avellino).
    La lettura della brochure e il riaffiorare di ricordi mi hanno spinto, un tardo pomeriggio di questa primavera, a raggiungere la Stazione Ferroviaria di Nusco .
    Qualche chilometro in macchina, poi l’indicazione Nusco Scalo.
    Uno spiazzo ampio delimitato su tre lati da un bel muro in pietra, sulla sinistra un brutto e anonimo fabbricato, di quelli costruiti dopo il terremoto del 1980, oltre il fabbricato, la massicciata della ferroviaria dove sono i binari, due linee perché la stazione di Nusco è tra le 10 sedi d’incrocio.
    Tutto è immerso nel silenzio, tutto appare disadorno, i colori delle cose privi di luce, non c’é più nell’aria il profumo di olio bruciato, quello del grasso che impregnava le assi della massicciata della linea ferroviaria. Unici segni di vita la presenza di alcuni cani randagi e di un gatto che impaurito e sospettoso ha guadagnato velocemente la cima di un arbusto di spine cresciuto rigogliosamente dove – non troppi anni fa – i nostri Capi Stazione Carmine Iuliano e la famiglia di Nino Crispino avevano impiantato e curavano un roseto e un accogliente giardinetto ricco di fiori che rendevano profumi e grazia al luogo e ospitalità ai passeggeri in attesa del treno.
    Oggi il giardino non c’è più, le insegne divelte e imbrattate da scritte. Eppure questo luogo respira ancora animato, forse, dal vento della valle che lo percorre senza sosta in ogni ora del giorno. Come la luce attrae nella notte le falene, la nostra stazione attrae ancora e racconta storie a chi qui capita per caso o a chi, come me, viene a farle visita animato da nostalgia e da ricordi.
    Il circostante verde dei prati pieni di fiori colorati, e due imponenti pioppi che riempiono di ombra la desolazione dell’antistante ampio piazzale mi confermano che non è, e non può essere, la stazione di una di quelle “città morte” che siamo abituati a vedere nei film americani.
    Il piazzale della stazione e il marciapiede lungo i binari sono deserti, nessun passo li anima, nessun viaggiatore è in attesa del suo treno, nessuna vedova bianca, ansiosa, vive lo scorrere lentissimo degli ultimi minuti in attesa dell’arrivo del treno che le restituirà all’affetto il suo uomo.
    Un tempo, non troppo lontano, questo luogo era la scena teatrale che vedeva protagonisti, tra gli altri, “ i Corrieri “, così erano chiamati in segno di affetto, quelle persone che si erano inventate il lavoro di andare giornalmente nella lontana Napoli e Avellino per svolgervi dei servigi in nome e per conto di chi non poteva allontanarsi dal proprio paese. A sera poi, di ritorno, andavano di casa in casa a rendere conto della commissione, a fare le consegne, …; altre figure pittoresche che popolavano questa linea ferroviaria erano le venditrici di prodotti locali: sulla littorina era facile incontrare la “ venditrice di formaggi e di ricotta “ che da Bagnoli Irpino e da Montella raggiungeva il mercato di Avellino e Napoli alla ricerca di nuova clientela e di prezzi di vendita più vantaggiosi; spesso parte del vagone era invasa da tini, botti e mastelli in legno, sapientemente realizzati da artigiani falegnami di Caposele, e portati per la vendita presso qualche fiera/mercato dei paesi vicini. Poi, quando il treno sostava presso le stazioni da Montemarano e fino a quella di Taurasi, ospitava numerose “ botticelle “ (botte di legno di castagno e/o faggio -, di forma cilindrica schiacciata sui due lati, portata litri 25 circa) piene di buon vino aglianico, nettare irpino destinato al mercato di fuori provincia.
    La porta di un deposito, a lato del brutto e anonimo edificio/stazione, è spalancata, all’interno di quest’unico vano i segni di un fuoco acceso, forse, da qualcuno che ha voluto lì trascorrere la notte. Sulla parete una scritta e il tentativo di rappresentare un cuore trafitto da una freccia inneggiano all’amore eterno tra Gianni e una Tiziana, per terra i resti sparsi di qualche fascina di legna .
    Tra i binari, dal pietrisco della massicciata, accarezzati dal vento della valle, spuntano ciuffi di erba verde e dei fiori gialli – non capirò mai come – cresciuti rigogliosi tra i sassi.
    Guardando verso Sud Est la linea ferroviaria si sottrae allo sguardo attraversando la luce del ponte della Strada Provinciale. Oltre la porta del ponte era la Stazione di Rocchetta S. Antonio, poi quella di Foggia e poi … le “ terre promesse” dove i nostri emigranti speravano realizzare e vincere la scommessa della propria vita.
    Per tutti gli anni ’50 e fino ai primi anni ’70 il nostro treno è stato il primo compagno di viaggio per chi lasciava la nostra terra in cerca di un futuro più giusto e migliore, verso la grande industria del nord Italia o del nord Europa o verso le lontane Americhe.
    Ogni giorno sulle pietre di questo marciapiede, ora in disuso, e sul pietrisco del piazzale abbandonato gli emigranti con le loro valigie di cartone ripetevano l’addio ai loro cari, lasciavano le loro donne e figli per raggiungere la Stazione di Rocchetta Sant’Antonio, poi quella di Foggia e da lì la grande e lontana meta… -.
    Uno dei due binari sembra meno arrugginito dell’altro, è quello della sede dell’ultima corsa attiva della tratta, quella riservata al convoglio che di buon mattino da Avellino raggiungeva Rocchetta S. Antonio e viceversa nella serata dello stesso giorno così come i nostri contadini che ogni giorno, scandivano il tempo rapportandolo al passaggio del treno: all’alba, con la prima corsa, lasciavano la propria abitazione per recarsi nei campi per rientrare al tramonto, ora di passaggio dell’ultima corsa.
    Poco più poco meno di 119 chilometri di strada ferrata, costruita più di 100 anni fa per collegare Avellino con Rocchetta Sant’Antonio. Un solo binario che aveva acceso tante speranze!
    La linea era divisa inizialmente da 31 stazioni oltre i due capolinea e correva su un binario unico non elettrificato. Lungo il percorso sono presenti 52 ponti metallici, 19 gallerie di cui una lunga 2.595 metri. L’altitudine minima è di 217 metri s.l.m.( Rocchetta S. Antonio) mentre la massima è pari a 672 metri s.l.m. ( Stazione di Nusco).
    La linea ferroviaria da Avellino, dopo aver attraversato Atripalda, percorre per un breve tratto la valle del Fiume Sabato, si dirige poi verso la valle del Torrente Salzola per passare ai piedi delle verdi colline di Montefalcione e, attraversata una galleria, raggiunge a Lapio il corso del Fiume Calore, ( attraversato poi per ben 9 volte) che risale toccando Ponteromito, Montella e Bagnoli; da qui, passa a Sud di Nusco, ( altitudine massima della linea ferroviaria 672 s.l.m.) raggiunge il fondovalle dell’Ofanto, che segue nel senso di scorrimento del fiume, passa nei pressi dell’Abbazia del Goleto, entro l’abitato di Lioni, e quindi ai piedi degli abitati di Morra, Teora, Conza, Calitri, Pescopagano (in Basilicata), Aquilonia, Monteverde, e Rocchetta Sant’Antonio (all’epoca in provincia di Avellino, oggi in quella di Foggia), presso cui valica il fiume sul Ponte Santa Venere, collegandosi alle reti ferroviarie lucane e pugliesi.
    Delle tre strade ferrate (Avellino- Cancello, Avellino – Benevento e Avellino – Rocchetta) che in definitiva furono costruite in Irpinia tra il 1887 e il 1895 (170 km circa, in esercizio ancora oggi senza aggiunte o modifiche), la Avellino – Rocchetta Sant’Antonio fu l’unica che interessasse le zone interne e che in qualche modo rompesse il loro isolamento, fino al periodo di costruzione delle autostrade e delle strade a scorrimento veloce nell’ultimo trentennio del secolo XX”.
    Alla nostra ferrovia fu assegnato il compito di fungere da motore e da volano al servizio della nostra industria, del commercio e agricoltura.
    Non fu così.
    Come i fiumi, la Nostra correva lungo le valli e i Paesi circondati dai boschi e collegati da pessime strade erano lassù sulle cime dei monti circostanti e della locomotiva non sentivano nemmeno il fischio .
    La scelta politica negli anni ’60 di prediligere il trasporto su gomma a discapito di quello ferroviario e la costruzione dell’autostrada che collegava Napoli a Bari contribuì, caso mai ci fosse stato bisogno, a ridurre l’utilizzo della linea a ferroviaria a livelli minimi ed economicamente svantaggiosi per il gestore.
    I meno giovani del posto “ricordano” l’importanza che questa linea ferroviaria ebbe per le nostre comunità, ma nello stesso tempo sottolineano lo stato di abbandono in cui versa l’unica strada ferrata dell’Alta Irpinia.
    Raccontano della loro esperienza; soprattutto quelli che abitavano nelle campagne senza strade di comunicazione; potevano anche morire prima che il medico del paese o di quelli vicini potesse raggiungere i loro casolari sperduti.
    Poi venne la ferrovia: da Nusco in meno di due ore (!!!) si poteva raggiungere Avellino non solo per fare compere ma anche per studiare nelle scuole secondarie della città; si poteva andare alla “visita di leva” a Bagnoli Irpino, prima, e a Salerno poi, oppure a Lioni per vedere un film e mangiare una pizza.
    Per chi abitava nei pressi della strada ferrata, il treno scandiva il tempo sostituendo l’orologio. Ci si alzava, per il lavoro nei campi, appena passata la prima corsa, si consumava la colazione alla terza corsa e comunque non dopo la quarta corsa e così fino all’ultima corsa quando a sera, luminoso e sbuffando riattraversava la valle e perdendosi nel buio confermava che era finito un altro giorno.
    I ragazzini dai belvedere di Nusco – via Coste – era la postazione migliore – amavano guardare il treno che attraversava la valle annunciato, appena sbucato dalla galleria nei pressi del ponte a cinque archi , da un pennacchio bianco che andava a perdersi nell’azzurro del cielo e che , quasi avvertisse i loro sguardi li salutava con il suo fischio prima di fermarsi in stazione e poi quando riprendeva la sua corsa, dopo aver fatto provvista di acqua per il suo cuore a vapore .
    Burbero, lungimirante e industrioso il buon “Filuccio ri Mastu Roccu” con un luccicante pulmino, verniciato di blu, assicurava il servizio pubblico di collegamento tra il centro urbano di Nusco e la Stazione Ferroviaria. Dopo ogni corsa in modo maniaco lucidava la carrozzeria e provvedeva alla pulizia degli interni a cui si era ammessi, a suo insindacabile giudizio, a condizione di non costituire alcun pericolo per la nettezza dell’abitacolo e di essere nelle sue grazie; diversamente per l’incauto viaggiatore “ non c’era posto “. Altri tempi !
    Grazie alla ferrovia da Nusco si esportavano, soprattutto nel napoletano, i formaggi di pecora e di mucca, la copiosa e remunerativa produzione di castagne, delle noci, del grano e della frutta, in particolare le mele – “le annurche”, “le cotogne”, “Le mungelle” e in appositi barilotti il nostro vino aglianico.
    Tra Bagnoli Irpino e Nusco i binari della ferrovia corrono su un ardito ponte in muratura a cinque luci ( lu pontu a cinqu’archi” ) , che può essere annoverato tra i monumenti di archeologia industriale della nostra provincia.
    Per la sua maestosità e imponenza è sempre stato oggetto dell’immaginario collettivo e, il convoglio ferroviario lo percorreva silenzioso e dolcemente, “ quasi in punta di rotaia” rallentando al minimo la sua velocità non tanto per la sua precaria stabilità ma, a me piace crederlo, per una forma di rispetto dovuta a tanto vegliardo e testimone del tempo andato.
    Che cosa ne sarà della ferrovia Avellino – Rocchetta Sant’Antonio ?
    Difficile previsione.
    La linea è stata compresa tra quelle definite “ rami secchi” e, quindi, soppressa.
    Venti anni fa furono impiegate delle risorse per rifare gli edifici di tutte le stazioni della linea; poi il loro abbandono e la vanificazione di una spesa.
    Ridare vita a questa linea ferroviaria è forse un’idea non al passo con i tempi?
    Potrà mai ancora portare frutti questo “ramo secco”?
    Mi piace credere che questo possa essere possibile se solo fosse data la giusta energia a un’azione politica intensa, intelligente e puntuale di utilizzo del treno per valorizzare e sostenere, in particolare, la nostra produzione agricola e quella della pastorizia, l’attività artigianale e turistica del territorio. Il nostro territorio, tra l’altro, è naturalmente idoneo per l’attività zootecnica, per la coltura dei frutteti; e allora perché non riprenderci queste attività che ci appartenevano e dalle quali le nostre “ masserie” ricavavano un reddito certo? Perché e in cambio di cosa le abbiamo incautamente svendute ai Paesi del Nord Europa ?
    Sarebbe opportuna un’attenta riflessione prima di un altro impegno di eventuali risorse, avere ben chiaro il fine e gli obiettivi che s’intendono raggiungere.
    Forse, se si ponesse a volano dello sviluppo la potenziale ricchezza del nostro territorio che dimenticato ed escluso oggi è ricco di tutto ciò che altrove è stato distrutto dal cosiddetto “progresso”, si potrebbe stilare un decalogo di motivi per riprendere il treno Avellino – Rocchetta Sant’Antonio.
    La linea ferroviaria attraversa la Valle dell’Ofanto e quella della Media e Alta Valle del fiume Calore un territorio bellissimo che deve essere scoperto lentamente, goccia a goccia, senza alcuna fretta, occorre fermarsi, ascoltarne il silenzio e il suono della voce, gustarne il profumo, la purezza dell’aria e delle sue numerose acque, gustare e immergersi nei paesaggi meravigliosi che disegnano i pioppi lungo le sponde dei fiumi per offrirci un’armonia di colori unici e inimitabili.
    Perché non promuovere delle escursioni attraverso questa Italia figlia di un Dio Minore per scoprirne l’arte, la cultura e le tradizioni, le squisitezze enogastronomiche ? Credo che il nostro Territorio non abbia poi tanto da invidiare , per esempio, alla bella Umbria e Toscana se non una diversa politica di programmazione economica e sociale.
    Si potrebbe immaginare dei viaggi con locomotive a vapore o con motrici storiche a gasolio; di organizzare presso le Stazioni dei mercatini di accoglienza, dei Campus enogastronomici, dei collegamenti agili e mirati con i Centri Storci, così da rendere disponibile ai visitatori il nostro mondo che non possiamo permettere possa essere cancellato.
    Cosi la nostra memoria, la nostra storia, la inimitabile bellezza della nostra terra amalgamate dalla cerniera brunita delle rotaie potrebbero trovare un alleato formidabile per essere ancora protagoniste per lo sviluppo sostenibile del nostro territorio ancora poco conosciuto ma certamente meritevole di attenzione da parte di chi ama il bello.
    Certo i rami secchi possono fiorire e portare ancora frutti!
    Perché non pensare alla realizzazione di un progetto integrato di sviluppo dell’Alta Irpinia nel quale siano riconsiderati i rapporti tra la linea ferroviaria e il suo territorio ?
    E’ quasi sera, è tempo di andare, adesso sono di nuovo sul piazzale, oltre il bel muretto in pietra la primavera trionfa su tutto; posso ancora vedere i filari di un vigneto tempestato di nuove foglie di un tenero colore verde giada e, in ordine sparso, piante di melo e ciliegi impreziosite da delicatissime gemme bianche.
    Le chiome degli alberi sono mosse dal vento che, soffiando delicatamente, riempie l’aria del profumo dei campi che la recente pioggia ha reso ricchi e pieni di misteriose attese. Con l’avanzare della sera una leggera brezza sparge silenziosamente nella valle una sottile nebbia che sembra nascere dalle zolle della terra arata di fresco; come un velo avvolge già la collina e i campi circostanti, adesso nasconde allo sguardo i binari della linea ferroviaria.
    Forse attraverso questa terra appena arata, ricca di profumi e di promesse si dovrebbe articolare una risposta per riprendere insieme la corsa.
    Forse …se rifiorisse la nostra agricoltura, se si consentisse agli operatori del settore di recuperare la dignità persa di Agricoltore e ricavare da queste attività un giusto reddito, forse … anche queste brunite rotaie ritroverebbero la loro prima ragione di essere. Forse … .
    Occorre, quindi, cercare anche attraverso la linea ferroviaria le possibilità nuove per funzioni compatibili con le opportunità e le necessità del territorio; affidare al progetto il compito di rianimare la nostra storia e la nostra memoria in armonia e nel rispetto di quello che comunemente si definisce sviluppo sostenibile del territorio .
    Adesso la nostalgia mi sta allontanando dalla realtà delle cose; non mi lascia considerare con la dovuta serenità gli aspetti economici, in particolare il rapporto costi-benefici che, ne sono convinto, anche se dispiaciuto, deve essere tenuto sempre nella giusta evidenza e considerazione, per non trasformare il nostro ramo secco in un inutile e costoso giocattolo destinato, alla fine, a essere ancora una volta dimenticato e riposto in cantina. Grazie.

    Nusco – Scalo FF.SS., un sabato pomeriggio della primavera 2014
    AMARCORD
    13 GIUGNO 1940,
    INCIDENTE FERROVIARIO NELLA TRATTA FERROVIARIA COMPRESA TRA IL CASELLO FF.SS. E STAZIONE DI NUSCO.
    Scontro frontale tra un carrello ferroviario di servizio con a bordo nr. 4 operai che percorreva la tratta in direzione Campo Nusco – Stazione Nusco e un treno che viaggiava in direzione opposta.
    DECEDUTI a causa del sinistro:
     Delli Gatti Carmine, nato a Nusco il dì 8.12.1899
     pt. Raffaele – mt. Lombardi Giovita
     Coniugato Pepe Angiola,
     residente in Nusco alla c.da S. Martino, n. 29
     deceduto il 14 giugno 1940, ore 02.05, ad Avellino presso l’Ospedale Civile ove era stato ricoverato a causa delle ferite riportate nel sinistro. Atto di morte n.3 P.II Serie C
    * INFO: figlio Stefano – Vado Della Creta, 5
     Caprariello Pasquale , nato a Nusco il 16 maggio 1889
     pt. Nunzio – mt. Rullo Maria Teresa
     Coniugato Scotti Rosa,
     residente in Nusco alla c.da Chianole, 36
     deceduto il 13 giugno 1940 sul luogo del sinistro a causa delle ferite riportate nel sinistro. Atto n. 2 P. II Serie B .
    * INFO: figlia Teresa – cng. Della Sala – c.da Chianola,3
     Pasquale Angelo Maria Donato , nato a Nusco il dì 11 aprile 1902
     pt. Giuseppe – mt. Spiniello Giovanna
     Coniugato Rullo Filomena,
     residente in Nusco alla c.da Campo, 38
     deceduto il 13 giugno 1940 a Nusco – propria abitazione alle ore 21.30 – a causa delle ferite riportate nel sinistro. Atto n.40 P. I
    * INFO: sorella Rosina vedova Rullo Amato – c.da Campo,14
    FERITI – Capo squadra operai di Lioni –

  62. 118 avellinorocchetta 27/06/2022 alle 3:55 PM

    Sta per accadere quello che ormai da sempre si prospetta per l’Avellino Rocchetta Sant’Antonio: la sua completa dismissione

    Dal 13 dicembre 2010 la storica ferrovia Ofantina, su decisione inopinata, della Regione Campania è “sospesa”. …

    A nulla è valsa una delle concrete esperienze di promozione territoriale dal basso e senza fondi pubblici che ha visto letteralmente rinascere a nuova vita il treno sulla più antica tratta irpina , come mezzo a servizio del turismo e della conoscenza del territorio.
    Questa non è una operazione nostalgica. Non vogliamo rianimare a tutti i costi qualcosa che è destinato a lasciarci per sempre e naturalmente, come il corso delle vita prevede. Sappiamo tutti che la dismissione della Avellino Rocchetta non è il risultato dell’analisi della stessa valutandone potenzialità e difetti, ma il taglio di quello che secondo i numeri è un ramo secco.
    Un taglio consistente, dunque, dei servizi per la Regione Campania. E a subirne gli effetti sono principalmente le aree interne e le fasce deboli. I tagli preannunciati in Campania riguardano una riduzione del 20% del trasporto su ferro e del 30% del trasporto urbano e interurbano su gomma. Chiusura della linea Avellino-Rocchetta Sant’Antonio, dei depositi ferroviari e degli impianti di Benevento ed Avellino.
    Nonostante tutto, una strada indicata.
    Noi abbiamo solo indicato la strada, adesso è tempo di riflettere sui dati a pensare al futuro della tratta, perché adesso quella tratta un futuro può averlo, alla rete di associazione di In Loco Motivi il merito di averlo individuato. L’Avellino Rocchetta Sant’Antonio può essere rivisitata come tratta turistica, i numeri parlano chiaro.
    Sulla stampa locale ci sono i resoconti dei tanti dibattiti sulla crisi del turismo che ha colpito anche la nostra provincia. Qualcuno ha dichiarato che «Il sistema turistico non deve essere costruito su modelli, ma assecondando i flussi naturali», noi un flusso naturale lo abbiamo assecondato, seguito, portato al successo, perché ognuno per proprio conto sapeva della bellezza ed il fascino di quel viaggio. Così è stato.
    Oggi potremmo aggiungere una nuova connotazione al fascino di quel viaggio. Senza voler inseguire modelli, ma appunto seguendo la naturale inclinazione dei luoghi, in base la gradimento della gente, ci piacerebbe trasformare quella tratta nella Gardaland del gusto, delle cultura contadina, dell’enogastronomia di qualità, del paesaggio, della natura. L’Avellino Rocchetta è già un parco tematico, rappresenta già un viaggio emozionale nella terra del vino, del paesaggio, della luce, del vento. Noi abbiamo solo dato un nome a quello che già esisteva. Per questo può funzionare, perché non ci sono forzature, non si stravolge nulla. In qualche modo con il nostro lavoro abbiamo dato risposta ad una domanda di mercato
    L’intera proposta del gruppo di lavoro In Loco Motivi, è guidata da una visione di politica ambientale che pone l’accento sulla necessità di perseguire soluzioni strategiche che ridiano senso infrastrutturale ed economico alla più antica linea ferroviaria dell’Irpinia e tra le più antiche della Campania.
    Si è proposta una visione di un uso del treno legato alla fruizione del paesaggio ed ai principi del turismo ambientale.
    Una politica di programmazione basata sulla amplificazione di un turismo ambientale porta ad immaginare la tratta ferroviaria, il cui valore di percezione paesaggistica che offre è notevole (e probabilmente da solo vale un viaggio), come una vera e propria infrastruttura di servizio alla conoscenza diretta delle qualità paesaggistico, culturali, artigianali ed enogastronomiche dell’Irpinia.
    Inoltre si è dimostrato che:
    – la linea ferroviaria Avellino Rocchetta può avere un nuovo significato come infrastruttura a servizio del turismo, capace di veicolare fruitori – anche provenienti da oltre provincia – nelle qualità paesaggistiche, naturalistiche, culturali, enogastronomiche dell’Irpinia sud-orientale;
    – la valenza elevata per attività di educazione ambientale e di conoscenza del territorio, con il dimostrato appeal che hanno i viaggi in treno presso le istituzioni scolastiche;
    – la possibilità, attraverso le escursioni in treno , di organizzare e condividere il progetto con un numero sempre crescente di associazioni, gruppi di interesse, pro loco, enti comunali;
    – il treno può divenire elemento di supporto alla crescita economica del territorio, attraverso una gestione più imprenditoriale, ad esempio con società private, ma anche pubblico-private, vocate alla promozione turistica del territorio e a visioni dell’offerta commerciale più attrattive
    La più antica linea ferroviaria dell’Irpinia , l’Avellino Ponte Santa Venere (poi Avellino – Rocchetta Sant’Antonio) , infatti, è tra le più antiche della Campania , inaugurata nel suo intero percorso il 27 ottobre del 1895, è a ben diritto tra le linee ferroviarie considerate “minori”, a rischio di chiusura e di cui è necessario ripensarne l’uso o il riuso a favore del territorio che nei secoli scorsi l’ aveva fortemente voluta.
    E’ la ferrovia delle acque : attraversa e lambisce in più punti i FIUMI Sabato, Calore ed Ofanto.
    E’ la ferrovia dei grandi vini docg : attraversa i territori , servendoli con stazioni dei comuni degli areali del Taurasi e del Fiano.
    E’ la ferrovia del Parco Naturalistico Regionale dei Monti Picentini.
    E’ la ferrovia delle aree a tutela della biodiversità. I Siti di Importanza Comunitaria irpini
    E’ la ferrovia dei Borghi: storia, cultura ed identità territoriale

  63. 127 avellinorocchetta 12/07/2022 alle 9:07 PM

    La ferrovia del Sud interno e il futuro del Sud.
    130 anni dopo per una rinascita del Mezzogiorno

    Paolo Saggese

    Da anni si discute con grande insistenza dello sviluppo ferroviario in Italia e nel Mezzogiorno, anzi si discute di tale sviluppo sin dai primi anni dell’Unità nazionale, quando il Sud risultava, anche in questo campo, in ritardo rispetto al Centro-Nord, come ha dimostrato tra gli altri Francesco Barbagallo.
    Rompere l’isolamento del Sud, privo di strade e di ferrovie, per favorire non solo un’unità fisica della Nazione, ma anche i commerci, l’economia, gli scambi umani e commerciali, diveniva fondamentale nei primi anni dell’Unità, così come dopo la caduta del fascismo e la nascita della Repubblica, come ebbe a sottolineare nei suoi saggi meridionalisti Manlio Rossi-Doria, così come negli studi approntati in occasione della sua esperienza come Senatore nel Collegio di Sant’Angelo dei Lombardi, che in parte coincideva, forse non a caso, con quello di Francesco De Sanctis.
    Così come oggi si salutano le nuove arterie viarie, che collegano l’Alta Irpinia all’Ufita e all’autostrada, insieme all’Ofantina, che collega Puglia e Basilicata all’Irpinia, a Napoli, a Salerno e al resto d’Italia, giustamente si celebra la stazione ferroviaria ad alta capacità “Hirpinia”, il cui progetto è stato illustrato il 6 luglio a Roma da Confindustria Avellino e dalla Svimez, e da cui risulta che, a seguito dei finanziamenti del PNRR, «la nuova stazione Hirpinia» offre «prospettive di rafforzamento della competitività delle imprese del territorio circostante, contribuendo al miglioramento della sostenibilità ambientale ed economica». La stazione rappresenta un opportuno collegamento tra Tirreno e Adriatico, tra la linea Napoli – Bari, e consentirà anche all’economia irpina di inserirsi all’interno di un circuito nazionale, europeo e transazionale, collegando direttamente Nord a Sud dell’Europa, nonché occidente ad oriente, oltre l’Adriatico.
    Le potenzialità della ferrovia Avellino – Rocchetta Sant’Antonio, inaugurata il 27 ottobre 1895 (di cui in questi giorni ritornano gli appuntamenti turistici: oggi Avellino – Sant’Angelo, a seguire il 16 Avellino – Nusco, il 24 Avellino – Castelvetere, il 31 Avellino – Montella) erano ben chiare ai meridionalisti, che fecero l’Italia, alla generazione di Francesco De Sanctis e poi a quella di Giustino Fortunato.
    Infatti, come vedremo, le ferrovie ofantine avevano il compito di “unificare” Campania, Puglia e Basilicata, in un centro geografico rappresentato proprio dal Ponte Santa Venere e Rocchetta Sant’Antonio. Nelle sue celebri inchieste, che lo videro protagonista per quasi un sessantennio, Umberto Zanotti-Bianco, uno dei fondatori con Giustino Fortunato dell’ANIMI e tra i massimi meridionalisti del Novecento, vedeva proprio nella costruzione delle ferrovie nel Sud interno una delle grandi novità e dei grandi benefici, che venivano al Mezzogiorno dall’Unità nazionale. Faceva eco a Giustino Fortunato, che nella sua opera “Delle strade ferrate Ofantine” (Barbera, 1898), il quale paragonava non a caso ingeneri, costruttori e operai allo stesso livello dei martiri del Risorgimento, degli statisti e dei soldati, per quanto avevano fatto per garantire nel concreto l’Unità nazionale. Zanotti-Bianco ricordava che nel 1874-1875 erano iniziati i lavori della più importante delle linee della Basilicata, la Eboli – Metaponto, che congiunge Potenza da un lato a Napoli, dall’altro allo Ionio (inaugurata nel 1880). All’inizio del Regno era anche stata inaugurata la Metaponto-Sibari, che riuniva alla Basilicata la litoranea calabrese. Agli stessi anni risaliva la Sicignano – Lagonegro, che riuniva Napoli al centro della Lucania. Quindi fu la volta della Avellino – Rocchetta Sant’Antonio. Così scrive Zanotti-Bianco: “Ed infine nel 1891 veniva affrontata la difficile, costosa linea dovuta agli sforzi tenaci, decennali, del Fortunato, la Potenza-Rocchetta S. Antonio, che collega il capoluogo al Melfese, alla valle dell’Ofanto, e per un altro verso alle Puglie” (“La Basilicata. Storia di una regione del Mezzogiorno dal 1861 ai primi decenni del 1900”. Introduzione di Michele Cifarelli, Edizioni Osanna, Venosa, 2000, p. 48).
    Non a caso, in un suo intervento alla Camera il 5 luglio 1887, l’onorevole Rocco De Zerbi affermava opportunamente: “Le strade ferrate ofantine consistono in una croce, formata dall’antica via Appia (Avellino-Rocchetta-Gioia) e dall’antica via Erculea (Foggia-Rocchetta-Potenza), la quale avendo il centro al ponte Santa Venere, interseca un’area più grande di tutta quanta la Lombardia”.
    Dunque, la funzione che la ferrovia aveva sul finire degli anni novanta dell’Ottocento è lo stesso, che, a distanza di 130 anni, assume oggi la Stazione “Hirpinia”. La ferrovia inaugurata 130 anni fa rappresenta ancora oggi la promessa di futuro per il domani.
    Questa è la conclusione, che oggi ci sentiamo di dare. Sorriderà l’amico Pietro Mitrione, e con lui Francesco Celli e Vincenzo Pacifico, e i tanti che hanno creduto nel futuro della ferrovia, sperando che le entusiastiche parole di Fortunato ed oggi dei moderni economisti della Svimez diventino realtà.

  64. 128 avellinorocchetta 16/07/2022 alle 9:48 PM


    …conoscere la ns Irpinia con la lentezza del treno irpino del paesaggio.
    La emozione è forte, partire dalla ns città per scoprire l’alta i
    Irpinia con le sue valli, le sue montagne i suoi corsi d’acqua ed il verde a perdita d’occhio.
    Un viaggio che ti dà la possibilità di immergerti nella natura incontaminata e poter apprezzare il territorio da un punto di vista unico.
    Visitare centri storici ricchi di culti e tradizioni.

  65. 130 avellinorocchetta 27/07/2022 alle 10:56 am

    IL TRENO
    Le distanze dai grandi centri urbani si accorciano con la nascita della ferrovia che finalmente collega Calitri alla Puglia ed al resto della Campania.
    I “traìni” ed i carri vengono messi a riposo e diminuisce il lavoro per i carrettieri che ritirano merci per conto degli artigiani e commercianti del paese.
    Il fischio del “treno” ed il suo sferragliare rumoroso, sostituiscono il rintocco della campana che chiama all’opera i lavoratori.
    Questo nuovo mostro fumante è legato, purtroppo, anche agli eventi bellici ed al fenomeno dell’emigrazione che hanno sottratto al nostro territorio tante forze giovani e tante lacrime hanno fatto versare a madri e spose.
    Il canto popolare, quello che nasce nelle bettole, nelle cantine, nel dopo-lavoro e che da sempre narra gli eventi più significativi della comunità di appartenenza, sono il racconto in musica di vicende e sentimenti.
    Nella particolare circostanza della costruzione della ferrovia, si è sbizzarrito a raffigurare personaggi e ad interpretare sentimenti: notissima è la canzone “Franc’schina la Cal’trana” portata in auge e rimixata dall’artista Vinicio Capossela: fra storia e leggenda è la bella vivandiera di cui si invaghische l’ingegnere che presidia i lavori della ferrovia.

    Qui di seguito riporto le canzoni a “s’nett”, ogni strofa scandita al ritmo del “quatt’ bass”.
    Tutte strofe pertinenti alla partenza dei giovani chiamati alla guerra o ad assolvere il servizio militare. Da esse traspare rabbia, rammarico, rassegnazione: nel progresso, una triste conquista.

    (IMPRECAZIONI CONTRO IL GOVERNO)

    Mannaggia lu U’vern
    chi ha cacciat la stanziola
    r fach semp chiang’
    quegghj pov’r figliol

    Mannaggia lu Uvern
    chi ha n’v’nta’t la ferrovia
    li uagliun piglian vija
    e r figliol cum anna fà!

    Lu vì, lu vì, mò ven
    lu tren p sotta terra
    li uagliuon vann a la uerra
    e r figliol cum anna fà!

    Lu vì, lu vì, mò ven
    lu tren chi caccia lu fum
    s porta li uaglion e r
    figliol cum anna fà!

    Sò scis a la stanziola
    p vrè la lettorina,
    lu tren chi camina
    e luntan se ne và

    E maledetto quel giorno
    chi è arr’vata la ferrovia
    s porta l’ammor mij
    chissà quando ritornerà

    Mò sona mat’tin
    ind a gh’Isch e lu Saparon
    lu frisch r lu tren
    nuj sciam e igghj ven

    (SI PARTE SOLDATO)

    M’è arr’vata na lett’ra
    n m’hann riformat
    aggia partì soldat
    e l’amic r’aggia lassà

    Eja arr’vata l’ora
    agg avut la chiamata
    a Torin m’ann mannat
    cu lu tren ng’aggia arr’và

    M’ann ritt li cum’pagn
    ca m portan a la stanziola
    na cutarra e na carriola
    ogni muor ng’amma arr’và

    Che giov’n cap’tren
    cu na bella scolla rossa,
    n la ten p fà la mossa,
    lu fr’schett l’adda s’nà

    L’agg acchianat lu tren
    lu tren chi vaj a carbon
    stu piezz r uaglion
    la luntananza m fac spantà.

    Lu tren s’alluntana
    ij la uard la terra mija
    chisà che faciarrija
    a p’tè ess ancora quà

  66. 131 avellinorocchetta 27/07/2022 alle 11:00 am

    Traduzione letterale con considerazioni:

    Mannaggia il Governo
    che ha istituito la stazione
    le fa piangere sempre
    queste giovani figlie
    (a causa della partenza dei ragazzi che vanno in cerca di lavoro altrove)

    Mannaggia il Governo
    che ha inventato la ferrovia
    i maschi pigliano via (espatriano)
    e le ragazze come devono fare?
    (alle ragazze che restano nella loro terra viene a mancare la scelta per maritarsi)

    Eccolo, eccolo , ora viene (arriva)
    il treno sotterraneo
    i maschi partono in guerra
    e le ragazze come devono fare
    (sotterraneo perchè attraversa parecchie gallerie,
    le ragazze restano a disperarsi)

    Eccolo, eccolo , ora viene (arriva)
    il treno che emette fumo (a carbone)
    porta via i giovanotti
    e le ragazze come devono fare?

    Sono sceso alla stazione
    per vedere la littorina
    il treno che cammina (corre)
    e lontano se ne va

    Maledetto quel giorno
    che è arrivata (qui) la ferrovia
    si porta il mio amore
    chissà quando ritornerà

    Ora suona la prima campana (quella mattutina)
    alle contrade Isca e Saparone
    s’ode il fischio del treno,
    noi andiamo (a lavorare) mentre lui fugge via
    (nell’agro di Calitri, nella piana dell’Ofanto, gran parte della strada ferrata attraversa le contrade sopra nominate, una volta ricoperte di vigneti, frutteti ed orti. I contadini alla prima campana già erano in cammino per raggiungere il loro terreni. La povera gente non possedeva orologi, per cui, il ritmo lavorativo quotidiano era scandito dai rintocchi della campana della chiesa madre)

    (SI PARTE SOLDATO)

    Mi è giunta una lettera (la cartolina di precetto)
    non mi hanno riformato (purtroppo)
    mi tocca partire soldato
    gli amici devo lasciar

    E’ giunta l’ora
    ho ricevuto la chiamata
    a Torino mi hanno destinato
    a mezzo del treno ci devo arrivare

    Mi hanno detto i compagni
    che mi accompagnano alla stazione
    con la chitarra, su una carriola (quindi a piedi)
    piano piano ci arriveremo
    (era in uso fino agli anni ’70 di accompagnare con un corteo di amici, il compagno che andava militare. Lo si caricava sul dorso di un asino o di un mulo, su un carro o una carriola, a volte anche in spalle, e, a mò di processione, si raggiungeva lo scalo ferroviario, dove si attendeva con lui che arrivasse il treno)

    Che bel giovane questo capotreno
    con la cravatta (scolla) rossa
    non la tiene per darsi arie
    e il fischietto lo deve suonare

    Sono salito sul treno
    è un treno alimentato a carbone
    anche se sono coraggioso (pezzo di uaglione/ragazzo)
    la lontananza mi immalinconisce

    mentre il treno si allontana
    io osservo la mia terra (il mio paese)
    chissà cosa farei
    per poter restare quà.

    Firmato: Maria Teresa Maffucci

  67. 134 avellinorocchetta 16/08/2022 alle 5:56 PM


    sospensione di viaggio intero

  68. 136 avellinorocchetta 17/08/2022 alle 4:53 PM

    Testo Il Treno
    Il treno è arrivato una mattina
    Col fumo nero della notte prima
    La sirena il richiamo ha tirato
    E tutto il paese giù si è buttato

    Per primo è partito lo stracciato
    Da quella casa sua nera di fumo
    Infine se n’è andato Mandarino
    Con tutte le sementi del magazzino
    Quelli del Castello sono scesi
    Uniti a quelli della Pagliaia
    E tutta la vallata se n’è andata
    E neanche una gallina l’hanno lasciata

    Il paese se n’è andato una mattina
    Senza un avviso senza cartolina
    Come una mandria buttati fuori
    Uomini, cani, sorelle e fiori
    Come una mandria buttati fuori
    Uomini, cani, sorelle e fiori

    Le loro chiacchiere le hanno inchiodate
    Sulle bocche mute delle porte chiuse
    E le finestre abbandonate
    Come occhi neri sono restate

    Il Sonnoso è arrivato in ritardo
    Per ultimo ha gettato indietro lo sguardo
    Poi con la valigia ha fermato il trenoFermi aspettatemi se no mi meno

    E così se n’è andato Tavolone
    Che lo faceva sul tavolaccio
    Con Peppe Nacca, Breccia e Piscone
    Se ne sono partiti tutti sottobraccio

    Pure il diavolo hanno preso le Masciare
    L’hanno preso e avvolto nel grembiale
    E con il demonio così ingarbugliato
    L’arco degli zingari hanno lasciato

    Uh uh

    E hanno lasciato I rami ritorti
    La luna nuova e le croci dei morti
    I campi anneriti e le masserie
    Tutto si è preso la ferrovia

    Una scanata rotonda di pane
    Vituccio in braccio se l’è portata
    Poi tutta se l’è tutta abbracciata
    E per una settimana se l’è mangiata
    E tutta se l’è, tutta abbracciata
    E per una settimana se l’è mangiata

    Come una rosa, come una spina
    Come una fortuna, come una rovina
    Quello che avevo ora se n’è andato
    Quello che viene non è trovato
    E se la vita mi viene addosso
    Con questo treno così la pena
    Così com’ero, restar non posso
    Quello che sono mi porto addosso
    Quello che sono mi porto addosso

    Uh uh

    Il treno è arrivato una mattina
    Come un uccello dalla collina
    Sui binari ha aperto le ali
    E dentro il petto se li è portati

    E lontano lontano all’orizzonte
    Uno schermo gli è apparso lontano di fronte
    E tremava di luce e bagliore
    La visione del grande televisore

    E lontani li inghiottiva lontani
    Come il conforto dell’ultimo porto
    E lontano gli vegliava dall’aia
    La canizie della vecchiaia
    E lontano gli vegliava dall’aia
    La canizie della vecchiaia

    Come una rosa, come una spina
    Come una fortuna, come una rovina
    Quello che avevo ora se n’è andato
    Quello che viene non è trovato
    E se la vita mi viene addosso
    Con questo treno così la pena
    Così com’ero, restar non posso
    Quello che sono mi porto addosso
    Quello che sono mi porto addosso

    Uh uh

  69. 138 avellinorocchetta 02/09/2022 alle 9:12 PM

    la litturina

    Prefazione

    I racconti brevi, sebbene a torto confinati ai margini dell’offerta editoriale, hanno spesso il pregio di essere più efficaci di un romanzo, dove lento è il ritmo narrativo. Hanno il vantaggio di catturare rapidamente la curiosità del lettore, grazie alla sensibilità dello scrittore di dosare con perizia la dimensione metaletteraria con la dimensione popolare. Densità e concisione di scrittura attraverso le brevi sequenze dialogiche in forma dialettale, costruite intorno a sequenze descrittive e narrative in lingua italiana, rendono memorabili le pagine del presente racconto.
    L’amore per la propria terra e l’empatia irresistibile verso i suoi abitanti, la memoria viva di chi ci ha preceduto hanno spinto l’autrice Giovanna Ciampa a partecipare al concorso letterario “Racconti campani”, dove il suo scritto è stato selezionato per essere inserito in un’antologia edita da Historica Edizioni. “Dove passa a litturina” si presenta dunque come un gioiellino letterario di racconto breve ambientato in un piccolo paese dell’Irpinia, Montefalcione, negli anni in cui si comunicava con gli sguardi, gli abbracci, espressioni colorite e affettuose, il contatto fisico oggi sostituiti in gran parte da likes e smiley sulle varie piattaforme della piazza virtuale.
    Con gli occhi del protagonista, il casellante che per 37 anni ha visto partenze e arrivi di locomotive, il lettore s’immerge nell’umanità variopinta dei passeggeri, in Serafina, la donna colta dietro il banco degli Alimentari, in un mondo nostalgicamente lontano, come il fischio dell’ultima littorina del 1986.
    L’autrice ci offre squarci introspettivi di grande efficacia che ci riportano ad un noto narratore breve come Italo Calvino, il quale sosteneva che “scrivere prosa non dovrebbe essere diverso dallo scrivere poesia” perché in entrambi i casi “è ricerca di un’espressione necessaria, unica, densa, concisa, memorabile”.

    Filomena Marino

    Là, dove passa la ” littorina”

    “Savasta’, vuoi un altro caffè?” torno alla realtà…
    È Antonio, il proprietario di questo piccolo bar, in questo piccolo paese, immerso tra le colline, nel cuore dell’Irpinia. È qui che sono nato, qui ho conosciuto mia moglie, qui ho lavorato per trent’anni!
    Non l’ho mai lasciato questo paesello, le sue strade, la festa del Santo patrono, la gara dei fuochi pirotecnici! ‘O sparo ‘e Montefalcione’, lo chiamano tutti: quanti nasi all’insù per ammirare i colori e le forme dei nostri fuochi d’artificio!
    Sembra si fermi il tempo in queste viuzze!
    Ed invece, il tempo è passato, anche troppo in fretta!

    Ricordo ancora l’annuncio dell’ultimo treno che è passato da quel binario.
    Era il 1986, avevo alle spalle trentasette anni di servizio come casellante…sempre in quel casello, per trentasette anni…era casa mia, ormai, era la mia casa cantoniera, anche se una casa di proprietà ce l’avevo. Mi ero sistemato bene: avevo tutti i confort, il frigorifero, la credenza, una scrivania e il letto per fare la pennichella tra un treno e l’altro! Facevo turni di 14 ore. Il primo treno passava alle 3.45 di mattina, l’ultimo alle 19.45. Nella casa di proprietà ci passavo per cena e qualche ora di sonno. Lì ritrovavo mia moglie, santa donna, che ha sopportato tutte le mie assenze. Nei giorni feriali e festivi. Il casello veniva prima di tutto!

    L’ultimo avviso del treno che stava passando, lo annunciai a settembre, alle 12.55, ma l’orologio della chiesetta accanto alla stazione, segnava ancora le 19:34. Già le 19:34 di quel 23 novembre 1980.
    Quando la terra tremò, mancavano 13 minuti al passaggio della carrozza proveniente da Avellino. C’era una luna rossa enorme, all’improvviso scie di fuoco e poi il buio totale. Non so se quel treno sia mai arrivato perché quel buio mi avvolse e mi disorientó. Minuti che durarono un’eternità!

    Dopo il terremoto, i treni sono stati sempre meno frequenti a causa dei danni geologici subiti dalle strade ferrate. La mia stazione si spopolava sempre più, insieme ai sogni e alle speranze di rivederla viva come anni addietro. Eppure di speranze e di memorie ne aveva vissute tante!

    “Sta arrivann a litturina, muoviti compà!”, ogni mattina era sempre il solito ritardatario. Alfredo insegnava matematica in una scuola elementare ad Avellino. Prendeva il treno alle cinque e tornava col treno delle cinque. Ogni mattina lo vedevo arrivare a passo spedito, dalla strada che costeggiava il casello, con le scarpe buone sulle spalle, il cappotto verde scolorito e i libri legati da una molla. Velocemente si toglieva le scarpe vecchie e me le lasciava in custodia, infilava quelle nuove e saltava sulla carrozza, per rientrare nel pomeriggio e fermarsi a raccontarmi dei suoi alunni e della vita in città. Un giorno mi disse: ” Compà, hai mai pensato di mollare tutto e salire sul primo treno che passa?”
    “Nè Comp’Alfrè, ma tu ricordi che sto treno fa Arianiello-Percianti e a Rocchetta S.Antonio torna indietro?!”
    “Ma era in senso lato caro Sebastiano!”
    “Angolo o lato, sto treno a Rocchetta torna indetro!”, non avevo capito cosa volesse suggerirmi, certo è che Alfredo aveva deciso di prenderlo quel treno e si trasferì a Milano, mollando la matematica.

    Chi invece, non aveva avuto il coraggio di saltare su un treno erano le due sorelle che abitavano dietro alla stazione. Rimaste zitelle, passavano le loro giornate tra il lavoro nei campi e qualche aggiusto sartoriale. Non avevano mai visto Avellino, ma nemmeno il paese accanto! Persino il loro paese non conoscevano! Erano fossilizzate in quella casa paterna e il resto del mondo le spaventava. Erano brave massaie, avevano imparato anche a macellare… e che pane delizioso sfornavano! Ogni forma era grande quanto la ruota di un carro ed il profumo inebriava tutta la stazione quando facevano “la cotta”. Quando si affacciavano al casello, facevano a gara a chi dovesse parlare prima: mi portavano la colazione perché dicevano che mi vedevano sciupato, dato che non avevo tempo di mangiare perchè stavo sempre ad abbassare e alzare la sbarra, ad annunciare i treni, a pulire il binario. E mi porgevano “a merenna”: due fette di pane appena sfornato lunghe e larghe come un mattone, accompagnato da un frutto o un pezzo di formaggio o di salame!
    Quanta gentilezza c’era ancora quel tempo!
    Io per ringraziarle, compravo il preparato di lievito e bicarbonato per fare i biscottini, al negozio di Serafina, in mezzo al paese. Le sorelle, contentissime, dicevano di non sapere come disobbligarsi! Eppure, ho sempre sospettato che oltre alla gentilezza, le signorine erano in competizione per me! Ero un bel giovane, facevo la mia bella figura con la divisa da capostazione, cappello in testa e giacca sempre pulita!
    Mia moglie era un pò gelosa, mi diceva sempre che a chissà quante donne avevo fatto girare la testa, invece, erano stati i miei occhi a fotografare le tante storie d’amore che in quella stazione andavano e tornavano.

    Lacrime, baci, gioie, abbracci… Persino un matrimonio è stato celebrato! Era la figlia di un capotreno: aveva desiderio di farsi la foto scendendo dal treno in abito da sposa e di celebrare lì il matrimonio. Quella domenica mattina feci ritardare la littorina nella partenza: la giovane sposa era raggiante, forse, il suo, era un modo per lasciare una vita e iniziarne un’altra “fuori dal treno”.

    Eppure, ho un ricordo che mi spezza il cuore. Un ricordo velato. Quando Carolina accompagnò Franco al casello era un giorno di ottobre. Lei una giovane ragazza con i capelli ricci e neri, timida, mingherlina. Lui un giovane forte, che la strinse in un abbraccio e partì su quel treno direzione Avellino e ad Avellino avrebbe preso un altro treno che lo avrebbe portato lontano, fino a raggiungere la Francia, dove avrebbe lavorato in una miniera per guadagnare qualche soldo e sposare Carolina. Non è mancata una sola settimana: ogni venerdì, per due anni, quella ragazza, veniva in stazione ad attendere un treno anzi ad attendere un uomo che non arrivava. Franco, dopo qualche mese in Francia, aveva avuto un malore mentre lavorava. Una disgrazia l’aveva portato via in un secondo, ma Carolina non si era data pace e, come un fantasma, aspettava ogni venerdì, l’arrivo del treno delle 19.20.

    Credo che tra i ricordi di un casellante ci siano, innanzitutto, quelli legati a situazioni divertenti e quotidiane. Come i pendolari che, ogni giorno, prendevano quel mezzo per andare a lavorare o, chi poteva permetterselo, a studiare. Vedersi tutti i giorni significava entrare in una certa intimità: ci scambiavamo opinioni, consigli, aneddoti. Qualche ragazzo mi chiamava “zio”. A qualcun altro ho tirato uno schiaffone vedendolo con la sigaretta in bocca. Le signore con i pargoli, avevano la precedenza:avevo sempre qualche caramella da offrire! I ferrovieri mi conoscevano tutti! Quelli che facevano la tratta coi treni merce, da me caricavano discrete quantità di prodotti agricoli. Poiché dovevano aspettare che venissero riempiti i vagoni, venivano nella casa cantoniera a farmi compagnia con un buon bicchiere di vino e un pezzo di formaggio. Nel vecchio mobile conservavo sempre una piccola scorta di viveri oltre quello che mi donavano i viaggiatori!
    Ad agosto, poi, persino nei cassetti mi ritrovavo cioccolato e gomme americane! Eh si, agosto era un’epifania di arrivi e partenze!

    Zì Massimino l’americano non è mancato ad una sola festa del santo patrono. Quando scendeva dalla carrozza, lasciava una scia della sua acqua di colonia, camicia sbottonata e crocifisso d’oro che penzolava sul petto peloso. “Ué paesà come stai? La festa comme si porta?” ed intanto dalla sua “begga” tirava fuori barrette di cioccolato e chewing gum portati da oltre oceano. Quando ripartiva, passava a salutarmi insieme al nipote: mi metteva venti dollari in tasca, mi abbracciava e mi prometteva di vederci l’anno successivo. Lo stimavo tantissimo. I suoi genitori erano poverissimi e non potendolo accudire, lo spedirono da un cugino del padre a Boston quando aveva 9 anni. Faceva il garzone per un lucidascarpe: aveva imparato ad aggiustare le suole e i tacchi, finché aprì un piccolo negozio nel quartiere italiano. Gli affari andavano bene. Negli anni ‘80 gestiva una piccola fabbrica calzaturificia. Si era costruito da solo, veniva ogni anno dai genitori, lasciandogli un gruzzolo per farli stare meglio, ma il suo cuore, nonostante tutto, si era legato a questo paese.

    In tanti sono emigrati.
    Quante storie ho ascoltato di compaesani che venivano trattati come bestie per poter guadagnare qualche soldo. Francia, Inghilterra, Germania, Svizzera, Belgio, America: qualcuno è tornato in paese, altri hanno messo radici all’estero.
    Ma nei tempi di povertà, anche qui in paese c’era discriminazione. Si lavorava sotto padrone! Ed i padroni erano caporali! Guai se mancavano mezzo chilo di olive o una pigna d’uva! Oltre alla povertà c’era l’analfabetismo! Certo, c’era la radio, ma le notizie ce le leggeva Serafina nel suo negozio, intorno a un braciere, di domenica! Era una donna istruita, comprava il giornale, il “Roma” e lo leggeva dall’inizio alla fine per i suoi compaesani. Era un momento di cultura e associazione senza secondi scopi. C’era la possibilità di confrontarsi, ognuno diceva il suo pensiero… finché sono arrivati i televisori… ed hanno trovato posto in casa!

    Gennarino è stato il primo a comprare un televisore nella contrada della stazione. L’estate degli europei di calcio del ‘68, dietro al casello allestì un vero e proprio cinema all’aperto! “Savastà, qua teniamo più spazio, ognuno si può portare la sua sedia…e, poi, grazie a te che ci presti la corrente, possiamo tifare Italia vedendola pure!” Diciamo che ad offrire questo servizio erano le Ferrovie dello Stato e Gigino che teneva l’antenna irta in una direzione strategica. Ma non dimenticherò mai lo stupore e la tifoseria di quel gruppo: gli abbracci ad ogni goal, brindisi a base di vino e Gigino fermo come una statua per non guastare il segnale.
    I ragazzi si divertivano con poco! Erano felici di semplicità!
    Ed in ogni gruppo c’era il fenomeno! Come Antonio! Un giorno regalò delle caramelle a sua zia. Cosa si era inventato dietro quel nobile gesto? Nelle caramelle aveva messo il mastice che usavano i calzolai. Povera zì Paolina, come iniziò a masticare, la dentiera si incolló tra se, non riusciva a parlare e mugolava cose assurde contro Antonio!

    E come potrei dimenticarmi di Cillo! Quando nacque, la madre non riusciva a nutrirlo. “Non le scende il latte! “diceva la “mammana” che l’aveva aiutata a partorire, ma la povertà era talmente tanta in quella casa, che la mamma di Cillo prima di mangiare lei, sfamava gli altri sei figli! Cillo fu affidato a una “mamma di latte” ossia un’altra donna che avrebbe diviso tra il figlio naturale e Cillo, le poppate. Cillo è venuto su forte e pieno di energie! Veniva a trovarmi quasi tutti i giorni. Camminava, camminava. Conosceva ogni angolo del paese. Quando arrivava al casello, mi abbracciava: era il suo modo migliore di esprimersi. Il suo cervello non si era sviluppato completamente, aveva difficoltà a parlare, ma i suoi ragionamenti erano spesso più razionali di tanti altri!
    Si sedeva sulla panchina dinanzi alla casa cantoniera, strappava una margherita dal mio orto e buttava lo sguardo qua e là, come se stesse davvero attendendo qualcuno, forse una ragazza, chissà cosa gli suggeriva quel suo cervello! In paese era conosciuto da tutti. Spesso lo prendevano in giro e lui si rifugiava nel bar di Concettina. Si chiudeva nella cabina telefonica che era all’interno dell’attività e restava immobile per tempi infiniti. Concettina per farlo uscire, gli mostrava un moretto, il suo dolce preferito! Solo così saltava fuori, la abbracciava e mandava giù il dolce! Il suo posto sicuro barattato per un moretto.

    Era settembre. Un altro treno e sarei rientrato a casa da mia moglie. La giornata era stata uggiosa ed il sole aveva fatto presto a tramontare. Faceva ancora caldo.
    Stavo annotando sul registro il passaggio della littorina, Cillo quel giorno non era venuto a trovarmi. In paese si vedevano poche luci accese: quella sera il panorama mi sembrava spettrale e non il solito presepe di sempre. Mentre scrivevo sul registro, dentro me sentivo come un senso di irrequietezza, di inquietudine. Sembrerà strano, ma quel casello mi stava avvisando di qualcosa. Presi la mia torcia e mi avviai sul binario verso la galleria e ahimè… le mie sensazioni erano vere! Un gruppetto di ragazzini schiamazzavano in prossimità del sottopasso incitando qualcuno a continuare a camminare, nel buio, all’interno. Spesso si divertivano a mettere le cento lire sui binari, e dopo il passaggio del treno, recuperarle e vederle ridotte a frittatine oblunghe e sottili. Ma quella sera no! Quella sera avevano convinto Cillo ad attraversare il tunnel per arrivare fino allo sfiatatoio, sotto il terreno di Angelo ‘o Scarparo, e lì guardare la luce della luna!
    Iniziai a correre come mai avevo fatto, fortissimo e dal mio diaframma usciva una sola lettera: “ aaahhh”.
    I ragazzi, impauriti, se la diedero a gambe, raccontando in paese di aver visto uno spirito che gli correva incontro, urlando, giù alla stazione. Mi precipitai nella galleria. Il treno stava arrivando, sentivo il ferro del binario vibrare! Quando vidi Cillo al centro del tunnel, che osservava la cima dello sfiatatoio, lo afferrai per la camicia, attaccandolo contro la parete mentre io gli facevo da scudo umano! Il treno arrivó, lasciandoci addosso un suono spaventoso, polvere e detriti. Avevo il cuore al limite di infarto.
    Ritornammo alla casa cantoniera, ci sedemmo sulla panchina, lì davanti. Non avevo più forza! Cillo se ne stava zitto, piangeva…aveva avuto tanta paura! Lo abbracciai, come faceva lui e gli indicai la luna!

    Anche quella volta quel binario mi aveva parlato! La sua anima mi avvisava del pericolo. Ero in simbiosi! Essere lì, per me, era una fortuna! E come tutti i casellanti eravamo delle figure fondamentali all’epoca! Quanto ho sofferto quando ci hanno sostituito con delle scatolette tecnologiche. Dov’è la loro anima?! I passeggeri a chi raccontano le loro storie, ora?

    Dal casello ci passava il mondo, una varietà umana che cambiava incessantemente, che non ti annoiava mai!
    Ancora oggi, trascorro le mie giornate alla finestra, sperando di sentire il passaggio del treno: un rumore per alcuni, un suono unico e familiare per me!

    Per essere felici a volte basta solo cambiare prospettiva e ricordare la magia delle piccole cose, delle parole che scaldano il cuore. Parole che raccontano vite vissute e sogni da realizzare. La mia stazione era anche questo! Un mondo dove anime vaganti affrontavano ogni giorno la vita, lasciandomi il loro saluto più caro “Buongiorno Savastà! Arriva a littorina?”

    Io sottoscritta Ciampa Giovanna, autrice del racconto “Là dove passa la litturina”, premiato e pubblicato nell. ‘Antologia Racconti Campani 2022,
    Autorizza
    Il Sig. Mitrione alla pubblicazione sul proprio portale web, tenendo a precisare autore e pubblicazione.

    1 settembre 22
    CIAMPA GIOVANNA

  70. 139 avellinorocchetta 08/09/2022 alle 8:58 PM

    Il viaggio Avellino-Rocchetta S.A…..in treno (la riflessione di Nunzio Cignarella) Ottopagine 07.09.2010
    Proprio nel giorno in cui vengono soppresse due corse (vale a dire la metà di quelle esistenti) sulla tratta Avellino-Rocchetta sant’Antonio, Pietro Mitrione e gli Amici della Terra Irpina organizzano l’ennesimo viaggio domenicale lunga la ferrovia delle zone interne, che scavalca le valli del Sabato, del Calore e dell’Ofanto. La dimostrazione che i cosiddetti rami secchi della linea ferroviaria italiana possono essere eccezionale veicolo turistico per le zone interne non solo dell’Irpinia, ma dell’intero meridione. Partono da Avellino due carrozze colme di 130 passeggeri, e molti sono stati rimandati indietro per mancanza di posto. Non c’è fretta, il convoglio, come una lama tagliente, si apre uno stretto sentiero nella vegetazione che ci accompagnerà fitta fino a Montella ed oltre. Ogni tanto gli arbusti sporgenti sfiorano i finestrini. Rapide fermate, come da orario ferroviario, a Luogosano, Montella, Bagnoli, Lioni, Calitri.

    Mentre giochi ad indovinare i paesi che si scorgono ai due lati del percorso, sulle colline circostanti (Taurasi, Lapio, Cassano), pensi che ancora una volta non è dall’alto, dai palazzi della politica, ma dal basso, dall‘iniziativa di giovani e meno giovani, che viene un’idea di sviluppo sostenibile. Sono volontari gli organizzatori, e le hostess (non riesco a trovare un altro termine) che lungo il cammino distribuiscono biscotti al cioccolato e thè alla cannella. E c’è il complessino che fra uno scossone e l’altro del treno tenta accordi per forza di cose sincopati. Basterebbe poco per creare, attorno a questa iniziativa, posti di lavoro: un minimo di coordinamento con altre iniziative, magari il coinvolgimento delle scolaresche, meno soldi pubblici di quanti ne occorrano per la sagra della pasta asciutta. Ci pensi, mentre il treno sfiora i nuclei industriali di San Mango, di Nusco, di Calitri, con i loro stabilimenti vuoti e lo sviluppo post-terremoto che in molti casi è stato l’ennesimo inganno. Pensi che vivere con lentezza può essere una risorsa da valorizzare, un’oasi (come quella di Conza che ti sembra di toccare dal finestrino) dove rifugiarsi.

    La ferrovia attraversa pezzetti di Basilicata prima di sfociare in Puglia. La vegetazione fitta cede il passo alle ampie distese coltivate a grano, con i paesi ben visibili a guardia delle valli: Sant’Agata di Puglia, Candela, Rocchetta. Alla stazione di Rocchetta ci attendono il sindaco con fascia tricolore e la banda municipale. In piazza l’associazione Liberamente offre con generosità una degustazione dei prodotti e vini locali. E’ l’ospitalità dei paesi arroccati sulle colline, dove non ci si passa, ma ci si va.

    La popolazione di Rocchetta sfiora le duemila unità. In una domenica di settembre arrivano 130 visitatori, il 6,5 per cento della popolazione locale. E’ come se ad Avellino, tutti in una volta, arrivassero 4mila turisti, che pranzano, comprano prodotti locali, prendono il caffè, acquistano il giornale. Il 18 settembre si andrà a Calitri. Il giorno dopo il treno farà tappa ad Aquilonia, un altro paese dove si va apposta, non si passa per caso, e che si animerà per un giorno.

    La ferrovia Avellino- Rocchetta Sant’Antonio da ramo secco può trasformarsi nel tassello di un rinascimento possibile, a patto che i palazzi della politica guardino oltre le sagre, i municipalismi, le consulenze milionarie e si decidano finalmente ad elaborare un progetto complessivo e condiviso di sviluppo sostenibile.

    Nunzio Cignarella

  71. 142 avellinorocchetta 13/09/2022 alle 4:38 PM

    La ferrovia Avellino-Rocchetta SA

    Il viaggio sulla Avellino Rocchetta è il racconto di un intero territorio e della costruzione del suo paesaggio. Completata nel 1895, realizzata con enormi difficoltà dovute alla complessa orografia dei terreni, la strada ferrata, una promessa che Ferdinando di Borbone fece al Principato Ultra all’indomani della “Napoli-Portici”, s’insinua nel cuore e nella pancia dell’Irpinia e si muove con una lentezza che consente al viaggiatore di godere, dal finestrino, la varietà, la mutevolezza, dei luoghi e delle stagioni, del paesaggio che scorre a 30km/h.
    Si può percorrere in più tappe, fermandosi una volta in un paesino – ce ne sono circa trenta sulla strada, di quelli arroccati, sull’Appennino Meridionale – e la volta successiva in un altro, oppure la si può percorrere tutta d’un fiato, godendola nella sua interezza. In una bella giornata di primavera inoltrata o all’inizio dell’estate, a settembre o alla metà di ottobre, è ideale viaggiare a bordo delle vetture storiche di Fondazione FS, due affascinati ALn668 degli anni ’70, sapientemente restaurate dalla Fondazione, uniche sul territorio italiano, assegnate alla nostra tratta. Il viaggio, lungo 119km, parte dalla Stazione di Avellino. Ricostruita nell’edificio principale dopo il terremoto dell’80, la stazione mantiene però alcuni originali manufatti relativi al primo impianto datato 1879; questi come tutta la linea sono oggi un bene culturale per decreto del MiBAC.
    L’automotrice imbocca la strada che vira ad est verso l’Irpinia interna. Scavallando il fiume Sabato, il primo dei tre fiumi solcati e fiancheggiati dalla ferrovia, apprezziamo una delle numerosissime opere d’arte presenti sulla Linea: il Ponte Milano. In muratura di mattoni, il ponte curvo a 16 arcate disegna il paesaggio e si impone sulla città di Atripalda, maestoso. Ci apre la porta alle valli irpine dei grandi vini, perfettamente disegnate, maniacalmente suddivise dai filari di un verde brillante alla fine della primavera e in estate e intensamente rossi in settembre e ottobre durante la vendemmia. Attraversiamo l’areale del Fiano, con i borghi arroccati, e ad aprire quello del Taurasi, saltando il fiume Calore, troviamo un’altra meraviglia ingegneristica della tratta: il Ponte detto “Principe”, grandiosa opera in ferro di quasi 300 metri e 3 campate. Lasciate le vigne alle nostre spalle, ci inerpichiamo sui monti del Parco dei Picentini incontrando i borghi delle castagne e dei tartufi per scendere infine verso la valle del fiume Ofanto, col quale la strada ferrata gioca a rincorrersi tra i campi di grano giallo, salutando a sud-est la Basilicata, fino ad arrivare in Puglia, a Rocchetta SA.
    Qui il nostro viaggio termina, ma la scoperta è continua, ogni viaggio è unico.

  72. 143 avellinorocchetta 15/09/2022 alle 8:24 PM

    Immagina un territorio dalla storia remota, ancestrale. Una stirpe antica, che ha saputo dare del filo da torcere a Roma e mantenere nei secoli una propria forte identità. Una terra aspra che trema dalle sue viscere vulcaniche, ma anche dolce che sa regalare prodotti incredibili e scorci mozzafiato.
    Immagina una stazione. Non particolarmente bella, ammettiamolo. Silente, sospesa, deserta. Avellino.
    La complessa macchinazione politico-burocratica di stampo prettamente italico ci è riuscita, qui, in questo capoluogo di provincia. La strada ferrata che cade sconfitta dalla sua cugina di bitume, processo condensato (da Wikipedia) in un termine raccapricciante: “stazione autosostituita”.
    Immagina un treno. Uno sferragliante mastodonte metallico che fischia, stride, barrisce nervoso lungo la salita, espira leggero in discesa. Un mezzo che trasmette a chi viaggia la sensazione vibrante di movimento e di fatica.
    Immagina un viaggio. 119 chilometri. Neanche un’ora di macchina su autostrada, dove per rompere la monotonia del percorso, ti fiondi disperato nel primo Autogrill, a costo di sfidare venditori di calzini, ladri d’auto, orde di ragazzini in gita e l’immancabile tanfo di urina del parcheggio.
    Immagina invece uno spostamento fisico, nel quale la destinazione perde di significato ed anzi il tragitto diventa il vero protagonista.
    Colline, borghi arroccati, Vigneti (con la V maiuscola perché parliamo di Aglianico, Fiano, Greco e di Taurasi). Una galleria. Due. Diciannove in totale.
    Due fiumi: il Calore e l’Ofanto. Un ponte in ferro battuto, detto principe, per la sua maestosità. Due. Cinquantotto (!). Opere d’arte prima ancora che opere ingegneristiche. Paternopoli, Castelvetere, Castelfranci, Montemarano.
    E mentre cerchi di ricordare se a fine ‘800 bulldozer e betoniere esistessero già o meno (NO che non esistevano, e quelle traversine le hanno posate a mano una per una i nostri tris-nonni), il sole ti accieca e si spalanca una vallata. Sono i Picentini, dove castagne, tartufi, formaggi, perfino l’acqua hanno un valore unico. Cassano, Montella, Bagnoli, Nusco, S. Angelo, Lioni.
    Poi l’Irpinia più brusca si apre e si ammorbidisce, e man mano i colori virano dal verde intenso all’ocra, che sa di Lucania. Uno specchio d’acqua che abbaglia. Un borgo avvinghiato sul fianco di una rupe rocciosa che sembra possa scivolare a precipizio da un momento all’altro.
    A bordo del vagone anni 70’ gli uomini (e le donne) della terra raccontano con entusiasmo trascinante cosa significa questo viaggio, oggi. Si beve il vino, quello che nasce dai vigneti che puoi toccare con la mano se ti sporgi dal finestrino (occhio ai rovi) e si assaporano i prodotti del luogo.
    Tre meravigliose regioni si toccano in questo angolo di Appennino e il convoglio danza lascivo lungo i confini nel suo sinuoso movimento. Conza, Cairano, Calitri, le pendici del Monte Vulture, un altro gigante vulcanico, sonnolento e benevolo.
    E piano piano, a 20 meravigliosi chilometri orari, si compie un altro lento viraggio cromatico: è il momento del giallo oro abbacinante dei campi e delle masserie, che grida Puglia, grano duro e ulivi secolari. Colline dolci, riarse dal sole di mezzogiorno e sferzate dallo scirocco fanno volare l’immaginazione verso Oriente.
    Capolinea. Rocchetta Sant’Antonio, un tempo crocevia di importanti strade ferrate, porto di terra dal quale salpavano avventurieri in cerca di fortuna, mascalzoni, professori, lavoratori migranti, nobili famiglie.
    È questa la magia del viaggio lento, della locomotiva, della ferrovia storica ed eroica, dei borghi (che tutto sono fuorché MINORI), degli accenti che mutano, delle tradizioni rurali, del contatto umano (a chi serve Tripadvisor?), di donne e uomini della terra che si sono battuti per riportare in vita un pezzo del nostro passato e per trasformarlo in un pezzo del nostro futuro.
    Perdersi tutto questo è peccato mortale.
    Filippo (Piacenza)

  73. 144 avellinorocchetta 16/09/2022 alle 9:21 PM

    Un viaggio lento, che non conosce orari,pressioni o stress, lasciando a casa l’orologio e l’idea di “avere un appuntamento”, Irpinia Express diventa un viaggio esperienziale, un tuffo nel verde, nei boschi, correndo al fianco di cascate, passeggiando per i borghi storici, sorseggiando vini; un paesaggio mutevole dal finestrino di un treno e il tempo per osservarne le caratteristiche: le colline dei vigneti delle Doc.g, le valli dei fiumi Sabato e Calore, le alture del Parco Regionale dei Monti Picentini, le colline meno accentuate che dolcemente sfumano nel letto dell’antico Ofanto. Tutto questo stando seduti su un mezzo storico, elegantemente restaurato da Fondazione FS Italiane dondolando sui binari, attraverso gallerie e su ponti della magnifica ingegneria ottocentesca.
    Questa è l’Avellino-Rocchetta Sant’Antonio e questo è solo l’inizio dell’esperienza che vi aspetta.
    https://studio.youtube.com/video/JTy0FG3Xl_Y/edit

  74. 146 avellinorocchetta 17/09/2022 alle 3:52 PM

    «Signori, in carrozza!». L’ordine è perentorio. E scuote il piccolo gruppo di viaggiatori sulla banchina della stazione di Avellino. Sventola la bandiera rossa del capotreno. Un fischio acutissimo lacera l’arietta frizzante del mattino. L’Irpinia Express può finalmente partire. È un piccolo convoglio, trainato dall’automotrice diesel ALN668SERIE1800, ma è pieno di storia. Abbiamo appena cominciato un fantastico viaggio alla scoperta della terra dell’acqua e del vino, della street art e del Medioevo, della filosofia e dell’ingegneria.
    Siamo seduti – a rigorosa distanza di sicurezza anti Co-vid-19 – sulle poltrone foderate di velluto rosso FS, calde e avvolgenti. L’atmosfera è vintage come il treno storico che ci conduce, con andamento lento. L’automotrice e i suoi interni sono stati perfettamente valorizzati. Ogni dettaglio nello scompartimento è curato per assicurare ai viaggiatori l’esperienza del tempo andato. In questo percorso ci accompagnano, con spiegazioni e aneddoti, il personale della Fondazione FS Italiane e i volontari dell’associazione In Loco Motivi che illustrano le caratteristiche tecniche, ambientali, storiche dell’itinerario.
    Un percorso del tempo lento e ritrovato che la Regione Campania ha finanziato per promuovere una riscoperta ecologica, artistica e culturale del territorio. In circa tre ore giungeremo a Lioni percorrendo ben 62 chilometri con una media “vertiginosa” di 20 chilometri orari. Con l’Alta Velocità, in tre ore, si attraversa l’Italia. Con l’Irpinia Express si attraversano fiumi, vallate, vigneti e campi di grano scoprendo dettagli che la velocità moderna, utile e benedetta per tantissimi motivi, renderebbe impossibile scorgere e apprezzare.

    LA FERRATA DI FRANCESCO DE SANCTIS
    Il nostro viaggio si svolge sulla storica linea ferroviaria Avellino-Rocchetta Sant’Antonio, lunga 119 chilometri, a binario unico non elettrificato. L’opera è stata realizzata alla fine dell’800 – il viaggio inaugurale è datato 1895 – da un’idea e su impulso politico di Francesco De Sanctis, che in questo territorio aveva il suo collegio elettorale. De Sanctis era convinto che la ferrovia avrebbe aiutato lo sviluppo economico e sociale dell’Irpinia, cerniera territoriale con la Puglia e la Basilicata. Quest’opera è un vero e proprio capolavoro d’ingegneria ferroviaria con 30 ponti e 19 gallerie scavate nella roccia (la più lunga misura ben 2.595 metri). A ricordare l’impegno del filosofo, l’intestazione Morra De Sanctis (AV) del suo borgo natio raggiunto dalla linea ferroviaria.
    NSEGUENDO L’ACQUA
    Una delle caratteristiche principali e più affascinanti della Avellino-Rocchetta Sant’Antonio è il rapporto con i tre fiumi, Sabato, Ofanto e Calore. Per molti chilometri, i binari costeggiano i corsi d’acqua “immergendo” i convogli e i viaggiatori in un ambiente fluviale. La natura è completamente padrona della scena e i rami degli alberi verdissimi quasi oscurano la luce che filtra dai finestrini. Piccole cascate, laghetti popolati da uccelli, canneti animati da ranocchi rumorosi. Per chilometri e chilometri solo verde in tutte le sue sfumature. La linea ferroviaria sembra quasi inseguire i fiumi. Essendo le motrici dell’epoca alimentate a vapore, era indispensabile che le stazioni lungo il tragitto avessero tantissima acqua a disposizione per assicurare rifornimenti idrici sicuri e continuativi.

    LA TOUR EIFFEL IRPINA

    L’attraversamento dei 30 ponti è spettacolare. Da brivido il passaggio prima della curva di Rocchetta, eseguito a meno di dieci chilometri orari, con le carrozze che s’inclinano vertiginosamente. Ma l’appuntamento più atteso è quello con sua maestà il Ponte Principe di Lapio, lungo 286 metri. Un capolavoro d’acciaio che è stato definito la Tour Eiffel d’Irpinia. Quasi come se il monumento simbolo di Parigi, invece di puntare verso il cielo, fosse stato adagiato in questa vallata irpina. È davvero il principe dei ponti, realizzato – lo dicono con orgoglio il personale della Fondazione FS Italiane – con acciaio meridionale prodotto in Calabria. Lo attraversiamo trattenendo il fiato per l’emozione mentre dalla strada i passanti salutano festosi il passaggio del treno.
    Il Ponte Principe (AV)

    LA TERRA DEL VINO
    Tanta acqua in Irpinia, ma anche tanto buonissimo vino. Stiamo percorrendo la zona dei meravigliosi vigneti che generano i vini diventati famosi in tutto il mondo: Greco, Fiano, Aglianico e il nobile Taurasi. Un miracolo enologico frutto della struttura orografica del territorio, della sua composizione geologica e della secolare sapienza dei produttori che hanno saputo seguire l’evoluzione scientifica a supporto del gusto. Questi vigneti, proprio per le loro straordinarie caratteristiche, sono sopravvissuti indenni alla peronospora che in diverse epoche ha fatto strage di vigneti italiani. L’Irpinia e il confinante Sannio sono oggi dei veri e propri santuari del bere di altissima qualità, in una sequenza inimitabile di profumi, fragranze, sapori. Vini schietti e al tempo stesso amabili, popolari e regali proprio come questa gente che faticosamente estrae dalla terra il nettare degli dei.
    IL TRIONFO DEL BOSCO
    Il paesaggio cambia di chilometro in chilometro mentre ci avviciniamo alla destinazione finale. L’ambiente fluviale e i vigneti cedono il passo ai campi di grano e ai pascoli, con placide mucche che sembrano mettersi quasi in posa al passaggio del convoglio storico, e poi ai boschi sulle cui colline spuntano arditi santuari. Boschi secolari che il treno quasi accarezza con le sue carrozze, godendosi il fruscio delle foglie. Boschi ricchi di tantissime delizie, specialmente nel periodo autunnale, tra cui funghi e castagne, senza dimenticare le fragoline.
    Quando si parla delle castagne di Montella si parla di una specialità conosciuta e apprezzata. E i funghi, cucinati in mille modi diversi, accompagnano molti piatti della tradizione irpina. Il viaggiar lento aiuta a scoprire anche prodotti dimenticati, come il Pecorino di Carmasciano, appena entrato nel paniere Slow Food.

    ZAMPOGNE E MURALES
    Lo spettacolo dell’Irpinia Express non si svolge però soltanto oltre i finestrini sui quali, come in uno schermo televisivo, scorrono le immagini in movimento di questo territorio sorprendente. Il viaggio a bordo è arricchito anche dalla performance artistica di Nicola Mariconda, con zampogna e bordone. Le nenie pastorali si alternano ai versi di Eduardo De Filippo e alla poesia ’A livella di Totò, aiutando i viaggiatori a riflettere sul senso del tempo e del viaggiare. All’arrivo a Lioni il gruppo di passeggeri è accolto dalla Pro Loco, che organizza itinerari turistici alla scoperta delle meraviglie del borgo, fiero di aver ritrovato la sua anima medioevale in seguito al restauro successivo al sisma del 1980.
    Chiese, antichi palazzi, piazze assolate e tanti murales alla cui scoperta conduce l’artista Antonio Sena, autore del maxi affresco che decora la stazione di Lioni. Le ore trascorrono piacevoli anche grazie alla sosta a tavola per assaporare la bontà della cucina irpina, i cui prodotti imbanditi sono stati pregustati durante il viaggio. È tempo di prendere la via del ritorno mentre il sole tramonta fra ponti e vigneti, campi di grano e sorgenti. I viaggi dell’Irpinia Express, organizzati dalla Fondazione FS Italiane con il supporto di In Loco Motivi e il finanziamento della Regione Campania, sono appena cominciati. Si replica nelle prossime domeniche e nei prossimi mesi. Il capotreno è sempre pronto: «Signori, in carrozza!». Semaforo verde, si parte.
    articolo tratto da La Freccia

  75. 160 avellinorocchetta 11/10/2022 alle 9:00 PM

    L’Irpinia vista dal finestrino di un treno è un Paese delle Meraviglie. Ad ogni curva scandita da un vigoroso e lungo fischio è un’emozione che ti stuzzica. Che sia il verde brillante della primavera, il bianco dell’inverno, il marrone del letargo autunnale o il giallo oro del grano in estate, ti rapisce i sensi e ti porta a sognare. Guardi fuori appoggiata al finestrino della tua carrozza e nello spazio incapsulato tra la veglia e il sonno, galleggiando nell’aria li vedi apparire: crocchi di case e fumo dai tetti. E’ l’Irpinia, bellezza! Montefalcione, Montemiletto, e Lapio; Taurasi, Montella e Bagnoli; Nusco, Lioni. Poi, ti abbaglia la luce riflessa nelle acque di Conza, la vacca che dorme stesa sul prato, l’airone che volteggia come aquilone silenzioso nell’aria, le case piene di Calitri, la balena di Cairano. L’auto si ferma, è costretta a fermarsi, paziente al passaggio a livello. Ferma, con l’orecchio in attesa. Silenzio, sta arrivando il treno. Con il suo rosario. Venticinque stazioni, diciotto fermate, 119 km di ponti, cascate, traverse e binari. Quello irpino del paesaggio, battezzato cosi dai “folli sognatori” dell’associazione In Loco_Motivi è una cerniera di ferro che attraversa la terra dei lupi. Una tratta minore, inaugurata nel 1895, voluta da Francesco De Sanctis, italiano visionario, irpino di natali. Tratta minore, sospesa a tempo indeterminato, il 12 dicembre del 2010 perché ramo improduttivo. Il giorno prima, alle 6 del mattino, nel gelo di una stazione semideserta, l’ultimo saluto, malinconico e dolente viaggio. Sono trascorsi quasi sei anni da quella data e la linea ferroviaria Avellino – Rocchetta Sant’Antonio, sembrava avesse imboccato un tunnel con uscita nel dimenticatoio delle cose inutili. Ma coloro che sono abituati a viaggiare lo sanno. Per quanto buio possa sembrare, cullati dalle onde del treno, anche nel tunnel si continua ad andare. In questi ultimi anni, l’Irpinia si è risvegliata dal coma in cui era precipitata con il terremoto del 1980. Una Bella addormentata che ha iniziato a scoprire la bellezza del suo territorio e a capirne le potenzialità. In questi anni, di finanziamenti e attività, sono dovuti maturare concetti come “fare rete”, “green economy”, “mobilità sostenibile”. Tasselli di un processo di sviluppo economico legato al turismo dolce da mettere insieme, magari con il filo di ferro del tracciato dell’Avellino – Rocchetta sant’Antonio. Cosi, pazienti come automobili al passaggio a livello, i folli sognatori che in quella tratta avevano già intravisto una leva di crescita hanno atteso il cambiamento e la consapevolezza. Negli incontri, nei seminari, nelle Giornate nazionali delle Ferrovie dimenticate, nei convegni fino a quelli sul Progetto Pilota. La ferrovia si deve recuperare, la linea ferroviaria è necessaria e “deve diventare il simbolo di un biodistretto” che offra un itinerario unico dal punto di vista paesaggistico naturale “capace di attirare flussi, investimenti e diventare un asset infrastrutturale importante per i collegamenti con i distretti industriali di Melfi e non solo”. Cosi ha detto il vice Presidente della Regione Campania, Fulvio Bonavitacola, in un convegno a Calitri, sul Progetto Pilota. L’8 luglio 2015 alla VIII Commissione Ambiente della Camera, c’era stata la discussione della legge per la tutela e la valorizzazione del patrimonio ferroviario in abbandono e la realizzazione di una rete della mobilità dolce. Una proposta di legge nata dall’esperienza e dalle indicazioni delle associazioni riunite nella Confederazione Mobilità Dolce (Co.Mo.Do.) di cui fa parte l’Avellino – Rocchetta Sant’Antonio. Una luce, una prospettiva di economia sostenibile legata alle vocazioni del territorio che potrebbe determinare crescita sociale ed occupazionale. In fondo, coloro che sono abituati a viaggiare in treno, lo sanno. Non esiste tunnel, per quanto buio possa sembrare che non possa avere uno sbocco e terminare.”
    Vinia Lasala

  76. 163 avellinorocchetta 17/10/2022 alle 9:20 PM


    treno x Montemiletto 16 ott0bre 2022

  77. 165 avellinorocchetta 17/10/2022 alle 9:26 PM


    partenza treno storico x Montemiletto gg 16 10 22

  78. 166 avellinorocchetta 20/10/2022 alle 9:27 am

    o stadio gremito
    Nel segno della terra
    Vinicio, il menestrelloe il miracolo SponzFest
    di ETTORE DE SOCIO
    E’ passato da poco mezzogiorno quando arrivo alla stazione di Conza, Andretta, Cairano. E’ passato un anno da quando, proprio qui, Vinicio Capossela tenne il concerto per il terzo Sponz Festival. Molto è cambiato in quest’anno. Innanzitutto c’è il treno. Riapre la ferrovia di Francesco De Sanctis, anche se solo per la durata del festival. E io sono qui proprio per ripercorrere la tratta Conza Rocchetta S.A. Anche le condizioni organizzative del concerto di Capossela sono molto diverse quest’anno, come scoprirò in serata . Al momento, questo non ha importanza. La stazione è piena di gente. Si balla, si canta, si mangia. C’è un aria da festa paesana. Sembriamo e, forse siamo, bambini che aspettano di giocare col trenino. Il treno è di nuovo qui. Su questi binari, in attesa di ri- partire. D’accordo, è un treno turistico che riapre, a cura di Fondazione FS, solo per i giorni dello Sponz Fest. Ma è, comunque, il treno che riparte, dopo anni di chiusura. E’ la festa, la vittoria di Pierino Mitrione, ex ferroviere, presidente dell’associazione In Locomotivi. Ha vinto la sua, quasi solitaria, battaglia per la riapertura della linea. Poco importa, oggi, che il 29 agosto il tratto sarà di nuovo chiuso. Oggi siamo qui, in attesa di salire su questi vagoni d’epoca che ci trasportano indietro negli anni. E Mitrione ha ottenuto quello che voleva. Con testardaggine ha ricordato la storia di questa linea, ne ha tenuto in vita la memoria e oggi ne celebra la riattivazione. Certo, al viaggio inaugurale erano presenti tanti politici che non avevano mai degnato di attenzione i richiami di Mitrione. Ma la gente che è qui, oggi, sa che loro non c’entrano nulla. Non è la loro festa e questa non è più la loro linea, se mai lo è stata. Andiamo, dunque. Saliamo su questi vagoni di seconda classe, con le panche rigorosamente di legno. Il capostazione fischia, il segnale diventa verde, il treno parte. Lentamente, si avvia verso Rocchetta, verso l’ Ofanto, accanto a cui scorrerà per quasi tutto il viaggio. Ci fermiamo allo scalo di Calitri tra gente festante e commossa. Dall’alto incombe il paese di Vinicio in cui tornerò la sera per l’evento: il concerto del figlio tornato che non se ne è mai andato. Via, dopo una breve sosta, alla folle velocità di quaranta chilometri all’ ora, come si conviene a queste vecchie carrozze in cui si aprono i finestrini e non c’è l’aria condizionata. Per tutto il tragitto non sentirò nessun telefonino squillare. Non mancheranno, certo, le voci, tutt’altro. Ma non sono voci rivolte ad un interlocutore lontano ed invisibile. Si parla col vicino di posto, con gli amici con cui sei venuto a fare questa scampagnata moderna dal sapore antico. Affacciato al finestrino guardo, ammirato, i viadotti che si susseguono, a scavalcare il fiume che scorre, impetuoso, a placare la sete della Puglia delle città e degli altipiani cotti dal sole. Con il passo lento del contadino che calcola il tempo non sugli orologi di marca o sui telefonini, ma sul lento moto del sole, il treno percorre i pochi chilometri che separano Conza da Rocchetta. O meglio, la stazione di Conza da quella di Rocchetta, giacché i paesi che danno il nome alle stazioni, qui non ci sono. Sono da qualche parte, lassù, oltre le prime colline che ci limitano lo sguardo, ridotti,da sempre, a pura astrazione metafisica. Capisco, adesso, senza mai averlo capito da ragazzo, che significa la parola astrazione. Sono astratti i paesi ai cui piedi ferma il treno. Certo ci sono ma nessuno sa dire dove. A Rocchetta, comune foggiano, il treno termina la sua corsa. Abbiamo toccato tre regioni: Campania, Basilicata, Puglia. Per un viaggio può bastare. Alla stazione ci aspetta la banda e il vicesindaco di Rocchetta. Nei locali della stazione si mostra un ricco buffet, omaggio del paese in festa. Ripartiamo dopo un’oretta, non senza aver ascoltato il vicesindaco, l’ing. Cantamessa, presidente della Fondazione e Pietro Mitrione che ribadisce che In Locomotivi continuerà a tenere desta l’attenzione sulla tratta. E’ il giusto sigillo ad un impegno che dura da ormai cinque anni, da quando fu decisa la chiusura della tratta. Al ritorno, di fronte ad un sole che incendia tutti campi di stoppie che si scorgono,ovunque sulle colline, mi aspetta il concertone. Ci andrò, dopo essere tornato ad Andretta, al seguito di uno dei miti di Vinicio Capossela: Cicc’Bennet, alias Ciccio Di Benedetto, mitico proprietario della sala di Andretta dove ci si” sponzava” alle feste di paese ed ai matrimoni. Mi accodo alla macchina di Ciccio per una serie di circostanze sulle quali è meglio sorvolare. Accanto al “cantante, che più vasto mondo non aveva avuto”, parole di Vinicio, c’è il body guard, al secolo Donato Di Guglielmo, con un passato da giocatore di calcio con l’Avellino della serie A attualmente emigrante nel New Jersey “ limousine driver” cioè autista. Entriamo, come parte del seguito di Ciccillo, dritti fin sotto il palco. Ciccio e il body guard ci salutano e scompaiono. Li rivedrò ore dopo sul palco. Lo sforzo organizzativo, quest’anno, è massiccio. Lo stadio comunale di Calitri, dove di polvere, chiave di lettura di tutto il festival, ce n’è in abbondanza, si è trasformato. A differenza dello scorso anno, stavolta non mi toccherà fare due ore di fila per un panino con la salsiccia. Gli stand ci sono e sono organizzati al meglio, come i bagni che stavolta sono più che sufficienti. C’è persino lo stand di “ cagn e scagn”, ovvero l’ufficio cambio. E sì perché in questa repubblica autonoma che è la festa, non vale la moneta europea, si accettano solo gli “ sponzini” che è la valuta ufficiale della festa. Tutto bello, tutto perfetto, tutto organizzato al meglio. Ma una vocina mi sussurra : ma quanto era più romantica la location alla stazione di Conza, accanto alla diga, sotto la sella di Conza e il paese di Cairano. Così è l’animo umano. L’anno scorso mi lamentavo della scomodità e oggi la rimpiango. Questo indubbio miglioramento organizzativo è il segno di un festival che cresce e tende a diventare adulto, Faccio tacere d’imperio, la mia voce interiore e mi guardo intorno. Tanta gente, tante carrozzine, tanti ragazzi, tanti attempati signori e signore di mezza età. Stavolta il palco per la stampa c’è ed è bello capiente e pieno di gente. Tutti giornalisti? Siamo pur sempre in Italia, il dubbio è lecito. Finalmente, scoccate le dieci, l’evento si compie. Su un palco addobbato con spighe di grano, che da sempre nella cultura contadina e pagana simboleggiano la fertilità compare Lui, colui per il quale siamo tutti qui :Vinicio. Restiamo, doverosamente in silenzio, per ricordare le vittime del terremoto che ha sconvolto l’Italia Centrale. Trovo particolarmente significativo il fatto che ricordiamo i morti di un nuovo terremoto proprio qui in un paese sconvolto dal terremoto del 1980. Vinicio, il menestrello, quest’anno comincia in maniera cupa, malinconica. Presenta, infatti, le “ canzoni della cupa” più intime, più dolenti delle melodie cui ci ha abituato. A lui, dopo un paio di brani, si affianca la quasi ottantenne regina del folk italiano, l’artista che più di ogni altro, in Italia, ha indagato e raccolto i canti, i suoni, la musica dell’Italia arcaica, contadina, operaia, Giovanna Marini. E’ straordinario sentirla cantare, con voglia e allegria immutata, alcune delle canzoni da lei raccolte il giro per il Paese. A poco a poco il ritmo del concerto muta, ritornano i ritmi accelerati e la capacità straniante del folletto. Appare Cicc’ Bennet’ che canta un’aria d’opera mentre l’orchestra, alle spalle sue e del body guard, suona tutt’altra melodia. “ Salutami a soreta” conclude beffardo Ciccillo, di fronte ad un altrettanto beffardo Capossela. Ma si avvicina l’evento. Sale sul palco Gianni Morandi, accolto da un boato oceanico. Canta tre delle sue canzoni più celebri ed io che, per puro caso, sono accanto ad un gruppo di ragazze di varia età, le sento tutte, dalle più giovani alle meno giovani, cantare, senza sbagliare un parola, le canzoni del Morandi nazionale. Il miracolo di Vinicio Capossela si compie quando lui Morandi e la Marini cantano assieme una sua hit:” zompa la rondinella”. Non l’avrei mai creduto possibile. Qui si compie l’ultima magia del folletto Vinicio. Arrivederci all’anno prossimo.
    Dalla riapertura dell’Avellino-Rocchetta al concerto finale con Marini e Morandi, così è cresciuto il festival
    Quel palco addobbato con spighe di grano, simbolo della fertilità…

  79. 167 avellinorocchetta 23/10/2022 alle 9:43 PM

    Irpinia Express, il viaggio del tempo lento

    Dalla rivista mensile delle FERROVIE DELLO STATO

    In treno storico sull’antica linea Avellino-Rocchetta Sant’Antonio. Tra boschi secolari, piccole cascate e sorprendenti murales
    12 ottobre 2020

    PEPPE IANNICELLI

    «Signori, in carrozza!». L’ordine è perentorio. E scuote il piccolo gruppo di viaggiatori sulla banchina della stazione di Avellino. Sventola la bandiera rossa del capotreno. Un fischio acutissimo lacera l’arietta frizzante del mattino. L’Irpinia Express può finalmente partire. È un piccolo convoglio, trainato dall’automotrice diesel ALN668SERIE1800, ma è pieno di storia. Abbiamo appena cominciato un fantastico viaggio alla scoperta della terra dell’acqua e del vino, della street art e del Medioevo, della filosofia e dell’ingegneria.
    Siamo seduti – a rigorosa distanza di sicurezza anti Co-vid-19 – sulle poltrone foderate di velluto rosso FS, calde e avvolgenti. L’atmosfera è vintage come il treno storico che ci conduce, con andamento lento. L’automotrice e i suoi interni sono stati perfettamente valorizzati. Ogni dettaglio nello scompartimento è curato per assicurare ai viaggiatori l’esperienza del tempo andato. In questo percorso ci accompagnano, con spiegazioni e aneddoti, il personale della Fondazione FS Italiane e i volontari dell’associazione In Loco Motivi che illustrano le caratteristiche tecniche, ambientali, storiche dell’itinerario.
    Un percorso del tempo lento e ritrovato che la Regione Campania ha finanziato per promuovere una riscoperta ecologica, artistica e culturale del territorio. In circa tre ore giungeremo a Lioni percorrendo ben 62 chilometri con una media “vertiginosa” di 20 chilometri orari. Con l’Alta Velocità, in tre ore, si attraversa l’Italia. Con l’Irpinia Express si attraversano fiumi, vallate, vigneti e campi di grano scoprendo dettagli che la velocità moderna, utile e benedetta per tantissimi motivi, renderebbe impossibile scorgere e apprezzare.

    LA FERRATA DI FRANCESCO DE SANCTIS
    Il nostro viaggio si svolge sulla storica linea ferroviaria Avellino-Rocchetta Sant’Antonio, lunga 119 chilometri, a binario unico non elettrificato. L’opera è stata realizzata alla fine dell’800 – il viaggio inaugurale è datato 1895 – da un’idea e su impulso politico di Francesco De Sanctis, che in questo territorio aveva il suo collegio elettorale. De Sanctis era convinto che la ferrovia avrebbe aiutato lo sviluppo economico e sociale dell’Irpinia, cerniera territoriale con la Puglia e la Basilicata. Quest’opera è un vero e proprio capolavoro d’ingegneria ferroviaria con 30 ponti e 19 gallerie scavate nella roccia (la più lunga misura ben 2.595 metri). A ricordare l’impegno del filosofo, l’intestazione Morra De Sanctis (AV) del suo borgo natio raggiunto dalla linea ferroviaria.
    NSEGUENDO L’ACQUA
    Una delle caratteristiche principali e più affascinanti della Avellino-Rocchetta Sant’Antonio è il rapporto con i tre fiumi, Sabato, Ofanto e Calore. Per molti chilometri, i binari costeggiano i corsi d’acqua “immergendo” i convogli e i viaggiatori in un ambiente fluviale. La natura è completamente padrona della scena e i rami degli alberi verdissimi quasi oscurano la luce che filtra dai finestrini. Piccole cascate, laghetti popolati da uccelli, canneti animati da ranocchi rumorosi. Per chilometri e chilometri solo verde in tutte le sue sfumature. La linea ferroviaria sembra quasi inseguire i fiumi. Essendo le motrici dell’epoca alimentate a vapore, era indispensabile che le stazioni lungo il tragitto avessero tantissima acqua a disposizione per assicurare rifornimenti idrici sicuri e continuativi.

    LA TOUR EIFFEL IRPINA

    L’attraversamento dei 30 ponti è spettacolare. Da brivido il passaggio prima della curva di Rocchetta, eseguito a meno di dieci chilometri orari, con le carrozze che s’inclinano vertiginosamente. Ma l’appuntamento più atteso è quello con sua maestà il Ponte Principe di Lapio, lungo 286 metri. Un capolavoro d’acciaio che è stato definito la Tour Eiffel d’Irpinia. Quasi come se il monumento simbolo di Parigi, invece di puntare verso il cielo, fosse stato adagiato in questa vallata irpina. È davvero il principe dei ponti, realizzato – lo dicono con orgoglio il personale della Fondazione FS Italiane – con acciaio meridionale prodotto in Calabria. Lo attraversiamo trattenendo il fiato per l’emozione mentre dalla strada i passanti salutano festosi il passaggio del treno.
    Il Ponte Principe (AV)

    LA TERRA DEL VINO
    Tanta acqua in Irpinia, ma anche tanto buonissimo vino. Stiamo percorrendo la zona dei meravigliosi vigneti che generano i vini diventati famosi in tutto il mondo: Greco, Fiano, Aglianico e il nobile Taurasi. Un miracolo enologico frutto della struttura orografica del territorio, della sua composizione geologica e della secolare sapienza dei produttori che hanno saputo seguire l’evoluzione scientifica a supporto del gusto. Questi vigneti, proprio per le loro straordinarie caratteristiche, sono sopravvissuti indenni alla peronospora che in diverse epoche ha fatto strage di vigneti italiani. L’Irpinia e il confinante Sannio sono oggi dei veri e propri santuari del bere di altissima qualità, in una sequenza inimitabile di profumi, fragranze, sapori. Vini schietti e al tempo stesso amabili, popolari e regali proprio come questa gente che faticosamente estrae dalla terra il nettare degli dei.
    IL TRIONFO DEL BOSCO
    Il paesaggio cambia di chilometro in chilometro mentre ci avviciniamo alla destinazione finale. L’ambiente fluviale e i vigneti cedono il passo ai campi di grano e ai pascoli, con placide mucche che sembrano mettersi quasi in posa al passaggio del convoglio storico, e poi ai boschi sulle cui colline spuntano arditi santuari. Boschi secolari che il treno quasi accarezza con le sue carrozze, godendosi il fruscio delle foglie. Boschi ricchi di tantissime delizie, specialmente nel periodo autunnale, tra cui funghi e castagne, senza dimenticare le fragoline.
    Quando si parla delle castagne di Montella si parla di una specialità conosciuta e apprezzata. E i funghi, cucinati in mille modi diversi, accompagnano molti piatti della tradizione irpina. Il viaggiar lento aiuta a scoprire anche prodotti dimenticati, come il Pecorino di Carmasciano, appena entrato nel paniere Slow Food.

    ZAMPOGNE E MURALES
    Lo spettacolo dell’Irpinia Express non si svolge però soltanto oltre i finestrini sui quali, come in uno schermo televisivo, scorrono le immagini in movimento di questo territorio sorprendente. Il viaggio a bordo è arricchito anche dalla performance artistica di Nicola Mariconda, con zampogna e bordone. Le nenie pastorali si alternano ai versi di Eduardo De Filippo e alla poesia ’A livella di Totò, aiutando i viaggiatori a riflettere sul senso del tempo e del viaggiare. All’arrivo a Lioni il gruppo di passeggeri è accolto dalla Pro Loco, che organizza itinerari turistici alla scoperta delle meraviglie del borgo, fiero di aver ritrovato la sua anima medioevale in seguito al restauro successivo al sisma del 1980.
    Chiese, antichi palazzi, piazze assolate e tanti murales alla cui scoperta conduce l’artista Antonio Sena, autore del maxi affresco che decora la stazione di Lioni. Le ore trascorrono piacevoli anche grazie alla sosta a tavola per assaporare la bontà della cucina irpina, i cui prodotti imbanditi sono stati pregustati durante il viaggio. È tempo di prendere la via del ritorno mentre il sole tramonta fra ponti e vigneti, campi di grano e sorgenti. I viaggi dell’Irpinia Express, organizzati dalla Fondazione FS Italiane con il supporto di In Loco Motivi e il finanziamento della Regione Campania, sono appena cominciati. Si replica nelle prossime domeniche e nei prossimi mesi. Il capotreno è sempre pronto: «Signori, in carrozza!». Semaforo verde, si parte.
    articolo tratto da La Freccia

  80. 168 avellinorocchetta 24/11/2022 alle 5:01 PM

    Filastrocca del ferroviere di Gianni Rodari
    Filastrocca del ferroviere,
    che bellissimo mestiere
    stare in treno tutto il giorno
    per l’Italia andare attorno.
    È un bel mestiere, non dico di no,
    sempre a spasso, ma però
    quando di notte tu stai nel tuo letto
    io vado in giro a bucare il biglietto.
    Ferroviere, che bel lavoro,
    sul berretto due righe d’oro,
    chiamare per nome paesi e stazioni
    come simpatici amiconi.
    Ma se il mio bambino chiama «papà»
    io sono sempre in un’altra città.
    Seimila treni
    Seimila treni tutti pieni
    per l’Italia se ne vanno
    tutti i giorni di tutto l’anno!
    Vanno a Milano, vanno a Torino,
    a Siena, Bibbiena e Minervino,
    vanno a Napoli e a Venezia,
    a Firenze, Bari e La Spezia…
    A Piacenza attraversano il Po
    senza bagnarsi nemmeno un po’,
    e a Reggio Calabria, questo è il bello,
    anche i treni vanno in battello!
    Che fila farebbero, a metterli in fila
    uno dietro l’altro tutti e seimila!
    E su ogni treno c’è un macchinista
    che le rotaie non perde di vista.
    Le locomotive non vanno da sole:
    le ferma tutte, lui, se vuole!
    Dunque signori, per piacere:
    non fate arrabbiare il ferroviere…
    Gianni Rodari

  81. 169 avellinorocchetta 24/11/2022 alle 5:08 PM

    23 novembre 1980
    Da qualche anno vivevo in Toscana per la precisione a Le Sieci, piccola frazione di Pontassieve in provincia di Firenze. Prestavo servizio nella stazione ferroviaria di Rignano sull’Arno, distante una ventina di km dalla mia residenza toscana. Ogni turno di servizio era così cadenzato: pomeriggio, mattina/notte indi riposo e poi di nuovo pomeriggio/mattino notte. Compatibilmente con gli orari mi recavo a lavoro in treno o in auto, rigorosamente targata AV. Era un continuo vivere fra Avellino e Toscana. Il più delle volte restavo da solo ed il resto della famiglia ad Avellino. Era un piacevole sacrificio che comportava continui viaggi di andata e ritorno fra Toscana e Avellino con la prole, tipo bagagli al seguito. Vivevamo senza una precisa identità territoriale un po’ in Toscana ed un pò ad Avellino, “sospesi” fra la voglia di restare e quella di tornare in Irpinia che ……predominava. E’ in questo contesto che si inquadra il mio “ 23 novembre 1980” vissuto a 500km di distanza con moglie e figli. Quella domenica ero di turno mattino 6/14 e poi notturno dalle 22 del 23 alle 06 del 24 nov. Solito rituale: sveglia alle 6, il tempo per preparare il caffè, cercando di non svegliare i bambini, poi in auto da Le Sieci a Pontassieve ed indi in treno per raggiungere Rignano S.A. Scambio di consegne con il collega smontante ed inizio della mia attività di “movimentista”, quella, per intenderci, del cappello rosso di capostazione. Mattinata tranquilla, folla alla biglietteria per il rinnovo degli abbonamenti dei pendolari, intermezzata con qualche sano sfottò sportivo biancoverde vs i viola della Fiorentina, nostra bestia nera. Nelle piccole stazioni si familiarizzava con quelli che oggi si chiamano “clienti”. Era una umanità di tanti lavoratori che usciva la mattina e rientrava nel tardo pomeriggio cui occorreva evitare ogni ritardo ai loro treni. Qualche volta, specialmente sul tardi della serata, quando ero di turno notturno capitava che il buontempone del paese, di nome Diletto, si ricordava della mia passione biancoverde e a squarciagola e con tipica espressione toscane mi gridava da lontano: “…..chi non tifa viola ha la mamma “buaiola”. Dopo tanti mi sembra di ascoltare ancora questo suo affettuoso “abbraccio”. Il pomeriggio del 23 lo trascorro riposando, in attesa di ritornare in stazione per il turno notturno. Come
    sempre Mirko e Morena vengono tacitati nei loro giochi infantili perché il loro papà doveva “fare la notte”. Un rituale che si è ripetuto, in seguito, per tanti anni e che li ha privati di momenti di svago e tante volte della mia presenza in occasioni di feste tradizionali. Un comune sacrificio che forse è valso per la loro crescita sociale. Così fu anche quel pomeriggio del 23 novembre 1980 trascorso fra riposo, visione della domenica sportiva per televisione e quindi cena.
    Da accanito tifoso dell’Avellino avevo tante volte “usufruito” di accomodamenti del turno di servizio per “scendere giù” ad assistere le partite casalinghe dei lupi. La vittoriosa partita con L’Ascoli per 4 a 2 di quella domenica non mi fu possibile seguire in quanto mia moglie ed i bambini stavano con me a Le Sieci in prospettiva di trascorrere le vacanze natalizie ad Avellino. Fu proprio durante la cena che udii dalla televisione la notizia che in Italia meridionale c’era stata una scossa di terremoto con epicentro nel golfo di Eboli. Immediatamente mia moglie esclamò: chissà cosa è successo ad Avellino. Le risposi: che vuoi che sia sarà una delle solite scosse cui siamo abituati ad avvertire, comunque non ti preoccupare appena arrivo a Rignano telefono a casa. Abitavo in un alloggio sprovvisto di telefono. A fine cena indossai la divisa, salutai i miei e mi avviai alla stazione di Pontassieve per prendere il treno per Rignano. Solita prassi in arrivo alla stazione: scambio delle consegne con il collega smontante ed iniziai il mio turno di servizio. Approfittai di un intervallo di assenza di treni in circolazione per recarmi al bar situato proprio accanto alla stazione e telefonare a casa ad Avellino, erano circa le 21. Il barista Romolo, una carissima e gentile persona, mi attivò subito la linea col telefono a scatti. Iniziai una serie di chiamate ma lo 0825 non si riusciva a comporre. La linea era sempre occupata. Pensai è domenica e le linee sono cariche per cui non mi preoccupai. Rientrai in stazione ed insieme a Carlo Turini, di servizio con me quella notte, iniziammo a svolgere le incombenze che ci competevano. Pulizie della stazione lui e chiusura della contabilità io. Improvvisamente squillò un telefono era quello inconfondibile del Dirigente Centrale di Firenze. Mi chiese: Pietro sei di Avellino? Gli risposi: si ed oggi abbiamo vinto per 4 a 2. Credevo volesse, come spesso accadeva, riprendere il tono
    sportivo della domenica. Con voce ferma mi disse: Pietro da quelle parti è “battuto” un forte terremoto e non sappiamo nulla di tanti treni fermi in piena linea, dappertutto stanno uscendo i carrelli di soccorso e le comunicazioni telefoniche sono interrotte. Capii subito la gravità della situazione. Scappai di nuovo al bar, ormai prossimo alla chiusura, per telefonare e fare incetta di gettoni telefonici. Questa volta, quasi miracolosamente, rieuscii a parlare con mio padre che mi rassicurò della loro situazione: non ti preoccupare siamo tutti vivi gridò dal telefono ma non riuscì a darmi informazioni circa i familiari di mia moglie che si trovavano a Bagnoli irpino. Verso le 22 dopo diverse comunicazioni con i colleghi che dirigevano le varie tratte della circolazione treni di loro competenza mi riferirono che da Roma a Napoli non si riusciva a comunicare nemmeno con la linea diretta della Dirigenza Centrale. Compresi a quel punto di essere di fronte ad una calamità eccezionale. Nel pieno dello sconforto e con le lacrime agli occhi vidi arrivare in stazione il mio responsabile diretto. Aveva ascoltato per televisione quanto accadeva in Irpinia. La sua presenza mi rassicurò. Fu il primo gesto di concreta solidarietà che ricevevo in quei terribili momenti. Dalla radio, intanto, giungevano ulteriori dettagli della tragedia che vedeva straziata la mia terra di origine. Un senso di impotenza che superai grazie allo affetto del mio capostazione titolare, Bruno Pagliazzi. Insieme concertammo il seguito del lavoro da svolgere in stazione e con grande disponibilità mi chiese di preparare le consegne per dare continuità alla circolazione dei treni. Mi consigliò, quasi paternamente, di non mettermi subito in viaggio in quanto la presenza dei miei due figli al seguito avrebbero potuto costituire un ostacolo per raggiungere Avellino. Ci salutammo con affetto e con l’ultimo treno locale tornai verso casa a Le Sieci. Giunto nella stazione di Pontassieve telefonai ulteriormente a casa dei miei genitori. Dall’altro capo del telefono mio padre mi scongiurava di mettermi in viaggio. Dal suo tono quasi imperioso intuii definitivamente e drammaticamente la tragedia che si stava compiendo. Arrivato a casa trovai sull’uscio mia moglie che impaurita ed in lacrime mi chiese subito notizie di quanto avessi saputo da Avellino. Ricordo la sua disperazione. Fortunatamente i bambini
    dormivano tranquilli. Restai incollato per tutta la notte alla radio che nominava tanti paesi a me conosciuti che risultavano completamente rasi al suolo. Una angoscia mista ad impotenza mi assalì al punto di sentirmi venir meno. Che fare? Decidemmo di metterci in viaggio. Svegliammo i bambini, prendemmo l’indispensabile per il viaggio e via verso Avellino con la mia Renault 5 tg Ave 132622. I nostri vicini di casa ci salutarono con le lacrime agli occhi. Avevano saputo della tragedia. Imboccata la autostrada la angoscia aumentò in quanto fu un continuo susseguirsi di auto con targhe del SUD Italia, svizzere e tedesche. Erano gli emigranti che anch’essi stavano rientrando nei nostri sperduti paesini della Alta Irpinia e della Basilicata. Da Firenze ad Avellino fu un drammatico sorpassare colonne di mezzi di soccorso sembrava veramente che fossero dirette verso la fine del mondo. I bambini, intanto, vivevano il viaggio con il loro gioioso desiderio di andare dai nonni la qual cosa strideva con la nostra sempre crescente angoscia. Le soste negli autogrill si trasformavano in reciproci sguardi di tristezza con le persone a bordo delle altre auto ferme nei parcheggi. Era un interrogarsi su di una comune necessità di avere informazioni. Ricordo in particolare i pianti disperati di una donna che aveva saputo, purtroppo, della morte di propri cari. Una tristezza infinita ci assaliva man mano che avanzavano verso Avellino. Ci sentivamo come quelle persone cui erano state tenute nascoste fatali verità. Il cartello Avellino, situato all’inizio della nostra città, ci accolse con le macerie di Viale Italia. Interi palazzi sbriciolati, altri danneggiati, strade interrotte e tante ambulanze in giro. A Rione Mazzini ci aspettavano i miei genitori. Fu un incontro struggente che mi sembrò quasi un gesto egoistico in quanto mia moglie ancora non sapeva della sua famiglia a Bagnoli irpino. Provvidenzialmente mio padre Alberico aveva saputo che a Bagnoli non c’erano state vittime per cui ci sentimmo, in parte, tranquillizzati. Lui stesso volle che i bambini ci seguissero nel viaggio verso Bagnoli irpino. Era la dimostrazione che non c’erano state fortunatamente tragedie nelle nostre famiglie. L’arrivo a Bagnoli fu la definitiva liberazione dall’incubo che fino ad allora aleggiava. Nel giardino di famiglia si erano accampati i parenti che intorno ad un fuoco si
    riparavano dal freddo. L’incontro di Laura con la mamma fu di una tenerezza che ancora oggi mi porta le lacrime agli occhi.
    A distanza di 40 anni sono questi i gesti che restano nella mia mente e nel mio cuore: la solidarietà del mio “capo” Bruno Pagliazzi e l’abbraccio con i nostri genitori.
    Il doposisma dell’80 lo conosciamo tutti con le sue luci e le sue ombre le sue nobiltà e le sue ignominie. Fu a mio avviso l’ultimo atto di vera solidarietà nazionale.
    Fra le luci del mio vissuto brilla quella di Bruno Pagliazzi, il mio capostazione titolare della stazione di Rignano sull’Arno.
    A lui va questo mio ricordo del 23 novembre 2020, ricorrenza del 40° anniversario del sisma dell’Irpinia.
    Ovunque tu sia “capo”…..GRAZIE

  82. 170 avellinorocchetta 25/11/2022 alle 6:44 PM

    presa diretta stazione avellino

  83. 172 avellinorocchetta 03/12/2022 alle 10:48 am

    Avellino-Rocchetta: così comincia lo smantellamento di un territorio.
    “Cactus, cicale. Il treno si ferma in stazioncine deserte senza capostazione, senza biglietteria. Alcune sono murate, altre distrutte dai vandali. Sempre i banditi? No, la globalizzazione. Sono i rami secchi, potati dai governatori dei flussi. In burocratese si chiamano stazioni “impresenziate”, astuto eufemismo per mascherare lo smantellamento. La fine dei territori comincia così, col bar e la panetteria che chiude, poi con le stazioni del silenzio. Sento che comincia il viaggio in uno straordinario patrimonio dilapidato.”E’ proprio così, come Paolo Rumiz lo descrive nel suo piccolo romanzo, “L’Italia in seconda classe”, è così che comincia non lo smantellamento di una tratta ferroviaria ma lo smantellamento di un territorio. Ormai imminente è la pubblicazione dell’orario invernale per i treni irpini che vedranno notevolmente ridurre le loro corse e chiudere un’intera linea, quella che da Avellino porta a Rocchetta Sant’Antonio. I tagli verranno ovviamente fatti per permettere alle casse regionali di non continuare a dissanguarsi, viste le ormai famose difficoltà economiche in cui versa la Regione Campania. Ma è proprio vero che così, con i tagli orizzontali, può essere risolta una situazione di stallo economico, o forse è più importante riflettere sulle conseguenze di risparmi che ora fanno cassa ma che non preludono a nessuno sviluppo e che forse, peggio, portano a un degrado maggiore che domani dovrà essere risolto con più ingenti investimenti? I tagli nei trasporti, agli ospedali, alle scuole cosa possono portare di buono al nostro territorio se questi non sono sottesi da un vero progetto di rilancio territoriale?L’Avellino-Rocchetta rappresenta una risorsa, oggi presente ed attiva sul territorio. Di questo abbiamo le prove. Un anno e mezzo di viaggi, organizzati a livello “amatoriale” da poche persone, in collaborazione stretta con il territorio, le sue peculiarità e le sue amministrazioni. In un sistema, sicuramente da perfezionare, si intravede una possibilità di sviluppo territoriale. I viaggi organizzati da InLoco_Motivi sono stati un crescendo di numeri, di conoscenza, di emozioni, di sensazioni, di esperienza. Più di 2500 persone che conoscevano solo in parte l’Irpinia hanno avuto una possibilità, attraverso InLoco_Motivi, di conoscere meglio la provincia di Avellino partendo dal mezzo che l’attraversava: una tratta storica di valore architettonico e paesaggistico inestimabile che da sola sarebbe da salvaguardare. Le corse utilizzate erano corse ordinarie, effettuate nei week end, e in sole 20 corse circa si sono contati più di 2500 partecipanti: ci domandiamo perché questi non possano far media con i fruitori feriali. Questi numeri parlano chiaro: l’Avellino-Rocchetta S.A. ha un futuro scritto, un futuro visibile: è una tratta ferroviaria a chiara vocazione turistica. Tale carattere prevalente le viene da se stessa e dal territorio. La tratta ha valenza certa di bene architettonico ed ambientale, per la storia che porta con sé e per gli elementi architettonici che caratterizzano sia la tratta che il territorio stesso: i ponti e i binari, solcano e scivolano su un territorio che ormai li ha fatti propri al punto da essere in simbiosi completa gli uni con l’altro, in un’armonia paesaggistica di una bellezza commovente. Il territorio irpino ha esso stesso peculiarità che lo rendono oggetto turistico, oltre che bene paesaggistico da tutelare e valorizzare nell’ottica di un progetto di sviluppo certamente sostenibile. Il progetto InLoco_Motivi ha solo messo in evidenza, assecondato una vocazione che sapeva essere già propria di questo territorio, scommettendoci tempo e fatica. Viene, ora, quasi naturale pensare alla tratta e al territorio assieme come elementi di un “Parco della qualità, del gusto, della cultura contadina, dei centri storici minori, dell’enogastronomia di qualità e del paesaggio”. Oggi, in realtà, l’Avellino-Rocchetta ed il suo territorio sono già parco tematico, il percorso sul treno è già un viaggio emozionale nella terra dei vini, nella terra dei paesaggi diversi, dei paesi presepe, della luce e del vento.Per questo motivo può funzionare, perché non ci sono forzature, non si stravolge il territorio, non lo si viola, ma, semplicemente, ci si adatta ad esso, senza sconvolgere sensi e funzioni. Con il progetto InLoco_Motivi si è data risposta ad una domanda di mercato non ancora palesata ma latente, latente nelle caratteristiche stesse del territorio. Sicuramente una modifica va fatta, un rafforzamento, un’ottimizzazione dell’integrazione ferro/gomma che permetterebbe alla ferrovia di essere servita dai bus nei tratti dalle stazioni ai paesi che sorgono normalmente sulle alture e durante questo anno e mezzo di viaggi, abbiamo verificato che questa integrazione non solo è possibile ma è funzionale sia alla ferrovia che ai comuni stessi ed è fruttuosa.Ma nel viaggio in treno esiste anche una vocazione didattica ed esiste un bisogno di conoscenza dell’Irpinia da parte degli studenti. Questa voglia di conoscenza non solo esiste ma va assolutamente incentivata: bisogna introdurre fin dalla prima istruzione la conoscenza del proprio territorio: la conoscenza genera amore per la stessa cosa che si conosce, e questo prelude alla nascita di interessi che sul territorio si esprimeranno più tardi, favorendo una ricerca sullo stesso e arginando quell’esodo di giovani che da anni caratterizza le nostre zone.Il viaggio in treno produce molte più emozioni ed è capace di favorire una maggiore cognizione del paesaggio e quindi della geografia irpina rispetto ad un banale viaggio in auto o un bus; permette, per il tempo più lento, di indicare i luoghi e di renderli posizionabili, per gli studenti, all’interno dello scacchiere dell’intero territorio. Si aggiunge a questo il naturale fascino del mezzo di trasporto, per se stesso portatore di storia dei popoli, del territorio e dell’architettura.InLoco_Motivi ha organizzato durante l’anno 2009/2010 alcuni viaggi per scolaresche che hanno avuto enorme success e si è proposto un programma interamente dedicato alle scuole, individuando dei filoni principali, afferenti al tema dell’ambiente e della natura, al tema dell’enogastronomia, zootecnia e soprattutto enologia, , ed infine il tema dell’architettura dei centri minori e dell’archeologia. Il progetto, presentato in collaborazione con il Provveditorato, è stato già diffuso in tutte scuole irpine, e ad oggi 2500 solo le adesione pervenuteci.In conclusione, pensare all’Avellino-Rocchetta non significa solo impedirne la chiusura, ma ridare nuovo impulso ad un territorio, incitando enti, scuole, aziende, proloco a fare rete tra loro, e a far rete con le province e le regioni vicine, attraversate dalla tratta, per uno sviluppo territoriale dedicato alla valorizzazione e all’innovazione delle caratteristiche territoriali.Tutto questo restituisce un ruolo alla tratta ferroviaria che non è affatto di “ramo secco” ma di mezzo assolutamente attivo nel territorio. C’è solo bisogno di amministratori illuminati che riescano a capire tale potenzialità, che tornino a pensare le loro terre con speranza e con progettualità seria. Per tutti questi motivi l’interesse sulla lUna binea dovrebbe coinvolgere non solo gli assessori ai Trasporti ed al Turismo Cultura ed Istruzione, ma anche quello all’Ambiente, alle Attività Produttive, alla Ricerca Tecnologica ed all’Agricoltura, a tutti i livelli, provinciale, regionale, interregionale.Ora l’appello è a tutte le istituzioni locali per farsi portavoce di un’esigenza che diviene base di un progetto più ampio, diviene il filo rosso di una visione possibile e diversa di questa terra, un visione che permette di riconquistare un progetto di lungo periodo spesso nascosto da obiettivi del breve tempo, facili ma poco duraturi ed inefficaci.Ora il mezzo c’è e la sua potenzialità a favore dello sviluppo territoriale è evidente, la vocazione del nostro territorio è chiara, la richiamano tutti i piani territoriali, dal regionale(PTR) al provinciale(PTCP), incluso un progetto Pain approvato(che vede protagonista la linea). Speriamo, tra qualche anno, di non doverci ricredere sulla chiusura della Ferrovia, sul fatto che potesse essere davvero il filo rosso dello sviluppo territoriale, perchè in quel caso riaprirla sarebbe molto più costoso.

  84. 179 avellinorocchetta 22/12/2022 alle 9:45 PM

    Rione Ferrovia è un quartiere triste. Questa è la prima impressione che ricevo, tornando in questo quartiere dopo molto tempo. Ricordavo un luogo pieno di vita in cui la gente riempiva le strade del quartiere, con allegria e gentilezza verso i”forestieri”. Cioè quelli che venivano dalla città. Già perché gli abitanti di questo insieme di case si sentivano e si sentono estranei alla città della quale fanno parte. Tale era i loro senso di lontananza dal centro che si diceva e si dice ancora, andiamo ad Avellino, come se si dovesse andare in un’ altra città. Torno ora e lo trovo triste e vuoto. Poca gente per strada, sparita l’ allegria che si respirava un tempo. Rione Ferrovia è triste perché sente che sta morendo. Già. Il quartiere sente che il suo destino è segnato, che le prospettive sono quelle di una lenta agonia, intorno alla stazione ferroviaria. Il rione, nato e cresciuto attorno allo scalo ferroviario della città, muore con esso. Condivide la sorte, decisa da chissà chi e chissà dove, di questa piccola stazione di provincia. Entro, in punta di piedi, come si fa entrando nella stanza di un ammalato grave, nell’atrio della stazione. Chiusa l’edicola. Chiuso, per lavori mai iniziati, il piccolo bar. Do un’ occhiata al malinconico tabellone degli arrivi e partenze. Quattro, forse cinque treni al giorno per Benevento, due per Salerno. E questo è tutto. Nessuno sulle banchine, nessun treno in vista. Soli il bigliettaio, fedele al suo orario di lavoro che attende viaggiatori che non arrivano. Da qui, ormai, partono poche decine di persone al giorno. Ritorno sul piazzale dove ho sempre visto gruppi di persone, impegnate in vivaci discussioni. Più nessuno. Solo autobus arrivati al capolinea o auto che passano veloci e noncuranti. Non è stato sempre così. Anzi. Negli anni novanta lo scalo merci di Avellino era il secondo in Campania per volume di traffico. Poi il lento declino fino alla chiusura dell’impianto decretata nel duemiladodici. La stazione è stata riaperta, a furor di popolo e sono state riattivate almeno le poche corse per Benevento. Ma,ormai, il suo destino era segnato, sconfitta dalla civiltà dell’automobile. Insieme allo scalo ferroviario è andato declinando anche il quartiere nato con e attorno alla stazione. Qui abitavano i ferrovieri e gli addetti allo scalo merci. Ora ci abitano solo pensionati. Ma la Ferrovia, come abitualmente viene chiamato il rione è tristemente famoso per un’altra emergenza che dura da più di venti anni e che durerà per almeno altrettanti: l’Isochimica. Quello che in questa fabbrica è avvenuto rappresenta uno degli esempi più impressionanti della politica industriale degli ultimi decenni. In questi capannoni, è storia nota, più di quattrocento operai hanno scoibentato i vagoni ferroviari. Hanno, cioè, tolto il mortale amianto dai treni italiani. Si lavorava, come è stato accertato, anche a mani nude e senza alcun tipo di protezione. Nessuno sapeva che, a distanza di venti anni, le pagliuzze di amianto che volavano libere nell’aria avrebbero rivelato la loro mortale pericolosità. Negli anni novanta nessuno aprì bocca. Nessuno protestò. L’Asl non vide nulla. L’ingegner Graziano, il padrone della fabbrica, accolto nei migliori salotti di Avellino era riverito come un benefattore. Tutti gli erano amici,di tutti era amico. Poi la storia è andata come fiumi di inchiostro ci hanno rivelato. L’Isochimica è stata chiusa, si badi, da un giudice di Firenze. Ora tutti i politici, a scadenza fissa, si affannano a promettere la bonifica. Ma nessuno dice quando e con quali soldi questo avverrà. In perfetta solitudine faccio il mio pellegrinaggio civile alla fabbrica. Intorno tutto è desolazione e silenzio. Anche la rotonda stradale posta sull’incrocio che porta all’ Isochimica è, come il resto, abbandonata. Sul cancello d’ingresso, ricoperto di rovi, una piccola, modesta targa ricorda chi qui ha lavorato e quelli, nove per ora, che per l’Isochimica sono morti. Ma il quartiere è qui a due passi. Per anni le fibre di amianto hanno volteggiato, indisturbate, nell’aria, posandosi,poi, tutto intorno. Ora, rione Ferrovia ha paura che questa bomba ad orologeria, trascorso il suo periodo di latenza, riveli i suoi micidiali effetti. Nulla, tuttavia, accade. All’ ingresso della fabbrica un tabellone informa che è in corso un progetto di messa in sicurezza. Al Comune ci informano che già tre interventi sono stati effettuati e che un ulteriore intervento sarà effettuato non appena l’ ASL avrà dato il suo benestare. Per lo spaventato quartiere nulla al momento sembra essere stato previsto e, comunque, non lo screening di massa che pure era stato chiesto dagli abitanti. Torno indietro e rigiro per le strade. Entro nella chiesa di San Francesco a rivedere lo straordinario murale di Ettore de Conciliis che tanto scalpore provocò quando fu inaugurato. Oggi, mi sembra che tutta l’umanità dolente, ritratta sul muro della chiesa, sia il simbolo di quanti hanno lottato e perso la battaglia per un lavoro che non implicasse, tra i suoi obblighi, anche quello di perdere la vita. Lentamente, a piedi, torno alla stazione. Intorno negozi che avevo visto aperti e luccicanti ancora pochi mesi fa mostrano le vetrine chiuse, sbarrate. No, non è solo la crisi che qui, come altrove, ha colpito duro. Queste chiuse vetrine sono, anch’esse, il segnale della inevitabile decadenza del quartiere. Un altro segnale è che mancano, del tutto, nuove costruzioni, a differenza di quanto avviene in altre parti della città. Nel rione, dopo un insediamente degli anni novanta di alcune cooperative, non si è costruito più nulla e di certo non aiuta il viadotto della Bonatti che corre proprio sopra le teste degli abitanti. Un destino che a me sembra segnato, ineluttabile. Ma almeno uno che la pensa diversamente c’è. E’ Pietro Mitrione, ex ferroviere e presidente dell’ associazione Inlocomotivi che da anni si batte per la riapertura della tratta Avellino – Rocchetta Sant’ Antonio. “ E’ tutta questione di prospettive, mi dice. Bisogna pensare a lungo termine, non traguardare solo il nostro naso. E’ bastato che il neo presidente della Regione Vincenzo De Luca parlasse dell’ elettrificazione della linea Avellino Salerno per riaprire una discussione che sembrava morta per sempre.” Del resto opportunità per ribaltare una sorte che sembra segnata non mancano. Occorre,però, saperle e volerle cogliere. In questo senso un segnale sembra proprio essere il completamento del raccordo ferroviario a servizio del nucleo industriale di Pianodardine. Dopo venti anni è stato,finalmente, completato il tratto di binario mancante. Un primato assoluto. Dopo venti anni si è completato un pezzo di binario lungo un metro, o poco meno. E’ il segno che qualcosa può cambiare anche in un nucleo industriale come quello della città capoluogo che non gode certo di ottima salute. “Un altro segnale, aggiunge Mitrione, è il fatto che proprio davanti alla stazione si attesta uno dei terminal della nuova metropolitana leggera di Avellino. Questo significa più gente che utilizza il mezzo pubblico, maggiore facilità di accesso alla stazione.” Un altro segnale di rilancio della stazione e di rione Ferrovia può venire dalla ipotizzata costruzione di un tratto di binario dalla stazione di Fisciano fino all’ università. Avellino, infatti, è baricentrica rispetto alle due Università, quella di Fisciano, appunto e quella di Benevento. “ Dalla stazione, prosegue, con grande ottimismo Pietro Mitrione, si potrà raggiungere anche la nuova linea ad alta capacità Napoli Bari e il polo logistico previsto a Flumeri”. Al momento, però, tutto questo appare fantascienza. Saranno gli anni che verranno a dire se tutti, o almeno una parte, di questi progetti si realizzeranno. Oggi manca la visione strategica, la capacità di guardare lontano nella compagine che guida il Comune. Non si vedono scelte operative che traguardino verso il futuro. Quello che appare, però, moralmente dovuto è una sorta di ristoro per tutto ciò che gli abitanti di Rione Ferrovia hanno dovuto sopportare in questi anni.
    Ettore de Socio
    21 dic 2015

  85. 184 avellinorocchetta 10/01/2023 alle 9:32 PM

    la litturina
    Prefazione
    I racconti brevi, sebbene a torto confinati ai margini dell’offerta editoriale, hanno spesso il pregio di essere più efficaci di un romanzo, dove lento è il ritmo narrativo. Hanno il vantaggio di catturare rapidamente la curiosità del lettore, grazie alla sensibilità dello scrittore di dosare con perizia la dimensione metaletteraria con la dimensione popolare. Densità e concisione di scrittura attraverso le brevi sequenze dialogiche in forma dialettale, costruite intorno a sequenze descrittive e narrative in lingua italiana, rendono memorabili le pagine del presente racconto.
    L’amore per la propria terra e l’empatia irresistibile verso i suoi abitanti, la memoria viva di chi ci ha preceduto hanno spinto l’autrice Giovanna Ciampa a partecipare al concorso letterario “Racconti campani”, dove il suo scritto è stato selezionato per essere inserito in un’antologia edita da Historica Edizioni. “Dove passa a litturina” si presenta dunque come un gioiellino letterario di racconto breve ambientato in un piccolo paese dell’Irpinia, Montefalcione, negli anni in cui si comunicava con gli sguardi, gli abbracci, espressioni colorite e affettuose, il contatto fisico oggi sostituiti in gran parte da likes e smiley sulle varie piattaforme della piazza virtuale.
    Con gli occhi del protagonista, il casellante che per 37 anni ha visto partenze e arrivi di locomotive, il lettore s’immerge nell’umanità variopinta dei passeggeri, in Serafina, la donna colta dietro il banco degli Alimentari, in un mondo nostalgicamente lontano, come il fischio dell’ultima littorina del 1986.
    L’autrice ci offre squarci introspettivi di grande efficacia che ci riportano ad un noto narratore breve come Italo Calvino, il quale sosteneva che “scrivere prosa non dovrebbe essere diverso dallo scrivere poesia” perché in entrambi i casi “è ricerca di un’espressione necessaria, unica, densa, concisa, memorabile”.
    Filomena Marino
    Là, dove passa la ” littorina”
    “Savasta’, vuoi un altro caffè?” torno alla realtà…
    È Antonio, il proprietario di questo piccolo bar, in questo piccolo paese, immerso tra le colline, nel cuore dell’Irpinia. È qui che sono nato, qui ho conosciuto mia moglie, qui ho lavorato per trent’anni!
    Non l’ho mai lasciato questo paesello, le sue strade, la festa del Santo patrono, la gara dei fuochi pirotecnici! ‘O sparo ‘e Montefalcione’, lo chiamano tutti: quanti nasi all’insù per ammirare i colori e le forme dei nostri fuochi d’artificio!
    Sembra si fermi il tempo in queste viuzze!
    Ed invece, il tempo è passato, anche troppo in fretta!
    Ricordo ancora l’annuncio dell’ultimo treno che è passato da quel binario.
    Era il 1986, avevo alle spalle trentasette anni di servizio come casellante…sempre in quel casello, per trentasette anni…era casa mia, ormai, era la mia casa cantoniera, anche se una casa di proprietà ce l’avevo. Mi ero sistemato bene: avevo tutti i confort, il frigorifero, la credenza, una scrivania e il letto per fare la pennichella tra un treno e l’altro! Facevo turni di 14 ore. Il primo treno passava alle 3.45 di mattina, l’ultimo alle 19.45. Nella casa di proprietà ci passavo per cena e qualche ora di sonno. Lì ritrovavo mia moglie, santa donna, che ha sopportato tutte le mie assenze. Nei giorni feriali e festivi. Il casello veniva prima di tutto!
    L’ultimo avviso del treno che stava passando, lo annunciai a settembre, alle 12.55, ma l’orologio della chiesetta accanto alla stazione, segnava ancora le 19:34. Già le 19:34 di quel 23 novembre 1980.
    Quando la terra tremò, mancavano 13 minuti al passaggio della carrozza proveniente da Avellino. C’era una luna rossa enorme, all’improvviso scie di fuoco e poi il buio totale. Non so se quel treno sia mai arrivato perché quel buio mi avvolse e mi disorientó. Minuti che durarono un’eternità!
    Dopo il terremoto, i treni sono stati sempre meno frequenti a causa dei danni geologici subiti dalle strade ferrate. La mia stazione si spopolava sempre più, insieme ai sogni e alle speranze di rivederla viva come anni addietro. Eppure di speranze e di memorie ne aveva vissute tante!
    “Sta arrivann a litturina, muoviti compà!”, ogni mattina era sempre il solito ritardatario. Alfredo insegnava matematica in una scuola elementare ad Avellino. Prendeva il treno alle cinque e tornava col treno delle cinque. Ogni mattina lo vedevo arrivare a passo spedito, dalla strada che costeggiava il casello, con le scarpe buone sulle spalle, il cappotto verde scolorito e i libri legati da una molla. Velocemente si toglieva le scarpe vecchie e me le lasciava in custodia, infilava quelle nuove e saltava sulla carrozza, per rientrare nel pomeriggio e fermarsi a raccontarmi dei suoi alunni e della vita in città. Un giorno mi disse: ” Compà, hai mai pensato di mollare tutto e salire sul primo treno che passa?”
    “Nè Comp’Alfrè, ma tu ricordi che sto treno fa Arianiello-Percianti e a Rocchetta S.Antonio torna indietro?!”
    “Ma era in senso lato caro Sebastiano!”
    “Angolo o lato, sto treno a Rocchetta torna indetro!”, non avevo capito cosa volesse suggerirmi, certo è che Alfredo aveva deciso di prenderlo quel treno e si trasferì a Milano, mollando la matematica.
    Chi invece, non aveva avuto il coraggio di saltare su un treno erano le due sorelle che abitavano dietro alla stazione. Rimaste zitelle, passavano le loro giornate tra il lavoro nei campi e qualche aggiusto sartoriale. Non avevano mai visto Avellino, ma nemmeno il paese accanto! Persino il loro paese non conoscevano! Erano fossilizzate in quella casa paterna e il resto del mondo le spaventava. Erano brave massaie, avevano imparato anche a macellare… e che pane delizioso sfornavano! Ogni forma era grande quanto la ruota di un carro ed il profumo inebriava tutta la stazione quando facevano “la cotta”. Quando si affacciavano al casello, facevano a gara a chi dovesse parlare prima: mi portavano la colazione perché dicevano che mi vedevano sciupato, dato che non avevo tempo di mangiare perchè stavo sempre ad abbassare e alzare la sbarra, ad annunciare i treni, a pulire il binario. E mi porgevano “a merenna”: due fette di pane appena sfornato lunghe e larghe come un mattone, accompagnato da un frutto o un pezzo di formaggio o di salame!
    Quanta gentilezza c’era ancora quel tempo!
    Io per ringraziarle, compravo il preparato di lievito e bicarbonato per fare i biscottini, al negozio di Serafina, in mezzo al paese. Le sorelle, contentissime, dicevano di non sapere come disobbligarsi! Eppure, ho sempre sospettato che oltre alla gentilezza, le signorine erano in competizione per me! Ero un bel giovane, facevo la mia bella figura con la divisa da capostazione, cappello in testa e giacca sempre pulita!
    Mia moglie era un pò gelosa, mi diceva sempre che a chissà quante donne avevo fatto girare la testa, invece, erano stati i miei occhi a fotografare le tante storie d’amore che in quella stazione andavano e tornavano.
    Lacrime, baci, gioie, abbracci… Persino un matrimonio è stato celebrato! Era la figlia di un capotreno: aveva desiderio di farsi la foto scendendo dal treno in abito da sposa e di celebrare lì il matrimonio. Quella domenica mattina feci ritardare la littorina nella partenza: la giovane sposa era raggiante, forse, il suo, era un modo per lasciare una vita e iniziarne un’altra “fuori dal treno”.
    Eppure, ho un ricordo che mi spezza il cuore. Un ricordo velato. Quando Carolina accompagnò Franco al casello era un giorno di ottobre. Lei una giovane ragazza con i capelli ricci e neri, timida, mingherlina. Lui un giovane forte, che la strinse in un abbraccio e partì su quel treno direzione Avellino e ad Avellino avrebbe preso un altro treno che lo avrebbe portato lontano, fino a raggiungere la Francia, dove avrebbe lavorato in una miniera per guadagnare qualche soldo e sposare Carolina. Non è mancata una sola settimana: ogni venerdì, per due anni, quella ragazza, veniva in stazione ad attendere un treno anzi ad attendere un uomo che non arrivava. Franco, dopo qualche mese in Francia, aveva avuto un malore mentre lavorava. Una disgrazia l’aveva portato via in un secondo, ma Carolina non si era data pace e, come un fantasma, aspettava ogni venerdì, l’arrivo del treno delle 19.20.
    Credo che tra i ricordi di un casellante ci siano, innanzitutto, quelli legati a situazioni divertenti e quotidiane. Come i pendolari che, ogni giorno, prendevano quel mezzo per andare a lavorare o, chi poteva permetterselo, a studiare. Vedersi tutti i giorni significava entrare in una certa intimità: ci scambiavamo opinioni, consigli, aneddoti. Qualche ragazzo mi chiamava “zio”. A qualcun altro ho tirato uno schiaffone vedendolo con la sigaretta in bocca. Le signore con i pargoli, avevano la precedenza:avevo sempre qualche caramella da offrire! I ferrovieri mi conoscevano tutti! Quelli che facevano la tratta coi treni merce, da me caricavano discrete quantità di prodotti agricoli. Poiché dovevano aspettare che venissero riempiti i vagoni, venivano nella casa cantoniera a farmi compagnia con un buon bicchiere di vino e un pezzo di formaggio. Nel vecchio mobile conservavo sempre una piccola scorta di viveri oltre quello che mi donavano i viaggiatori!
    Ad agosto, poi, persino nei cassetti mi ritrovavo cioccolato e gomme americane! Eh si, agosto era un’epifania di arrivi e partenze!
    Zì Massimino l’americano non è mancato ad una sola festa del santo patrono. Quando scendeva dalla carrozza, lasciava una scia della sua acqua di colonia, camicia sbottonata e crocifisso d’oro che penzolava sul petto peloso. “Ué paesà come stai? La festa comme si porta?” ed intanto dalla sua “begga” tirava fuori barrette di cioccolato e chewing gum portati da oltre oceano. Quando ripartiva, passava a salutarmi insieme al nipote: mi metteva venti dollari in tasca, mi abbracciava e mi prometteva di vederci l’anno successivo. Lo stimavo tantissimo. I suoi genitori erano poverissimi e non potendolo accudire, lo spedirono da un cugino del padre a Boston quando aveva 9 anni. Faceva il garzone per un lucidascarpe: aveva imparato ad aggiustare le suole e i tacchi, finché aprì un piccolo negozio nel quartiere italiano. Gli affari andavano bene. Negli anni ‘80 gestiva una piccola fabbrica calzaturificia. Si era costruito da solo, veniva ogni anno dai genitori, lasciandogli un gruzzolo per farli stare meglio, ma il suo cuore, nonostante tutto, si era legato a questo paese.
    In tanti sono emigrati.
    Quante storie ho ascoltato di compaesani che venivano trattati come bestie per poter guadagnare qualche soldo. Francia, Inghilterra, Germania, Svizzera, Belgio, America: qualcuno è tornato in paese, altri hanno messo radici all’estero.
    Ma nei tempi di povertà, anche qui in paese c’era discriminazione. Si lavorava sotto padrone! Ed i padroni erano caporali! Guai se mancavano mezzo chilo di olive o una pigna d’uva! Oltre alla povertà c’era l’analfabetismo! Certo, c’era la radio, ma le notizie ce le leggeva Serafina nel suo negozio, intorno a un braciere, di domenica! Era una donna istruita, comprava il giornale, il “Roma” e lo leggeva dall’inizio alla fine per i suoi compaesani. Era un momento di cultura e associazione senza secondi scopi. C’era la possibilità di confrontarsi, ognuno diceva il suo pensiero… finché sono arrivati i televisori… ed hanno trovato posto in casa!
    Gennarino è stato il primo a comprare un televisore nella contrada della stazione. L’estate degli europei di calcio del ‘68, dietro al casello allestì un vero e proprio cinema all’aperto! “Savastà, qua teniamo più spazio, ognuno si può portare la sua sedia…e, poi, grazie a te che ci presti la corrente, possiamo tifare Italia vedendola pure!” Diciamo che ad offrire questo servizio erano le Ferrovie dello Stato e Gigino che teneva l’antenna irta in una direzione strategica. Ma non dimenticherò mai lo stupore e la tifoseria di quel gruppo: gli abbracci ad ogni goal, brindisi a base di vino e Gigino fermo come una statua per non guastare il segnale.
    I ragazzi si divertivano con poco! Erano felici di semplicità!
    Ed in ogni gruppo c’era il fenomeno! Come Antonio! Un giorno regalò delle caramelle a sua zia. Cosa si era inventato dietro quel nobile gesto? Nelle caramelle aveva messo il mastice che usavano i calzolai. Povera zì Paolina, come iniziò a masticare, la dentiera si incolló tra se, non riusciva a parlare e mugolava cose assurde contro Antonio!
    E come potrei dimenticarmi di Cillo! Quando nacque, la madre non riusciva a nutrirlo. “Non le scende il latte! “diceva la “mammana” che l’aveva aiutata a partorire, ma la povertà era talmente tanta in quella casa, che la mamma di Cillo prima di mangiare lei, sfamava gli altri sei figli! Cillo fu affidato a una “mamma di latte” ossia un’altra donna che avrebbe diviso tra il figlio naturale e Cillo, le poppate. Cillo è venuto su forte e pieno di energie! Veniva a trovarmi quasi tutti i giorni. Camminava, camminava. Conosceva ogni angolo del paese. Quando arrivava al casello, mi abbracciava: era il suo modo migliore di esprimersi. Il suo cervello non si era sviluppato completamente, aveva difficoltà a parlare, ma i suoi ragionamenti erano spesso più razionali di tanti altri!
    Si sedeva sulla panchina dinanzi alla casa cantoniera, strappava una margherita dal mio orto e buttava lo sguardo qua e là, come se stesse davvero attendendo qualcuno, forse una ragazza, chissà cosa gli suggeriva quel suo cervello! In paese era conosciuto da tutti. Spesso lo prendevano in giro e lui si rifugiava nel bar di Concettina. Si chiudeva nella cabina telefonica che era all’interno dell’attività e restava immobile per tempi infiniti. Concettina per farlo uscire, gli mostrava un moretto, il suo dolce preferito! Solo così saltava fuori, la abbracciava e mandava giù il dolce! Il suo posto sicuro barattato per un moretto.
    Era settembre. Un altro treno e sarei rientrato a casa da mia moglie. La giornata era stata uggiosa ed il sole aveva fatto presto a tramontare. Faceva ancora caldo.
    Stavo annotando sul registro il passaggio della littorina, Cillo quel giorno non era venuto a trovarmi. In paese si vedevano poche luci accese: quella sera il panorama mi sembrava spettrale e non il solito presepe di sempre. Mentre scrivevo sul registro, dentro me sentivo come un senso di irrequietezza, di inquietudine. Sembrerà strano, ma quel casello mi stava avvisando di qualcosa. Presi la mia torcia e mi avviai sul binario verso la galleria e ahimè… le mie sensazioni erano vere! Un gruppetto di ragazzini schiamazzavano in prossimità del sottopasso incitando qualcuno a continuare a camminare, nel buio, all’interno. Spesso si divertivano a mettere le cento lire sui binari, e dopo il passaggio del treno, recuperarle e vederle ridotte a frittatine oblunghe e sottili. Ma quella sera no! Quella sera avevano convinto Cillo ad attraversare il tunnel per arrivare fino allo sfiatatoio, sotto il terreno di Angelo ‘o Scarparo, e lì guardare la luce della luna!
    Iniziai a correre come mai avevo fatto, fortissimo e dal mio diaframma usciva una sola lettera: “ aaahhh”.
    I ragazzi, impauriti, se la diedero a gambe, raccontando in paese di aver visto uno spirito che gli correva incontro, urlando, giù alla stazione. Mi precipitai nella galleria. Il treno stava arrivando, sentivo il ferro del binario vibrare! Quando vidi Cillo al centro del tunnel, che osservava la cima dello sfiatatoio, lo afferrai per la camicia, attaccandolo contro la parete mentre io gli facevo da scudo umano! Il treno arrivó, lasciandoci addosso un suono spaventoso, polvere e detriti. Avevo il cuore al limite di infarto.
    Ritornammo alla casa cantoniera, ci sedemmo sulla panchina, lì davanti. Non avevo più forza! Cillo se ne stava zitto, piangeva…aveva avuto tanta paura! Lo abbracciai, come faceva lui e gli indicai la luna!
    Anche quella volta quel binario mi aveva parlato! La sua anima mi avvisava del pericolo. Ero in simbiosi! Essere lì, per me, era una fortuna! E come tutti i casellanti eravamo delle figure fondamentali all’epoca! Quanto ho sofferto quando ci hanno sostituito con delle scatolette tecnologiche. Dov’è la loro anima?! I passeggeri a chi raccontano le loro storie, ora?
    Dal casello ci passava il mondo, una varietà umana che cambiava incessantemente, che non ti annoiava mai!
    Ancora oggi, trascorro le mie giornate alla finestra, sperando di sentire il passaggio del treno: un rumore per alcuni, un suono unico e familiare per me!
    Per essere felici a volte basta solo cambiare prospettiva e ricordare la magia delle piccole cose, delle parole che scaldano il cuore. Parole che raccontano vite vissute e sogni da realizzare. La mia stazione era anche questo! Un mondo dove anime vaganti affrontavano ogni giorno la vita, lasciandomi il loro saluto più caro “Buongiorno Savastà! Arriva a littorina?”

    “Là dove passa la litturina”, premiato e pubblicato nell. ‘Antologia Racconti Campani 2022,
    Ciampa Giovanna
    autrice del racconto

  86. 186 avellinorocchetta 25/01/2023 alle 9:49 PM

    Ferrovie abbandonate d’Italia: senza servizi turistici il recupero dei tracciati non funziona
    Ferrovie abbandonate d’Italia: senza servizi turistici il recupero dei tracciati non funziona
    Con Roberto Rovelli – che dal 1999 si occupa della valorizzazione delle ferrovie dismesse come greenways, ed è responsabile del progetto Ferrovie Abbandonate – abbiamo parlato della tratta Avellino-Rocchetta, del futuro del treno turistico e delle possibilità di recuperare le linee ferroviarie realizzando percorsi verdi, con funzione sia ludica sia di mobilità locale in bici, a piedi e a cavallo, una sfida che molti enti locali hanno già raccolto e stanno facendo propria

    OTTOBRE 2018 di Maria Fioretti

    Roberto Rovelli lavora presso il Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università degli Studi di Milano. Dal 1999 si occupa della valorizzazione delle ferrovie dismesse come greenways, tema su cui ha svolto ricerche e progetti. Attualmente è vice presidente dell’Associazione Italiana Greenways e responsabile del progetto Ferrovie Abbandonate, un database che vuole far conoscere a tutti i tracciati ferroviari non più utilizzati esistenti in Italia (con dati tecnici, mappe e immagini), contribuendo a conservarne la memoria e promuovendone la valorizzazione.

    Con lui abbiamo parlato della tratta Avellino-Rocchetta, del futuro del treno turistico e delle possibilità di recuperare le linee ferroviarie realizzando percorsi verdi, con funzione sia ludica sia di mobilità locale in bici, a piedi e a cavallo, una sfida che molti enti locali hanno già raccolto e stanno facendo propria. Un’idea che ha sfiorato anche l’Irpinia.

    Professore, perché è importante acquisire consapevolezza rispetto alle ferrovie non più utilizzate?

    «Intanto quello che abbiamo è un patrimonio che giace per gran parte abbandonato, per questo esiste il sito e c’è anche un Atlante italiano delle ferrovie in disuso, una recente pubblicazione fatta con l’Istituto Geografico Militare. L’obiettivo è far capire, portando degli esempi concreti, che questi binari abbandonati invece di diventare delle discariche a cielo aperto possono avere una nuova vita, in alcuni casi attraverso il ripristino di treni con finalità turistiche o facendo dei percorsi ciclopedonali. Come Associazione Italiana Greenways e come Università di Milano cerchiamo di portare avanti il concetto di riuso delle ferrovie abbandonate e lo facciamo da circa vent’anni. Ci siamo resi conto, facendo delle ricerche, che in Italia esiste un patrimonio di tratte dismesse – quindi non più utilizzate per la circolazione dei treni – lungo oltre settemila chilometri. Così sulla base di esperienze estere che dimostrano come queste ferrovie possano avere un futuro, anche e soprattutto dove non si può più ripristinare il servizio ferroviario, è possibile creare dei percorsi per pedoni, ciclisti, escursionisti».

    In base alla sua esperienza, i percorsi verdi sono apprezzati e frequentati dai turisti?

    «In Italia ci sono circa cinquanta tratti ferroviari recuperati e trasformati, tra i più lunghi abbiamo la ex ferrovia delle Dolomiti – da Dobbiaco a Cortina – circa 65 chilometri, poi c’è la vecchia Pontebbana in Friuli Venezia Giulia, la Treviso-Ostiglia in Veneto che va da Treviso fino a Grisignano di Zocco entrambe di 40 chilometri. Ce ne sono altre magari più brevi, ma più famose come la Spoleto-Norcia, uno dei primi casi in Italia di recupero in questo senso, oppure in Liguria con la ciclabile tra San Lorenzo al Mare e Sanremo che ha ospitato anche la prima tappa del giro d’Italia. Sono tratte frequentate anche se non è ancora possibile capire quanto, perché in Italia la politica di una raccolta dati precisa sul passaggio delle persone è ancora poco diffusa, esistono degli strumenti come i contatori automatici da posizionare lungo il percorso, ma sono molto poco utilizzati. Però le greenways in generale sono molto apprezzate, questo lo sappiamo da alcune stime fatte insieme agli studenti, perché rispetto ad una normale pista ciclabile o ad un percorso pedonale sono lontane dalle strade, attraversano territori non accessibili tramite la viabilità ordinaria, hanno pochi attraversamenti, pendenze molto moderate, quindi risultano facilmente percorribili. In sostanza offrono la possibilità di riscoprire al meglio il patrimonio ferroviario, lungo le greenways si incontrano ponti che offrono delle viste panoramiche o che possono essere considerati vere e proprie opere architettoniche, ci sono i vecchi caselli, con gli edifici delle stazioni, sono tratte affascinanti che interessano molto essendo testimonianza di un passato ferroviario che, se opportunamente valorizzato, è di grande importanza rispetto alla nostra storia».

    L’Avellino-Rocchetta è una linea non ufficialmente soppressa ma di fatto chiusa all’esercizio, tratta storica riattivata grazie al passaggio del treno turistico, è un’alternativa alle greenways?

    «Abbiamo una quindicina di linee abbandonate che sono attualmente usate solo per treni turistici, in maniera occasionale. Alcune riattivate negli ultimi quattro anni da Fondazione FS che è nata nel 2013, quindi si tratta di un ente abbastanza recente, altre invece come in Sardegna, Toscana e Lombardia sono curate da gruppi di appassionati. Il recupero del patrimonio ferroviario dismesso come ferrovia turistica può essere fatto su una minima parte, perché non tutte le ferrovie rispondono ai criteri dell’Avellino-Rocchetta che è stata comunque chiusa da pochi anni, quindi è ancora in buone condizioni, mentre nel 70-80% dei casi non ci sono neanche più i binari e non è possibile riconoscerle come ferrovie, sembrano strade di campagna, su molti di questi 7mila chilometri ci sono stati problemi infrastrutturali importanti, per cui quella del treno turistico sembra un’opzione più difficile da praticare che ha anche dei costi importanti. Ma questo non è il caso dell’Avellino-Rocchetta che ha trovato nel treno turistico un modo per conservare l’infrastruttura».

    E funziona?

    «Non mi occupo specificamente di treni turistici, ma li riconosco certamente come la novità di questi ultimi anni, i dati sull’afflusso sono importanti, circa 100mila persone all’anno tra le linee di Fondazione Fs e le altre, quindi possiamo parlare di un boom dei treni storici e di una modalità che funziona. Mi lascia però un po’ scettico sul lungo periodo, perché il mantenimento dell’infrastruttura richiede dei costi che non si ripagano con i biglietti dei pochi treni che circolano, se dovessero verificarsi importanti danni o dovesse esserci necessità di lavori bisognerebbe porsi il problema del reperimento dei fondi».

    Però il treno turistico è uno strumento per la promozione del territorio…

    «Non ci sono dubbi, temo solo che non possano funzionare se non abbinati al ripristino della circolazione ordinaria dei treni, perché un conto è mantenere un’infrastruttura percorsa quotidianamente a cui associare il treno turistico, un conto è mantenerla per qualche corsa all’anno. Non si mantiene da sé il treno turistico, ha bisogno del supporto anche economico degli enti locali, nel momento in cui le Regioni non avranno più possibilità di assegnare queste risorse, i treni turistici andranno incontro ad un destino incerto come le ferrovie».

    Quindi recuperare il patrimonio ferroviario dismesso con il progetto delle greenways sembra essere la soluzione migliore?

    E’ quella che potrebbe essere applicata alla maggior parte del patrimonio ferroviario dismesso. Infatti solo un 5% potrebbe tornare ad avere il treno per un servizio regolare, un 15% è destinato al solo uso turistico, ma non vedo altre possibilità per quello che resta, a meno che non si intenda ricostruire le ferrovie.

    Ma né l’una né l’altra soluzione può avere futuro in mancanza di servizi turistici…

    «Uno dei problemi dell’Avellino-Rocchetta è la lontananza dei paesi rispetto alle stazioni, per cui i servizi turistici diventano essenziali, questo vale per i treni turistici come per le greenways. Quindi ristoranti, bar, noleggio biciclette, piccoli musei, pannelli informativi, tutto questo arricchisce l’esperienza e diventa il motivo per cui si sceglie di percorrere queste tratte. Oggi al passaggio del treno turistico corrispondono degli eventi legati all’enogastronomia o a festival culturali, quindi il treno serve alla scoperta del territorio e questa è la formula migliore anche per chi pedala in bicicletta. Il recupero solo del tracciato non è sufficiente, come dimostrano le esperienze estere, come dicono gli spagnoli questi devono essere dei progetti integrati, che accanto all’infrastruttura per muoversi, devono offrire delle occasioni di riscoperta del territorio con le sue peculiarità, è questa la chiave per attrarre dei visitatori».

  87. 187 avellinorocchetta 25/01/2023 alle 9:50 PM

    La nota dell’on. GC GIordano

    Approvato l’emendamento dell’on. Giancarlo Giordano
    La tratta “Avellino-Lioni-Rocchetta Sant’Antonio” è stata definitivamente inserita nel
    progetto di legge che istituisce le ferrovie turistiche.
    Ieri, in Assemblea, alla Camera dei Deputati, è stato discusso e approvato il Progetto di Legge “Disposizioni per l’istituzione di ferrovie turistiche con reimpiego di linee in disuso in aree di particolare pregio naturalistico o archeologico”, che ora passerà in discussione al Senato, ed è stato presentato l’ emendamento dal Presidente della Commissione Trasporti teso a recuperare l’individuazione delle tratte ferroviarie turistiche che ha assorbito integralmente l’emendamento dell’onorevole Giancarlo Giordano volto a inserire la tratta ferroviaria “Avellino-Lioni-Rocchetta Sant’Antonio” .
    L’iter troverà la sua definitiva conclusione negli auspicati pronunciamenti ministeriali di competenza nell’ambito della contrattazione programmata nazionale e delle regioni a cui spetterà il compito di rendere operative le nuove infrastrutture turistiche . Per la nostra provincia si concretizza una grande opportunità per il recupero funzionale della storica opera ferroviaria proponendola come un importante vettore di sviluppo e di salvaguardia di un’area delicata come quella dell’Alta Irpinia per la quale ancora oggi si stenta a delineare una nuova vocazione territoriale sostenibile .

    Roma, 25/01/2017 on. Giancarlo Giordano
    TESTO CAMERA DEI DEPUTATI
    Dopo il comma 1, aggiungere i seguenti: 1- bis. In deroga a quanto previsto dal comma 1, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono classificate come tratte ferroviarie ad uso turistico, ove risultino rispettate le condizioni di cui al comma 1-ter, le seguenti linee:
    a) Sulmona-Castel di Sangro;
    b) Cosenza-San Giovanni in Fiore; (Emendamento Costantino, Franco Bordo)
    c) Avellino-Lioni-Rocchetta Sant’Antonio; (Emendamento Giancarlo Giordano, Franco Bordo)
    d) Sacile-Gemona;
    e) Palazzolo-Paratico;
    f) Castel di Sangro-Carpinone;
    g) Ceva-Ormea;
    h) Mandas-Arbatax; (Emendamento Piras, Franco Bordo)
    i) Isili-Sorgono; (Emendamento Piras, Franco Bordo)
    l) Sassari-Palau Marina; (Emendamento Piras, Franco Bordo)
    m) Macomer-Bosa; (Emendamento Piras, Franco Bordo)
    n) Alcantara-Randazzo;
    o) Castelvetrano-Porto Palo di Menfi;
    p) Agrigento Bassa – Porto Empedocle;
    q) Noto-Pachino;
    r) Asciano-Monte Antico;
    s) Civitavecchia-Capranica-Orte;
    t) Fano-Urbino.
    La lotta continua

  88. 188 avellinorocchetta 05/02/2023 alle 4:49 PM

    I treni della felicità: quando
    i comunisti salvarono i bambini
    5 FEBBRAIO 2020|IN ORIZZONTI|DI ONIDE DONATI
    C’è una pagina di storia che il paese non conosce. È una pagina gloriosa e importante, scritta dai comunisti italiani negli anni successivi alla guerra e ha per protagonisti i bambini di famiglie poverissime. La storia inizia nel 1947, tra le macerie dei bombardamenti che hanno martoriato Roma e Napoli e raso al suolo Cassino; prosegue fino al 1952, quando la guerra è terminata da molti anni ma i conflitti di classe rendono la vita durissima ai braccianti pugliesi.

    In quell’Italia, che non sa come mettere insieme pane e companatico, cresce una generazione di bambini e bambine meridionali nel cui futuro ci sono fame, malattia, prostituzione. Il Pci capisce il problema e cambia il destino di 80 mila di quei disperati che avevano dai cinque ai dieci anni. Li prende in consegna, li carica sui “treni della felicità” e li fa accogliere ad altrettante famiglie dell’Emilia-Romagna, del Mantovano e – nei primi anni Cinquanta – di Ancona.

    È un esodo colossale, all’insegna della solidarietà, promosso e diretto da Teresa Noce che poi ha finito per contagiare centinaia, migliaia di sezioni comuniste. Con il passaparola le informazioni giungevano alle famiglie che, con uno slancio straordinario, si mettevano a disposizione per ospitare da sei mesi a due anni quell’infanzia altrimenti dimenticata.

    Quella pagina riscuote oggi un tardivo interesse sulla scia di un bel romanzo di Viola Ardone (Il treno dei bambini, Einaudi) che attraverso il personaggio di Amerigo dà voce agli 80 mila che affrontarono il lungo viaggio. Ma altri pregevoli lavori editoriali, tra il 2009 e il 2011, analizzarono il fenomeno: I treni della felicità (Cartabianca editore), un saggio di Giovanni Rinaldi con prefazione di Miriam Mafai e il film documentario Pasta nera di Alessandro Piva, con rari filmati d’epoca e tante testimonianze. Il tutto mette sufficientemente a fuoco cosa avvenne sulla direttrice Napoli-Bologna e come fu possibile che famiglie di contadini, di artigiani, di operai dell’”Alta Italia” abbiano aderito ad un progetto apparentemente pazzo e utopico che il Pci (soprattutto le sue donne), l’Udi, l’Anpi, le Camere del lavoro fecero diventare una perfetta macchina dell’accoglienza.

    I primi treni partirono da Napoli e Roma in un clima di estrema diffidenza. Le istituzioni e le prefetture erano in piena emergenza e lasciarono fare, le Ferrovie offrirono collaborazione, ma la Chiesa si mise di traverso in ogni modo. Preti, suore, attivisti cattolici avvicinavano le famiglie povere mettendole in guardia del pericolo comunista, le madri soprattutto vennero bombardate dalle fake news dell’epoca: i comunisti mangiano i bambini, i comunisti li mandano in Siberia a lavorare, i comunisti ne fanno saponette, i comunisti gli tagliano le dita.

    Carla Belletti è figlia di una coppia di contadini di Sala di Cesenatico che ospitò un bambino di Cassino quando lei non era ancora nata. I suoi le hanno trasmesso un ricordo vivo di quella esperienza che ha raccontato qualche settimana fa alla Coop di Rimini in occasione della proiezione proprio di Pasta nera: “Era un bambino di 7 o 8 anni taciturno che teneva sempre le mani in tasca o chiuse a pugno. All’inizio non mangiava, poi prendeva velocemente il cibo e nascondeva le mani. I miei intuirono che alle mani c’era qualche problema e riuscirono a farselo raccontare piano piano, quando conquistarono la fiducia del bambino: una suora gli aveva detto che i comunisti gli avrebbero tagliato le dita. Mia mamma, che era sì comunista ma andava in chiesa, lo portò alla messa tutte le domeniche. Superato quello scoglio il bambino si ambientò e il suo soggiorno trascorse sereno nella numerosa famiglia dei miei. Non erano ricchi i miei, ma non gli fecero mancare nulla. Lo pulirono, lo vestirono, lo curarono come fosse un figlio, lo mandarono a scuola. La spinta che li mosse era certo politica ma più ancora credo umanitaria e compassionevole secondo la logica che in una famiglia di 10-15 persone il posto e il cibo per uno in più a tavola si trovano sempre”.

    Il romanzo di Viola Ardone (che nel pomeriggio di domenica 16 febbraio sarà proprio in Romagna, nella villa Torlonia di San Mauro Pascoli) riassume bene come avvenne quella staffetta umanitaria: le preparazioni a Napoli, i sabotaggi della Chiesa, il lungo viaggio di Amerigo in treno, l’arrivo a Bologna e il trasferimento in Corriera a Modena, la scoperta della musica, il ritorno a Napoli e la fuga ancora verso l’Alta Italia per acchiappare tramite la famiglia affidataria le note di un violino e farsi strada nel mondo della musica…

    Di taglio scientifico il lavoro del libro I treni della felicità e del film Pasta nera (la pasta nera veniva fuori dalla farina sporca che si otteneva spigolando i chicchi di grano dopo la mietitura). Entrambi ci fanno conoscere anche uno spaccato di Puglia drammatico: a San Severo (Foggia), “paese di braccianti affamati e disperati, senza terra e senza lavoro, come tanti altri paesi della zona, da Minervino a Gravina da Andria ad Altamura” – scrive Miriam Mafai nella prefazione del libro di Rinaldi – il 23 marzo 1950 i braccianti scioperarono e la repressione poliziesca fu feroce: in 180 vennero arrestati e tenuti nel carcere di Lucera per due anni con l’accusa di “Insurrezione armata contro i poteri dello Stato”. Il processo li assolse tutti il 5 aprile 1952, ma nel frattempo i loro figli si ritrovarono soli e di quella solitudine si occuparono le donne comuniste di Ancona guidate da Derna Scandali. Derna è anche il nome che Viola Ardone ha dato, credo non casualmente, alla “mamma” affidataria di Amerigo, il protagonista del suo romanzo.

    Proprio da San Severo ad Ancona, sulla linea Adriatica, i treni fecero gli ultimi viaggi solidali inventati da Teresa Noce, quando il Pci e il popolo degli ultimi erano la stessa cosa.

  89. 189 avellinorocchetta 05/02/2023 alle 5:13 PM

    Avellino – Rocchetta Sant’Antonio

    III Giornata Nazionale delle ferrovie dimenticate

    Avellino.-.Rocchetta Sant’Antonio, e il pensiero va al fischio del treno che senti nella valle; al bel ponte con le arcate di mattoni rossi sul Sabato ad Atripalda; a quel vagone azzurro, che vedi transitare al passaggio a livello e ti stupisce per l’esiguo numero dei passeggeri; alle storie del vecchio ferroviere che raccontava della fatica di alimentare la locomotiva a carbone.

    Vengo a conoscenza del viaggio organizzato per il 7 marzo 2010, in occasione della “III Giornata delle ferrovie dimenticate”, e decido di aderirvi.

    Partenza alle ore 8,30, siamo in centocinquanta. Non fa freddo e il cielo è terso, nonostante la neve di qualche giorno fa: la giornata promette bene. Dopo qualche minuto dalla partenza scompare il massiccio del Partenio, con il santuario e, in alto, le antenne, testimonianza della modernità.

    Il panorama è un susseguirsi di terre coltivate, vigneti e boschi, case sparse e paesi, chiese, casolari diroccati ma soprattutto tanti corsi di acqua (Sabato, Salzola, Calore, Ofanto) talvolta color smeraldo, tal altra torbida e gialla per i residui di terra che recenti, violente piogge hanno reso tali, fino al lago San Pietro. Man mano che ci si allontana da Avellino il paesaggio diventa mutevole, sempre più spesso appaiono colline coltivate a cereali, a volte sembrano terre senza tempo, se non fosse per la linea elettrica che di tanto in tanto ti riporta all’oggi. Si attraversano stazioni, forme morte, con le loro porte e finestre murate, che ti provocano una stretta al cuore. Infine appaiono le pale eoliche, che ad alcuni possono sembrare ingombranti per l’impatto sul territorio, ma che sono l’espressione dell’unica strada che abbiamo, l’energia alternativa, se vogliamo lasciare un mondo vivibile ai nostri nipoti. Vedi quei bracci enormi girare incessantemente, ma ancora non ti rendi conto della forza che li muove, lo capirai lassù sulla sommità di Rocchetta, quando un forte vento tagliente ti costringe a coprirti la faccia, ma non vuoi rinunciare allo spettacolo di un paesaggio ampio e silente, quasi del tutto disabitato seppure curato, un susseguirsi di colline dal dolce pendio tra le quali intravedi Lacedonia a sinistra e Sant’Agata di Puglia, arroccata sulla collina, a destra. E ti vengono in mente le parole di Francesco de Sanctis a proposito del suo paese: “Non c’è alcun morrese che non possa dire: io posseggo con l’occhio vasti spazi di terra”.

    Il grande critico aveva anche previsto: “Tutto si trasforma, e qui la trasformazione è lenta. Si animi Monticchio, venga la ferrovia e in picciol numero d’anni si farà il lavoro di secoli”. La linea ferroviaria, infatti, arrivò nel 1895 e segnò una tappa importante per superare l’isolamento che contraddistingueva le contrade dell’Alta Irpinia. (In quell’epoca Rocchetta Sant’Antonio era parte della nostra provincia; ne sarà staccata nel 1940, quando entrò a far parte della Provincia di Foggia). La ferrovia divenne un mezzo di trasporto agevole per i prodotti agricoli del territorio, ma amaro per migliaia di uomini: non è immaginabile il numero di emigranti che l’hanno percorsa per raggiungere le terre europee o d’oltreoceano da cui inviavano quelle rimesse di danaro che contribuivano a risollevare la situazione economica di queste zone e, in generale, con i depositi postali, a finanziare tante opere pubbliche italiane.

    Successivamente, con la costruzione di nuove vie di comunicazione, la ferrovia è stata utilizzata sempre meno, fino a far registrare un tale passivo nella sua gestione da far pensare, ormai da molti anni, alla sua soppressione. E’ chiaro che, nell’era dell’alta velocità e delle prenotazioni obbligatorie, non è pensabile una locomotiva che percorre, quasi priva di passeggeri e in due ore e mezza la distanza tra le due località. Ma proprio gli elementi che ne determinano la passività sono fondamentali per l’idea di coloro che aderiscono all’ “Associazione Ferrovie Dimenticate”. Presente in tutta Italia, essa si pone come obiettivo un diverso uso degli 8.200 Km di ferrovie dismesse, puntando l’attenzione sul loro valore paesaggistico, storico ed architettonico.

    In Irpinia, ad opera di pochi pionieri (tra cui Pietro Mitrione e Valentina Corvino) è sorta “In-loco-motivi” _ Il treno irpino del paesaggio, che mira ad “una visione di politica ambientale che pone l’accento sulla necessità di perseguire soluzioni strategiche che ridiano senso infrastrutturale ed economico alla più antica linea ferroviaria irpina e tra le più antiche della Campania.” Che ciò sia possibile è dimostrato dal successo riscosso dalle iniziative intraprese quest’anno da “In-loco-motivi”, assieme agli aderenti all’ “Associazione Amici della Terra”: una serie di viaggi che sono stati resi possibili anche grazie alla disponibilità di Anna Donati, dirigente dell’ACAM (Agenzia campana per la mobilità sostenibile), che ha concesso delle corse domenicali fino al 6 giugno, ultimo appuntamento programmato.

    La buona riuscita dell’iniziativa certamente darà nuovo vigore agli organizzatori, che si propongono:

    – “la dichiarazione di importanza storico-cuturale” della tratta;

    – “la possibilità di riprendere lo studio preliminare di fattibilità, iniziato nel 1995 e di poterlo aggiornare[…] con la verifica della possibilità di rendere il mezzo totalmente ecologico”;

    – “iniziare un lavoro didattico nelle scuole”;

    – “la conoscenza del territorio e delle sue potenzialità ambientali, storiche, architettoniche, artistiche, enogastronomiche.”

    Ci sarebbe da dire parecchio sulle potenzialità dell’iniziativa, ma mi limiterò ad alcune considerazioni: quante gite scolastiche vengono organizzate ogni anno, con trasporto su strada e in località lontane, quando luoghi bellissimi e a portata di mano sono ignorati? Quanti bambini e ragazzi sognano di fare un viaggio in treno e non l’hanno mai fatto? Questi paesi sono ricchi di testimonianze storiche e archeologiche (Compsa), di realtà museali (Aquilonia, Calitri), di castelli, molti dei quali ristrutturati (Rocchetta, Monteverde, Bisaccia). Quanti ragazzi li conoscono?

    Ci sarebbe da fare, poi, il discorso del rilancio turistico, tema sempre presente. Vorrei ricordare quanto detto con lungimiranza da Manlio Rossi Doria: “evitare gli scempi delle grandi costruzioni alberghiere; […] coordinare, per quanto possibile, la valorizzazione turistica con la valorizzazione economica delle risorse (industrie forestali e industria armentizia), […] facendo sì che una parte delle case da costruire possano essere adibite al duplice uso della ospitalità turistica e dell’abitazione di lavoro; […] potrebbe avviarsi anche da noi quel nuovo indirizzo di valorizzazione che è rappresentato in Toscana dalla società Agritour”, pur ammettendo poco dopo, eravamo nel 1969, che “su quello che ho chiamato turismo estivo residenziale diffuso […] siamo ancora a idee troppo generiche”. Negli ultimi decenni, certo, alcune località hanno visto aumentare il numero di visitatori; molto meno i paesi dell’Alta Irpinia; ma fa ben sperare per il futuro l’iniziativa e la buona volontà di associazioni che vedono la partecipazione di tanti giovani, come l’ “Associazione LiberaMente” di Rocchetta, che non si rassegnano al destino di declino al quale per molti anni questi paesi sembravano condannati. D’altronde, il grandissimo numero di turisti che ha richiamato anche quest’anno la manifestazione “Grande spettacolo dell’acqua” organizzata a Monteverde dimostra che quando si propone un prodotto di alta qualità la gente risponde con entusiasmo.

    Non è un caso se Calitri è stato riconosciuto come una delle nove località al mondo dove si può meglio vivere la Terza età. Calitri, sede di un rinomato Istituto statale d’Arte, che forma ceramisti che nulla hanno da invidiare a località ben più rinomate, non potrebbe che avere dei benefici dal raggiungimento degli obiettivi suddetti. Ben lo sanno gli amministratori locali e il sindaco, Giuseppe Di Milia che, con il sindaco di Rocchetta, Ranieri Castelli era alla stazione a festeggiare in modo ufficiale la “III Giornata delle ferrovie dimenticate” e ad accogliere gli aderenti all’iniziativa con il Concerto Bandistico Città di Rocchetta.

    Ci sarebbe poi il turismo enogastronomico. Questa linea ferroviaria attraversa paesi che hanno raggiunto una rinomanza internazionale per la produzione di eccellenti vini, il Fiano, l’Aglianico e il Taurasi, o prodotti che hanno ottenuto il riconoscimento IGP, come la castagna di Montella, o il tartufo nero di Bagnoli Irpino. Per non parlare dei prodotti dell’industria casearia, degni di figurare tra i migliori in Italia come i latticini e, in piccola parte, il caciocavallo podolico.

    E’ troppo pensare che questo treno un giorno possa accompagnare numerosi gruppi di turisti in queste località? E’ utopico sperare che possa contribuire, sia pure in piccolissima parte, a fermare quello che sembra un inarrestabile processo di depauperamento dell’Irpinia a causa di un’emigrazione, soprattutto giovanile sempre troppo elevata? Già, l’emigrazione: questo è stato il tema di un brano scritto e letto nel viaggio di ritorno verso Avellino da Franco Arminio, il “paesologo” di Bisaccia che nei suoi scritti analizza senza pietà la realtà di questi paesi: “Chi visita i paesi d’estate o la domenica ne cattura un’impressione del tutto illusoria: il piacere del silenzio, del buon cibo, aria buona. Tutto questo è solo una facciata, una realtà apparente che nasconde un’inerzia acida, un tempo vissuto senza letizia” […] Se i sani scappano lontano, nel paese restano i malati”. Siamo costretti a riflettere su queste comunità che vedono diminuire inesorabilmente il numero dei loro abitanti, ma dove ancora c’è chi non si arrende, e lotta perchè il domani possa essere diverso.

    In questo viaggio si è dato largo spazio alla cultura, attraverso le musiche e le parole di due complessi: Cantautorando e Folska, l’uno con canzoni d’autore, (De Andrè, Conte, Guccini) l’altro con “[…] la musica del popolo. Quella che affonda le proprie radici nel Sud Italia (Quando ancora Italia non era)”, come si legge sul loro blog; si è visitato il centro storico di Rocchetta, la grande chiesa dedicata alla Madonna Assunta, il Sedile, il Castello D’Aquino, la Rocca di Sant’Antimo, avendo come guide i giovani dell’Associazione LiberaMente; si è parlato dei problemi di queste terre. Come non pensare al Formicoso e alla discarica di Difesa Grande? Ora capisco la tenacia con la quale questa gente tenta di difendere il proprio territorio e mi chiedo se il resto dell’Irpinia abbia fatto il necessario per sostenerla in questa lotta.

    Sentimenti contrastanti abitano il mio animo: non è stato solo un viaggio di svago.

    Ormai è notte quando scorgo dall’alto le luci di Atripalda, la sua piazza, e il fiume Sabato che attraverso sul bel ponte di mattoni rossi.

  90. 190 avellinorocchetta 17/02/2023 alle 9:38 PM

    Ritorno all’incanto (di Nadia Lucchetta)
    Il treno è l’estate, le vacanze arrivate.
    Il treno è il viaggio, lungo, interminabile fatto di ore e ore trascorse tra caldo, sudore, polpette fritte nei panini, umanità accalcata nei vagoni e stanchezza, stanchezza tanta.
    Il treno è un film da guardare al finestrino, traboccante di immagini che si svolgono tra la notte e il giorno lieto, quello del ritorno.
    Il treno è la laguna al calare della sera, il buio, ancora il buio, il nero profondo, qualche luce che si accende, qualche luce che si spegne, la vita oltre il sonno, oltre il sogno, il chiarore albino e il sole che arriva subito poi a costeggiare il mare, le distese di girasoli verso sud che si stiracchiano, pigri, assonnati, aprendo timidi e lenti le corolle. Corteggiando il sole.
    Il treno è la sosta forzata, nei grossi snodi ferroviari, in attesa delle coincidenze da altre vie. Il permesso al gioco bambino con le fontanelle dal dispettoso getto verso l’alto.
    Il treno è il binario morto nella stazione di Foggia, da raggiungere correndo, a cuor leggero, per farsi spazio nella calca, con le braccia appesantite dai bagagli, con il ritardo accumulato sulle spalle.
    Il treno è la ‘littorina’, piccola, marrone, affusolata che si arrampica con tenacia sull’ultimo tratto del percorso.
    Il treno è tutte quelle fermate da indovinare in successione. Monteverde, Aquilonia, Monticchio, Ruvo-Rapone, a ricordo, forse stonato, tuttoattaccato, Pescopagano, Calitri. Fermate da saltare in elenco, ogni tanto, solo per la fretta di arrivare.
    Il treno è la stazione di Conza (Andretta-Cairano, tra parentesi).
    Il treno è il ritorno all’incanto.

  91. 193 avellinorocchetta 23/02/2023 alle 9:28 am

    https://webtv.camera.it/evento/9019

    23 febbraio 2016
    l’ audizione di rappresentanti dell’Associazione in_loco_motivi, nell’ambito dell’esame della proposta di legge C. 1178 Maria Iacono ed altri, recante “Disposizioni per l’istituzione di ferrovie turistiche mediante il reimpiego di linee in disuso o in corso di dismissione situate in aree di particolare pregio naturalistico o archeologico”
    Insieme ad Agostino Della Gatta gioiavamo per questo risultato.
    L’aver ottenuto l’inserimento della nostra Avellino Lioni Rocchetta nel novero delle ferrovie turistiche italiane è una sua battaglia da portare a compimento.
    Ora lui non c’è più…..ci resta il suo impegno, la sua passione il suo amore per la ns Irpinia.

  92. 194 avellinorocchetta 01/03/2023 alle 10:20 am

    10 anni fondazione FS

    Una ferrovia dismessa è un capitale fisso sociale, utilizzato da molte generazioni prima del suo abbandono. E’ una memoria fisica della vita e della storia di un territorio.
    2. Il valore storico e ingegneristico di molte linee ferroviarie dismesse merita la più attenta considerazione sotto il profilo paesaggistico, ambientale, culturale.
    3. Il patrimonio di una ferrovia dismessa- il sedime, le opere d’arte, i suoi impianti fissi e il materiale rotabile – non deve mai essere smembrato, ma deve essere conservato e finalizzato al suo recupero.
    4. Il recupero e il riuso di una ferrovia dismessa devono essere oggetto di attenta valutazione che combini lo stato attuale, le aspettative delle comunità locali, le prospettive future di sviluppo dei territori interessati.
    5. Gli Enti pubblici e le aziende titolari delle proprietà ferroviarie devono agevolare gli interventi di recupero delle ferrovie dismesse attraverso convenzioni con altri Enti o associazioni locali che garantiscano la gestione di eventuali nuovi utilizzi considerando questo patrimonio una risorsa collettiva e non un valore di mercato.
    6. Ogni ipotesi di recupero deve garantire la conservazione del “canale fisico” dell’infrastruttura dismessa e un riuso, anche temporaneo, non deve pregiudicare un eventuale futuro ripristino del servizio ferroviario.
    7. Nello studio di un progetto di recupero e riuso di una ferrovia dismessa devono essere evidenziare e valorizzate tutte le tracce e i documenti fisici che possano servire a conservare la memoria dell’originaria funzione.
    8. Gli Enti pubblici locali, le categorie economiche, le associazioni devono assumere il tema del recupero delle ferrovie dismesse come parte integrante dell pianificazione territoriale e della rigenerazione del paesaggio.
    9. Ogni eventuale futura dismissione di tronchi ferroviari deve essere fatta precedere e seguire da un realistico progetto di recupero e riutilizzo con altri fini e funzioni.
    10. In definitiva il recupero e il riuso di una linea ferroviaria dismessa è un’operazione di “buon governo del territorio” contro il degrado, l’abbandono, l’incuria, la rimozione della nostra memoria storica.
    Massimo Bottini

  93. 195 avellinorocchetta 04/03/2023 alle 10:59 PM

    La ferrovia Avellino-Rocchetta SA

    Il viaggio sulla Avellino Rocchetta è il racconto di un intero territorio e della costruzione del suo paesaggio. Completata nel 1895, realizzata con enormi difficoltà dovute alla complessa orografia dei terreni, la strada ferrata, una promessa che Ferdinando di Borbone fece al Principato Ultra all’indomani della “Napoli-Portici”, s’insinua nel cuore e nella pancia dell’Irpinia e si muove con una lentezza che consente al viaggiatore di godere, dal finestrino, la varietà, la mutevolezza, dei luoghi e delle stagioni, del paesaggio che scorre a 30km/h.
    Si può percorrere in più tappe, fermandosi una volta in un paesino – ce ne sono circa trenta sulla strada, di quelli arroccati, sull’Appennino Meridionale – e la volta successiva in un altro, oppure la si può percorrere tutta d’un fiato, godendola nella sua interezza. In una bella giornata di primavera inoltrata o all’inizio dell’estate, a settembre o alla metà di ottobre, è ideale viaggiare a bordo delle vetture storiche di Fondazione FS, due affascinati ALn668 degli anni ’70, sapientemente restaurate dalla Fondazione, uniche sul territorio italiano, assegnate alla nostra tratta. Il viaggio, lungo 119km, parte dalla Stazione di Avellino. Ricostruita nell’edificio principale dopo il terremoto dell’80, la stazione mantiene però alcuni originali manufatti relativi al primo impianto datato 1879; questi come tutta la linea sono oggi un bene culturale per decreto del MiBAC.
    L’automotrice imbocca la strada che vira ad est verso l’Irpinia interna. Scavallando il fiume Sabato, il primo dei tre fiumi solcati e fiancheggiati dalla ferrovia, apprezziamo una delle numerosissime opere d’arte presenti sulla Linea: il Ponte Milano. In muratura di mattoni, il ponte curvo a 16 arcate disegna il paesaggio e si impone sulla città di Atripalda, maestoso. Ci apre la porta alle valli irpine dei grandi vini, perfettamente disegnate, maniacalmente suddivise dai filari di un verde brillante alla fine della primavera e in estate e intensamente rossi in settembre e ottobre durante la vendemmia. Attraversiamo l’areale del Fiano, con i borghi arroccati, e ad aprire quello del Taurasi, saltando il fiume Calore, troviamo un’altra meraviglia ingegneristica della tratta: il Ponte detto “Principe”, grandiosa opera in ferro di quasi 300 metri e 3 campate. Lasciate le vigne alle nostre spalle, ci inerpichiamo sui monti del Parco dei Picentini incontrando i borghi delle castagne e dei tartufi per scendere infine verso la valle del fiume Ofanto, col quale la strada ferrata gioca a rincorrersi tra i campi di grano giallo, salutando a sud-est la Basilicata, fino ad arrivare in Puglia, a Rocchetta SA.
    Qui il nostro viaggio termina, ma la scoperta è continua, ogni viaggio è unico.

  94. 197 avellinorocchetta 13/03/2023 alle 10:00 PM

    I materiali da costruzione utilizzati per la ferrovia Avellino – Ponte Santa Venere – Rocchetta.
    Le volte per i manufatti, i rivestimenti delle gallerie e dei fabbricati furono realizzati con i mattoni ricavati dalla già esistente fornace di Atripalda, e da quelle di Nusco e Calitri appositamente costruite. Queste ultime erano capaci ciascuna della produzione di 4 milioni di mattoni all’anno.
    Il pietrame e la pietra da taglio per le murature vennero forniti da cave locali. Per la pietra da taglio, nell’ultima tratta della linea, s’adoperò anche quella delle cave di Trani (calcare gentile).
    Per le malte si adoperarono calce comune locale e pozzolane d’Avellino e Paternopoli e, per qualche lavoro di speciale difficoltà, calce idraulica di Palazzolo o di Giardini (presso Messina). Nel tratto Montemarano – Lioni si fece uso della calce idraulica proveniente da una fornace appositamente costruita a Vallone Oscuro, e da Lioni in poi di adoperarono calce comune locale e pozzolane di Rionero in Vulture e Bocca di Troia, nonchè di Bacoli e Torre del Greco per gli ultimi 7 chilometri.
    Nel tratto Monteverde – Rocchetta S. Antonio vennero utilizzate traversine ottenute dal legname proveniente dal bosco di Monticchio.
    L’ apparato idrodinamico Bianchi – Servettaz, presente nel 1892 anche presso la stazione di Monteverde, permetteva di azionare meccanicamente scambi e semafori.
    Carmela Ti

  95. 199 avellinorocchetta 16/03/2023 alle 8:39 am

    La paletta verde del capostazione o dirigente movimento era un po’ il simbolo della ferrovia. Aveva il manico color argento dell’alluminio, un materiale che non provoca ossidazione; per questo, in quarant’anni, non ne ho mai vista una con la ruggine e anche i dirigenti con la pressione arteriosa alta, e che di conseguenza producevano copiosa sudorazione nelle mani, potevano stare tranquilli perché non si sarebbe mai arrugginita. La paletta era morbida e leggera eppure gravata dal peso di una grande responsabilità che poteva, in caso di errore, far finire anche in galera il povero Dm. Vederla in alto rappresentava un gesto rituale di notevole significato simbolico: ovvero l’ostensione di una reliquia ferroviaria che provocava, nei fedeli macchinista e capotreno, obbedienza immediata e incondizionata. Come nella transustanziazione, si trasformava nella garanzia della via libera e quindi assicurava il nulla osta a partire, decretando il culmine della filiera della sicurezza. Ne ho visti di bimbi incantarsi davanti alla paletta e, come tanti Harry Potter ante litteram, attribuire al gesto significati esoterici e magici che nemmeno i ferrovieri, per assuefazione, potevano più avvertire. Ma come tutte le cose rituali, semplici ed efficaci la paletta, insieme al capostazione, è scomparsa, bandita per sempre. Ora i treni ottengono il via libera attraverso consensi elettronici e nei marciapiedi delle stazioni non si vede più il dirigente movimento. E in aggiunta, anche i segnali luminosi di linea ormai stanno scomparendo, retaggio di un passato morto e sepolto. In alta velocità si va già con consensi radio: lungo la linea ci sono antenne che ricevono su una frequenza e comunicano con i computer di bordo. Cari colleghi, è arrivato il tempo dell’European Rail Traffic Management System/European Train Control System (ERTMS/ETCS). Una vera rivoluzione è in atto e l’uomo ferroviere che era al centro del sistema FS lentamente scompare o è semplicemente d’ausilio alla macchina. Eppure, devo essere sincero, quando faccio un sogno a carattere ferroviario l’ERTMS non si è mai materializzato. Nel mio vissuto onirico il licenziamento del treno avviene sempre con l’uomo dal berretto rosso e la paletta verde. Ed è un piacere vedere il treno che prende la sua corsa prima del mio risveglio.
    © Rinaldo Liberatore

  96. 202 avellinorocchetta 13/04/2023 alle 7:59 am


    100 anni capotreno Biagio Capossela

  97. 206 avellinorocchetta 30/04/2023 alle 5:07 PM

    Togliere una ferrovia significa togliere storia, sentimenti, piccole economie, speranze per tutte le aree emarginate d’Italia.
    Chi lo fa pensa solo di togliere qualche traversina marcia e stop. Non è così, toglie anche una fetta di paesaggio, perché il treno sta nel nostro paesaggio, dal finestrino lo si osserva, lo si misura e lo si apprezza.
    Se questo è il futuro, e i segni si vedono ormai chiari, dobbiamo reagire.
    Dobbiamo fare in modo che tutto il patrimonio ferroviario dismesso diventi patrimonio della collettività, come è sempre stato.
    Dobbiamo organizzarci. Non possiamo andare in formazione sparsa.

  98. 213 avellinorocchetta 15/05/2023 alle 8:47 PM

    IL TRENO LUNGO IL FIUME
    ( racconto breve )
    Ci sono fiumi maschi, nervosi e irruenti, che vanno dritti verso il mare. E ci sono fiumi donna, che amano le curve , la varietà del paesaggio e le anse dove indugiare e specchiarsi. Sono fiumi che ti eccitano ma allo stesso tempo ,nella loro mitezza di madri, sanno accogliere ogni creatura che si avvicina. Ed il fiume Calore, che attraversa Paternopoli, è donna: una donna selvaggia e romantica, struggente e fragile, a volte anche crudele. E come la donna meno è prorompente ed insidiosa e più uomini è in grado di far annegare. E se non li annega li ammala di nostalgia, rendendoli pazzi d’amore. Il fiume Calore nasce sul Monte Accellica, nei Monti Picentini, e dopo aver attraversato l’ Irpinia e la provincia di Benevento si getta nel Volturno per raggiungere il mare, dopo 108 km di viaggio. Per 43 Km scorre nella terra degli uomini liberi, dimora dei coraggiosi, nella terra dei guerrieri irpini. Nel territorio di Paternopoli accoglie le acque del suo affluente, il fiume Fredane, che lo ingrossa e lo rende maestoso. Nelle notti d’estate, sotto il manto di stelle, illuminato dalla luna, lo si poteva sentire sussurrare calmo ed invitante.
    Noi, figli di Paternopoli, siamo cresciuti sulle sue anse, con la sua voce sempre nella testa. Infatti, una volta che ci sei stato non puoi fare a meno di tornarci perché è la dimora del tempo sospeso, il paradiso in terra per adolescenti avventurosi . Tutto abbiamo imparato dal fiume. Abbiamo imparato dalla sua acqua che è bene discendere, tendere verso il basso, cercare il profondo, per poi tornare subito a galla, pena annegare. Del fiume siamo sempre stati innamorati. Il fascino è forse in quel suo continuo passare rimanendo immutato , in quell’andarsene restando, in quel suo essere una sorta di rappresentazione dello scorrere del tempo e della storia. E la nostra storia passa per un sentiero polveroso chiamato in gergo “ li sirruni”.
    Negli anni 70 si percorreva a piedi ed era un’ avventura. A torso nudo, scalzi , con un pantaloncino rappezzato sui glutei , abbronzati , lo percorrevamo in discesa a perdifiato, fra ginestre, lucertole , stramonio e serpenti. Facevamo solo una tappa ad una sorgente in pietra presso la sommità della collina , sotto la casa “re lo compositore”. Poi giù per la scarpata .Alla fine della discesa c’era la stazione ferroviaria di Paternopoli. Qui , il capostazione appena ci vedeva ci redarguiva: “ vagliù, assettateve qua, biviti” . Ed aspirava l’acqua da un pozzo con una pompa meccanica manuale . Vigilava perchè sapeva che eravamo li per correre dietro al treno e lui sosteneva che era pericoloso. La stazione era un grande edificio in pietra, rettangolare , con la biglietteria al primo piano e sopra l’abitazione del capostazione. Appena bevuto ci faceva sedere davanti ad un edificio posto di fianco alla stazione , sotto l’insegna della Motta. Pochi minuti ed un fischio annunciava l’arrivo della littorina . Poi un rumore di ferro che stride ed eccola , alla curva del ponte sul fiume. Il capostazione indossava il cappello e si abbottonava la giacca , agitando una bandiera rossa si vestiva di contegno ed autorita’. Il missile di ferro, preceduto dal suo vento, rallentava e si fermava sul marciapiede del primo binario .
    La sua frenata stridula ci dava i brividi .Ne scendevano poche persone e qualcuno ci saliva . Poi il fischietto del capostazione annunciava la fine della fermata . Partiva lento, con uno strattone, ed il capostazione rientrava, non prima di averci avvisato di non corrergli dietro. Appena lui scompariva nella biglietteria noi di corsa sui binari dietro al treno che ci chiamava con un fischio strombettante. Si muoveva a passo d’uomo e si lasciava toccare , poi accelerava ed alla curva “ dei melchionne” , come un serpente sgusciante , spariva all’orizzonte. Proprio nella curva c’era un un grande masso calcareo, li di fianco un piccolo sentiero che , dopo un breve cammino , conduceva a “ li due piscuni”, una strettoia del fiume delimitata da due grossi massi di pietra dura. Fra questi due massi il fiume scorreva quasi gridando per poi allargarsi e calmarsi in una piscina naturale . Appena giunti sul masso ci spogliavamo nudi e subito ci tuffavamo, dieci bracciate ed eravamo sulla spiaggetta di ciottoli . Intorno tutto verde , con il canto degli uccelli e profumi inebriati. Sulla riva sinistra c’era un albero di albicocche dorate , caldissime e succulenti .
    Le consumavamo senza misura , accompagnandole con due fette di pane con la frittata. Per dissetarsi , dopo la merenda, si doveva salire a lo “ butto re li fontanarosani” dove vi era una sorgente di acqua naturale freschissima , da bere nell’incavo delle mani. Immersi nella natura ci dimenticavamo del tempo e le 18,00 venivano subito. Allora , sempre a piedi, lungo le anse del fiume , raggiungevamo a valle un ’altra spiaggia “ lo lido scioscia”, parallela alla stazione ferroviaria. Prima di questa caletta c’e’ ne era un ’altra chiamata “ le chioppa” con acqua bassa, meno di due metri , ed una spiaggetta di arena sotto pioppi alti trenta metri. Questo era il luogo prediletto per la pesca delle rane e per la grigliata . Nascondevamo la lanterna “ cassometro” e la griglia alla vista dei guardiapesca , mettevamo in fresco il cocomero e via verso il lido scioscia. Questa spiaggia aveva la sabbia come il mare . Vicino vi era un vecchio mulino ad acqua ed una parete di argilla , da dove si si poteva tuffare . Era la spiaggia dei grandi. Qui, i padroni erano Pietro Palermo con la fidanzata Giacinta Di Silverio, Ermina Morsa con Zi Arnaldo buonanima , Silvio D’Amato (un tuffatore spettacolare) e tutti i loro amici. Loro venivano in macchina , avevano il costume, sempre in compagnia delle ragazze e con le tovaglie per stendersi. Qualche volta portavano il mangiadischi .
    Ascoltavano “ ancora tu” di Battisti, “ Fernando “ degli Abba, “ pagliaccio” degli Alunni del sole e “ svalutation” di Adriano Celentano . Appena arrivati Pietro Palermo ci obbligava a metterci i pantaloni ed a stare tranquilli. Sapeva che eravamo li per vedere le ragazze in costume . Verso le 19,00 i grandi risalivano a Paternopoli, noi restavamo. Finalmente tutta la spiaggia di sabbia era per noi. Verso sera arrivava Giovanni Volpe, abilissimo pescatore con le mani . All’epoca niente orologi, niente cellulari , solo piedi per camminare ed ali per sognare .
    Il tempo era scandito solo dal passaggio dei treni e dalla luce del cielo. Il tramonto sul fiume e’ qualcosa di magico, indimenticabile. Appena buio si andava a pesca. Giovanni Volpe prendeva la lanterna ad olio e cominciavamo la caccia alle rane. Senza disdegnare qualche barbo o marenella , pescati sotto i massi immergendo le mani nude direttamente nelle tane . Terminata la pesca tutti alla caletta dei pioppi per la grigliata e cocomerata finale. Poi, a notte fonda, su un tappeto di lucciole si risaliva a Paternopoli, a piedi per la salita dei serroni. Era tutto immortale . Una sensazione di felicita’ straordinaria. Una vita senza soldi ma con i nostri corpi e la natura scrigni dell’Eterno. Un paradiso . Ma , come sempre accade per le cose umane, tutto finisce. Una domenica sera di novembre, verso le 19.30, un boato mai sentito prima annuncio’ la fine del mondo. La terra si apri, si scatenò l’inferno. Durò solo 90 secondi ma cambiò le nostre vite per sempre. La terra si squarciò e ne uscirono i demoni dell’odio, lo sterco del diavolo, l’individualismo sfrenato, il mito distruttivo di potersi arricchire sulle disgrazie e sulla morte altrui. Con i facili soldi del terremoto giunsero a Paternopoli gli speculatori, gli avventurieri senza scrupoli, gli inquinatori di professione , i camorristi. Questi, con la complicità di una classe politica incapace, cieca e corrotta, consegnarono nelle mani dei predatori la nostra bellissima e fragile terra. Il fiume divenne discarica di residui edilizi , le acque furono cooptate e rapinate , nel suo letto sversarono di tutto. Ed anche noi cominciammo ad utilizzarlo come discarica di mobili vecchi, frigoriferi, televisori ad un solo canale, pneumatici .
    E contemporaneamente si cementificava , costruendo sempre nuove case, senza collettori fognari e senza depuratori. Il saccheggio fu totale. Infine , fermarono anche il serpente d’acciaio. Il treno dei desideri fu sospeso per decreto delle ferrovie dello stato, che lo giudicarono ramo morto. Gli anni passarono ed io come molti altri me ne andai da Paternopoli, cercando la felicità per il mondo. Per scoprire, dopo anni, che la felicità è dove le pietre e gli alberi conoscono il tuo nome. Per questo motivo tornai . Ma nessun uomo può bagnarsi nello stesso fiume per due volte, perché né l’uomo né le acque del fiume sono gli stessi. Anzi, il fiume dei sensi è morto, non esiste più. E’ solo una discarica maleodorante , dove se ti bagni rischi di prenderti una malattia infettiva. La stazione non esiste più e i binari della ferrovia sono stati inglobati dalla vegetazione. L’ estremo tentativo della nnatura di riconquistare un regno perduto .
    Un giorno come tanti , preso dalla nostalgia , portai mio figlio Giovanni al fiume e come rapito parlavo e raccontavo . Per ogni albero un ricordo, per ogni pietra un incontro , per ogni ansa un sogno. Mio figlio mi guardò e disse: “ papà ma io non vedo niente , solo rifiuti ed acqua sporca . Forse mi stai raccontando una favola, raccontamela stasera nella mia cameretta”. E allora anche io guardai ad occhi aperti e scoprii che mio figlio aveva ragione. Sono stato rapinato del paradiso e lo hanno anche fregato a mio figlio. Per questo non li perdonerò mai. Giovanni, mio figlio, non è venuto mai più al fiume. Io, ogni tanto, ci ritorno da solo. Mi fermo sotto i pioppi, sotto il nostro pioppo, dove giurammo di realizzare i nostri sogni. Ma nessun sogno si e’ realizzato. Lucio è andato in Toscana e non lo abbiamo più visto, Tonino è andato a Modena e lo vediamo raramente, qualcuno è anche morto. Altri vengono solo d’estate e non ti salutano neanche, perchè loro ormai sono del nord e vivono in città . Raffaele insegue i suoi spettri ed anche il mio sogno, di guidare il treno, non si è realizzato. Si, spesso ci ritorno. Mi siedo all’ombra del grande pioppo, dove incisi il mio nome. Poi , mi stendo a guardare il cielo azzurro ed appena chiudo gli occhi sento le nostre voci, rivedo i vostri volti, sento il treno che sferraglia ed arriva alla stazione di Paternopoli .
    Mi rivedo adolescente che corre dietro al missile d’acciaio lungo i binari, con la voglia di prenderlo al volo, senza biglietto , e viaggiare verso le stelle.
    ( racconto tratto dal libro
    ” Il viaggio immortale” di Andrea Forgione )

  99. 214 avellinorocchetta 17/05/2023 alle 8:31 PM

    Caro Pietro, non sono solito prendere iniziative che non condivido. Questa volta ho il piacere di esternare non dei pensieri ma delle sensazioni. Con un gruppo di amici abbiamo intrapreso, con rigore goliardico, la trasferta in terra d’Irpinia sul treno storico e mai mi sarei aspettato il ritorno a paesaggi, natura, gastronomia, profumi, ospitalità e …cultura. Ho respirato a pieni polmoni e toccato con mano i paesi e le contrade che un nostro grande conterraneo, Francesco De Sanctis, ha immortalato nel suo “Un viaggio elettorale”. Mi sono rivisto, giovane studente, in quei vagoni dai sedili di legno che mi conducevano da Greci a Napoli. Allora il mio anelito era raggiungere al più presto la capitale, sì la capitale, perché per tutti noi delle aree interne, Napoli era il punto di riferimento imprescindibile. Domenica invece, speravo che il viaggio durasse il più a lungo possibile per potermi ritemprare, nel corpo e nello spirito, e recuperare così una memoria che ha rischiato di affievolirsi sempre più. Mi sono riappropriato di una natura ancora incontaminata, governata dall’acqua, parzialmente recuperata dopo i drammatici momenti del terremoto ed immersa nella splendida cornice dei boschi. Nonostante gli schiaffi dei rami, continuavo a sporgermi dai finestrini. Non volevo rinunciare a nulla! All’improvviso spazi, religiosamente curati, coltivati a vite. Gli esperti, per un tocco di profumo, alternano i filari con piante e fiori. Qui non c’è bisogno di nulla! Foreste di castagni, faggi e distese di nocciole, inebriano l’aria e ingentiliscono i paesi. Ai margini del lago mandrie di mucche alternate a pecore, completano il paesaggio bucolico e soffusamente idilliaco. Se mi consenti una piccola digressione: acqua, terra- Vino, tartufi, formaggi, insaccati e tante verdure spontanee incontaminate, e anche la “mefite” di Oraziana memoria. Manca qualcosa? La consapevolezza di trovarci di fronte a bellezze da conservare e difendere con tutte le forze. Un abbraccio: ad maiora semper.
    Antonio Sasso.

  100. 216 avellinorocchetta 29/05/2023 alle 8:48 am

    27/05/2018 – RIAPRE LA STORICA TRATTA FERROVIARIA AVELLINO-ROCCHETTA SANT’ANTONIO
    “Il fischio invade l’aria frizzante del mattino. Turbini di foglie arse dai colori caldi danzano sui binari, ignare di quanto stia per succedere. Il treno avanza lentamente, lo stridere del ferro sembra un lungo, interminabile sospiro di sollievo. I bambini, incuriositi, schiacciano i teneri nasi e le manine contro il vetro dei finestrini. Sulla banchina scoppia un applauso commosso: la ferrovia rinasce, risplende, brulica di vita nuova. “In carrozza!” grida emozionato Giuseppe, amplificando la voce rauca col palmo della mano. Le parole di Dora gli tornano alla mente e lo fanno sorridere, volge lo sguardo al cielo sperando che, dovunque lei sia, lo stia guardando. Stavolta non interromperà alcun addio, alcun bacio appassionato, ma solo l’euforica attesa di scoprire quanto questa nostra Irpinia abbia ancora da offrire.
    Non c’è un luogo. È il luogo.”
    – EST LOCUS, PREMIO CAMPIELLO GIOVANI 2018
    ***
    L’avevo immaginata così, quell’attesissima giornata primaverile in cui alla nostra comunità sarebbe stato restituito il primo tassello di ottocentesca modernità. Ed ora, rileggendo(mi) dopo aver compiuto questo viaggio a metà fra il paesaggio e l’interiorità, tra il passato ed il presente, sento di aver dato il mio minuto contributo a tutto questo. Perché è così che l’avevo immaginata. Spero che le mie righe immature, inesperte, abbiano aiutato a restituire alla nostra linea irpina lo spazio che merita. C’è ancora tanta strada da fare (…E non è un gioco di parole!), sarà necessario informare e pubblicizzare, organizzare gli eventi, curare i dettagli, coinvolgere ancora di più, ma possiamo festeggiare, per ora, la prima di una lunga e desiderata serie di conquiste.
    Ciascuno può scegliere di fare la rivoluzione a suo modo: io ho scelto di farla con le parole, scrivendo. Eppure mi sento di ringraziare chi l’ha fatta concretamente, con le azioni, con le mani. Grazie per questo viaggio, a nome mio, della mia famiglia, ma soprattutto dei miei nonni. Perché erano seduti sul treno sorridenti e commossi, accanto a me. Innamorati quanto me di questa terra.

  101. 217 avellinorocchetta 29/05/2023 alle 8:55 am

    Il treno è ripartito. Da Avellino a Rocchetta Sant’Antonio. 120 chilometri. Le stazioni erano piene e vive, a cominciare da quella di Avellino. Lungo i binari si sono fatti trovare pronti alcuni imprenditori del vino, molti sindaci, diverse associazioni e Proloco. Nei vagoni i posti tutti occupati. A Lioni mercatino della Coldiretti preso d’assalto. Poteva andare meglio? Pare di no, ma continuano le critiche all’infrastruttura e a chi l’ha messa in piedi. In questi giorni il Mattino si è occupato delle aree archeologiche della provincia, molte delle quali in condizioni vergognose. Una delle più suggestive è chiusa. È quella di Compsa, si trova proprio lungo la linea Avellino-Rocchetta. Solito walzer delle competenze e scandalo a cielo aperto.

    Dunque la domanda. È giusto prendere a sassate verbali la locomotiva, continuare a lamentarsi dei soldi spesi quando ci siamo lamentati per anni dei soldi non spesi? È sensato demolire un impegno, quello per la ferrovia, mentre nei nostri comuni, a volte per responsabilità degli enti locali altre per un mancato raccordo con una Soprintendenza o altro, si dà prova di quanto ci sia ancora tantissimo da fare sul fronte turismo? La locomotiva è un mezzo di trasporto. Solo un mezzo. Che è costato abbastanza, verissimo. Che è in grado di portare benefici solo se noi stessi saremo in grado di creare un nostro piccolo grande sistema.

    Continuare a sfottere i bimbi scemi del treno sembra un’assoluzione preventiva per un impegno che non tutti vogliono prendere: lavorare perché l’Irpinia non sia solo la culla dell’assistenzialismo, un dormitorio morente in attesa di un miracolo, illusione come nei sette piani di Buzzati. Con la ferrovia turistica le istituzioni ci mettono davanti a un compito difficile e stimolante, ed è operazione inedita, verso la costruzione di un’economia stabile basata di queste benedette eccellenze su sui si discetta da anni. Non siamo pronti? Probabile, ma intanto non si vedono alternative realistiche diverse dallo sfruttamento selvaggio del territorio: o ci sta bene quello sfruttamento?
    Avellino-Rocchetta Sant’Antonio

  102. 218 avellinorocchetta 03/06/2023 alle 9:20 PM

    Cecilia Valentino

    La ferrovia Avellino- Rocchetta: la littorina dell’ “osso”.

    La ferrovia Avellino – Rocchetta S. Antonio attraversa la zona più desertica dell’ Alta Irpinia, quella terra dell’ osso di cui parlava negli anni cinquanta il prof. Manlio Rossi- Doria nei suoi libri sulla questione meridionale; terra avara su cui generazioni di contadini sono stati costretti a vivere un’esistenza misera.
    Quando il 10 Ottobre 1893, dopo annosi ed estenuanti dibattiti, fu inaugurato il primo tronco della ferrovia per Rocchetta si prefigurò il riscatto di queste terre: ”finalmente si sarebbe attuato il voto lungamente atteso di una linea ferroviaria per tutta intera la valle dell’Ofanto(……), impervia ed impraticabile dalla più remota antichità ai nostri giorni!“, scrisse Giustino Fortunato.
    Nell’ ottobre del 1895 l’intera linea è inaugurata e i più importanti giornali dell’epoca, tra i quali La Provincia e La Sentinella Irpina, descrivono il percorso esaltando le opere ingegneristiche compiute per evitare frane, perforare montagne con lunghe gallerie e superare fiumi con viadotti in acciaio.
    Il treno Avellino – Rocchetta attraversa, con ponti arditi e faticosi dislivelli, le grandi valli fluviali del Sabato, del Calore e dell’ Ofanto, fino al Ponte Santa Venere, dove si congiunge con la ferrovia per Foggia. Il tracciato impervio e il saliscendi continuo tra colline franose, attraverso le dorsali dell’Appennino, ne hanno fatto negli anni una linea ferroviaria sempre meno utilizzata.
    “ L’unica linea ferroviaria della provincia, la Rocchetta – Avellino – scrive Rossi- Doria nel 1969- ha avuto, attraverso i decenni, vita piuttosto grama, tanto da esser considerata come uno dei rami secchi del nostro sistema ferroviario, da dover essere tagliato allorquando si metterà mano al progettato riordinamento ferroviario. Ritengo che un tale destino possa e debba essere ragionevolmente evitato, con grande vantaggio per l’economia provinciale, se sapremo seguire con perseveranza e contemporaneamente, negli anni prossimi, due linee di azione: da un lato, quella dello sviluppo agricolo – industriale dei territori attraversati da quella ferrovia; dall’altro, quella della ricostruzione, su migliori e più brevi tracciati, dei collegamenti ferroviari tra Napoli, Benevento ed Avellino .” (La terra dell’osso).
    Queste speranze svanirono presto e l’Avellino –Rocchetta fu semi- abbandonata, il terremoto del 1980 diede il colpo di grazia: molte piccole stazioni non furono più presidiate e si ritrovarono in un triste abbandono.
    Nel 1995 la rivista Civiltà Altirpinia per ricordare il centenario della realizzazione del tronco Avellino – Rocchetta organizzò un viaggio con la vecchia vaporiera. Fu per molti avellinesi un’occasione per conoscere la ferrovia e i paesi che ne sono toccati.
    Conservo un ricordo vivo di quel viaggio: nelle salite e curve del percorso la macchina a vapore sbuffava ed ansimava, i viaggiatori ai finestrini ammiravano un paesaggio per molti nuovo,la lenta andatura ed il fischio penetrante della vaporiera rendevano tutti felici e ad ogni stazioncina i viaggiatori erano accolti con buffet di prodotti locali, organizzati dalle pro loco .
    A sera la vaporiera, con la lunga fila dei vagoni pieni di turisti festanti, affaticati dal lungo viaggio ed anneriti dal fumo, arrivò nella stazione di Rocchetta, salutata dalla banda musicale e dai fuochi d’artificio.
    Quello del centenario è stato un viaggio interessante perché ha fatto conoscere a molti cittadini l’Irpinia e la sua strada ferrata; nell’intenzione degli organizzatori,però, il viaggio avrebbe dovuto riaprire il dibattito sul come dare nuova vita a questa linea.
    La ferrovia per Rocchetta è fortemente legata alla storia della nostra Provincia, è parte della vita dei nostri nonni, di tanti uomini e donne che solamente con il treno potevano raggiungere la città capoluogo oppure la lontanissima Napoli.
    Tra i miei ricordi vi sono i racconti di mio padre sui viaggi che egli faceva sulla vecchia “littorina” e la mia fantasia di bambina era colpita dagli strani nomi dei paesi: Salza, Monteverde, Aquilonia, Rocchetta …..
    Alcuni anni dopo, quando ho letto il Viaggio elettorale di De Sanctis ho riscoperto luoghi già noti ed ho avvertito dolcemente rievocative le espressioni desanctisiane: “Rocchetta la poetica, Calitri la nebbiosa, Andretta la cavillosa, Bisaccia la gentile”.
    Lo stato della ferrovia per Rocchetta è andato nel tempo peggiorando sempre di più, pochi erano i viaggiatori, anche perché il treno non arrivava nei paesi, distanti vari chilometri dagli scali ferroviari.
    Negli anni ’70 quei paesi li ho conosciuti anch’io, quando sono andata ad insegnare in Alta Irpinia e con la mia comoda auto percorrevo strade, forse meno belle, ma più veloci: erano gli anni dell’autostrada, che ha rotto l’isolamento di queste terre.
    La linea Avellino – Rocchetta, ignorata da noi giovani che ci muovevamo ormai soltanto in auto, mi era rimasta nel cuore come qualcosa di familiare, pur non avendola mai interamente percorsa. Nel 1980 decisi di intraprendere il viaggio sulla vecchia motrice, per conoscere quei paesaggi che avevo imparato ad amare attraverso i ricordi di mio padre e le descrizioni che gli studiosi della questione meridionale ed i vecchi politici del Sud ne avevano fatto.
    Pochi mesi prima del disastroso terremoto che nel novembre dell’80 sconvolse i paesi dell’Irpinia, in un bellissima domenica di agosto, con mio fratello e un amico napoletano, il fotografo Guido Giannini, attratto anche lui dai paesaggi delle “zone interne”, prendemmo la “ littorina”. La gente chiamava così, fino a poco tempo fa, il treno per Rocchetta, anche se non vi era più la vecchia motrice Breda degli anni del fascismo.
    Di buon mattino arrivammo alla stazione di Avellino, un vecchio edificio dalla facciata color ocra, con il piccolo bar che mi ricordava le vecchie foto dei primi anni del Novecento, quando il buffet della stazione era gestito da Angelo Muscetta e brulicava di clienti.
    Mi ritorna in mente quel delizioso libretto che fu stampato nel 1984 dal Centro Guido Dorso, intitolato Memorie di un commerciate di Angelo Muscetta. Attraverso la storia della propria famiglia, Angelo, padre di Carlo Muscetta, parla di un pezzo di storia della nostra città.
    Il ricordo del mio viaggio sulla vecchia motrice è vivissimo: sul primo binario il piccolo treno sta per partire, i passeggeri sono pochissimi, sette – otto persone, saliamo anche noi e, poco dopo, il fischio del capostazione dà il segnale della partenza. Il treno sferragliando lascia la stazione, pian piano prende velocità, attraversiamo la periferia di Atripalda e il ponte di ferro sulla via Appia. Siamo in aperta campagna, percorriamo per un breve tratto la valle del Sabato, lasciamo le verdi colline ricche di vigneti e ci dirigiamo verso la valle del torrente Salzola. Il paesaggio comincia a mutare, attraversiamo profonde gole tra le montagne, stiamo per arrivare alla prima stazione del nostro viaggio: Salza Irpina. Con forte stridore di freni il treno si ferma, scende un viaggiatore, non sale nessuno, riprende la corsa.
    Lasciata Salza, l’antico “ feudo” dei Capozzi, famosi notabili che hanno dominato la vita politica della Provincia fra Ottocento e Novecento e al cui nome fu legata la intricata vicenda della costruzione di questa linea ferroviaria, si scorge in lontananza il grazioso abitato di Sorbo Serpico, dolcemente disteso su di una collina ricca di vigneti.
    Una volta su questo tratto ferroviario vi era la stazioncina di Candida – Parolise, ormai chiusa; lontano si vede il grandioso profilo del monte Toro, dominante l’ abitato di Chiusano S. Domenico, che si intravede in lontananza. Il treno comincia pian piano a rallentare: ci stiamo avvicinando alla prossima stazione, quella di Montefalcione.
    Lasciate le verdi colline intorno a Montefalcione, attraversiamo la galleria sotto Montemiletto ed arriviamo nella valle del fiume Calore. I binari si snodano con leggere curve e saliscendi tra amene campagne intensamente urbanizzate e tra splendidi vigneti: stiamo attraversando la zona dei vini doc di Taurasi, infatti dopo le stazioncine di Montemiletto e di Lapio, il treno arriva a Taurasi. Il Calore scorre poco lontano, tra gli alberi: è la verde Irpinia, ricca di sorgenti e di fertili campagne.
    La ferrovia punta verso est e man mano che ci inoltriamo nella valle la vegetazione diventa più boscosa, in lontananza si vedono, azzurri, i monti Picentini, dove nasce il Calore. In questo punto il treno attraversa uno dei paesaggi più belli della nostra Provincia .
    La prossima stazione è Luogosano – S.Mango sul Calore, i paesi sono molto distanti dallo scalo ferroviario, la sosta è breve, pochi sono i viaggiatori. Spesso davanti alle piccole stazioni vediamo sostare la corriera che attende i rari passeggeri.
    Ci fermiamo a Paternopoli, una stazioncina immersa completamente in un bosco verdissimo, il fiume scorre poco lontano. Ripartiamo subito per fermarci poco dopo alla stazione di Castelvetere che si trova in uno dei punti più nascosti e profondi della valle del Calore. Ci affacciamo al finestrino per ammirare il paese bellissimo, arroccato su di uno sperone di roccia, a picco sul vallone sottostante. Fino alla prossima stazione di Castelfranci il fiume non ci abbandonerà mai, per un lungo tratto la ferrovia corre infatti parallela al Calore.
    A Montemarano il paesaggio comincia dolcemente a mutare, il treno attraversa il fondovalle tra alte montagne, il massiccio del Cervialto sembra venirci incontro. Per un tratto, fino a Montella, la ferrovia affianca la statale 164 che porta ad Acerno, sulla sinistra compare il Montagnone di Nusco, la vegetazione è fittissima, ci troviamo nella zona più ricca d’acqua del Sud. Passiamo sotto Cassano Irpino che, come un nido d’aquila a picco sulla roccia, domina dall’alto le sorgenti del Calore. Dal finestrino vediamo gli impianti di captazione dell’acqua, che alimenta l’Acquedotto dell’Alto Calore.
    Ecco finalmente Montella, ai piedi dei Picentini tra ricchi castagneti, non lontano si vede il curioso cono a pan di zucchero del SS. Salvatore, dove c’è un Santuario meta di molti pellegrinaggi. La ferrovia si snoda ai piedi delle montagne più belle dell’Irpinia, il Cervialto e il Terminio, con gli altipiani del Laceno e di Verteglia, ricchi di castagneti e di pascoli.
    Dopo le stazioni di Bagnoli Irpino e di Nusco il paesaggio cambia decisamente, passiamo dal versante tirrenico a quello adriatico e alla stazione di S. Angelo dei Lombardi ci immettiamo nella valle del fiume Ofanto. Il paesaggio diventa sempre più brullo ed assolato, in un’ampia pianura scorgiamo i ruderi della suggestiva abbazia del Goleto del 1130 e in alto, a dominare la valle, appare S. Angelo dei Lombardi.
    A Lioni la stazione è particolarmente accogliente e vivace perché si trova nel centro del paese ed è quindi animata da molta gente che siede davanti al bar. Approfittiamo della sosta particolarmente lunga per prendere un caffè e per comprare i panini imbottiti di fior di latte, una specialità di queste zone. Il viaggio è lungo, siamo ad una cinquantina di chilometri da Avellino, abbiamo fatto molte ore di treno, ma la meta è ancora lontana.
    Il fischio del treno ci riscuote, dobbiamo riprendere il viaggio che comincia ad essere faticoso, la carrozza è diventata rovente sotto il sole di agosto,i passeggeri sono tutti scesi a Lioni, solamente noi proseguiamo. Tutto è cambiato,il paesaggio è uno sconfinato altopiano semidesertico, per chilometri non si vedono paesi, sulla lontana strada rotabile passa qualche rara auto: è l’Alta Irpinia,la terra dell’osso.
    Sul treno siamo rimasti solamente noi. Il controllore, incuriosito, si affaccia alla porta per chiederci dove siamo diretti, poi con gentilezza ci invita nella cabina di guida, per farci vedere da una prospettiva diversa quel paesaggio tanto suggestivo. Il binario davanti a noi sembra essere divorato dal treno ed abbiamo la sensazione di andare ad una velocità folle, vediamo fuggire ai lati le vecchie case cantoniere abbandonate, vediamo i paesini da presepe arroccati sui monti, la strada ferrata davanti a noi si snoda scintillante al sole, tra campi di stoppie ingiallite.
    La prossima stazione sembra sorgere in un deserto, è Conza- Andretta, nomi cari al De Sanctis, non lontano, infatti, in queste lande desolate, dietro un’ altura vi è Morra, il suo paese natio.
    Il paesaggio diventa sempre più lucano, in lontananza vediamo la grande diga di Conza , tra poco arriveremo alla stazione di Monticchio. Il treno corre verso la sua destinazione, si sente già vicina la Puglia. Sotto Calitri, che appare come un miraggio sul ripido declivio che frana nella valle dell’Ofanto, tra le stazioni di Monticchio e di Monteverde, la ferrovia attraversa vari viadotti sul fiume.
    L’ Ofanto è un fiume strano ed insidioso, a regime torrentizio con improvvise piene autunnali ed asciutto d’estate. Il treno attraversa un ponte di ferro che scavalca l’ampio greto ciottoloso, il paesaggio appare ancora più brullo nell’assolato pomeriggio.
    L’ultima stazione della Provincia di Avellino è Monteverde, su un’altura in lontananza si vede Lacedonia: siamo al confine con la Puglia. Il treno attraversa un lungo ponte sul greto del torrente Osento, sulla sinistra vediamo brillare il grande lago di S.Pietro, attraversiamo Ponte Santa Venere. Il viaggio sta ormai per concludersi.
    Prima di entrare nella stazione di Rocchetta il treno rallenta e si blocca al semaforo rosso, si sente lo stridore dei freni, capiamo che la nostra avventura sta per finire. Lentamente entriamo nella stazione, sembra davvero un posto di frontiera, qui la corsa ha termine: chi prosegue il viaggio deve aspettare la coincidenza per Foggia, chi è arrivato deve arrangiarsi in qualche modo perché la stazione si trova in un vero e proprio deserto.
    Mi ritornano in mente le parole di De Sanctis quando arriva in Irpinia, proveniente da San Severo, ed esclama: “Saluto con viva commozione Rocchetta, la porta del mio collegio nativo. Il luogo dove son nato è Morra Irpina, ma la mia patria politica si stende da Rocchetta insino ad Aquilonia .”
    Alla fine di una campagna elettorale faticosa De Sanctis esprime la sua delusione con queste parole: ”… volere sfogare il mio malumore pigliandomela con questi miei concittadini, i quali non hanno in fondo altro torto che di esser nati qui! Tutto si trasforma e qui la trasformazione è lenta. Si animi Monticchio, venga la ferrovia e in piccol numero d’anni si farà il lavoro di secoli. L’industria, il commercio, l’agricoltura saranno i motori di questa trasformazione. Vedremo miracoli. Perché qui gli ingegni sono vivi e le tempre sono forti “.
    Invece non fu così per l’Irpinia, quella ferrovia che auspicava De Sanctis nel viaggio elettorale del 1876 non ruppe l’isolamento, il vecchio treno per Rocchetta divenne il treno dei coscritti e degli emigranti, che portò tanti uomini da Trevico a Torino, per parafrasare il titolo del bellissimo film di Ettore Scola che affronta il tema della dura emigrazione dalle terre del Sud.
    Nonostante il treno, la Provincia di Avellino fu tagliata fuori dai traffici commerciali tra Napoli e la Puglia; si preferì utilizzare la più rapida linea ferroviaria Napoli-Benevento – Foggia -Bari. La scelta politica dei governi negli anni sessanta del Novecento privilegiò il trasporto su gomma e la costruzione dell’autostrada Napoli –Bari se da un lato tolse la nostra Provincia dall’isolamento determinò l’abbandono delle linee ferroviarie secondarie, tra queste la Avellino –Rocchetta.
    Veder morire la ferrovia è come strappare una pagina della storia di ognuno di noi.
    Oggi l’ alta velocità e l’ansia della rapidità rendono accattivante la possibilità di assaporare il piacere della lentezza, di un viaggio su treni d’epoca, spinti da locomotive a vapore o da motrici elettriche storiche. Perché non utilizzare, come sta avvenendo in tanti paesi d’Italia,quel nostro tronco ferroviario a scopi turistici? L’Irpinia possiede arte, cultura e tradizioni, oltre a squisitezze gastronomiche e vini pregiati, che molti non conoscono. La nostra ferrovia potrebbe essere riscoperta dal punto di vista turistico, per far conoscere quel mondo contadino ormai scomparso, ma del quale c’è ancora in qualche paese dell’ Irpinia una traccia, che non possiamo permettere sia cancellata per sempre.
    In anni recenti, nonostante le condizioni di precarietà della linea Avellino- Rocchetta, sono stati fatti investimenti per rendere la ferrovia completamente automatizzata; è stato istituito il CTC ( controllo centralizzato del traffico) e posizionati 120 km di fibre ottiche per rendere la tratta sicura ed efficiente. E’ stato sperimentato, dopo il sisma dell’80, un notevole trasporto merci verso gli insediamenti industriali, soprattutto il nucleo industriale di San Mango sul Calore.
    Purtroppo però nel 2010 la Regione Campania ha compiuto la scellerata scelta di “sospendere “ la Avellino- Rocchetta e successivamente di chiudere la stazione di Avellino, cancellando in tal modo la nostra provincia dalla geografia ferroviaria italiana.
    In seguito alle varie proteste di alcune associazioni è stata riaperta la stazione di Avellino e si è iniziato a parlare di un percorso nuovo e moderno per il trasporto su ferro in Irpinia. Si è pensato di utilizzare la ferrovia a scopi turistici e un ruolo importante ha avuto ed ha tuttora l’associazione “In loco-motivi”, che già nel 2009-10 aveva proposto un calendario di iniziative turistiche in treno, riuscendo a bloccare la decisione di dismettere definitivamente la linea Avellino – Rocchetta.
    Nell’agosto del 2016, grazie all’iniziativa di Vinicio Capossela che aveva organizzato a Calitri il grande evento culturale Sponz fest, è stato riaperto il tratto Conza- Rocchetta. Dopo circa sei anni, quindi, il treno storico di Fondazione F. S. ha attraversato l’Alta Irpinia: nei quattro giorni del festival più di quattromila persone hanno avuto l’opportunità di conoscere paesaggi e luoghi incantevoli, assaporando il piacere della lentezza. Anche il paesologo Franco Arminio, poeta e scrittore irpino, parla dell’antica nobiltà dei paesi dell’Irpinia d’Oriente, mostrando la bellezza di luoghi dominati dal silenzio e dalla lentezza.
    La Fondazione FS, diretta dall’ing. Luigi Cantamessa, ha avuto il merito di aver fatto provare a tanti cittadini il piacere del viaggio su treni d’epoca. Recentemente la Avellino- Lioni- Rocchetta è stata inserita nell’elenco delle prime diciotto ferrovie turistiche italiane, come previsto dalla legge 128/ 2017, e quindi per la nostra ferrovia si può considerare definitivamente scongiurato il pericolo di una eventuale dismissione, perché il provvedimento ministeriale ne ha riconosciuto il valore storico-culturale.
    Nell’agosto di quest’anno, in occasione delle celebrazioni per i duecento anni dalla nascita di Francesco De Sanctis, la tratta è stata riaperta fino a Lioni e pochi giorni fa, nel mese di novembre, il treno è arrivato a Montella per la ricorrenza della sagra della castagna IGP.
    Sabato 4 novembre, di buon mattino, con il gruppo di avellinesi organizzato da Pietro Mitrione e dall’associazione “In Loco-motivi”, ci siamo incontrati alla stazione ferroviaria di Avellino, dove il bus di linea dell’AIR ci attendeva per portarci a Montella. Abbiamo trascorso la mattinata tra gli stand della 35° Sagra della Castagna; alle 13,30 alla stazione ferroviaria di Montella è arrivato il treno storico che ci ha portato fino a Lioni. Una folla festante di giovani e meno giovani ha riempito le vecchie carrozze: i vagoni “Corbellini” degli anni ‘50 del Novecento erano agganciati all’antica locomotiva diesel degli anni ’60.
    L’impegno futuro è la totale riapertura della tratta ferroviaria entro la primavera del 2018, nel ricordo di Francesco De Sanctis, che fortemente ne volle la costruzione.
    Augurandoci che questo impegno venga mantenuto è necessario che tutta l’Irpinia si prepari a questo evento, che deve durare nel tempo. Le premesse ci sono, poiché ogni paese ha oggi la sua sagra, i suoi richiami turistici legati alle bellezze paesaggistiche, alle squisitezze enogastronomiche e ad eventi culturali. Tutto ciò non è sufficiente, occorre che le nostre popolazioni, abituate a vivere nell’isolamento facciano uno sforzo di collaborazione per organizzare strutture di accoglienza e per coordinare un calendario delle attività.
    Se parliamo di un treno turistico (così come cominciano ad esserci in varie regioni italiane), bisogna essere preparati: i turisti vanno accolti e accompagnati, dal momento che scendono dal treno all’arrivo nei vari paesi.

  103. 219 avellinorocchetta 07/06/2023 alle 7:48 am

    :::Irpinia Express – Cairano 04/06/2023:::…

    “….la gente va a piedi o va a cavallo? Non è vero che si va a piedi o a cavallo, c’è anche un’altra maniera, come, col treno….
    Il treno è costruito così Leonardo, due binari più facile di così si muore, ma lunghi, puoi arrivare anche in Africa, te non ti preoccupare se te finisce subito è binario morto…du pezzi di ferro, due pezzi di ferro li sapete fare, di ferro duro di ferro duro con du cose di legno dentro, va bene vai co sti du pezzi di ferro dove ti pare curvi quando c’è da curvare, salisci scendi, ora disegno io disegno peggio di lei scusi se mi permetto eh? Allora ecco, za e za ecco bello fatto i binari, queste so legno e sopra c’è il treno, tutto di ferro, fumo che sbuffa ciuf ciuf”

    Così Benigni spiega a Leonardo il treno, quale cosa più semplice, ma tralascia ciò che nel treno il “passeggero” può provare. Quello forse non è possibile spiegarlo perché ognuno di noi, fatto a modo suo, lo percepisce in maniera diversa ma sicuramente è possibile “viverlo” quando si crea una piccola comunità di persone accomunate dallo stesso intento del viaggio che si ritrovano su due vagoni con morbide ed accoglienti poltroncine rosse a far da scenografia.
    Le “Aln 668” restaurate e destinate all’ Irpinia Express sono dei gioiellini che predispongono al meglio chi sale su di esse ed intraprende quest’avventura.
    Quelle del 4 giugno erano brulicanti di vita, piene di storie da ascoltare e da vivere, da sciogliere ed intrecciare con persone conosciute e volti nuovi e, per quanto mi riguarda, riprendere confidenza con un’attività che mi sta molto a cuore. C’è da essere semplicemente orgogliosi nel rimembrare il ruolo attivo nella vicenda dell’associazione In_Loco_Motivi che dal 2010 si è “s-battuta” nel portare avanti una guerra che sembrava essere persa in partenza, che ha visto battaglie vinte e perse e che oggi vive di treni che viaggiano, qualche volta sold out, ogni fine settimana per far giungere i viaggiatori nei luoghi remoti dell’Irpinia lontani, ingiustamente, dai circuiti turistici regionali. Il discorso sarebbe ampio e complesso e non è questa la sede quindi largo a quanto accaduto ieri. L’arrivo di buon ora in stazione è sempre qualcosa di bello. Saltare giù dal letto di domenica mattina non è cosa da poco ma quando hai le giuste motivazioni e l’entusiasmo diventa quasi naturale. Già dalle 8.00 i primi viaggiatori si sono affacciati sulla banchina del binario 3 con volti assonnati di genitori con passeggini e tanti ragazzi dagli occhi luminosi. Le persone più “grandi” arrivano con calma ed hanno l’aspetto di chi ha solo voglia di accomodarsi e rilassarsi sotto il lento incedere delle due carrozze. Oggi siamo pieni e chi questa linea la conosce sa bene che sarebbe complicato allungare il convoglio per trasportare più persone, meglio prenotarsi per un’altra domenica. Alle 8.30 il fischio impetuoso del capotreno (che aspetta giusto altri due minuti) saluta la partenza. Faccio un andirivieni tra i vagoni per vedere se c’è qualche altro amico oltre quelli che hanno deciso di seguirmi oggi e per incrociare gli occhi sorridenti degli altri che ancora sono intenti a sistemarsi alla meglio per godersi la tratta. Indosso la pettorina di #FondazioneFS quindi sono esposto alla raffica di domande di ogni genere da parte di grandi e piccini che vogliono sapere di tutto. Con grande piacere a bordo c’è anche Pietro Mitrione che, come di consueto, illustra nei minimi dettagli il territorio che stiamo attraversando condito da informazioni tecniche sulla linea ferroviaria tra lunghezze, pendenze, date di apertura e quant’altro possa contribuire a far capire che stiamo viaggiando su una ferrovia monumentale, bene culturale tutelato dal Ministero. Per la giornata odierna era prevista una degustazione a bordo che ha visto aderire tante persone ma io, per tradizione, ho preferito procedere con “mezzi nostri” portando un survivor kit di salumi e formaggi accompagnato dal vino dell’amico Peppino che fortunatamente si è limitato a fornire due sole bottiglie per non farci arrivare già ubriachi alla mèta. La convivialità della nostra piccola combriccola non passa inosservata e riusciamo a coinvolgere il mezzo vagone in cui ci troviamo facendo sciogliere le remore di qualcuno che faticava a capire che un salamino è più saporito se condiviso. Così tra un sorso di rosso e un morso di caciocavallo procediamo “spediti” lungo la tratta in una giornata baciata dal sole tra i piccoli inconvenienti di chi si lascia cadere lo smartphone dal treno (prontamente recuperato grazie alla sinergia con chi sul treno non c’era ma segue comunque il viaggio) per l’entusiasmo di immortalare il paesaggio, chi dorme perdendosi il meglio del viaggio, chi va a caccia di un posto per sedersi perché salito a Lioni e noi che, ebbri di felicità, continuiamo a fare sempre più caciara avendo anche l’apprezzamento del capotreno che però, ligio al suo ruolo, non si fa corrompere dall’offerta di un mezzo bicchiere di vino. Giungiamo in perfetto orario alla stazione di Conza/Andretta/Cairano, i tre paesi da nominare come un mantra, punto di partenza di altre esperienze epiche vissute in passato dove ci aspettano ben tre autobus per trasportare questa varia umanità lassù, dove osa solo chi veramente ha capito e a voglia di arrivarci. Giunti in paese non resta altro che farsi trasportare dalla curiosità sostando dall’inossidabile ‘Ngiulino che accoglie sempre tutti con un sorriso e perdendosi nei vicoletti del paese che oggi, grazie all’amministrazione e alla Pro Loco, ha le sue piccole chiesette aperte per un momento di riposo o di preghiera e riflessione. Immancabile la tappa sulla rupe dove sempre mi stupisco io per primo di ciò che si può ammirare da lassù e dove sempre c’è qualcuno che ci arriva per la prima volta e non crede ai suoi occhi. Difficile pensare di spostarsi da quella posizione privilegiata ma oggi ci attende qualcosa di particolare ed è la degustazione da Skaptè, “microbirrifico in uno dei paesi più piccoli della Campania” un connubio da non perdersi per rendere omaggio a questi ragazzi che rincorrono i loro sogni da questo sperone roccioso che si affaccia sull’Ofanto. Francesco narra con calma ed entusiasmo la sua storia mentre la combriccola di avventori continua a far stappare e spillare tanto che ho l’impressione che di li a qualche istante verrà annunciato che non c’è più nulla da bere visto che il frigo e i fusti si svuotano a vista d’occhio. Ma non c’è più tempo, i clacson degli autobus che ci aspettano risuonano in lontananza e risvegliano tutti noi dal languido torpore in cui ci siamo ritrovati ebbri di luppolo. Il trasferimento verso la Lioni e Avellino procede tranquillo e giunti in stazione non resta che ringraziare, salutare ed augurarsi di rivedersi presto sui binari dell’Avellino Rocchetta o, perché no da qualche altra parte per una chiacchiera, un sorriso, un nuovo momento condiviso.
    Grazie.

  104. 220 avellinorocchetta 07/06/2023 alle 7:48 am

    Queste siamo io ed Annalisa, colei che ha ritrovato il mio cell, volato fuori dal treno storico Avellino- Cairano, per un ramo di quercia e un eccesso di entusiasmo, mentre facevo un video spettacolare!
    Oggi ho avuto la misura del potere dell’associazionismo. Mi è bastato contattare Pietro Mitrione e i suoi amici, per avere, dopo pochissime ore, la lieta notizia del ritrovamento. Ringrazio l’associazione tutta per il prodigo impegno, le rassicurazioni e l’incredibile organizzazione!
    È stato un VIAGGIO AD ALTA LENTEZZA e grandissima profondità. Non posso che consigliare questa meravigliosa esperienza umana ed esistenziale, fatta di Paesaggi mozzafiato e incontri arricchenti… come quello con gli eroi che ritornano nei loro paesi di origine per creare, o quello con i curiosi viandanti desiderosi di viaggi “umani”.
    Infinitamente Grazie.
    4 giugno 2023

  105. 221 avellinorocchetta 27/06/2023 alle 9:14 PM

    TAVOLI TEMATICI PER LA PROGETTAZIONE POST-COVID19

    ASSOCIAZIONE INLOCOMOTIVI
    PROPOSTE PER DISCUSSIONE

    La condizione di emergenza che ci siamo trovati a fronteggiare a causa della diffusione del virus COVID-19 ci ha messo di fronte alla necessità di operare velocemente dei cambiamenti nelle nostre vite quotidiane e all’intera struttura organizzativa ed economica del Paese.
    Dopo una prima fase di sospensione quasi totale delle attività, durata circa due mesi, siamo oggi in una fase di lenta e organizzata riapertura che cerca a fronteggiare la convivenza con il virus ancora in circolazione provando a non alimentare lo scoppio di alcun focolaio attraverso l’uso di dispositivi di protezione personali e di distanze fisiche di sicurezza.
    Durante questo stesso periodo, terribile se si pensa all’enorme numero di vittime e al dolore di migliaia di famiglie che hanno perso i propri cari senza poter dare loro conforto né l’ultimo saluto, c’è stato però modo di riflettere su cosa abbia agevolato la proliferazione, la diffusione del virus: l’affollamento, l’assembramento diciamo ora, di persone nelle città metropolitane dove la vita è scandita dal ritmo serrato del metrò, dei mezzi pubblici e delle macchine che affogano i centri e dal correre incessante delle persone verso posti di lavoro e da qui velocemente a casa per godere di pochi momenti di tranquillità.
    Le nostre bellissime città sono improvvisamente diventate silenziose, vuote e questo ha fatto riflettere se fosse davvero necessario tornare esattamente alla condizione pre-COVID19 o se non fosse possibile un’alternativa.

    Le proposte arrivate da più parti durante la fase 1 dell’emergenza si sono soffermate molto su ritorno ai borghi dell’Italia interna dove, al contrario delle grandi città, d’arte e commerciali, il distanziamento sembra essere più facilmente realizzabile.
    Questo è banalmente vero se si pensa che quei posti non riuscendo a fornire aspettative di vita idonee si sono col tempo spopolati.
    Se il progetto è di tornare a popolarli in maniera stabile o per periodi brevi durante le vacanze, questo potrebbe servire a decongestionare le grandi città e a spalmare la popolazione sul territorio esteso delle province, ma un buon progetto, senza dubbio, chiede a questi luoghi di rispondere in maniera adeguata con quei servizi che le persone oggi trovano in città.

    I servizi che si chiedono a questi luoghi, ai quali le città metropolitane, i capoluoghi di regione e di provincia danno risposta, sono sostanzialmente riconducibili alla capacità di “connessione” materiale e immateriale e alla capacità di accoglienza strutturata, oltre alla necessità di costruire o rafforzare presidi medici territoriali che facciano fronte ad emergenze eventuali o a necessità usuali.

    Questa capacità di connessione e di accoglienza si declina in

    1. Trasporti e intermodalità
    2. Connettività immateriale
    3. Capacità abitativa
    4. Servizi di accoglienza/tempo libero/attività varie

    e vanno analizzate sia rispetto al capoluogo di riferimento che al territorio dei piccoli centri.

    Nello specifico, in Irpinia, bisogna distinguere, per facilità di analisi, il capoluogo Avellino e il territorio dei borghi.
    L’idea del ritorno ai borghi, dei borghi come “nuova” meta di un turismo di prossimità per il 2020 e forse anche il 2021 o come luogo per una vita “decompressa”, più “bucolica” e “da remoto” è affascinante e ci trova certamente d’accordo ma sappiamo che l’Irpinia presentava e presenta ancora oggi diversi ostacoli alla realizzazione di questo stimolante progetto.

    Analizziamo dunque le criticità e presentiamo alcune proposte per provare a superarle.

    Il Territorio dei borghi:

    TRASPORTI:

    La provincia di Avellino fa un uso massiccio della gomma, sia in maniera collettiva che individuale, e se non vogliamo rischiare di ingolfare le strade e l’aria, dobbiamo necessariamente trovare una alternativa valida che possa anche consentire il rispetto delle prescrizioni di sicurezza che il distanziamento fisico, per ora, richiede al fine di minimizzare il contagio da COVID-19.
    Dunque, bisogna investire in trasporti su ferro e, in Irpinia, quella interna provinciale, una infrastruttura certamente utilizzabile è l’Avellino Rocchetta, lavorando su di essa per renderla competitiva e complementare all’uso della gomma, investendo in un progetto di servizi sia commerciali che turistici:

    1. Commerciali: Avellino-Rocchetta come metropolitana leggera provinciale, per incrementare i mezzi di connessione e scoraggiare l’uso dell’auto privata, almeno fino a Lioni che ha le infrastrutture per essere centro intermodale Alto irpino, oggi più che mai visto il finanziamento di Borgo 4.0.
    Velocizzazione e miglioramento della percorrenza sulla tratta tramite la rimozione di passaggi a livello (PL).

    2. Turistici: garanzia di investimenti annuali regionali non stornabili, rientranti nei contratti di servizio con Trenitalia e Fondazione FS sui treni dedicati al turismo dei borghi e al turismo di prossimità.
    Nel rispetto dell’infrastruttura stante e del suo significato come bene culturale, favorire investimenti in progetti innovativi sull’uso di treni ad energia alternativa che permetterebbero l’utilizzo sostenibile di tratte non elettrificate, valutando la convenienza dell’uso di mezzi ad energia pulita rispetto ai massicci progetti di elettrificazione; in questo modo, fare dell’Avellino Rocchetta un cantiere sperimentale per l’uso del treno ad idrogeno. La sperimentazione di un mezzo ad energia alternativa su una tratta bene culturale consentirebbe anche al territorio intero di acquisire un’attrattività non solo turistica, come d’altronde è avvenuto in altri territori europei come Germania, Olanda e anche alcune tratte secondarie italiane.

    Realizzazione di filiere di energia pulita (idrogeno, solare, eolico). E’ necessario che nasca e si concluda all’interno del territorio provinciale la produzione e dell’energia utile al rifornimento del mezzo.

    Accelerare oggi la realizzazione, per alcuni già in corso, per altri ferma allo stato di progetto, di percorsi intermodali sostenibili, dunque cammini, ciclopiste, che interconnessi con la ferrovia turistica consentirebbero di muoversi alla scoperta del territorio. In questo progetto, le stazioni, porte ai borghi, costituiscono perfette cabine di scambio tra treno e bike sharing, car sharing, percorsi a piedi. Per questo motivo le stazioni devono essere ricostruite o ristrutturate, date in gestione per nuove attività turismo-connesse, come già peraltro previsto dal Bando Regionale di prossima pubblicazione.
    Va inoltre ideato un buon progetto di segnaletica sia stradale che ciclopedonale.

    Rispetto alle stazioni, alcune di loro consentirebbero attualmente anche il riuso come industrie per la produzione di DPI – stazione di Conza-Andretta-Cairano.

    CONNESSIONI IMMATERIALI:

    La maggior parte del territorio interno irpino non riesce in una competitività con le città metropolitane né con gli altri centri turistici campani e italiani in generale perché manca di un’infrastruttura di banda larga che potrebbe consentire ai borghi di essere una valida alternativa residenziale alla città, laddove il trasporto consentisse lo spostamento facilitato e la connessione internet la possibilità del lavoro agile.
    Allo stesso modo la banda larga consentirebbe anche ai servizi di ricettività turistica di essere all’avanguardia, di poter offrire un servizio in più ma anche facilità di prenotazione, e ancora prima di comunicazione e promozione.

    Costruire un’infrastruttura materiale e immateriale per questi luoghi significa diminuire il divario fisico e digitale oggi esistente e offrirli come alternativa a metropoli come Napoli e vuol dire ravvivare l’economia stessa di questi centri, dove gli abitanti necessiterebbero dei quotidiani servizi che vanno dalla salumeria, alla posta, all’edicola ma anche al medico e alla farmacia. Dare infrastrutture a questi borghi significa renderli presidio e ridare salute al tessuto interno che piano piano riprenderà a sviluppare tutti i settori economici oggi rallentati. Importante però è coinvolgere tutto il territorio in questo progetto e questo è possibile attraverso la costruzione di “filiere” di produzione (es. la filiera chiusa della produzione di energia pulita per il rifornimento del mezzo di locomozione su ferro, dei mezzi ad energia pulita alternativi a questo).
    Oltre alle filiere, c’è necessità di incentivare l’unione e la messa a sistema delle singole piccole realtà territoriali oggi separate e disorganizzate, ognuna con un piccolo progetto e senza una visione comune, cosa che è ed è sempre stata la vera debolezza di questi territori.

    RESIDENZA ED ACCOGLIENZA TURISTICA:

    Favorire ed incentivare l’uso di vani vuoti all’interno dei centri storici, sia come opzione residenziale sia di riuso come B&B, ad esempio.
    Incentivare il recupero antisismico ed energeticamente sostenibile dei vani dei centri storici, scoraggiando il consumo di suolo per la costruzione ex novo di residenze/accoglienza turistica.
    Incentivi per le attività ricettive che provvedono all’aggiornamento dei sistemi di sicurezza e di sistemi innovativi di progettazione turistica, promozione, e capaci di costruire filiere col le attività e le produzioni territoriali.
    Costruzione di pacchetti turistici chiusi e prenotabili, con specifiche caratteristiche legate ai punti di forza territoriali come le vie dei vino, dell’acqua, dei castelli, dei prodotti tipici locali: formaggi di grotta di Calitri, castagne Montella, tartufi di Bagnoli, broccoli di Paternopoli o particolari manifestazioni, sempre rispettando le regole imposte di finanziamento sociale.

    Necessità di un progetto di Comunicazione appropriato e ben strutturato con la costruzione di una Rete adeguata.

    SCUOLE E TURISMO SCOLASTICO:

    La ferrovia Avellino Rocchetta è stata, e speriamo continuerà ad essere, un laboratorio didattico per le scuole di ogni ordine e grado. Negli scorsi anni, dalla riapertura completa, migliaia sono stati gli studenti, provenienti dalla provincia tutta e da ogni tipo di scuola ad usare la ferrovia come mezzo per la conoscenza della geografia e della storia del territorio Irpino. Con molte scuole abbiamo costruito progetti che andavano al di là del singolo viaggio d’istruzione ma che includevano laboratori e produzione di materiale didattico facente parte dei programmi annuali scolastici. Noi speriamo che questo possa continuare attraverso l’organizzazione, per esempio, di campi estivi magari nei mesi di agosto e settembre, con prenotazione per piccoli gruppi e nel rispetto del distanziamento fisico e del minimo numero di studenti. I borghi si presterebbero all’accoglienza di gruppi di 15 di studenti per visite guidate al Borgo e lezioni all’aperto e a laboratori.

    Avellino, il Capoluogo Irpino:

    Avellino è da tempo al centro di una storia ferroviaria controversa che negli ultimi periodi pare volgere verso una conclusione positiva vista la realizzazione in atto della elettrificazione della linea Benevento-Avellino-Salerno-Napoli, connettendo la nostra città, dal lato “Salerno”, con la linea ad Alta Velocità attraverso la costruzione di una apposita bretella ferroviaria a Codola, e dal lato Benevento, con la costruenda linea ferroviaria ad Alta Capacità (Roma) Napoli Bari.
    Oggi, dunque, più che prima, diventa prioritario portare a conclusione il progetto di elettrificazione della strada ferrata Salerno-Avellino-Benevento nel più breve tempo possibile per fare fronte alla necessità impellente di aumentare le opportunità di trasporto tra il capoluogo irpino e il resto del territorio regionale e tra Avellino e il resto del territorio nazionale.
    Oggi più che mai non va interrotto il progetto di riportare al centro del piano ferroviario Avellino. Il trasporto su gomma, quello che vede in particolar modo interessate le tratte Avellino-Napoli e Avellino-Salerno, per utenti lavoratori e studenti, è saturo e sarà ancora più in difficoltà oggi che, uscendo dal lock-down e riaprendo tutte le attività, si avrà bisogno di rispettare le prescrizioni del distanziamento fisico.

    E’ oggi dunque il momento di scommettere su quella linea che potrà essere un grande vantaggio per tutta la fascia, per esempio, di paesi irpini che vanno da San Michele di Serino a Mercato San Severino e che per Napoli e Salerno avranno una alternativa valida e competitiva per raggiungere Napoli senza passare da Avellino per prendere un bus, evitando l’uso, in alternativa, del mezzo privato.
    E per lo stesso motivo va riprogrammata anche la Avellino-Benevento.
    La posizione mediana fra due università impone scelte decise e definitive a favore del riequilibrio modale verso il ferro.

    Infine, va considerata la necessità di decongestionare anche il traffico extra-regionale, ovvero quello per Roma, incentivando l’uso del ferro raggiungendo velocemente Napoli per l’uso dell’alta velocità e Afragola anche attraverso un collegamento veloce via bus.
    L’intermodalità, in questo caso, andrebbe usata in maniera funzionale alla strada ferrata.
    E dunque bus verso aeroporti, come Capodichino, e stazioni interregionali Alta Velocità come Afragola, evitando invece di aumentare il numero di bus verso centro-città già congestionati come Napoli e Salerno. Ugualmente va disincentivato, e fortemente, l’uso del mezzo privato e per questo l’unica soluzione è l’aumento delle corse, anche quelle veloci in determinati orari di picco, e il miglioramento della qualità del viaggio in treno.

    Considerando i trasporti da e verso il capoluogo, la stazione di Avellino va riorganizzata per accogliere i mezzi pubblici e privati degli utenti viaggiatori. La riorganizzazione deve andare nella considerazione piena dell’intermodalità sostenibile.
    Questo richiede una accelerazione verso il completamento della metropolitana leggera cittadina.
    E’ oggi il momento di ripensare l’intero traffico cittadino con una visione intermodale. Avellino è una piccola città, può essere considerata paragonabile ad un grande borgo dell’Italia interna a cui tornare. Possiede le caratteristiche del borgo come grandezza e gestibilità delle distanze interne ma anche buoni collegamenti, certamente migliorabili, con le metropoli meridionali e Roma. E’ una città ancora a misura d’uomo che può oggi diventare incubatrice di idee, laboratorio della vita e della mobilità sostenibile.
    Dunque, l’organizzazione del traffico interno ed esterno è prioritaria e va declinata in:

    1. Realizzazione – in tempi brevi – di piste ciclabili provvisorie, accelerando il cambiamento e incentivando l’uso della bicicletta, e la progettazione di ciclopiste cittadine definitive – a medio termine – con incentivi ai Comuni per l’acquisto di bike e la semplificazione per la realizzazione delle piste e della segnaletica stradale.
    2. Incentivare l’uso di Car sharing, con mezzi elettrici, e realizzazione di punti parcheggi e colonnine di ricarica;
    3. Introduzione di mezzi alternativi come il monopattino
    4. Introduzione di “zone 30” in città, pedonalizzando e riducendo la tipologia di mezzi consentiti alle sole bici, monopattino e mezzi pubblici,
    5. Incentivare la sostituzione di tutti i mezzi pubblici a combustibile fossile con mezzi ad energia alternativa.

    In quest’ottica va riorganizzata la stazione ferroviaria di Avellino – come hub di intermodalità, nella quale arrivano treni e partono macchine elettriche comuni, bici, mezzi pubblici elettrici. In questo modo, come per i borghi più piccoli, lo stesso quartiere “ferrovia” potrà trovare una sua riqualificazione.

    Infine, questa riprogettazione della vita cittadina post COVID-19 non può prescindere da una rimodulazione degli orari di apertura delle attività commerciali, degli uffici e delle scuole – quando sarà possibile riaprire – magari con la considerazione di 2-3 turni successivi di apertura, in modo da non congestionare il traffico e consentire anche una gestione del distanziamento.

    Avellino, 13 maggio 2020

    Valentina Corvigno, Presidente InLocoMotivi

  106. 222 avellinorocchetta 28/06/2023 alle 8:43 PM

    Giovanni Pascoli, la poesia “La via ferrata”

    “Tra gli argini su cui mucche tranquillamente pascono, bruna si difila la via ferrata che lontano brilla; e nel cielo di perla dritti, uguali, con loro trama delle aeree fila digradano in fuggente ordine i pali. Qual di gemiti e d’ululi rombando cresce e dilegua femminil lamento? I fili di metallo a quando a quando squillano, immensa arpa sonora, al vento“.

    …. Il futuro tuttavia incalza e tutto muta, questo Pascoli lo comprende e non lo critica, anzi cerca di invitare i propri lettori ad avere fiducia nel “nuovo che irrompe”.

  107. 223 avellinorocchetta 30/06/2023 alle 8:35 PM

    Cari amici, oggi non posso essere con voi a Rocchetta, in questo luogo che rappresenta puntualmente il mio concetto di stazione per antonomasia : Rocchetta Sant’Antonio- Lacedonia.
    Luogo dell’ anima, nel silenzio e nella natura, ove l’infrastruttura creata dall’uomo non disturba l’ambiente ma vi si inserisce da sempre in modo superbo.
    Nel paesaggio a stagioni brullo e in altre verde delle Puglie, Rocchetta stazione ha delle caratteristiche tecniche uniche:
    -nodo di diramazione ben quattro linee;
    -un fabbricato viaggiatori principale per le sue dimensioni così importante
    -un aggregato limitrofo di fabbricati, lo scalo merci la iccola cappella il Ristoratore e poi fli alloggi, i luoghi della Refezione del personale FS.
    Tutto ciò ha creato un microcosmo di ferrovieri laddove prima della Ferroviaregnava il nulla.
    Poi in tempi recenti l abbandono totale e la desolazione.
    Il mio sogno , che forse rimarrà tale fin quando l’Italia non semplificherà, nel concreto , le mille procedure burocratiche per realizzare progetti, il mio sogno dicevo è quello che Rocchetta torni a rivivere come caso unico di ” borgo ideale del trasporto ferroviario” con tutte le sue funzioni attive, una sorta di museo vivente dove le persone abitano, socializzano, convivono e rendono vive tutte le attività ancillari alla stazione!
    Ma senza il treno che passa tutto ciò è impossibile.
    Ecco perché la riattivazione della linea Gioia del Colle Rocchetta e la prosecuzione per Avellino, oltre al potenziamento della linea da Foggia a Potenza; possono riportare quel giusto mix di trasporto turistico e commerciale che consentirebbero- dove la volontà politica lo volesse- la costruzione di questo villaggio ideale dei ferrovieri del Mezzogiorno ….

    vi ringrazio e vi saluto con affetto .

    Luigi Cantamessa
    Direttore Generale della Fondazione FS

  108. 232 avellinorocchetta 13/07/2023 alle 9:29 PM

    Virginia Danna
    3 g
    ·
    SIGNORI, IN CARROZZA
    In passato avremmo già voluto fare un’esperienza in treno storico, e ieri finalmente io e Bru’ ci siamo riusciti.
    Siamo andati da Avellino a Monteverde, uno dei borghi più belli d’Italia, ultimo baluardo irpino a 120 km dalla città, che da un’altura si affaccia a est sulla Puglia, a sud sulla Basilicata e a nord-ovest sull’Irpinia.
    Il viaggio è cominciato dalla stazione della mia città e già questo è un evento perché noi, capoluogo di provincia, abbiamo una stazioncina insignificante in cui non transitano più treni. Ritrovare una carrozza sulla strada ferrata è stato per me come fare un tuffo nel passato, ad almeno 46 anni fa, quando sia pure per un breve tratto era proprio col treno che andavo al lavoro.
    Quando siamo partiti, lo sferragliare sulle antiche rotaie ci ha immersi subito nella storica tratta Avellino- Ponte Santa Venere- Rocchetta. Una tratta che odora di antico, di verde, soprattutto di lentezza, una lentezza che mi ha riportato il ricordo di un’amica di Rocchetta S. Antonio che studiava con me alle magistrali e, ai tempi, parlava del viaggio di ritorno a casa come di una straziante perdita di tempo; la fretta della giovinezza messa a dura prova dai mezzi di allora.
    In questo tempo di treni blindati e climatizzati che nel progresso sfrecciano a 300 all’ora, i 20 km orari del nostro sferragliante trenino ci donano oggi un momento di civiltà. L’aria condizionata è il bel venticello che entra dai finestrini abbassati, arricchito di tanto in tanto da coriandoli di foglie di robinia frantumate dal nostro andare.
    A un tratto, tra le foglie, svolazza una farfalla che, quasi contrariata, va a posarsi sulla grata portabagagli. Entriamo in galleria, una di quelle gallerie strette sulle cui pareti il treno sembra possa strusciare e sbucciarsi da un momento all’altro, ma fresche di una frescura naturale magnifica, quasi inusitata in tempi di climatizzazione, e quando ne usciamo la farfalla sulla grata non c’è più.
    Non c’è tempo di pensare a dove sarà andata perché ci troviamo a passare sul Ponte Principe, un ponte bellissimo, in architettura industriale, datato 1893, e che unisce le sponde del fiume Calore.
    La tratta continua lenta, verde, rumorosa dello stridio sulle rotaie e del fischio del treno, azionato anche dai passeggeri più piccoli, e ad alcuni passaggi a livello ci sono persone festose a salutarci.
    Un po’ seccate ci hanno invece guardato le pecore al casello di Bagnoli Irpino e, più avanti, le vacche nella bellissima zona del lago di Conza.
    Tappa a Lioni per un caffè, quindi si riparte, sempre in treno, sempre immersi in un verde incontaminato che ti dà la fallace certezza che nulla potrà mai distruggerlo. Solo in un paio di punti l’antica ferrovia incontra industrie e sono queste ad essere fuori contesto, estranee, nemiche del paesaggio. Inutili orpelli soprattutto perché incapaci a trattenere qui i nostri giovani.
    Si arriva a Calitri dove lasceremo il treno per proseguire in pullman, ma prima ci abbraccia l’accoglienza del sindaco e della bella gente calitrana, che ci ristora con bibite, pane re casa, miele, olio, formaggio e sausizza.
    Quei sapori mi hanno fatto pensare ai nostri emigranti di un tempo, quelli che quel pane e sausizza se lo trovavano incartato da mani amorevoli come sostentamento per il lungo viaggio che li avrebbe portati lontano, lontano assai. Li ho quasi veduti, seduti su sedili decisamente più scomodi, a guardare fuori dal finestrino mentre viaggiavano verso una distanza imprecisata e cercavano di far tacere la nostalgia immagazzinando nella memoria ogni foglia, ogni fiore, ogni vallata, ogni vetta di una terra bellissima ma senza futuro per i suoi figli.
    In pullman c’è l’aria condizionata, ci sono sediolini ergonomici, c’è velocità. I viaggi di oggi danno l’idea che il ritorno sia facile e sempre possibile; la lentezza, la fatica, il rumore dei viaggi di ieri segnavano invece una inesorabile andata spesso irreversibile.
    Un inatteso campo di girasoli precede la sosta con rinfresco sul ponte romano che scavalcando l’Ofanto ci porterà a destinazione. Cerchiamo di scorgere nel verde, inutilmente, la rara cicogna nera che da circa 15 anni nidifica in questi posti incontaminati, e finalmente si sale verso Monteverde, 800 metri circa di altitudine, paese curatissimo fin nei più piccoli dettagli, premiato come uno dei più accessibili anche per persone con difficoltà psicofisiche, e solleticato da un venticello che riconcilia con queste estati roventi.
    Il pranzo, il giro nel paese, la visita al castello longobardo e la giornata si conclude.
    Al rientro il pullman, nel tratto tra Monteverde e Lacedonia, passa nel parco eolico; un numero esagerato di pale che sottolineano da un lato come la modernità sia arrivata anche quassù, ma che dall’altro sembrano quasi uno sfregio a un paesaggio fermo nel tempo e nella storia con le sue mietitrebbia al lavoro e le stoppie ad ardere al sole, oggi come ieri.
    L’autostrada velocizza il ritorno in stazione e qui, mentre stiamo per salire nella nostra auto, una farfalla ci passa dinanzi, svolazza e se ne va.

  109. 237 avellinorocchetta 16/07/2023 alle 5:28 PM


    foto avellino calitri 9 luglio 2023

  110. 238 avellinorocchetta 16/07/2023 alle 5:46 PM

    Irpinia Express Nusco -Back to 70s- Il treno che prendeva il mio bisnonno
    Promuoviamo la riscoperta dei valori, persi nel tempo per mezzo di una costante e indotta accelerazione dello stesso.De Crescenzo proponeva di vivere il divenire in larghezza e non proiettandosi linearmente avanti. Ebbene, al giorno d’oggi, è ancora possibile, in un mondo dove molte azioni vanno eseguite nel minor tempo possibile e perdipiù immaginate ancor prima di essere eseguite?
    Tali considerazioni si palesano nella mia mente, nell’azione oramai obsoleta dello sfruttare l’arto superiore per scrivere con carta e penna. Intanto, sono accompagnato da rumori e sferragliamenti: il percorso oramai poco utilizzato costringe il macchinista a rallentare prima degli inattivi passaggi a livello. Le ruote slittano sulle rotaie, nelle tratte più impervie, ma il motore Diesel ruggisce imperterrito, quasi a sottolineare la su indifferenza intrinseca rispetto allo scorrere inesorabile del tempo. Tutto ciò mi rallegra, è dalla mia infanzia che desideravo riprendere quello stesso treno che utilizzai in infanzia a Borgo Ferrovia, durante una breve escursione scolastica: quando nel percorrere un antico ponte il treno invertì di colpo la rotta, sentii nell’inconscio un senso di vuoto e malinconia, come quando alla fine di un film troneggia il “To be Continued”.Ebbene, questo storico vagone, con motrice ALN668, assolve sin dalla nascita orgogliosamente ai suoi compiti, ed ogni materiale percepito da un senso di solidità e calore, oggigiorno ormai soppiantato dallo scricchiolio delle onnipresenti plastiche.E intanto il treno rallenta nelle curve strette, sferragliando, per poi ripartire, sbuffando (stile pop-off Abarth), mosso da una coppia possente, tipica dei Diesel. Rumori, trombe che risuonano tra i campi e torrenti, e questa velocità modesta e sicura, aprono in me una sottile inquietudineb<. Mentre il treno procede sprezzante degli anni, penso alla velocità del giorno d'oggi, quell'immediatezza a volte ormai scontata e superflua, che svuota la vita del suo colore, l'attesa. Scorgere queste valli, foreste e tratti di vie già percorse così, con il giusto andamento, con cui il mio bisnonno Fiore andava a lavoro, consente di assaporarne i dettagli con una maggiore attenzione: come la differenza che passa tra il riprodurre un nastro in play rispetto al Fast Forward. Il futuro che ci aspetta sarà costellato dal silenzio rimbombante dell'elettrico, da mezzi autonomi o quasi che sapranno al poso nostro cosa fare, mentre alienati guarderemo dei display che millantano di regalare la felicità.E' vero, la sicurezza è necessaria e il progresso non può essere arginato, ma chiedo a tutti voi, almeno una volta nella vita, di assaggiare i tempi e i sapori di chi viveva nel secolo scorso, per apprezzare meglio, o, in base ai gusti, criticare il nostro bel 2023. E come farlo in assenza di una Time-Machine?!?Utilizzando un mezzo storico.#ferroviedellostato @irpiniaexpress @irpinia_tv_online @irpiniadavivere @irpiniavventura @avellinotoday @y_avellino

  111. 239 avellinorocchetta 01/08/2023 alle 8:26 PM

    IL TRENO DEL TEMPO PERDUTO: ULTIMA FERMATA

    Da decenni, a ogni scadenza elettorale, gli “statisti” nostrani, fra le tante palle che ci propinavano, mai trascuravano la linea ferroviaria Avellino-Rocchetta: da salvare, da rilanciare, da riscoprire.
    Epigoni di Francesco De Sanctis, sempre nel loro “viaggetto elettorale” inserivano il tour sull’antica linea, a volte ridotto alla sceneggiata della zampetta sul predellino.
    L’antica linea, di palla in palla, era così arrivata sul letto di morte, certificata e sancita dallo scellerato Piano Territoriale varato pochi anni fa dalla Provincia di Avellino (quella stessa che oggi battezza l’immaginifico traforo dei monti su cui incanalare il commercio di provole fra Cervinara e Avella).
    La si voleva trasformare in pista ciclabile, e il discorso rientrava, con buona pace di tutti, nella strategia per lo sviluppo turistico e culturale in Irpinia, affiancandosi alle sagre del cecatiello, alle corse sulla botte col caciocavallo impiccato in mano, alla frittura di pesce con castagne irpine, al record di lunghezza della mozzarella, al concorso per la bella velina appennina.
    La storia, l’Archeologia, l’Arte, la Tradizione Religiosa, il Paesaggio dell’Irpinia non producevano voti, almeno nel breve, e oltre tutto in quel campo era meno agevole intrallazzare che non su sagre e dintorni.
    Quel che è certo, dal 13 dicembre 2010 la storica ferrovia, su decisione della Regione Campania, veniva dichiarata “sospesa”, e da lì alla definitiva dismissione il passo era breve.
    I nomi dei responsabili di quello scempio sono noti, arcinoti, e alcuni ce li ritroviamo, mutatis mutandis (nella versione di Totò), in ruoli altrettanto importanti che nel 2010.
    Era finita.
    La pagina su cui erano state scritte 150 anni di storia dell’Irpinia erano state strappate.
    I pagliacci erano saltati giù dal predellino, e s’era avviato il solito querulo scaricabarile, giusto pper dare il tempo di passare dalla prima pagina alla seconda e poi nell’angolino dei necrologi.
    Debbo confessare che neanche io, spesso l’ultimo dei mohicani ad arrendersi agli episodi ricorrenti dello strazio dell’Irpinia, avrei puntato neanche un facsimile usato di Mastella sulla speranza di rivedere un treno su una di quelle magiche curve d’acciaio che segnavano il bel paesaggio fra valli, colline e fiumi.
    Eppure è successo che lunedì 22 agosto 2016, mi sono annotato quella data nel cuore, da Rocchetta a Conza un treno ha ripreso a correre lungo quei binari, annunciando il recupero dell’intera tratta Avellino-Rocchetta entro il 2018.
    Ricordo bene la corsa di tanti ad accaparrarsi i meriti, a risalire sul predellino.
    A parte quello di chi ha materialmente realizzato il magistrale intervento di recupero e riuso, la Fondazione Ferrovie Storiche, parte della Rete Ferroviaria Italiana (RFI), presidente l’ing. Carlo De Vito, rivedendo con obiettività gli eventi in retrospettiva, credo che ad un unico uomo si debba il merito di questo miracolo.
    Pietro Mitrione, già dirigente e sindacalista delle FF.SS. (mai poteva essere diversamente), oggi animatore di varie Associazioni impegnate sul tema, ha letteralmente lanciato il suo cuore oltre i cento ostacoli spuntati da ogni dove, e con parole e fatti ha prima resistito alla logica imperante dello scempio sistematico, lo ha contrastato, non so come è riuscito a riunire intorno a sé un manipolo di seguaci e alla fine – la storia la si sta ancora scrivendo – la linea ferroviaria è ancora lì, i treni pronti ad avviarsi, il popolo irpino pronto a riabbracciarla.
    Credo che il nome di Pietro possa affiancare quello di Francesco De Sanctis, per quanto hanno saputo fare per quest’opera.
    Vediamola più da vicino, quest’opera straordinaria pensata e voluta 150 anni fa dal grande Maestro della Letteratura Italiana.
    Un grande scrittore dell’Ottocento sosteneva che una delle letture a lui più gradite era quella dell’Orario ferroviario.
    Aveva ragione.
    Proviamo difatti a leggere la sequenza delle stazioni che si susseguono sulla nostra “antica linea” e con lo scorrere dei nomi proviamo a evocare le immagini dei tanti luoghi attraversati, come in un film.
    Si parte a poche decine di metri di distanza dall’antica Abellinum, il municipio romano dedicato a Venere.
    Si imbocca la verdeggiante valle del Sabato, da dove si diramavano due fra i più importanti acquedotti romani, che per secoli hanno alimentato tutte le città della Campania, oltre che la flotta imperiale del Tirreno.
    Tutt’intorno sulle alture si scorgono i resti degli antichi castelli che, dall’età di Arechi presidiarono il vitale collegamento lungo la valle fra Salerno e Benevento.
    Alla fermata di Salza e Sorbo ci passa davanti l’immagine del magnifico castello sulla cima del monte (oggi in verità profanato da un indecente restauro) e dei luoghi che videro il miracolo di Sant’Amato, il vescovo di Nusco vittima di un agguato a Sorbo e miracolosamente sopravvissuto a una freccia che gli aveva trapassato il cranio.
    Subito dopo la linea si protende verso la valle del Calore che, fiume nato nello stesso punto del Sabato, fra Terminio e Acellica.
    Mentre il treno scende verso il fondovalle, di fronte si intravedono gli avamposti di una seconda linea di castelli, che proteggevano sin dall’età longobarda anche la valle del calore, nel vitale collegamento fra Benevento e Salerno.
    Ora la corsa del treno corre parallela al fiume.
    Si resta affascinati dallo straordinario ponte-viadotto in ferro, realizzato ai tempi della torre parigina voluta dal grande ing. Eiffel, e proprio da tecnici della stessa scuola.
    Siamo sul fondovalle, verso Luogosano, Taurasi, Lapio, dove un tempo la via romana Campanina-Domicia (via che collegava Napoli con l’Appia ad Eclano) attraversava il fiume sospesa sulle agili arcate di un antico ponte, ancor oggi ben conservate, a pochi passi dalla odierna stazione di San Mango.
    Già in lontananza si scorge il profilo dei monti, ancora punteggiati di santuari e castelli che cingono la valle del Calore fra Bagnoli, Cassano, Nusco e Montella.
    Il treno attraversa uno dei luoghi più misteriosi dell’Irpinia, che per anni è stato percorso documentato dall’amico Domenico Cambria
    La zona è compresa in un perimetro ben delimitato, per un’area omogenea e regolare di circa 300 ettari, che si estende fra le località bagnolesi di Prebenda, Paterno, Pietre Bianche, Valle Romana, Fieste, Pietà, Cunei, Sierro dell’Aurora.
    All’interno dell’area si rilevano cinte murarie, terrazzamenti, recinti, tumuli di varia grandezza, sorgenti, pozzi, resti di capanne in pietra, strade, che si susseguono in modo continuo e regolare.
    Le murature, nel loro insieme, sono disposte secondo un disegno urbanistico regolare e ben leggibile: in senso longitudinale delimitano terrazzamenti pianeggianti e degradanti verso valle, in senso trasversale dei camminamenti stretti e ripidi, protetti da mura su entrambi i lati; in alcuni punti sono evidenti resti di piccole torri poste in punti strategici, con funzione di osservatori privilegiati.
    Nell’area, oltre i numerosissimi tratti di muratura in opera poligonale, sopravvivono un paio d’arcate di un antico acquedotto, pietre lavorate reimpiegate in una fontana, basi di colonne.
    Il ritmo delle rotaie è come scandisse i versi di Silio Italico (ottavo libro de La guerra punica, ove è il racconto dettagliato dei popoli italici che affiancarono Roma nella battaglia di Canne):
    Affluit et Samnis, nondum vergente favore – ad Poenos, sed nec veteri purgatus ab ira: – qui Batulum Nucrasque metunt, Boviana quique – exagitant lustra …
    (C’erano anche i Sanniti, non ancora inclini ai Cartaginesi, ma non ancora purgati dell’antico rancore. C’erano quelli che mietono i campi di Batolo e Nucre, quelli che battono i boschi di Boviano …).
    E’ possibile che i toponimi Batulum e Nucras evochino Bagnoli e di Nusco?
    È solo un caso che non lontano da Bagnoli e Nusco, e precisamente fra Lioni, Teora e Materdomini, in prossimità della cinta poligonale di epoca sannita del monte Oppido si registri una straordinaria sequenza di toponimi quali: Bosco di Boiara, Pietra Grande di Boiara, Cesine di Boiara, Pietra di Boiara?
    È forse da queste parti che localizzata la Boviano della III guerra sannitica, ove trovarono scampo dopo una marcia di una sola notte gli abitanti di Aquilonia assediata dai Romani ?
    Anche nei nomi sembra riaffiorare la Storia antica dei luoghi “accarezzati” dal nostro treno fra Bagnoli e Nusco: il Monte Terminio rievoca Termino, una delle principali divinità dei Sanniti; l’Acellica che ripropone forse il nome di Ceres, divinità comune a Greci, Sanniti e Romani; il Monte Magone e il contiguo Montagnone di Nusco, che ripropongono il nome del generale Magone, fratello di Annibale; il Vallone d’Italia, al confine fra Bagnoli e Nusco, che richiama il nome VITALIA, che si dette la Confederazione dei Sanniti nella vittoriosa guerra sociale contro Roma.
    Con un’ampia voluta il trenino attraversa ora la magia dei boschi ai piedi del Terminio e del Cervialto, non riuscendo a distogliere lo sguardo sulla chiesa di san Francesco a Folloni, che come un’isola bianca si eleva sul mare verde dei pioppeti circostanti.
    Si risale il crinale che separa la valle del Calore da quella dell’Ofanto, e si scorge il maestoso monastero del Goleto, presso il quale piccoli rivoli iniziano a riunirsi nel fiume che da qui in poi si ingrossa sempre di più e compie il miracolo, dopo essere nato a pochi chilometri dal Tirreno, di portare le sue acque attraverso la terra di Puglia nel lontanissimo Adriatico.
    Da qui in avanti è proprio l’Ofanto, l’antico Aufidus, sulle cui sponde si sono svolte cento battaglie, ad accompagnare fino in Puglia la corsa del treno.
    Si percorre la sponda del lungo invaso, sosta obbligata delle grandiose migrazioni di uccelli e si arriva all’antico centro di Conza, che fu gloriosa città sannita, romana, bizantina, normanna, emersa dall’oblio dopo il terremoto.
    Di fronte la mascella di roccia su cui sorge Cairano, dove il grande Gianni Bailo ha operato per anni, portando alla luce i resti di quel popolo antico che gli archeologi chiamano “cultura di Oliveto-Cairano”, ma che forse dovrebbe chiamarsi col suo antico nome osco: popolo degli Irpini, popolo dei lupi.
    La corsa continua ai piedi del Formicoso, dove il Paleolitico ha lasciato tracce profonde ancorché inesplorate, tracce che hanno rischiato e forse ancora rischiano di essere sommerse da montagne di immondizia.
    Con la corsa del treno, che serpeggia da una sponda all’altra dell’Ofanto, da una parte all’altra del confine fra Irpinia e Basilicata, arriviamo alle ultime stazioni.
    Da queste parti arrivavano l’antica Appia (oggi localizzabile con buona attendibilità a cavallo del percorso della SS 303) e l’ancor misteriosa Via Erculea, che da Aequum Tuticum (Località Sant’Eleuterio di Ariano Irpino) arrivava a Grumentum e a Potenza).
    In ogni punto ci sono i resti, più o meno ben conservati, di antichi ponti romani: Conza, Pietra Palomba, Pietra dell’Oglio, Santa Venere.
    Per una singolare coincidenza, le ultime stazioni della nostra linea sono ognuna a poche centinaia di metri da un ponte antico romano.
    Oggi l’Avellino-Rocchetta (ma a ben guardare gran parte dell’intera rete ferroviaria di Avellino, Salerno, Benevento e Foggia) ha l’occasione per diventare molto di più di ciò per cui era stata in origine pensata.
    Museo di sé stessa, con le sue ardite opere d’ingegneria ottocentesca e il suo sinuoso percorso fra valli, fiumi e monti.
    Supporto alla crescita economica del territorio, se solo si pensa alle varie aree industriali attraversate e spesso già attrezzate, a partire dal nucleo ASI di Avellino e dalla sua area di interscambio (quanti anni è durata la nostra battaglia per i 10 cm maledetti?).
    Mezzo ideale per un viaggio nella terra del paesaggio, del vino (sono qui gli areali del Taurasi, del Greco, del Fiano) e dei tanti prodotti gastronomici di qualità.
    Porta d’acceso alla terra dei fiumi e delle acque, che attraversa non solo le valli dei fiumi Sabato, Calore ed Ofanto, ma tutti i punti donde rigurgitano e s’irradiano le acque che costituiscono la linfa vitale del Mezzogiorno intero, da Napoli al remoto assetato Salento.
    Via “pulita” per muoversi attraverso i Parchi Naturalistici Regionali.
    Occasione di visita a antichi borghi, pievi e castelli.
    Grande libro sulle cui pagine si può leggere la nostra Storia più antica.
    Infine oggi che – più che ai tempi andati di De Sanctis – è possibile integrarla coi trasporti locali su gomma, concentrare l’attività ordinaria su poche efficienti stazioni, raccordarla efficacemente con le grandi linee dell’Alta Velocità che di fatto non hanno emarginato bensì reso centrale l’Irpinia (sagge parole di Carlo De Vito), in una oggi è possibile conferire a quest’opera insigne quel ruolo di anima d’acciaio della nostra terra, per il quale era nata e per il quale è stata miracolosamente preservata.
    È davvero L’ULTIMA FERMATA

  112. 242 avellinorocchetta 02/08/2023 alle 10:50 am

    Train Dedicated To Drinking Wine

  113. 246 avellinorocchetta 19/08/2023 alle 9:04 PM

    Là, dove passa la ” littorina”

    “Savasta’, vuoi un altro caffè?” torno alla realtà…
    È Antonio, il proprietario di questo piccolo bar, in questo piccolo paese, immerso tra le colline, nel cuore dell’Irpinia. È qui che sono nato, qui ho conosciuto mia moglie, qui ho lavorato per trent’anni!
    Non l’ho mai lasciato questo paesello, le sue strade, la festa del Santo patrono, la gara dei fuochi pirotecnici! ‘O sparo ‘e Montefalcione’, lo chiamano tutti: quanti nasi all’insù per ammirare i colori e le forme dei nostri fuochi d’artificio!
    Sembra si fermi il tempo in queste viuzze!
    Ed invece, il tempo è passato, anche troppo in fretta!

    Ricordo ancora l’annuncio dell’ultimo treno che è passato da quel binario.
    Era il 1986, avevo alle spalle trentasette anni di servizio come casellante…sempre in quel casello, per trentasette anni…era casa mia, ormai, era la mia casa cantoniera, anche se una casa di proprietà ce l’avevo. Mi ero sistemato bene: avevo tutti i confort, il frigorifero, la credenza, una scrivania e il letto per fare la pennichella tra un treno e l’altro! Facevo turni di 14 ore. Il primo treno passava alle 3.45 di mattina, l’ultimo alle 19.45. Nella casa di proprietà ci passavo per cena e qualche ora di sonno. Lì ritrovavo mia moglie, santa donna, che ha sopportato tutte le mie assenze. Nei giorni feriali e festivi. Il casello veniva prima di tutto!

    L’ultimo avviso del treno che stava passando, lo annunciai a settembre, alle 12.55, ma l’orologio della chiesetta accanto alla stazione, segnava ancora le 19:34. Già le 19:34 di quel 23 novembre 1980.
    Quando la terra tremò, mancavano 13 minuti al passaggio della carrozza proveniente da Avellino. C’era una luna rossa enorme, all’improvviso scie di fuoco e poi il buio totale. Non so se quel treno sia mai arrivato perché quel buio mi avvolse e mi disorientó. Minuti che durarono un’eternità!

    Dopo il terremoto, i treni sono stati sempre meno frequenti a causa dei danni geologici subiti dalle strade ferrate. La mia stazione si spopolava sempre più, insieme ai sogni e alle speranze di rivederla viva come anni addietro. Eppure di speranze e di memorie ne aveva vissute tante!

    “Sta arrivann a litturina, muoviti compà!”, ogni mattina era sempre il solito ritardatario. Alfredo insegnava matematica in una scuola elementare ad Avellino. Prendeva il treno alle cinque e tornava col treno delle cinque. Ogni mattina lo vedevo arrivare a passo spedito, dalla strada che costeggiava il casello, con le scarpe buone sulle spalle, il cappotto verde scolorito e i libri legati da una molla. Velocemente si toglieva le scarpe vecchie e me le lasciava in custodia, infilava quelle nuove e saltava sulla carrozza, per rientrare nel pomeriggio e fermarsi a raccontarmi dei suoi alunni e della vita in città. Un giorno mi disse: ” Compà, hai mai pensato di mollare tutto e salire sul primo treno che passa?”
    “Nè Comp’Alfrè, ma tu ricordi che sto treno fa Arianiello-Percianti e a Rocchetta S.Antonio torna indietro?!”
    “Ma era in senso lato caro Sebastiano!”
    “Angolo o lato, sto treno a Rocchetta torna indetro!”, non avevo capito cosa volesse suggerirmi, certo è che Alfredo aveva deciso di prenderlo quel treno e si trasferì a Milano, mollando la matematica.

    Chi invece, non aveva avuto il coraggio di saltare su un treno erano le due sorelle che abitavano dietro alla stazione. Rimaste zitelle, passavano le loro giornate tra il lavoro nei campi e qualche aggiusto sartoriale. Non avevano mai visto Avellino, ma nemmeno il paese accanto! Persino il loro paese non conoscevano! Erano fossilizzate in quella casa paterna e il resto del mondo le spaventava. Erano brave massaie, avevano imparato anche a macellare… e che pane delizioso sfornavano! Ogni forma era grande quanto la ruota di un carro ed il profumo inebriava tutta la stazione quando facevano “la cotta”. Quando si affacciavano al casello, facevano a gara a chi dovesse parlare prima: mi portavano la colazione perché dicevano che mi vedevano sciupato, dato che non avevo tempo di mangiare perchè stavo sempre ad abbassare e alzare la sbarra, ad annunciare i treni, a pulire il binario. E mi porgevano “a merenna”: due fette di pane appena sfornato lunghe e larghe come un mattone, accompagnato da un frutto o un pezzo di formaggio o di salame!
    Quanta gentilezza c’era ancora quel tempo!
    Io per ringraziarle, compravo il preparato di lievito e bicarbonato per fare i biscottini, al negozio di Serafina, in mezzo al paese. Le sorelle, contentissime, dicevano di non sapere come disobbligarsi! Eppure, ho sempre sospettato che oltre alla gentilezza, le signorine erano in competizione per me! Ero un bel giovane, facevo la mia bella figura con la divisa da capostazione, cappello in testa e giacca sempre pulita!
    Mia moglie era un pò gelosa, mi diceva sempre che a chissà quante donne avevo fatto girare la testa, invece, erano stati i miei occhi a fotografare le tante storie d’amore che in quella stazione andavano e tornavano.

    Lacrime, baci, gioie, abbracci… Persino un matrimonio è stato celebrato! Era la figlia di un capotreno: aveva desiderio di farsi la foto scendendo dal treno in abito da sposa e di celebrare lì il matrimonio. Quella domenica mattina feci ritardare la littorina nella partenza: la giovane sposa era raggiante, forse, il suo, era un modo per lasciare una vita e iniziarne un’altra “fuori dal treno”.

    Eppure, ho un ricordo che mi spezza il cuore. Un ricordo velato. Quando Carolina accompagnò Franco al casello era un giorno di ottobre. Lei una giovane ragazza con i capelli ricci e neri, timida, mingherlina. Lui un giovane forte, che la strinse in un abbraccio e partì su quel treno direzione Avellino e ad Avellino avrebbe preso un altro treno che lo avrebbe portato lontano, fino a raggiungere la Francia, dove avrebbe lavorato in una miniera per guadagnare qualche soldo e sposare Carolina. Non è mancata una sola settimana: ogni venerdì, per due anni, quella ragazza, veniva in stazione ad attendere un treno anzi ad attendere un uomo che non arrivava. Franco, dopo qualche mese in Francia, aveva avuto un malore mentre lavorava. Una disgrazia l’aveva portato via in un secondo, ma Carolina non si era data pace e, come un fantasma, aspettava ogni venerdì, l’arrivo del treno delle 19.20.

    Credo che tra i ricordi di un casellante ci siano, innanzitutto, quelli legati a situazioni divertenti e quotidiane. Come i pendolari che, ogni giorno, prendevano quel mezzo per andare a lavorare o, chi poteva permetterselo, a studiare. Vedersi tutti i giorni significava entrare in una certa intimità: ci scambiavamo opinioni, consigli, aneddoti. Qualche ragazzo mi chiamava “zio”. A qualcun altro ho tirato uno schiaffone vedendolo con la sigaretta in bocca. Le signore con i pargoli, avevano la precedenza:avevo sempre qualche caramella da offrire! I ferrovieri mi conoscevano tutti! Quelli che facevano la tratta coi treni merce, da me caricavano discrete quantità di prodotti agricoli. Poiché dovevano aspettare che venissero riempiti i vagoni, venivano nella casa cantoniera a farmi compagnia con un buon bicchiere di vino e un pezzo di formaggio. Nel vecchio mobile conservavo sempre una piccola scorta di viveri oltre quello che mi donavano i viaggiatori!
    Ad agosto, poi, persino nei cassetti mi ritrovavo cioccolato e gomme americane! Eh si, agosto era un’epifania di arrivi e partenze!

    Zì Massimino l’americano non è mancato ad una sola festa del santo patrono. Quando scendeva dalla carrozza, lasciava una scia della sua acqua di colonia, camicia sbottonata e crocifisso d’oro che penzolava sul petto peloso. “Ué paesà come stai? La festa comme si porta?” ed intanto dalla sua “begga” tirava fuori barrette di cioccolato e chewing gum portati da oltre oceano. Quando ripartiva, passava a salutarmi insieme al nipote: mi metteva venti dollari in tasca, mi abbracciava e mi prometteva di vederci l’anno successivo. Lo stimavo tantissimo. I suoi genitori erano poverissimi e non potendolo accudire, lo spedirono da un cugino del padre a Boston quando aveva 9 anni. Faceva il garzone per un lucidascarpe: aveva imparato ad aggiustare le suole e i tacchi, finché aprì un piccolo negozio nel quartiere italiano. Gli affari andavano bene. Negli anni ‘80 gestiva una piccola fabbrica calzaturificia. Si era costruito da solo, veniva ogni anno dai genitori, lasciandogli un gruzzolo per farli stare meglio, ma il suo cuore, nonostante tutto, si era legato a questo paese.

    In tanti sono emigrati.
    Quante storie ho ascoltato di compaesani che venivano trattati come bestie per poter guadagnare qualche soldo. Francia, Inghilterra, Germania, Svizzera, Belgio, America: qualcuno è tornato in paese, altri hanno messo radici all’estero.
    Ma nei tempi di povertà, anche qui in paese c’era discriminazione. Si lavorava sotto padrone! Ed i padroni erano caporali! Guai se mancavano mezzo chilo di olive o una pigna d’uva! Oltre alla povertà c’era l’analfabetismo! Certo, c’era la radio, ma le notizie ce le leggeva Serafina nel suo negozio, intorno a un braciere, di domenica! Era una donna istruita, comprava il giornale, il “Roma” e lo leggeva dall’inizio alla fine per i suoi compaesani. Era un momento di cultura e associazione senza secondi scopi. C’era la possibilità di confrontarsi, ognuno diceva il suo pensiero… finché sono arrivati i televisori… ed hanno trovato posto in casa!

    Gennarino è stato il primo a comprare un televisore nella contrada della stazione. L’estate degli europei di calcio del ‘68, dietro al casello allestì un vero e proprio cinema all’aperto! “Savastà, qua teniamo più spazio, ognuno si può portare la sua sedia…e, poi, grazie a te che ci presti la corrente, possiamo tifare Italia vedendola pure!” Diciamo che ad offrire questo servizio erano le Ferrovie dello Stato e Gigino che teneva l’antenna irta in una direzione strategica. Ma non dimenticherò mai lo stupore e la tifoseria di quel gruppo: gli abbracci ad ogni goal, brindisi a base di vino e Gigino fermo come una statua per non guastare il segnale.
    I ragazzi si divertivano con poco! Erano felici di semplicità!
    Ed in ogni gruppo c’era il fenomeno! Come Antonio! Un giorno regalò delle caramelle a sua zia. Cosa si era inventato dietro quel nobile gesto? Nelle caramelle aveva messo il mastice che usavano i calzolai. Povera zì Paolina, come iniziò a masticare, la dentiera si incolló tra se, non riusciva a parlare e mugolava cose assurde contro Antonio!

    E come potrei dimenticarmi di Cillo! Quando nacque, la madre non riusciva a nutrirlo. “Non le scende il latte! “diceva la “mammana” che l’aveva aiutata a partorire, ma la povertà era talmente tanta in quella casa, che la mamma di Cillo prima di mangiare lei, sfamava gli altri sei figli! Cillo fu affidato a una “mamma di latte” ossia un’altra donna che avrebbe diviso tra il figlio naturale e Cillo, le poppate. Cillo è venuto su forte e pieno di energie! Veniva a trovarmi quasi tutti i giorni. Camminava, camminava. Conosceva ogni angolo del paese. Quando arrivava al casello, mi abbracciava: era il suo modo migliore di esprimersi. Il suo cervello non si era sviluppato completamente, aveva difficoltà a parlare, ma i suoi ragionamenti erano spesso più razionali di tanti altri!
    Si sedeva sulla panchina dinanzi alla casa cantoniera, strappava una margherita dal mio orto e buttava lo sguardo qua e là, come se stesse davvero attendendo qualcuno, forse una ragazza, chissà cosa gli suggeriva quel suo cervello! In paese era conosciuto da tutti. Spesso lo prendevano in giro e lui si rifugiava nel bar di Concettina. Si chiudeva nella cabina telefonica che era all’interno dell’attività e restava immobile per tempi infiniti. Concettina per farlo uscire, gli mostrava un moretto, il suo dolce preferito! Solo così saltava fuori, la abbracciava e mandava giù il dolce! Il suo posto sicuro barattato per un moretto.

    Era settembre. Un altro treno e sarei rientrato a casa da mia moglie. La giornata era stata uggiosa ed il sole aveva fatto presto a tramontare. Faceva ancora caldo.
    Stavo annotando sul registro il passaggio della littorina, Cillo quel giorno non era venuto a trovarmi. In paese si vedevano poche luci accese: quella sera il panorama mi sembrava spettrale e non il solito presepe di sempre. Mentre scrivevo sul registro, dentro me sentivo come un senso di irrequietezza, di inquietudine. Sembrerà strano, ma quel casello mi stava avvisando di qualcosa. Presi la mia torcia e mi avviai sul binario verso la galleria e ahimè… le mie sensazioni erano vere! Un gruppetto di ragazzini schiamazzavano in prossimità del sottopasso incitando qualcuno a continuare a camminare, nel buio, all’interno. Spesso si divertivano a mettere le cento lire sui binari, e dopo il passaggio del treno, recuperarle e vederle ridotte a frittatine oblunghe e sottili. Ma quella sera no! Quella sera avevano convinto Cillo ad attraversare il tunnel per arrivare fino allo sfiatatoio, sotto il terreno di Angelo ‘o Scarparo, e lì guardare la luce della luna!
    Iniziai a correre come mai avevo fatto, fortissimo e dal mio diaframma usciva una sola lettera: “ aaahhh”.
    I ragazzi, impauriti, se la diedero a gambe, raccontando in paese di aver visto uno spirito che gli correva incontro, urlando, giù alla stazione. Mi precipitai nella galleria. Il treno stava arrivando, sentivo il ferro del binario vibrare! Quando vidi Cillo al centro del tunnel, che osservava la cima dello sfiatatoio, lo afferrai per la camicia, attaccandolo contro la parete mentre io gli facevo da scudo umano! Il treno arrivó, lasciandoci addosso un suono spaventoso, polvere e detriti. Avevo il cuore al limite di infarto.
    Ritornammo alla casa cantoniera, ci sedemmo sulla panchina, lì davanti. Non avevo più forza! Cillo se ne stava zitto, piangeva…aveva avuto tanta paura! Lo abbracciai, come faceva lui e gli indicai la luna!

    Anche quella volta quel binario mi aveva parlato! La sua anima mi avvisava del pericolo. Ero in simbiosi! Essere lì, per me, era una fortuna! E come tutti i casellanti eravamo delle figure fondamentali all’epoca! Quanto ho sofferto quando ci hanno sostituito con delle scatolette tecnologiche. Dov’è la loro anima?! I passeggeri a chi raccontano le loro storie, ora?

    Dal casello ci passava il mondo, una varietà umana che cambiava incessantemente, che non ti annoiava mai!
    Ancora oggi, trascorro le mie giornate alla finestra, sperando di sentire il passaggio del treno: un rumore per alcuni, un suono unico e familiare per me!

    Per essere felici a volte basta solo cambiare prospettiva e ricordare la magia delle piccole cose, delle parole che scaldano il cuore. Parole che raccontano vite vissute e sogni da realizzare. La mia stazione era anche questo! Un mondo dove anime vaganti affrontavano ogni giorno la vita, lasciandomi il loro saluto più caro “Buongiorno Savastà! Arriva a littorina?”
    Ciampa Giovanna

  114. 250 avellinorocchetta 28/08/2023 alle 8:50 PM

    Un legame con le rotaie che va oltre l’impensabile!
    (di Giuseppina Nadia Tufano) 28/12/ 2014
    Ciò che ricordo della mia infanzia sono due linee parallele su cui si sono dipanate, corse e rincorse, storie, speranze, vite, racconti e destini di gente diversa: le rotaie della stazione ferroviaria Cairano Conza- Andretta.
    Rotaie su cui, anche chi scrive, ha trovato il proprio trastullo nei pomeriggi in cui seguivo mio padre ferroviere con l’orario dei treni sempre a portata di mano, i timbri, la bandierina, la lanterna, la lampada e la torcia, la paletta, il fischietto e il suo berretto abbinato alla divisa, che custodisco gelosamente.
    Lui impegnato nelle sue attività, IO SUI BINARI CERCANDO , (gia’ allora) DI NON PERDERE L’EQUILIBRIO e ogni volta che “deragliavo” mi arrabbiavo, SENZA PERÒ’ SCORAGGIARMI.
    Una divisa indossata con orgoglio e onorata attraverso un servizio prestato con grande senso del dovere, autorevolezza e cordialità da tutto lo staff dell’epoca di ferrovieri, macchinisti, cantonieri, casellanti, sorveglianti, capotreni, capostazioni tra cui Nigro Cataldino, Zoppi Giuseppe, Luongo Rocco, Petrozzino Michele, Zoppi Alfonso, Melillo Nicola, Di Domenico, Ciccone Severina ed infine mio padre, Vincenzo Tufano.
    È questo il ricordo che conservo della stazione Cairano- Conza-Andretta, crocevia di gente e mondi diversi. Spesso scendevano insegnanti con i quali si diventava subito amici, con i quali era piacevole intrattenersi a parlare sul paese di provenienza, sul percorso di vita personale e professionale che li induceva a prendere il treno per lavoro, per diletto, per amore!
    Era piacevole ascoltare da ognuno di loro racconti di paesaggi, di fiumi, di gallerie, di alberi, di immense distese, di oleandri e montagne innevate che si erano offerti ai loro occhi.
    Quanta vita nei loro racconti di viaggio, quanto fascino nelle tante valige che salivano e scendevano da quel treno, che meraviglia lo scambio di saluti tra il personale di terra e quello di bordo. Ancora oggi mi par di seguire la stretta di mano di mio padre ai macchinisti, che scendevano dal treno anche solo per una semplice bevuta d’acqua fresca o per ritirare pacchi postali, il più delle volte confezioni di uova, salsicce o salami paesani: “scambi” non solo di treni ma anche amicali.
    Ricordo che anche per raggiungere il cinema di Lioni o per andare a ballare alla discoteca “la Mela” si sceglieva il treno, il mezzo di trasporto più amico e sicuro e non solo dell’epoca!
    Per alcuni, in occasioni di tragici eventi, si è rivelato anche un’ancora di salvezza.
    La stazione di Conza, dove anch’io sono nata, era davvero una piccola grande famiglia: ricordo la piazzetta in cui ci si ritrovava per giocare a pallone. Si, un mini campo da calcetto, improvvisato in strada, dove bastava che comparissero tanti “Zoppi’’: Gerardo, Michele, Mario, il portiere Antonio, zi Nino, per formare quasi una squadra di pallone che si completava con i Nigro, i Tufano, i Luongo, i Renna, i Farese, i Mattia, i Ricciardoni, e tanti altri calciatori provenienti da fuori regione e che a diventar figli adottivi della Stazione c’impiegavano proprio poco: 180 minuti di partita moltiplicati per le fasi del Torneo estivo, il tempo di una battuta di pesca presso il grande letto del fiume Ofanto, un altro sport insieme a quello della caccia molto in voga in particolar modo nella mia famiglia; il tempo, anche, di una serata di mezza estate trascorso all’aria aperta seduti sulle scale chi a raccontarsi, chi, come le ragazze della stazione, Assuntina, Maria, Lina, Pasqualina, Angela, a passeggiare lungo il grande ponte sognando ognuno l’arrivo del proprio treno, chi ad ascoltare da un unico stereo, quello con le audiocassette tipo mattoni, canzoni dell’epoca.
    Erano gli anni ʾ70 e si ascoltavano i Beatles, Lucio Battisti ma anche Pupo e Gabriella Ferri.
    Il telefono pubblico di mia nonna poi era aperto 24 ore su 24; anche quando in casa non c’era nessuno! Bastava una spallata e la porta di Totonn’ e Carmela “li napulitan” si apriva ad amici fidati.
    Quanti emigranti provenienti dal Belgio, dalla Svizzera, dalla Francia sono saliti e scesi alla stazione ferroviaria Conza-Andretta dove ad attenderli c’era l’autobus Caputo e/o Trulio, in alternativa il servizio taxi, effettuato da mio padre con la sua Opel Kadett, per chi doveva raggiungere Conza paese, Andretta, Cairano, abitazioni di campagna e cosi via!
    Se dovessi associare un fiore a questo borgo che non c’è più sceglierei la rosa, perché davanti alla maggior parte delle abitazioni c’erano cespugli di rose rosse selvatiche, rose rosa e rose gialle come quelle che ricordo, se la memoria non m’inganna davanti alla casa della famiglia Farese Vincenzo.
    E’ possibile, ma solo chiudendo gli occhi, sentirlo ancora quel fresco profumo di rose rosse, gialle e rosa!
    Ma la rosa non era certo l’unico fiore, c’era Fiore Nicola, Fiore Angelo, Fiore Pietro, Fiore Pasqualino, Fiore Luigi.
    Era sempre la stazione di Conza quella in cui io mi perdevo passando per il Bar di “Mast ‘Vicienz”, dove ricordo che il ghiacciolo alla frutta, che io chiamavo Italia perché era verde bianco e rosso, aveva per davvero il sapore di menta, limone e fragola; e così proseguivo per il mulino dei Cordasco, di cui ricordo ancora il rumore della macina e i sacchi di grano. Era la Stazione della Bimba del latte, Zoppi Colombina, che all’alba di ogni mattino lasciava la bottiglia di latte fresco appena munto davanti la porta, era la Stazione della famiglia Caprio Angelomaria, Zoppi Gaetano, Buscetto Gerardo, della famiglia Caputo Alberico, Megaro Pasquale, Zarra Basilio, Renna Angelo, Imbriani Pasquale, dei Ciccone, dei Chirico, della famiglia Tufano Ciro, Franco, Raffaele, Adelaide e suo marito Michele, della famiglia Cerracchio Pasquale, della famiglia Oliviero Rossi e sua moglie Maria, di Cheropita e Carmela, era la stazione di Zi ‘Ntonio Nacca e il nanetto Gerardo di Andretta, due personaggi carismatici, il primo per la sua sana follia, il secondo per la sua astuta simpatia.
    Io e la mia famiglia, abitavamo a ridosso di un tratto di linea ferroviaria molto vicino alla Stazione e ricordo che, ogni notte, mi capitava di sentire il fischio di un treno che correva lontano nel buio: un fischio che mi faceva pensare a mio padre sempre vigile durante il turno notturno, nonostante il silenzioso tepore della stufa a legna che bruciava traversine dall’odore forte e aspro. Un fischio che mi faceva riaprire gli occhi su mia mamma Rinuccia, un fischio che mi faceva allungare lo sguardo sulle mie sorelle, un fischio che mi faceva alzare gli occhi e sorridere a mio padre, un fischio che potrebbe restituire, se qualcuno in più lo riuscisse a sentire, ora come allora , la propria anima alle nostre tanto care amate rotaie.

  115. 251 avellinorocchetta 30/08/2023 alle 7:39 am

    Dal Foggiano all’Irpinia con i treni storici: si torna in viaggio sui binari dell’antica ferrovia.
    La linea Avellino–Rocchetta Sant’Antonio, inaugurata nel 1895 per volontà di Francesco De Sanctis, è lunga 120 km e attraversa le regioni Campania, Basilicata e Puglia, percorrendo le valli del Sabato, del Calore e dell’Ofanto e passando dai 217 metri sopra il livello del mare di Rocchetta ai 672 metri di Nusco. Lungo il percorso s’incontrano 31 stazioni, 58 tra viadotti e ponti metallici e 19 gallerie, manufatti di pregevole -e talvolta unico- valore architettonico e ingegneristico.
    “Un binario tanto tortuoso quanto affascinante e che ricama, inserendosi perfettamente nel verde del territorio, il cuore dell’Irpinia. Una ferrovia dei silenzi, per i paesaggi ampi e riposanti che offre dal finestrino del treno.
    Conclusi gli interventi di recupero dei binari e delle stazioni, che consentiranno in futuro l’utilizzo a fini turistici dell’intera linea, l’Avellino – Rocchetta entrerà, grazie al contributo economico della Regione Campania, a far parte di Binari senza tempo (*), il progetto nazionale della Fondazione FS che, a partire dal 2014, ha dato una seconda giovinezza a circa 240 km di linee ormai prive di servizi di trasporto pubblico locale.
    (*) I Binari senza tempo sono linee ferroviarie che attraversano spettacolari paesaggi tra natura e arte della provincia italiana e per questo individuate come un vero e proprio museo dinamico.

  116. 252 avellinorocchetta 30/08/2023 alle 7:45 am

    Spettacolare rincorsa volante del nostro treno dalla Stazione di Rocchetta a quella di Conza-Andretta-Cairano

  117. 253 avellinorocchetta 30/08/2023 alle 9:01 PM

    Racconti di viaggio: il treno di Avellino
    31 marzo 2022 anniversario del 143 ° anno della costruzione della stazione ferroviaria di Avellino
    L’atrio di ingresso della stazione è tirato a lucido come nei giorni di festa; il tabellone elettronico mi occhieggia e nell’aria riecheggiano, uno dietro l’altro, gli annunci di partenza: “… treno 94365 Frecciarossa per Bari in partenza sul primo binario… Treno 94475 proveniente da Benevento per Napoli in arrivo sul binario 2”. In perfetto orario; sembra un sogno.
    In verità il sogno è iniziato questa mattina quando, arrivando in bicicletta, ho trovato il posto e la ricarica disponibile nel parcheggio dell’autostazione in centro città; neppure il tempo di parcheggiare ed ecco arrivare, puntuale come un treno (la similitudine è d’obbligo), la fiammante metro leggera. Continuo a non capire perché, per denigrarla, molti concittadini continuino a chiamarla “filovia”! Un tale tipo di trasporto ecologico ed in “sede propria” – come dicono gli esperti – sono convinto che ce la invidino anche ad Amsterdam. Anzi, ho saputo da amici che lavorano al Comune, che una delegazione di esperti olandesi sono in città per studiare il nostro sistema integrato urbano ed extraurbano e sono rimasti a bocca aperta, mi dicono.
    La metro leggera, silenziosa e veloce, mi ha rapidamente trasportato, attraverso la città ancora assopita, verso la zona est, attraversando il centro cittadino e percorrendo il tratto completamente tirato a nuovo di via Francesco Tedesco, il vero biglietto da visita per chi proviene da Salerno o dal nucleo industriale. E bello vedere come sia stato riqualificato e rinnovato grazie al sapiente uso dei fondi PinQua per la rigenerazione urbana. Certo, avendo a disposizione la mia piccola auto elettrica, stamattina sequestrata da mio figlio, sarei potuto arrivare direttamente al nuovo parcheggio della stazione ferroviaria, lo vedo dal finestrino della metro, con tanti stalli liberi per la sosta dei veicoli elettrici e la ricarica gratis, peccato non averne potuto approfittare.
    Sul primo marciapiede, mentre mi fermo ad acquistare dal distributore automatico una lattina di Coca-Cola “zero”, vedo un viavai di persone che chiedono informazioni al capostazione – riconoscibile dal suo classico berretto rosso – un po’ disorientati per i due treni, praticamente in partenza contemporanea, sul primo e sul secondo marciapiede. Non tutti sono abituati ad una tale offerta di trasporto e non tutti sanno che i treni, a differenza delle automobili, viaggiano tenendo la sinistra. Quindi sarebbe facile intuire che sul primo marciapiede, il Frecciarossa in partenza è quello che va verso Benevento, con successiva fermata nella nuova stazione Hirpinia e poi finalmente a Bari. Sul secondo, invece, il Frecciarossa proveniente da Roma e fermatosi a Benevento, prosegue verso Napoli percorrendo a Castel S. Giorno la nuova “bretella di Codola” che immette i treni direttamente sulla linea AV monte Vesuvio e, in meno di 50 minuti arriva in centro città. I tabelloni riportano, tra un’ora, anche la partenza dell’altro treno verso Salerno e Reggio Calabria, ma questa è un’altra storia.
    Prendo posto vicino al finestrino per godermi, almeno nel primo tratto di viaggio, il paesaggio irpino. Si parte in perfetto orario. Da quando è stata ultimata la elettrificazione della linea ferroviaria, ormai è uno scherzo arrivare a Benevento: è comodo per gli studenti che frequentano l’università del Sannio prendere uno dei tanti “Minuetto” per il trasporto locale e, in meno di venti minuti, scendere a Porta Rufina, praticamente dentro la Facoltà di Economia.
    Subito dopo la partenza, guardo dal finestrino la zona industriale di Avellino, si vede un frenetico viavai di mezzi per caricare i molti carri ferroviari fermi sul piazzale dell’ASI vicino alla ex fabbrica della Novolegno. Questa sera, dopo l’ultimo treno viaggiatori, dal piazzale partirà il treno merci per il porto di Bari.
    Chi lo avrebbe mai detto che una linea ferroviaria, che oggi compie 143 anni di vita, poteva tornare ad essere così vivace e giovanile soltanto con un semplice maquillage.
    A volte ci vuole poco e soprattutto bisogna crederci.
    Nowdoom Blacksmith, un caro amico di inlocomotivi

  118. 254 avellinorocchetta 31/08/2023 alle 8:37 am

    “Il treno come un sogno ci salverà / Riscopriremo la terra e la nostra dignità / L’abbandono è colpa della realtà / o di chi non ha creduto nell’irpinia complicata / politici, terremoto e interessi propri l’hanno spopolata”. Così inizia la canzone che che ha accompagnato il viaggio di un canta-attore di provincia. Io.
    Dopo aver letto e ascoltato di tutto e di più, ora ne sono ancora più convinto: che il treno come un sogno ci salverà.
    Sono un sognatore e ne vado fiero. I sogni non sono mai fuori luogo…e se è vero come dice “il bardo” che “noi siamo fatti della materia dei sogni”, io sono composto per la totalità, da sogno.
    Il sogno non è l’illusione, il sogno è poesia, e prima o poi la poesia arriva. Quando si realizza il sogno si è felici, unici, caparbi, increduli. Il mio sogno è: la Dogana, il mercatone, il tunnel e l’autostazione di Avellino, la rete viaria di alcune zone della provincia, il mio sogno é un albergo diffuso in diverse aree di irpinia, il mio sogno è che Dragone possa investire ancora nella nostra terra, il mio sogno è il centro per l’autismo (sogno realizzato proprio ieri e quindi sono felice) e tanti altri piccoli e grandi sogni.
    Sono stato sulla linea Lioni- Rocchetta per lavoro. Ho fatto ciò che faccio da sempre il canta-attore. Onestamente non ho visto il taglio del nastro, il palco, le fasce tricolori; non ho assistito a proclami politici, ma ho fatto ciò per cui avevo mandato un’idea di progetto a Capossela: Storie su rotaie: Teatro. Sono stato, insieme ai miei colleghi attori del Clan h (la compagnia storica d’irpinia fondata nel 1972 da Lucio Mazza che ha come slogan “un sogno che divora”) nei vagoni del treno. E a tutto ho pensato tranne alla politica, a chi prende soldi o chi utilizza il nostro territorio per averne giovamento. Si, certo ho pensato che i problemi sono sicuramente altri ma ho vissuto la mia terra e ho visto. Ho visto, non “cose che voi umani non potete immaginare” o “bastioni a largo di Orione”, ma cose reali che fanno sognare.
    Ho visto quegli spazi brulli, quei paesi abbarbicati ma vuoti, ho visto ciò che qualcuno definisce “deserto” ma pieno di brulicante energia, ho visto negli occhi di chi viaggiava la speranza, una piccola insignificante speranza, l’ho vista, c’era; ho visto il sudore e la stanchezza ma la fierezza e la testardaggine di noi irpini; ho visto la solitudine e la difficoltà di portare avanti una passione (quella di Fondazione Fs, di “In Loco motivi, di Pietro Mitrione e di Agostino: che ci credeva in questo sogno); ho visto si, la felicità “momentanea” ma la felicità è sempre felicità.
    Orbene. Non sapevo, però, che nella mia terra ci fossero tanti realisti, tanti nichilisti, tanti detrattori senza peli sulla lingua. C’è chi se l’è presa con la regione perché ha foraggiato uno invece che un altro, c’è chi se l’è presa con i sognatori e sta tra i detrattori per motivi di interessi propri, c’è chi se l’è presa con Capossela, chi invece invita i laureati a scappare, chi auspica il fallimento di uno perché avversario, chi invece non è stato chiamato per fare questo o quello nei vari comitati, penso a scrittori, poeti che sono emigrati perché hanno ritenuto opportuno non dare il sostegno con la loro presenza e che non hanno accettato l’intervento di qualcuno …e tante altre cose.
    Poi c’è chi cavalca il successo politico, no, non mi interessa; c’è chi invece è del partito opposto e strumentalizza: e neanche questo mi interessa.
    Io voglio sognare ancora, finché ci saranno in lontananza treni e binari, voglio sognare ancora di poter scegliere cosa fare e dove, le vane parole le lascio a chi voleva esserci e non c’è stato, voleva decidere e non ha deciso, voleva salvare ma non ha salvato. Il mio, e spero anche di tanti irpini è sì “un sogno che divora” ma è un sogno libero.
    S.Mazza

  119. 255 avellinorocchetta 01/09/2023 alle 4:58 PM

    La ripresa dell’orario autunnale per la linea ferroviaria Avellino – Rocchetta San’Antonio (un tempo Ponte Santa Venere), pone per l’ennesima volta l’accento sulla necessità di perseguire soluzioni strategiche che ridiano senso infrastrutturale ed economico alla più antica linea ferroviaria dell’Irpinia e tra le più antiche della Campania , inaugurata nel suo intero percorso il 27 ottobre del 1895.
    Se all’origine divenne luogo privilegiato per il trasporto delle grosse cisterne di vino prodotto nei territori attraversati, ed in seguito, le sue stazioni hanno rappresentato il prodromo dei luoghi della emigrazione verso la speranza “amara” di un futuro meno povero, oggi il “ramo secco” di TrenItalia può fornire nuovi germogli vitali.
    Una politica di programmazione basata sulla amplificazione di un turismo ambientale deve portare ad immaginare la tratta ferroviaria, il cui valore di percezione paesaggistica che offre è notevole (e probabilmente da solo vale un viaggio), come una vera e propria infrastruttura di servizio alla conoscenza diretta delle qualità paesaggistico, culturali, artigianali ed enogastronomiche dell’Irpinia.
    Amici della Terra ritiene, altresì, che non è possibile immaginare che il rilancio ai fini turistici della tratta – garantendo almeno corse nei giorni festivi ed integrazione minima con servizi pubblici di trasporto su gomma – possa essere considerato separatamente dal processo di sviluppo più complessivo della Regione Campania e quindi dell’Irpinia.
    Con tutta evidenza è fondamentale però stabilire un linguaggio comune, un unico metro di valutazione che tenga conto in analisi complesse dei diversi punti di vista, da quello ambientale, a quello gestionale, a quello infrastrutturale, a quello storico sociale.
    Pertanto, sembra opportuno che gli enti preposti, ed in particolare la Regione Campania si faccia carico di fornire gli strumenti necessari che valutino, in studi analitici, tutte quelle esternalità, quei costi esterni, che ricadono sull’intera collettività sotto forma di danni (ambientali, al patrimonio immobiliare delle stazioni, alle attività produttive e sociali) e che, se non sono adeguatamente sostenuti nel processo decisionale svalutano la gestione della attività stessa, come è il caso della tratta ferroviaria Avellino Rocchetta S.A.-
    L’Italia, del resto è ricca di ferrovie che vanno lente perché attraversano valli e canaloni, montagne e fiumi, ma le stesse sono spesso divenute nuovi elementi di supporto alla crescita economica del territorio, anche attraverso una gestione più privatistica ed imprenditoriale, ad esempio con società private, ma anche pubblico-private, vocate alla promozione turistica del territorio e a visioni dell’offerta commerciale più attrattive.
    Come ad esempio la istituzione di un biglietto giornaliero che consenta la libera circolazione e il trasporto di biciclette con relativo adeguamento delle carrozze. Inoltre è fondamentale il pieno inserimento nel territorio, con fermate realizzate in punti di facile accessibilità automobilistica con una piena integrazione del servizio di trasporto pubblico su gomma , che deve essere riorganizzato avendo come asse portante la ferrovia in una visione complessiva di rete integrata, e per questo occorre la collaborazione degli enti pubblici, a partire da Regione e Province.
    Inoltre pure è fondamentale sottolineare come la tratta trasformata in un vero e proprio servizio turistico può garantire la implementazione di possibili formule diversificate, che si adattano al territorio circostante ( degustazioni a bordo e nelle stazioni, escursioni nei luoghi attraversati, rievocazioni di storie e momenti delle epoche “gloriose” della linea ferroviaria, vagoni multimediali e sensoriali che raccontano la flora e la fauna ed altro ancora). La scommessa è quella di dimostrare come è possibile, con forme innovative di gestione realizzate da partner privati , il riutilizzo delle ferrovie a scarso traffico, che percorrono zone rimaste fondamentalmente estranee a fenomeni di urbanizzazione e industrializzazione, rivestendo per questo un sostanziale ruolo naturalistico.
    Luca Battista – Amici della Terra Irpinia

  120. 256 avellinorocchetta 01/09/2023 alle 4:59 PM

    Avellino – Rocchetta: il viaggio di Maria Giulia verso casa, a bordo del treno del paesaggio
    Avellino – Rocchetta: il viaggio di Maria Giulia verso casa, a bordo del treno del paesaggio
    Immaginate un treno d’altri tempi che corre lungo un binario che attraversa 118 chilometri di storia. Immaginate, ancora, una giovane a bordo di quel treno che osserva, con sguardo acuto, la sua terra trasformarsi, con lenta e spontanea sensualità, sotto i suoi occhi. Gli occhi di una giovane urbanista, laureanda a Roma Tre, impegnata in un lavoro di ricerca per la valorizzazione della ferrovia storica d’Irpinia: «Io stessa non conoscevo il mio territorio e le sue bellezze perché, semplicemente, tutto questo non ha ancora imparato a parlare di sé. Ma le potenzialità ci sono: basta avere la costanza di svilupparle»

    SETTEMBRE 2017 di Giulia D’Argenio

    Immaginate un treno d’altri tempi che corre lungo un binario attraverso 118 chilometri di storia. La nostra storia. Immaginate il paesaggio che scorre sullo sfondo, mutevole come la pellicola di un film muto. Lento e muto.
    I vagoni partono lasciandosi alle spalle l’eleganza delle vigne della Valle del Sabato e arrivano, solcando le Valli dell’Ofanto e del Calore, alle distese di grano che diradano verso la Puglia. Nel mezzo, un’altalena di colori oscillante lungo un filo cromatico che va dal verde brillante dei castagni di Montella e del lago di Conza, alle tinte arse di Cairano – che si diverte a giocare a nascondino col viaggiatore – e del presepe di Calitri – che avvolge lo sguardo di chi l’osserva e – seppur immobile sulla parete rocciosa della sua collina – l’illude di muoversi con lui.
    Immaginate, infine, che su quell’altalena sia seduta una ragazza. Una giovane in viaggio di ritorno verso casa che, a bordo del treno, lento e muto, del paesaggio, osserva con occhi vivi e acuti questa sorta di cartolina, profumata di terra e di ricordi, mentre si trasforma con placida e spontanea sensualità.

    «Il mio intento è interpretare questa nostra cartolina per comprendere e, quindi, raccontare quel che c’è tra il binario e le comunità che costeggiano i 118 km di una linea ferroviaria che è anche un esempio di architettura industriale di altissimo pregio, tanto più se calata nel tempo storico in cui fu realizzata: la fine dell’Ottocento». Maria Giulia Contarino ha 26 anni: è di Avellino, ma studia Progettazione Urbanistica all’Università degli Studi Roma Tre. Il suo viaggio di studio e di ricerca, accademica e personale, lungo il binario dell’Avellino – Rocchetta Sant’Antonio ha inizio oltre un anno fa.

    «Dopo tanto lavoro su Roma e sul suo patrimonio urbanistico, al momento di mettermi all’opera per la tesi di laurea ho sentito forte il desiderio di ritornare, in qualche modo, alla mia terra d’origine, indagando il suo più grande valore: il paesaggio. Non sapendo da dove cominciare, ho scelto come filo conduttore la ferrovia storica che da Avellino arriva fino in Puglia, limitandomi, ovviamente, alla parte irpina della tratta. E, viaggiando lungo quel binario, mi sono resa conto di quanto io stessa non conoscessi l’Irpinia: una terra che non sa parlare di sé. Non ancora».

    Quando Maria Giulia ha cominciato a raccogliere gli elementi per una trama organica da sottoporre alla sua commissione di laurea, si è ritrovata ad imbastire il canovaccio di una narrazione che era al contempo diario personale di bordo e racconto di sé all’altro. «Il mio relatore è un paesaggista: quando gli ho sottoposto l’area geografica sulla quale avrei poi focalizzato la mia indagine, mi ha esplicitamente richiesto di costruire una cornice di riferimento che permettesse al resto della commissione di collocarla nello spazio, essendo completamente ignota. La sorpresa è arrivata al momento di visionare le prime immagini dei luoghi: è rimasto incredibilmente colpito dalla bellezza dei passaggi e non riusciva a spiegarsi come tanta bellezza potesse essere sostanzialmente sconosciuta ai più».

    Persino agli addetti ai lavori. Da quel momento, Maria Giulia, con una cadenza sempre più costante a partire da questa primavera, ha cominciato a risalire la tratta, pur con tutte le difficoltà connesse alla sua assoluta impraticabilità in alcuni punti, decisa a ricostruire minuziosamente la composizione del territorio circostante: da quello che c’è sotto, ed è invisibile agli occhi di chi guarda, a tutto ciò che lo sovrasta, con una particolare attenzione alla flora che accompagna il viaggio del treno storico che taglia il paesaggio della terra di mezzo, nel cuore baricentrico del Sud e degli Appennini.

    «La vegetazione rientra a pieno titolo tra gli elementi identificativi di un paesaggio che, nel caso della ferrovia che va da Avellino a Rocchetta, muta costantemente. Si tratta di uno degli elementi caratterizzanti di un percorso che, malgrado la sua notevole estensione, non è mai uguale a se stesso, in ragione della direttrice da esso seguita. La linea, infatti, attraversa in maniera longitudinale questa parte di Paese, andando praticamente dal Tirreno all’Adriatico, e viceversa. Lungo la tratta, ci sono delle forti variazioni di altitudine, con un picco massimo nel territorio di Nusco, ma pure laddove – e in diversi punti del tracciato è possibile riscontrarlo – l’altezza dal livello mare è la medesima, il paesaggio è, al contrario, completamente diverso: da un lato, magari, ci sono le montagne e i castagni, dall’altro le pale eoliche e le distese di grano».

    Questo, in un progetto di mobilità dolce, volto alla creazione di un circuito di economia turistica, rappresenta un notevole punto di forza. Ma la bellezza, in sé, non è sufficiente a creare valore, nel senso materiale, umano e culturale del termine. «L’investimento per la riapertura dei tratti di ferrovia oggi percorribili a bordo del treno storico deve essere stato notevole, viste le condizioni in cui versa la prima parte del tracciato. Questo rende ancor più necessario lavorare per inserire l’Avellino-Rocchetta in un sistema territoriale integrato, che la sleghi dalla contingenza dei singoli eventi, mettendone in risalto il valore storico e, soprattutto, paesaggistico». Sforzo che, come il racconto di Maria Giulia palesemente dimostra, ha bisogno non solo di appassionata buona volontà e di nostalgica tenacia, ma anche, e soprattutto, di notevole competenza. La stessa di tanti giovani che continuano ad essere messi ai margini da una terra ostinatamente schiava delle sue logiche, vecchie e lente. Molto più lente dei treni che viaggiano sui binari della sua storia.

    «Il limite più grande che ho potuto percepire nel corso dei miei sopralluoghi e, più in generale, durante le mie ricerche, è la scarsa consapevolezza, in primis dei decisori pubblici. Un altro problema risiede nel difetto di comunicazione, tra la ferrovia e il territorio e tra gli attori territoriali, a partire dai comuni che la costeggiano». Ed è questo il cuore dell’analisi della giovane urbanista-paesaggista: la costruzione di un legame tra la ferrovia e il mondo che la circonda, con interventi sull’ambiente circostante che, senza essere invasivi, creino armonici invasi di comunicazione tra le due parti.

    «Prendiamo il banalissimo esempio della fermata di Monticchio, prevista lungo il percorso dei tre giorni di agosto in cui la ferrovia ha funzionato. Non si può far sostare il viaggiatore in un punto dal quale non si vede praticamente nulla, a meno che non si voglia legare il nome di quella stazione al tratto identificativo del paese corrispondente: l’acqua, la quale potrebbe, ad esempio, giustificare una visita ai rinomati laghi, permettendo al turista di fissare quel posto nella memoria. A ciò aggiungendo la necessità, lì come altrove, di un’armonizzazione della vegetazione che avvolge il binario per conferire maggiore godibilità alla flora e, dunque, al paesaggio nel suo insieme. Infine, il grande nodo dei collegamenti, fisici, tra la ferrovia e i suoi comuni, alcuni distanti anche chilometri dalle stazioni. Come si può pensare che la mobilità dolce dell’Avellino-Rocchetta attragga turisti verso i borghi dell’Alta Irpinia, se questi non sono facilmente raggiungibili nemmeno in grandi occasioni come lo Sponz Fest? Il turismo, ai tempi della velocità, richiede organizzazione di servizi che io ho notato essere, ancora, molto carenti».

    Insomma, è tutto un gioco di organizzazione, percezione e racconto della realtà. E di come, soprattutto, l’Irpinia dovrebbe imparare a raccontare se stessa. «La narrazione di un territorio si costruisce anche a partire dalla percezione del suo paesaggio: l’esaltazione dei suoi elementi più suggestivi, aiuta a produrre nel viaggiatore sensazioni e impressioni che lo indurranno, magari, ad approfondire la conoscenza dei luoghi e, forse, a farvi addirittura ritorno. Tale narrazione ha bisogno di parole ma non solo: anche di tante attenzioni non immediatamente percepibili. Il tempo ideale, ad esempio, per viaggiare lungo la ferrovia storica irpina, sarebbe la primavera: per il clima, ma anche per i colori sgargianti del paesaggio. O ancora, un altro esempio utile in tal senso è il modo in cui il treno potrebbe costeggiare il lago di Conza: molto lentamente, aiutando l’osservatore a godere, fino in fondo, della bellezza di uno scenario, la cui prospettiva muta totalmente una volta superata la galleria. Ma, attenzione, le suggestioni visive, da sole, sono altrettanto insufficienti: il treno del paesaggio, infatti, non ha parole per parlare di sé, della propria storia e della terra che, attraversando, incide fin nel suo ventre. È per questo che sui suoi vagoni ci sarebbe bisogno di voci narranti che, in qualche modo, aiutino il viaggiatore a leggere e comprendere ciò che lo avvolge, quel che intorno a lui si sta “muovendo”. Ovviamente, sono consapevole che la costruzione di un sistema territoriale, di promozione e tutela del paesaggio, è un processo graduale, dagli esiti imprevedibili. È necessaria prudenza ma anche costanza: la costanza necessaria a resettare e ripartire ogni qual volta ci si dovesse render conto di aver sbagliato strategia, senza pensare di aver fallito. Ogni strategia, del resto, è in sé fondata sul dubbio e, in quanto tale, per la sua attuazione ha bisogno di tempo. Ma non bisogna demordere: questo è il momento giusto per partire e iniziare a lavorare. Il treno ha aperto la strada» e l’entusiasmo di Maria Giulia ci ha aiutato a percorrerla.

    Lo ha fatto con una competenza e una passione inattese. Una capacità di osservazione che a chi stancamente guarda oramai questo orizzonte, decisamente assuefatto alla sua bellezza, non riesce neanche più a coglierne i particolari. Ecco perché l’Irpinia ha bisogno di occhi nuovi: gli occhi dei suoi giovani. Soprattutto di quei giovani che hanno visto il mondo e che fanno ritorno per guardare, attraverso le loro inedite lenti, il film, lento e muto, di una terra in cerca di speranza. Gli occhi freschi ed entusiasti dei ritorni.

    E allora: bentornata a casa Maria Giulia.

  121. 257 avellinorocchetta 06/09/2023 alle 8:52 am

    L’Avellino – Ponte Santa Venere è una rivelazione del medio evo in mezzo al mondo moderno, scriveva Giustino Fortunato in occasione dell’inaugurazione della tratta ferroviaria irpina. La ferrovia, costruita su progetto esecutivo della Società delle Strade Ferrate del Mediterraneo, venne inaugurata per intero il 27 ottobre 1895; lunga 120 km, attraversava un territorio assai impervio, con una complessa orografia, dal profilo altimetrico variabile tra i 302 metri s.l.m di Avellino, ai 672 metri s.l.m. di Nusco fino a scendere ai 217 di Rocchetta Sant’Antonio. La strada ferrata attraversa tre vallate fluviali, quelle del Sabato, del Calore e dell’Ofanto, e conta, oltre a numerose gallerie, 58 tra ponti e viadotti, una quindicina in muratura e la maggior parte in acciaio. Tra questi spicca, senza dubbio, quello che per la sua maestosità è comunemente chiamato Ponte Principe,situato tra le stazione di Lapio (km 20+782) e Taurasi (km 22+326). L’opera, considerata all’epoca un trionfo del progresso, fu costruita dalla Società Industriale Italiana Costruzioni Metalliche. È composta da tre travate in acciaio lunghe 98 metri e alte 10 metri, poggiate su spallette e pilastri intermedi alti 35 metri. I binari corrono a metà altezza delle travate. Oggi è un’opera ancora mirabile, degna dell’attenzione di studiosi e cultori della storia e tecnica ferroviaria. Fu inaugurata il 27 ottobre 1893 assieme ai 28km del secondo tratto della ferrovia, da Avellino a Paternopoli. Dopo il secondo conflitto mondiale a causa di bombardamenti venne sostituita una testa di ponte in entrata con una travata metallica di 17 metri. Il Ponte Principe è una delle numerose opere d’arte della ferrovia turistica Avellino – Rocchetta Sant’Antonio, riconosciuta bene culturale con provvedimento approvato nel
    dicembre 2016.

  122. 261 avellinorocchetta 22/09/2023 alle 8:42 PM

    SE UNA NOTTE D’INVERNO UN VIAGGIATORE…DECIDESSE DI VOLER SCOPRIRE L’IRPINIA
    (visioni di un futuro possibile per l’alta irpinia attraverso il recupero della tratta ferroviaria Avellino – Rocchetta Sant’Antonio).

    Nell’ambito di un ragionamento complessivo di sviluppo, necessario per le terre irpine, la proposta che segue è solo un frammento di ciò che vorremmo intendere come progetto di sviluppo.
    Nata già da tempo l’attenzione nei confronti della strada ferrata Avellino-Rocchetta Sant’Antonio, sì è consolidata ed ha incontrato l’interesse di associazioni, singoli amatori, professionisti ed ultimamente anche enti.
    La storia dell’Avellino – Rocchetta si ferma quasi all’indomani della sua inaugurazione, non per un non funzionamento ma per una mancata promessa di sviluppo, per la quale era nata. Strana la sua storia, fondi investiti, gente sacrificata, grandi lavori strutturali per una infrastruttura che avrebbe dovuto rendere l’alta irpinia terra di grande sviluppo e ponte tra il tirreno e l’adriatico.
    Mai forse fu realmente investita di questo ruolo, surclassata quasi subito dal trasporto su ruote.
    Oggi si parla della strada ferrata come di un ramo secco…e il dilemma è se lasciarla lì o dismetterla e l’unico discrimine è solo, eventualmente, la convenienza o meno di una dismissione.
    Le persone che hanno potuto studiare e vivere questa tratta ferroviaria insieme a coloro che abitano i comuni attraversati dalla stessa pensano invece che sia un peccato, l’ennesimo “treno perso”, non concedere a questa ferrovia di tornare ad avere…o forse di iniziare realmente ad avere un ruolo nello sviluppo di una porzione importante della nostra provincia.
    La cartografia che ci restituisce lo studio preliminare del PTCP fa evincere facilmente la spaccatura netta della provincia in 2, il territorio che gravita attorno al capoluogo di provincia fino ai paesi di Castelvetere, Castelfranci e limitrofi da nord a sud, e tutto ciò che da questi arriva fino alle terre di Lucania e di Puglia. Questa seconda parte è fortemente carente di infrastrutture e servizi, ma potenzialmente gravida di risorse da sfruttare.
    Grandi risorse dal punto di vista paesaggistico (Parco Regionale dei Monti Picentini), naturalistico (l‘Oasi WWF di Conza della Campania), artistico-architettonico (tutti i paesi, essendo arroccati hanno facilmente conservato il loro centro storico, il castello o la chiesa madre; esistono conventi di spettacolare interesse come l‘Abbazia del Goleto, già meta di un ottimo turismo), e più generalmente culturale (consideriamo i diversi eventi enogastronomici che contraddistinguono la nostra provincia, basati sulle forti e consolidate tradizione agricole, sulle produzioni di eccellenza come quella dei vini D.O.C. e D.O.C.G. di cui questa terra è fertile madre) sono presenti assieme a poli industriali anche essi di eccellenza (la Ferrero a Sant’Angelo dei Lombardi, l’ Ema che di occupa di microfusioni aereospaziali e la GeosLab per la produzione di ricognizioni aerofotogrammetrie nel comune di Morra De Danctis, o la Desmon che si occupa a livello mondiale di refrigerazione industriale nell‘area industriale di Nusco, come la Targetti Sankey, l’HolzbauSud che si occupa di componenti in legno anche essa a livello internazionale, con tutta la filliera delle fornaci per la produzione di elementi in laterizio, nel plesso di Calitri).
    La combinazione di cultura intesa in senso lato, risorse naturali ed opportunità industriali fanno di questi luoghi i candidati ideali di progetti da sottoporre al vaglio della comunità europea come finanziabili. Progetti Integrati nell’abito di una progettazione e conservazione urbana integrata e partecipata che non è fatta di tutti quei microprogetti disgiunti gli uni dagli altri che nella passata stagione 2000-2006 hanno visto anche questa provincia bagnata da una pioggia di finanziamenti che essendo però indirizzati in modo scollato gli uni dagli altri, non essendo parti di un ragionamento complessivo non sono riusciti, benchè validi, a produrre alcun tipo di sviluppo.
    Quello che ora si chiede è un ennesimo “Fate Presto” che ricorda tanto l’indomani dell’evento sismico che sconvolse questa provincia e che molti di noi 20-30 enni non hanno vissuto propriamente ma che in maniera devastante vivono oggi…come conseguenza di errori di ieri. Questa provincia ha bisogno di una buona politica territoriale che riporti qui o almeno tenti di frenare l’emorragia violenta di generazioni giovani e meno giovani che non vedono non solo un lavoro hic et nunc, ma una speranza di vita.
    Bene, in questo ragionamento l’Avellino-Rocchetta Sant’Antonio diventa essenziale, l’intenzione del suo recupero diviene il mezzo o uno dei mezzi per il fine ultimo di un adeguato sviluppo. Ora è il tempo di questo sviluppo. Uno sviluppo, si badi bene, non consegnato solo ed esclusivamente nelle mani di una retorica valorizzazione di tradizioni agricole ed enogastronomiche e al turismo che da essa consegue, o al contrario al solo sviluppo industriale, ma in maniera integrata all’insieme di queste risorse, alla valorizzazione di quelle eccellenze già esistenti e al potenziamento di quelle che potrebbero diventare eccellenze. In questo la strada ferrata integrata con trasporti su gomma, può e deve essere la cucitura tra queste potenzialità. Si aggiunge a questo il riammagliamento della provincia alle realtà universitarie oggi raggiungibili, da queste terre, in tempi biblici o il collegamento a quella che sarà la metropolitana veloce e l’Alta velocità. Insomma ci sono tutte le condizioni perché la speranza possa efficacemente diventare progetto e questo realizzazione di sviluppo, se un’accorta politica riesce a ricevere gli imput che questa terra cerca di inviare.

    Da qui cominciamo per step a rivitalizzare quella parte di progetto, quel mezzo importante che è la ferrovia che da Avellino, città capoluogo, attraversando l’intero presepe irpino giunge in quel di Rocchetta Sant’Antonio. Attualmente le corse sono limitatissime, il primo treno parte da Avellino alle 6:40 del mattino e ci impiega circa un’ora e mezzo per giungere a Rocchetta, ha poi poche altre corse durante la giornata che non riescono ad essere competitive rispetto ai trasporti privati su gomma che compiono esattamente lo stesso tragitto, visto che costeggiano la ferrovia in quasi tutta la sua tratta. Il sabato le corse sono quasi dimezzate e la domenica così come in tutti i festivi e nel periodo estivo è completamente sospesa(esiste il treno che partendo da Avellino arriva a Rocchetta, ma non compie nessuna fermata durante il tragitto)…non cercando neanche di essere competitiva in quei momenti in cui un turista, potendo, decide di visitare queste terre. Il progetto a cui aspiriamo è più grande e complesso ma già cominciare a fornire un servizio alternativo, ecologico ed economico al turismo avellinese è un inizio importante.
    L’idea è quella di :
    ripristinare la tratta Lioni-Calitri (il treno nella stazione di Calitri-Pescopagano non fa fermata);
    aumentare il numero delle corse il sabato favorendo l’utilizzo del treno a tutti quei turisti che visitano i paesi dell’alta irpinia come Bagnoli Irpino ed il Laceno, magari in comunione con i comuni stessi, mettendo a disposizione anche un servizio di navetta che porti i passeggeri dalla stazione, spesso a valle dei paesi, fino al paese stesso);
    Ripristinare il treno della domenica in prima battuta per poi giungere al ripristino delle corse durante tutta l’estate ed i festivi.

    Questo è solo un piccolo passo. Attorno a questa proposta, benchè piccola e limitata, potrebbero nascerne altre complementari per un servizio turistico più complessivo. Si potrebbe pensare di organizzare assieme ad alcuni comuni della tratta, alle pro-loco dei comuni stessi, in collaborazione con i punti di ristoro, coadiuvati da servizi navetta, un tour in 2 giornate che preveda la visita ai centri storici, alle abbazie, presso le aziende vitivinicole di eccellenza, pernottando alla fine della tratta presso i Bed&breakfast esistenti a Calitri.
    Tutto questo va sicuramente concertato con gli enti comunali, con i quali si auspica a breve un incontro che possa essere proficuo nell’interesse di chi ama questo territorio e di chi in questo territorio vive e lavora.

  123. 262 avellinorocchetta 05/10/2023 alle 3:05 PM

    buonasera, grazie per il vostro interessamento in relazione a questo “carrozzone” (visto che si tratta di ferrovia) chiamato Avellino/Rocchetta, una tratta storica vincolata dal Ministero ai sensi della LEGGE 9 agosto 2017, n. 128 – “Disposizioni per l’istituzione di ferrovie turistiche mediante il reimpiego di linee in disuso o in corso di dismissione situate in aree di particolare pregio naturalistico o archeologico”.
    Parliamo di un bene culturale, qualcosa che è stato vincolato ed è tutelato in quanto I tracciati ferroviari, le stazioni individuate come luogo di fermata, le opere d’arte delle tratte ferroviarie nonche’ le relative pertinenze possono essere utilizzati e valorizzati per le finalita’ della presente legge.
    Sono definiti “Beni culturali” le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà (art. 2, comma 2, del D.Lgs. 42/2004, “Codice dei beni culturali”)
    Tutto ciò detto giusto per chiarire che stiamo parlando di un monumento. Si, l’Avellino/Rocchetta è un monumento e mi viene da dire uno dei pochi che ci resta in Irpinia, qualcosa da far conoscere e valorizzare e da difendere a spada tratta come è stato fatto da tanti appassionati, ma anche no, che dal 2009 si sono spaccati in quattro, prima per salvare fisicamente il tracciato e dopo per provare a dare nuova vita a “qualcosa” che rappresenta un pezzo di storia dell’Irpinia. Conoscete l’Irpinia? Io penso di si, altrimenti veramente sto buttando il mio tempo a scrivere questo post, quindi sapete come siamo bravi in Irpinia ad essere divisi e disfattisti piuttosto che a far quadrato intorno a ciò che di bello ci resta da valorizzare e mostrare con orgoglio all’esterno. Un territorio straordinario ma fragile, sfruttato, abusato, violentato, denigrato, distrutto e abbandonato ma in cui migliaia e migliaia di persone vengono per gli eventi, le manifestazioni, le sagre, le feste, i concerti che si svolgono ovunque e in ogni stagione dell’anno, organizzati e gestiti da tante persone che nemmeno sono Irpine e alle quali va il mio più sentito GRAZIE per questo amore viscerale e incondizionato.
    L’Irpinia non è solo Avellino, anzi forse è ben altro. La frustrazione di non avere in città una stazione servita da treni che vadano ovunque e sentirsi menomati per questo è, a mio avviso, un aspetto molto soggettivo. Atteso che così non fosse verrebbe da chiedersi quanti siano disposti a far uso del treno per i propri spostamenti, capire quale possa essere l’analisi costi benefici per attuare simili strategie.
    Il territorio avrà presto una sua stazione dell’Alta Velocità e da quella stazione si raggiungerà Napoli in un ora e Roma in due e la scelta di Grottaminarda come territorio in cui realizzarla non poteva essere più azzeccata per dare respiro e opportunità anche a chi si trova in posizione diversa rispetto al capoluogo.
    Tornando al “carrozzone” il riferimento legislativo l’ho indicato, se qualcuno avesse voglia di approfondire può leggere i pochi articoli della Legge per avere le idee più chiare di cosa si parla. Per il resto dei numeri non saprei che dirvi, rivolgetevi alla Regione Campania, a Fondazione FS, che è venuta in questo territorio ed ha creduto (e crede) in questo progetto.
    Se poi qualcuno avesse voglia di metterci piede su quel treno basta acquistare il biglietto e salirci ma non perdete tempo perché spesso i 138 posti a bordo si esauriscono immediatamente.
    Ivano

  124. 263 avellinorocchetta 17/10/2023 alle 8:45 am

    video avellino rocchetta speranza paolo

  125. 265 avellinorocchetta 24/10/2023 alle 8:54 am

    AMICIDELLAFERROVIAAVELLINOROCCHETTA
    COMUNICATO STAMPA
    Il gruppo nato su facebook fa rinascere la tratta ferroviaria
    Già pronte le prime corse turistiche
    Si sono costituiti come gruppo su facebook per difendere la memoria di una tratta ferroviaria destinata a diventare un binario morto ed oggi, a distanza pochi mesi possono già festeggiare un risultato importantissimo. Gli amici della Ferrovia Avellino Rocchetta hanno ottenuto di poter gestire alcune corse turistiche che saranno inserite nell´orario invernale di Trenitalia in vigore dal prossimo 13 dicembre dimostrando un paradigma: quando il virtuale è mezzo per modificare il reale allora diviene “servizio”.
    Il viaggio inizierà il 31 ottobre, con una due-giorni dedicata alla manifestazione organizzata in occasione della raccolta delle castagne a Bagnoli Irpino, dove si terrà appunto la Sagra della Castagna. Si partirà, così, da Avellino, in mattinata, raggiungendo Bagnoli. Qui è prevista una serie di escursioni, organizzate appositamente per chi vorrà prenotare il viaggio in treno. Si continuerà visitando la Sagra per poi ritornare, in serata, di nuovo in treno, ad Avellino.
    Questo evento terrà a battesimo un intero calendario che verrà presentato entro il 30 ottobre all´ACAM per l´approvazione definitiva. L´intero progetto e il gruppo, si propongono di porre l´attenzione non solo su un elemento del paesaggio irpino che va salvaguardato ma attraverso di esso, simbolicamente e praticamente di accendere un faro sulla realtà dell´irpinia d´oriente e della provincia avellinese tutta affinchè ci si renda conto delle potenzialità in dote a questa terra e della possibilità che, facendo rete, sistema tra tutte le risorse e le infrastrutture, questa provincia possa finalmente cominciare un percorso di progresso, di rinnovamento e di speranza per tutti i suoi figli.
    Amici dell´Avellino- Rocchetta, storia di una passsione
    Dalla passione di un ex-ferroviere e l´entusiasmo di un gruppo di persone amanti del proprio territorio nasceva, qualche mese fa, attraverso Facebook, un gruppo, “amici della linea ferroviaria Avellino-Rocchetta Sant´Antonio”. Il primo incontro reale dei membri del gruppo si è tenuto il primo settembre, in occasione della riapertura della strada ferrata dopo il periodo di chiusura festivo, ed è stato occasione di un vero e proprio brain-storming, durante il quale ognuno ha potuto esprimere sia il rammarico per l´abbandono dell´uso della ferrovia sia l´entusiasmo affinchè la stessa potesse riottenere la dignità meritata.
    L´Avellino-Rocchetta Sant´Antonio è divenuta una sfida, così come lo fu nei lontani anni della fine dell´ottocento per Francesco De Sanctis e per gli abitanti di tutti i paesi da essa attraversata.
    Dal primo settembre, il gruppo non ha smesso mai di incontrarsi e di programmare, di progettare un futuro per la ferrovia. Durante il percorso ha incontrato una moltitudine di persone entusiaste parimenti dei progetti sulla ferrovia, tra queste la Dott.ssa Anna Donati, Direttore generale dell´ACAM (Agenzia Campana per la Mobilità Sostenibile), resasi disponibile ad un incontro durante il quale, ascoltati i progetti proposti dal gruppo, assieme a dirigenti di RFI e Trenitalia , ha deciso di accogliere alcune richieste di rimodulazione dell´orario sulla tratta Avellino-Rocchetta.
    Tale rimodulazione sottintende un progetto di valorizzazione della ferrovia come mezzo turistico per la conoscenza del territorio irpino. Così, il gruppo, capeggiato inizialmente da Pietro Mitrione, ex funzionario delle FS e rappresentante CGIL, ma affiancato nel corso da associazioni (come Amici della Terra, DonneinCampo, Rosso Fisso, Terre di mezzo, Legambiente ed altre), da società di servizi turistici (come IrpiniaTurismo) e da singoli amatori e liberi professionisti, ha progettato e programmato una serie di eventi che si svolgeranno durante l´anno 2009-2010, a cominciare da ottobre per finire, per questo primo anno, a giugno. Questi eventi mirano alla conoscenza della tratta, che è poi scoperta dei territori irpini, e delle possibilità culturali, paesistiche ed enogastronomiche che la nostra terra ci offre.
    Il viaggio in treno sarà organizzato come una continua scoperta delle terre d´Irpinia, il treno stesso sarà occasione di eventi che si svolgeranno nelle carrozze durate il viaggio. Verranno presentate associazioni operanti in modo virtuoso nel territorio, aziende e prodotti del territorio stesso, artisti irpini.
    ottobre 2009

  126. 267 avellinorocchetta 30/10/2023 alle 9:35 PM

    avellino Bagnoli irp 29 ottobre 2023

  127. 276 avellinorocchetta 30/10/2023 alle 9:59 PM


    arrivo avellino treno storico 29 0tt 2023

  128. 278 avellinorocchetta 01/11/2023 alle 6:28 PM

    ” grr.. gr…e’ in partenza dal binario 3 il treno turistico per Bagnoli… gruh gr”
    Sabato 31 e domenica 1 novembre, dopo circa quindici anni di silenzio sulle rotaie e di deserto nelle stazioni, è ripartito un treno festivo e pre-festivo, sulla coinvolgente (paesaggisticamente parlando) linea ferroviaria della Avellino-Rocchetta Sant’Antonio, inaugurata nel 1895. E che solca valli, canaloni, montagne di quella Irpinia più intrisa di valori naturalistici ed ambientali, oltre che agricoli, ma anche di triste svuotamento dei borghi e delle campagne.

    Ci sarà dal 13 dicembre e fino al 30 giugno nell’orario ufficiale di Trenitalia, che ne ha addirittura data ampia evidenza sul suo sito ufficiale. Un pò mi sono emozionato, quando domenica , ad esempio, alle 8,30 dagli altoparlanti della stazione di Avellino si annunciava ” ….è in partenza dal binario 3 il treno turistico per Bagnoli ..”. Ed è stata una carica di fiducia, vedere la faccia del capotreno, a Bagnoli Irpino, alle 18,30 della stessa domenica, in una stazione malandata ed abbondonata, vedere 115 persone che salivano sulle due carrozze riempendole con bambini festanti, anziani loquaci, giovani sorridenti (sì pure una quindicina di ragazzi , che non hanno detto : “.. eh sì mò ci svegliamo alle otto per prendere un treno.”).

    Il treno porta con sé la magia dell’eterno partire, dell’eterno andare, della necessità di vedere sempre altri luoghi, la magia dell’attesa di come si svolgerà un ‘ora della tua vita una volta a destinazione.

    La forza delle idee e della passione, si è tramutata in una azione concreta di progetto, programmazione, previsione, che ha accumunato persone speciali. Si, donne ed uomini speciali per questa Irpinia, che credono in un modo altro, di stare al mondo e di stare in questo paesaggio, in questa Irpinia. Pietro, Agostino, Mimma, Giovanni, PaolaMaria, Flaviano, Fiorella, Valentina sono persone che ci hanno creduto in un progetto, che hanno lavorato in una rete costruita anche grazie alla potenza del web. Ecco senza finanziamenti pubblici, ma valutando la disponibilità a pagare di quanti non vogliono stare beceramente inermi davanti alla tv, il treno si è di nuovo riempito. Certo i tempi mutano, cambiano le sensibilità, i livelli dirigenziali dell’ACAM e della Regione Campania, sanno cosa vuol dire ad esempio “Slow mobility” , e decidono di riconfigurare orari e tempi dei treni regionali, nel contratto con TreniItalia, anche rimettendoci, da un punto di vista prettamente economico. Ma la qualità della vita e la ricchezza di un territorio, ormai si è capito mica si misura solo in termini di PIL.
    ottobre 2009
    luca battista

  129. 280 avellinorocchetta 10/11/2023 alle 8:56 am

    Tutto si trasforma, e qui la trasformazione è lenta. Si animi Monticchio, venga la ferrovia, e in piccol numero d’anni si farà il lavoro di secoli. L’industria, il commercio, l’agricoltura saranno i motori di questa trasformazione. VEDREMO MIRACOLI. PERCHE’ QUI GL’INGEGNI SONO VIVI E LE TEMPRE”
    Dal Viaggio elettorale
    Francesco De Sanctis

  130. 281 avellinorocchetta 10/11/2023 alle 8:58 am

    Le case cantoniere della ferrovia Avellino Rocchetta.
    Lontano dai centri abitati dei paesi dell’alta Irpinia vivevano tante piccole comunità.
    Orto
    Pozzo
    Forno
    Focolare
    Provate ad immaginare come si viveva allora, quando la ferrovia era l’unico mezzo di trasporto, con gli occhi di oggi.
    La ferrovia è molto più di un mezzo di trasporto. È stata il collante di sviluppo di regioni emarginate, è stata il primo passo verso la modernità, è stata un’intelligente applicazione ecologica per il movimento collettivo delle merci e delle persone. Di fronte alle chiusure un tempo si reagiva con grandi manifestazioni che chiamavano a corteo intere cittadinanze, sindaci in testa, proteste e articoli di giornali a fiotti. Oggi quasi non se ne parla. Soprattutto pochi reagiscono, a parte qualche associazione di appassionati. C’è rassegnazione o, peggio, indifferenza, pericolo ancora più grave, come soleva dire Antonio Gramsci che gli indifferenti alle cose proprio non li sopportava. E chi ha in potere di fare e disfare agisce indisturbato. Per lo più disfa un patrimonio di strade ferrate costruito con acume e lungimiranza dalle nostre generazioni passate..

  131. 284 avellinorocchetta 23/11/2023 alle 9:52 am

    https://us.docs.wps.com/l/sAJmYMCHs4-wjgPbFqqadFA?v=v2
    23 novembre 1980

    Con immutata riconoscenza per i miei amici toscani…..furono i primi ad arrivare ad Avellino.
    Il primo gesto di solidarietà vissuto nella stazione di Rignano sull’Arno durante quella tragica notte del 23 novembre 1980.
    Vi raggiunga il mio abbraccio

    23 novembre 1980
    Da qualche anno vivevo in Toscana per la precisione a Le Sieci, piccola frazione di Pontassieve in provincia di Firenze. Prestavo servizio nella stazione ferroviaria di Rignano sull’Arno, distante una ventina di km dalla mia residenza toscana. Ogni turno di servizio era così cadenzato: pomeriggio, mattina/notte indi riposo e poi di nuovo pomeriggio/mattino notte. Compatibilmente con gli orari mi recavo a lavoro in treno o in auto, rigorosamente targata AV. Era un continuo vivere fra Avellino e Toscana. Il più delle volte restavo da solo ed il resto della famiglia ad Avellino. Era un piacevole sacrificio che comportava continui viaggi di andata e ritorno fra Toscana e Avellino con la prole, tipo bagagli al seguito. Vivevamo senza una precisa identità territoriale un po’ in Toscana ed un pò ad Avellino, “sospesi” fra la voglia di restare e quella di tornare in Irpinia che ……predominava. E’ in questo contesto che si inquadra il mio “ 23 novembre 1980” vissuto a 500km di distanza con moglie e figli. Quella domenica ero di turno mattino 6/14 e poi notturno dalle 22 del 23 alle 06 del 24 nov. Solito rituale: sveglia alle 6, il tempo per preparare il caffè, cercando di non svegliare i bambini, poi in auto da Le Sieci a Pontassieve ed indi in treno per raggiungere Rignano S.A. Scambio di consegne con il collega smontante ed inizio della mia attività di “movimentista”, quella, per intenderci, del cappello rosso di capostazione. Mattinata tranquilla, folla alla biglietteria per il rinnovo degli abbonamenti dei pendolari, intermezzata con qualche sano sfottò sportivo biancoverde vs i viola della Fiorentina, nostra bestia nera. Nelle piccole stazioni si familiarizzava con quelli che oggi si chiamano “clienti”. Era una umanità di tanti lavoratori che usciva la mattina e rientrava nel tardo pomeriggio cui occorreva evitare ogni ritardo ai loro treni. Qualche volta, specialmente sul tardi della serata, quando ero di turno notturno capitava che il buontempone del paese, di nome Diletto, si ricordava della mia passione biancoverde e a squarciagola e con tipica espressione toscane mi gridava da lontano: “…..chi non tifa viola ha la mamma “buaiola”. Dopo tanti mi sembra di ascoltare ancora questo suo affettuoso “abbraccio”. Il pomeriggio del 23 lo trascorro riposando, in attesa di ritornare in stazione per il turno notturno. Come sempre Mirko e Morena vengono tacitati nei loro giochi infantili perché il loro papà doveva “fare la notte”. Un rituale che si è ripetuto, in seguito, per tanti anni e che li ha privati di momenti di svago e tante volte della mia presenza in occasioni di feste tradizionali. Un comune sacrificio che forse è valso per la loro crescita sociale. Così fu anche quel pomeriggio del 23 novembre 1980 trascorso fra riposo, visione della domenica sportiva per televisione e quindi cena.
    Da accanito tifoso dell’Avellino avevo tante volte “usufruito” di accomodamenti del turno di servizio per “scendere giù” ad assistere le partite casalinghe dei lupi. La vittoriosa partita con L’Ascoli per 4 a 2 di quella domenica non mi fu possibile seguire in quanto mia moglie ed i bambini stavano con me a Le Sieci in prospettiva di trascorrere le vacanze natalizie ad Avellino. Fu proprio durante la cena che udii dalla televisione la notizia che in Italia meridionale c’era stata una scossa di terremoto con epicentro nel golfo di Eboli. Immediatamente mia moglie esclamò: chissà cosa è successo ad Avellino. Le risposi: che vuoi che sia sarà una delle solite scosse cui siamo abituati ad avvertire, comunque non ti preoccupare appena arrivo a Rignano telefono a casa. Abitavo in un alloggio sprovvisto di telefono. A fine cena indossai la divisa, salutai i miei e mi avviai alla stazione di Pontassieve per prendere il treno per Rignano. Solita prassi in arrivo alla stazione: scambio delle consegne con il collega smontante ed iniziai il mio turno di servizio. Approfittai di un intervallo di assenza di treni in circolazione per recarmi al bar situato proprio accanto alla stazione e telefonare a casa ad Avellino, erano circa le 21. Il barista Romolo, una carissima e gentile persona, mi attivò subito la linea col telefono a scatti. Iniziai una serie di chiamate ma lo 0825 non si riusciva a comporre. La linea era sempre occupata. Pensai è domenica e le linee sono cariche per cui non mi preoccupai. Rientrai in stazione ed insieme a Carlo Turini, di servizio con me quella notte, iniziammo a svolgere le incombenze che ci competevano. Pulizie della stazione lui e chiusura della contabilità io. Improvvisamente squillò un telefono era quello inconfondibile del Dirigente Centrale di Firenze. Mi chiese: Pietro sei di Avellino? Gli risposi: si ed oggi abbiamo vinto per 4 a 2. Credevo volesse, come spesso accadeva, riprendere il tono sportivo della domenica. Con voce ferma mi disse: Pietro da quelle parti è “battuto” un forte terremoto e non sappiamo nulla di tanti treni fermi in piena linea, dappertutto stanno uscendo i carrelli di soccorso e le comunicazioni telefoniche sono interrotte. Capii subito la gravità della situazione. Scappai di nuovo al bar, ormai prossimo alla chiusura, per telefonare e fare incetta di gettoni telefonici. Questa volta, quasi miracolosamente, rieuscii a parlare con mio padre che mi rassicurò della loro situazione: non ti preoccupare siamo tutti vivi gridò dal telefono ma non riuscì a darmi informazioni circa i familiari di mia moglie che si trovavano a Bagnoli irpino. Verso le 22 dopo diverse comunicazioni con i colleghi che dirigevano le varie tratte della circolazione treni di loro competenza mi riferirono che da Roma a Napoli non si riusciva a comunicare nemmeno con la linea diretta della Dirigenza Centrale. Compresi a quel punto di essere di fronte ad una calamità eccezionale. Nel pieno dello sconforto e con le lacrime agli occhi vidi arrivare in stazione il mio responsabile diretto. Aveva ascoltato per televisione quanto accadeva in Irpinia. La sua presenza mi rassicurò. Fu il primo gesto di concreta solidarietà che ricevevo in quei terribili momenti. Dalla radio, intanto, giungevano ulteriori dettagli della tragedia che vedeva straziata la mia terra di origine. Un senso di impotenza che superai grazie allo affetto del mio capostazione titolare, Bruno Pagliazzi. Insieme concertammo il seguito del lavoro da svolgere in stazione e con grande disponibilità mi chiese di preparare le consegne per dare continuità alla circolazione dei treni. Mi consigliò, quasi paternamente, di non mettermi subito in viaggio in quanto la presenza dei miei due figli al seguito avrebbero potuto costituire un ostacolo per raggiungere Avellino. Ci salutammo con affetto e con l’ultimo treno locale tornai verso casa a Le Sieci. Giunto nella stazione di Pontassieve telefonai ulteriormente a casa dei miei genitori. Dall’altro capo del telefono mio padre mi scongiurava di mettermi in viaggio. Dal suo tono quasi imperioso intuii definitivamente e drammaticamente la tragedia che si stava compiendo. Arrivato a casa trovai sull’uscio mia moglie che impaurita ed in lacrime mi chiese subito notizie di quanto avessi saputo da Avellino. Ricordo la sua disperazione. Fortunatamente i bambini dormivano tranquilli. Restai incollato per tutta la notte alla radio che nominava tanti paesi a me conosciuti che risultavano completamente rasi al suolo. Una angoscia mista ad impotenza mi assalì al punto di sentirmi venir meno. Che fare? Decidemmo di metterci in viaggio. Svegliammo i bambini, prendemmo l’indispensabile per il viaggio e via verso Avellino con la mia Renault 5 tg Ave 132622. I nostri vicini di casa ci salutarono con le lacrime agli occhi. Avevano saputo della tragedia. Imboccata la autostrada la angoscia aumentò in quanto fu un continuo susseguirsi di auto con targhe del SUD Italia, svizzere e tedesche. Erano gli emigranti che anch’essi stavano rientrando nei nostri sperduti paesini della Alta Irpinia e della Basilicata. Da Firenze ad Avellino fu un drammatico sorpassare colonne di mezzi di soccorso sembrava veramente che fossero dirette verso la fine del mondo. I bambini, intanto, vivevano il viaggio con il loro gioioso desiderio di andare dai nonni la qual cosa strideva con la nostra sempre crescente angoscia. Le soste negli autogrill si trasformavano in reciproci sguardi di tristezza con le persone a bordo delle altre auto ferme nei parcheggi. Era un interrogarsi su di una comune necessità di avere informazioni. Ricordo in particolare i pianti disperati di una donna che aveva saputo, purtroppo, della morte di propri cari. Una tristezza infinita ci assaliva man mano che avanzavano verso Avellino. Ci sentivamo come quelle persone cui erano state tenute nascoste fatali verità. Il cartello Avellino, situato all’inizio della nostra città, ci accolse con le macerie di Viale Italia. Interi palazzi sbriciolati, altri danneggiati, strade interrotte e tante ambulanze in giro. A Rione Mazzini ci aspettavano i miei genitori. Fu un incontro struggente che mi sembrò quasi un gesto egoistico in quanto mia moglie ancora non sapeva della sua famiglia a Bagnoli irpino. Provvidenzialmente mio padre Alberico aveva saputo che a Bagnoli non c’erano state vittime per cui ci sentimmo, in parte, tranquillizzati. Lui stesso volle che i bambini ci seguissero nel viaggio verso Bagnoli irpino. Era la dimostrazione che non c’erano state fortunatamente tragedie nelle nostre famiglie. L’arrivo a Bagnoli fu la definitiva liberazione dall’incubo che fino ad allora aleggiava. Nel giardino di famiglia si erano accampati i parenti che intorno ad un fuoco si riparavano dal freddo. L’incontro di Laura con la mamma fu di una tenerezza che ancora oggi mi porta le lacrime agli occhi.
    A distanza di 40 anni sono questi i gesti che restano nella mia mente e nel mio cuore: la solidarietà del mio “capo” Bruno Pagliazzi e l’abbraccio con i nostri genitori.
    Il doposisma dell’80 lo conosciamo tutti con le sue luci e le sue ombre le sue nobiltà e le sue ignominie. Fu a mio avviso l’ultimo atto di vera solidarietà nazionale.
    Fra le luci del mio vissuto brilla quella di Bruno Pagliazzi, il mio capostazione titolare della stazione di Rignano sull’Arno.
    A lui va questo mio ricordo del 23 novembre 2020, ricorrenza del 40° anniversario del sisma dell’Irpinia.
    Ovunque tu sia “capo”…..GRAZIE

  132. 287 avellinorocchetta 27/11/2023 alle 9:30 PM

    Una favola chiamata stazione….

    La mia bambina ha già tre anni, è ora di iniziare una nuova avventura: un viaggio in treno!

    Si parte…con l’automobile perché la stazione di Rocchetta Sant’Antonio non è  solo un edificio, è una vera e propria località , Rocchetta Sant’Antonio Scalo, a 14 chilometri dal paese, e comprende edicola , tabaccaio, scuola, ristoranti.

    Per raggiungerla si percorre una strada faticosa, a curve, in discesa.

    Una volta arrivati, lei, tutta vestita di rosa, scopre incantata un’ampia distesa di binari che corrono in una verde vallata.

    Si diverte saltellando  sulla banchina grigia con le sue scarpe da ginnastica-naturalmente rosa- e compie giravolte attorno alle nere colonne di ghisa.

    All’arrivo del treno, sale un po’ intimorita, ma la scoperta del finestrino l’ affascina e si sporge in braccio alla zia : saluta il papà che ci aspetterà a Lagopesole con l’auto per completare l’itinerario turistico dalla Puglia alla Basilicata.

    Durante il viaggio io le leggo il libro di Poochie, il cane rosa con gli occhiali, e a intervalli regolari beve il the dalla borraccia che la zia ha preparato. Poi osserva dal finestrino ampi panorami fra prati, monti ammantati di boschi e macchie, il viadotto dell’acquedotto pugliese che attraversa la fiumara di Atella e la statale che passa sotto la ferrovia. Vede scorrere centri ricchi di storia e paesaggi aperti della regione del Vulture fino  all’abitato di Castel Lagopesole, dominato dall’imponente Castello, l’ultimo dei manieri costruiti da Federico II e donato poi da Carlo V ai Doria.

    Allora le narro la storia di zio Domenico, macchinista a Lagopesole, che raccontava sempre del Principe Doria, signore del feudo rustico di Lagopesole , di Lacedonia, Candela, Rocchetta…

    Come fosse una favola ricordava la bonifica realizzata dal Principe e i poderi in cui fu diviso il terreno recuperato.

    Alla stazione scendiamo dal treno e il papà ci accompagna in auto fino al Castello, dalla mole massiccia; all’interno la mia bambina scopre il Salone dell’Imperatore, dove le sembra di veder volteggiare nel ballo giovani eleganti principesse. La fa ridere la leggenda del ritratto del Barbarossa con le orecchie d’asino.

    Mentre si siede sulle mura esterne, immagina il Principe, vestito come il Principe azzurro delle favole, che si affaccia dalla finestra a bifora e la guarda. Sorride allora all’obiettivo della macchina fotografica felice per la bella gita.

    Siamo tornati dopo vent’anni alla Stazione di Rocchetta:la strada per arrivarci è in disuso, tutta buche e smottamenti.

    Quando arriviamo al piazzale della Stazione ferroviaria, completamente deserta e in disarmo, mi sorprendo a pensare a uno scenario da Far West, abbandonato dopo le riprese dell’ennesimo western.

    Sono così triste che non oso entrare a vedere in che stato sia la scritta ROCCHETTA S .A., sotto cui una bambina bionda vestita di rosa aspettava il suo primo tre

    di Angela Nagari

    Associazione Culturale LiberaMente Giambattista Assanti amici indignati della linea ferroviaria Avellino-Rocchetta Pietro Mitrione

  133. 288 avellinorocchetta 27/11/2023 alle 10:35 PM

    Gruppo dell’Associazione In_Loco_Motivi, nata per la difesa della Linea Ferroviaria Avellino Rocchetta Sant’Antonio

    Estratto dello STATUTO:

    ART. 1 – Costituzione e sede

    E’ costituita l’associazione non riconosciuta senza fini di lucro denominata “in_Loco_motivi” con sede in Avellino al Viale Umberto Nobile n. 17; essa è retta dal presente statuto e dalle vigenti norme di legge in materia.

    ART. 2 – Carattere dell’associazione

    L’associazione è apartitica, ha carattere volontario e non ha scopi di lucro.

    I soci sono tenuti ad un comportamento corretto sia nelle relazioni interne con gli altri soci che con i terzi nonché all’accettazione delle norme del presente Statuto, e dei successivi regolamenti di gestione.

    L’associazione potrà partecipare quale socio ad altri circoli e/o associazioni aventi scopi analoghi.

    ART. 3 – Durata dell’associazione

    La durata dell’associazione è illimitata.

    ART. 4 – Scopi dell’associazione

    L’associazione ha per oggetto principale la promozione della cultura turistico-ferroviaria, la tutela, la promozione e la valorizzazione delle cose di interesse storico e la salvaguardia dell’ambiente. Al centro dell’attività dell’associazione si pone la promozione e lo sviluppo di un efficiente sistema di trasporti pubblici su tutto il territorio nazionale, privilegiando il trasporto su rotaia ed in modo specifico il ripristino e la gestione del servizio viaggiatori e non, su linee ferroviarie dismesse oppure ancora aperte al traffico regolare ma di notevole valenza ambientale e/o turistica e/o storica.

    L’associazione in collaborazione con le Amministrazioni Statali, Regionali, Provinciali, Locali e con altre Associazioni od Enti ed Imprese potrà essa stessa promuovere e gestire direttamente servizi di trasporto regolare, nonché iniziative come treni speciali, treni storici, con lo scopo unico di sollecitare e sensibilizzare il pubblico e gli Enti Locali sull’opportunità e sui vantaggi derivanti da un sistema di trasporti pubblici efficienti, in termini sia di rilancio turistico che di risparmio economico, di tutela, valorizzazione e salvaguardia dell’ambiente. Inoltre l’associazione per adempiere alle proprie finalità si adopererà al recupero, alla conservazione e all’utilizzo di impianti, fabbricati, strutture, aree e mezzi ferroviari di particolare interesse storico e culturale.

    L’associazione si propone anche come struttura per servizi di informazione per associazioni e categorie che perseguano finalità che coincidano, anche parzialmente, con gli scopi della stessa.

    L’associazione non può svolgere attività diverse da quelle sopra indicate ad eccezione di quelle connesse o di quelle accessorie a quelle statutarie, in quanto integrative delle stesse.

    ………

  134. 289 avellinorocchetta 07/12/2023 alle 9:17 am

    Dichiarazione del Soprintendente ai Beni Architettonici e Paesaggistici di Avellino e Salerno: Gennaro Miccio, in merito all’avvio delle pratiche per fare della ferrovia Avellino Rocchetta un bene culturale da tutelare :
    “E’ evidente che non tutto va congelato in un enorme frigorifero. Il cambiamento, però, va pensato. La volontà di cambiare qualcosa non è da sola un fatto positivo. Sulla ferrovia, abbiamo voluto accendere un riflettore. Segnalare che è un’opera importante, prima che arrivi qualcuno, magari bene attrezzato, a distruggere tutto. Il restauro, nel suo significato latino, vuole dire . Il senso dovrebbe essere questo: rientrare in possesso di un’opera e, con essa, della memoria e dell’identità culturale smarrita. Per riproporla e mantenerla viva, non imbalsamata.”

  135. 290 avellinorocchetta 07/12/2023 alle 9:47 am

    LA AVELLINO ROCCHETTA E’ UNA LINEA FERROVIARIA SEMPLICEMENTE DELIZIOSA: PASSA PER VIGNE E CAMPAGNA. E’ QUEL CHE CI VUOLE, GIA’ PRONTO E CONFEZIONATO, PER IL TURISMO ENOGASTRONOMICO IN IRPINIA.

    IO NE HO AMMIRATA UNA TRATTA NEI PRESSI DELLA VIGNA DELLA “FERROVIA” (APPUNTO) ACCOMPAGNATA DA GIANCARLO IOANNA, DELLA AZIENDA FILADORO. LA LINEA E’ STATA GIA’ UTILIZZATA PER ESCURSIONI GASTRONOMICHE CON SUCCESSO.

    OCCORRE MAGGIORE CONTINUITA’, SI, E UN PROGETTO SERIO PER IL SUO RILANCIO E GESTIONE. MA, OPPORTUNAMENTE VALORIZZATA, NON DEVE MORIRE.

    OGGI C’E’ UNA RIUNIONE IMPORTANTE. QUESTO IL CS DEI PROMOTORI: “E’ convocata per domani mattina alle 11 (NDR OGGI) nella sala mensa della Stazione Ferroviaria di Avellino la conferenza stampa indetta dall’associazione inLoco_motivi contro la chiusura della Linea Ferroviaria Avellino Rocchetta.E’ ormai notizia certa e non smentita che con l’entrata in vigore dell’orario invernale di Trenitalia a partire dal prossimo 13 dicembre la storica linea voluta da Francesco De Sanctis sarà definitivamente chiusa. Il gruppo di Amici della Linea Ferroviaria Avellino Rocchetta, assieme ai sindaci della tratta e rappresentanti dell’Ente Provincia racconteranno il significato di questa chiusura per la città e per l’intera provincia”.

    IL MIO IN BOCCA AL LUPO PER UNA SOLUZIONE RAGIONEVOLE: LA LINEA DEVE ESSERE UNA RISORSA E PRODURRE REDDITO E CULTURA. PENSARE CHE DEBBA ESSERE SEMPLICEMENTE EFFICIENTE DAL PUNTO DI VISTA ECONOMICO O AMARLA ASTRATTAMENTE NON BASTA: BISOGNA LAVORARCI SERIAMENTE, COME SU TUTTA LA FILIERA VINO NELL’AVELLINESE.
    A.M. Famiglietti dic 2010

  136. 293 avellinorocchetta 14/12/2023 alle 9:51 am

    Avellino-Rocchetta S.A.: una strategia da non smantellare
    Ieri 13 dicembre 2010, dalla stazione di Avellino non è partito alcun treno per Rocchetta Sant’Antonio,gli studenti che da Montemarano, Cassano Irpino e Nusco salivano su quel treno per raggiungere ognuno la propria classe nella scuola di Lioni, hanno trovato la stazione deserta e il binario vuoto di quella littorina che ogni mattina iniziava con loro la giornata. Da oggi neanche le nostre iniziative potranno più aver luogo, i sabati e le domeniche non saranno più deliziati dalla musica dei cantautori irpini che salivano con noi su quel treno, dalle risate di grandi e piccini, curiosi osservatori di un’irpinia diversa, mai vista.

    L’anno e mezzo di prova generale di iniziative di nuovo turismo in irpinia è giunto tristemente al termine senza che alcuno si disturbasse a valutare il compiuto, senza che alcuno si scomodasse a fare due conti su quanta gente fosse salita, in quelle giornate, su questo “ramo secco” del trasporto su ferro.

    Eppure in queste ultime settimane tutta la stampa locale ha riempito le pagine di immagini e articoli, moniti e critiche. Certo, un po’ tardivamente rispetto al nostro impegno speso dal 1° settembre 2009 a tentare di aprire gli occhi ad amministratori e cittadini sulla possibilità assolutamente non remota che questa ferrovia potesse chiudere per sempre e sulle possibili alternative d’uso.

    C’è stato sicuramente un bel parlare, un bel discutere, anche animatamente, sui giornali e non, nelle ultime due settimane, ma pare non abbia, ad oggi, sortito alcun effetto presso quelle istituzioni che invece di “gestire” semplicemente un territorio, dovrebbero governarlo e governarlo ascoltando ciò che dal territorio viene, magari mediando tra la necessità di fare cassa in periodo di crisi e la richiesta di quella base, quella massa, quel popolo che, in tempi diversi da questo, ha dato loro fiducia consegnandogli ciò che di più prezioso c’è in uno stato democratico: il voto.

    Ma nulla di fatto, i calcoli matematici, le somme algebriche di numeri decretano la sospensione, premessa alla chiusura, della tratta ferroviaria Avellino-Rocchetta.

    Ognuno ha detto la sua nella libertà che la stampa e le televisioni hanno concesso. Si è spesso travisato il senso della nostra battaglia, riducendola a lotta politica tra precedenti ed attuali amministratori provinciali e regionali, su progetti di dubbia valenza ma molto costosi, come il PAIN sulle Vie del vino tra i borghi dell’irpinia verde, che, se approvato, porterebbe in queste terre 110 milioni di euro di fondi pubblici più altri 50 milioni di euro di privati. Non ci interessa. Non ci interessa perché di questi molti milioni, quasi nulla è dato al mantenimento della tratta ferroviaria che gli amministratori continuano imperterriti ad infilare in progetti e programmazioni territoriali, ma poi quando si tratta di fare materialmente qualcosa affinchè questa non venga sospesa arrivano tardi ed impreparati. Sventolare progetti costosi, finanziamenti eccezionali sia per il quantitativo economico sia per la caratteristica di essere una tantum per il territorio, non è né il nostro fine ma neanche la nostra base di partenza.

    Il significato delle nostre iniziative non è stato compreso per nulla. Eppure era così ovvio: dimostrare che senza grandi progetti ma semplicemente con quello che si ha a disposizione, con un po’ di buona volontà, al massimo con un marketing turistico migliore, e con la costruzione di una rete imprenditoriale e perché no anche pubblica affidata ad associazioni, imprenditori ed enti comunali e provinciali, si potesse prospettare uno sviluppo in senso turistico che è solo una parte, sicuramente, dello sviluppo più complessivo del territorio, ma è reale ed è, soprattutto dimostrata nei fatti, cosa che invece progetti più altisonanti non possono dimostrare se non con proiezioni che si affidano al possibile e al probabile ma non al certo e al riscontrabile come invece abbiamo fatto noi. Ma 150 milioni e più fanno gola a tutti ed ora si fa la fila per accaparrarsi la primogenitura o per criticare in modo da smontare e rimontare progetti per poi poterli redistribuire. Ripetiamo che questo a noi non interessa perché non crediamo, e la storia ci da ragione, che improvvise azioni ed economicamente ingenti, possano mutare la faccia all’irpinia. Crediamo invece in uno sviluppo che partendo da ciò che si ha e semplicemente assecondandolo, senza eccessive risorse, possa fisiologicamente crescere nel rispetto del territorio e se portato avanti con la passione di chi già lavora su di esso possa domani essere patrimonio nostro e dei figli di questa terra che avranno libertà di decidere di restare a casa loro e di investire nel proprio territorio.

    E’ una visione romantica? Forse, ma spesso da queste visioni rivoluzionariamente romantiche sono partiti cambiamenti epocali che hanno mutato il destino di paesi e nazioni.

    Le visioni strategiche che si hanno di un territorio e di cui tutti negli ultimi tempi si riempiono la bocca, hanno, insite nella parola stessa, la valenza di lungo periodo, e non è nell’ arco di tempo stretto e calcolabile facilmente che si possono contare e apprezzare i frutti di un lavoro che deve essere costante e giornaliero, e soprattutto non avere il carattere né delle emergenza né dell’eccezionalità come si prospetta sia quello del fantomatico progetto PAIN, che, se dovesse un giorno essere approvato potrebbe trovare un terreno più fertile di quello che adesso si sta invece, al contrario, tentando di desertificare a suon di tagli lineari che non hanno nulla di strategico ma tutto di tattico. Ma la mera somma di tattiche non fa la strategia, anzi se non si ha una strategia, le tattiche possono addirittura essere più deleterie nel lungo periodo.

    Allora cosa significa sospendere l’Avellino-Rocchetta?

    Significa porre le basi della chiusura della stessa, significa smettere di curare un pezzo della storia del nostro territorio, significa iniziare la dismissione della nostra irpinia. E’ non è un esagerazione. L’avellino-Rocchetta è una tratta storica, ha fatto e fa la storia del nostro territorio, perdere un elemento del genere, porta all’inevitabile perdita della storia nostra e un popolo senza storia, non ha presente e non ha futuro.

    L’avellino-rocchetta ha disegnato un territorio, lo ha modificato e il territorio ha fatto propri gli elementi della strada ferrata. Il territorio si è arricchito; il territorio è un bene e va curato in tutti i suoi elementi e la strada ferrata ne è un elemento determinante: va curato perché non curarsene significa non curare il patrimonio paesaggistico irpino. Noi non siamo proprietari del territorio in cui viviamo, ne siamo i custodi e abbiamo il dovere di lasciare, quantomeno immutato, se non abbiamo capacità di migliorarlo, il bene che le precedenti generazioni ci hanno lasciato in eredità.

    L’avellino-rocchetta è un mezzo di trasporto che, seppur con molte difficoltà, è stato costruito, voluto fortemente da menti eccelse come Francesco de Sanctis ed è deprecabile che politici irpini continuino a minimizzare anche questo. Comunque è un mezzo, ora, a nostra disposizione, un mezzo che va sicuramente ottimizzato con l’incentivazione del rapporto ferro-gomma, ma è un mezzo funzionante e sicuro.

    Nell’ottica di una sempre più incalzante politica di valorizzazione e protezione del patrimonio paesaggistico, della diminuzione degli inquinamenti e dello spreco di territorio, l’utilizzo del treno si inquadra perfettamente, e più che pensare a nuove strade, più veloci e con più macchine si potrebbe pensare ad una conversione del mezzo treno con biodiesel o addirittura utilizzando il solare rendendolo elettrico,non la tratta ma il mezzo. Le stazioni e i molti edifici, anche rurali, già esistenti sul territorio, potrebbero ricevere incentivi per la loro trasformazione in strutture ricettive. Una rete tra gli enti locali, le strutture turistiche, i musei, le aziende che fanno agricoltura e prodotti di qualità, potrebbe essere la base sulla quale il treno corre, aiutata da un marketing misurato e strutturato. La possibilità che in irpinia si sviluppi un’ industria verde, tecnologicamente avanzata, che sia servizio alle potenzialità territoriali potrebbe essere il rilancio futuro.

    Le potenzialità ci sono, noi le vediamo chiare, le idee che le utilizzino sono tante; certo queste idee hanno bisogno di passione ma anche di impegno costante,e di una capacità di traguardare l’oggi e anche il domani, della capacità di immaginare questo territorio proiettato in un futuro lontano, ma i nostri governatori, ai quali necessariamente dobbiamo rivolgerci, hanno perso la capacità di guardare al futuro, relativizzando il loro pensiero agli introiti subitanei misurati nell’arco temporale delle legislature. E mentre loro giocano con le tattiche, mandano strategicamente i loro figli via di qua, via dal futuro desertificato di questo “eterno sud”.

    Valentina Corvigno, architetto e specialista in restauro dell’architettura e del paesaggio_InLocoMotivi
    13 dic 2010

  137. 294 avellinorocchetta 14/12/2023 alle 9:53 am

    C’ERA UNA VOLTA il treno

    Trenitalia e la Regione Campania «sospendono» le corse della ferrovia che attraversa l’Irpinia. Era stata inaugurata nel 1895. Un altro passo verso il baratro per il sud Italia

    Chissà cosa credono di aver fatto i funzionari della regione Campania e diTrenitalia che hanno deciso la chiusura della tratta ferroviariaAvellino-Rocchetta Sant’Antonio (Foggia). Perché se credono di aver fattoqualcosa di buono per la collettività, allora bisognerebbe fargli sentireaddosso la loro ignoranza e la loro miseria culturale e politica.Bisognerebbe fargli studiare un po’ Francesco De Sanctis, uno degliartefici di questa ferrovia, e magari Giustino Fortunato, uno deimeridionalisti impegnati in anni lontani nella battaglia per le “stradeferrate ofantine”. Bisognerebbe fargli sentire la vergogna quando siriempiono la bocca di cultura e dall’alto dei loro stipendi e delle loroignoranze ne sono invece la decisa e radicale antitesi. Dunque l’anticaferrovia che da Avellino attraversa tutta la dorsale che divide questopezzo di Campania dalla Basilicata e dalla Puglia (fu inaugurata, neltratto completo di 119 chilometri, il 27 ottobre del 1895), quella che hasegnato la storia degli uomini di queste zone dell’osso, le loro epicheemigrazioni, la guerra, la rinascita, sarà chiusa a partire dal 13dicembre prossimo. E sarà chiusa nel modo peggiore, persino prendendo ingiro il territorio: infatti la linea è sospesa e continua a restare apertaall’esercizio. Che significa che sarà comunque soggetta a cura da partedel personale delle ferrovie. E allora perché interrompere del tutto ilservizio ferroviario? Per dimostrare cosa? Che non vale la pena tenerlaaperta?

    Ma tutti, cioè tutte le persone interessate al rilancio, sanno che questastrada ferrata ha un valore dentro un nuovo modello di sviluppo per ilterritorio. Che da sola non funzionerebbe. Ma che accompagnata da unapiattaforma di nuovo progresso essa diventa addirittura una metafora dirinascita e di futuro. E poi: perché umiliare le centinaia di persone chehanno rivitalizzato questo pezzo di strada ferrata con corse turisticheche hanno contribuito alla valorizzazione del territorio e delle suepotenzialità? Inutile ricordare la motivazione che porta l’assessore aitrasporti della regione Campania Sergio Vetrella: il governo centrale cichiede di tagliare e noi dobbiamo tagliare. È la stupidità economica diquesto periodo in Italia. Intanto tagliare le corse non significatagliarle tutte. Poi, con quale motivazione per il futuro? Naturalmentenon c’è nessuna motivazione per il futuro, soltanto calcoli contingenti eassolutamente distruttivi.Il pezzo di ferrovia che va da Avellino a Rocchetta Sant’Antonio, alleporte del tavoliere pugliese, è anche un asse di penetrazione tra la parteorientale della Campania e la Puglia e la Basilicata. Cioè un elementofondamentale del nuovo sviluppo dei territori. E invece così sicontribuisce a creare un muro che divide sempre più la Campania dallaPuglia e dalla Basilicata. E pensare che siamo in epoca di apertura, diglobalizzazione! Ma chissà se a qualcuno è venuto in mente di ricordare aifunzionari e amministratori che, se è un problema di risparmio, basterebbediminuire un po’ la “casta” amministrativa e politica, quella che davveroingolfa la macchina e impedisce di camminare, per salvare, ma soprattuttorilanciare in termini turistici, culturali, di trasporto merci e di viagginormali questa linea ferrata. Tra l’altro chissà se i nostriamministratori sanno che, allo stato, è pressoché impossibile, senzaquesta ferrovia, usare mezzi pubblici per andare, soprattutto dalla partedel territorio bagnato dai fiumi Calore e Ofanto, in Puglia e inBasilicata. E ancora chissà se sanno che tanti (persino le istituzioni)hanno avuto progetti interessanti su questa linea. Dalla valorizzazione insenso ambientalista del territorio, legato al turismo, ai prodotti tipicie a una nuova agricoltura; a quello di un uso del trasporto merci perbinari che passano dentro le aree industriali costruite dopo il terremotodel 1980; a quello di un museo itinerante legato al nome del grandecritico letterario Francesco De Sanctis (nel paese d’origine, Morra, vi èla sua casa natale) che si batté molto per questa strada ferrata. Ma cosavolete che se ne importino di De Sanctis, del futuro di queste zone (sonoin gran parte quelle del cratere del terremoto del 1980, cioè i paesi piùdanneggiati e distrutti), dell’autonomia dei territori, amministratori(sarebbe troppo chiamarli politici, la politica vera è in grado dicavalcare i sogni delle persone) che se ne fregano se associazioni, comein questo caso “In loco motivi”, nata apposta per rilanciare la tratta,hanno già portato più di tremila persone in viaggi turistici, oltre adaver già in programma con le scuole viaggi di studio per centinaia dialunni e studenti.Ci sono territori attraversati da questa ferrovia (per esempio l’AltaIrpinia) che vivono, insieme ad altri e più di altri, il drammadell’emigrazione ripresa in grande stile, dell’agonia civile deiterritori, dell’esproprio dei servizi essenziali (vedi ospedali), dellavita giovanile mai così terribile e senza prospettive. Ma “loro” sonoabituati ad altro. Ad una politica di maneggioni, di robot agli ordinidella economia (capitalistica) ufficiale, di uomini figli della decadenzaculturale e politica che viviamo. Ma non è detto che le cose debbanoandare sempre così come loro hanno deciso. E se avessero fatto male iconti? Antonio Panzone, che si è occupato in qualità di docente di questaferrovia producendo anche un libro con gli studenti, la mette così:«L’Irpinia mi fa pensare alla tela di Penelope. Ma, fenomeno strano, lanatura reagisce e fa la sua parte: il viaggiatore che oggi attraversa intreno i nostri posti rimane incantato dal suo aspetto spontaneo, naturale,suggestivo per i paesini, per le frequenti, alterne immagini del Calore edell’Ofanto, per la varietà di flora e fauna, per cui la natura riempie disignificato l’intera tratta». Pietro Mitrione, ex ferroviere e animatoredel gruppo superattivo di “In loco motivi”, cioè gli amici della lineaferroviaria Avellino-Rocchetta Sant’Antonio, scende nel problema di oggi:«Sabato 11 dicembre faremo l’ultimo viaggio del nostro gruppo. Partiremodalla stazione di Avellino alle 6,30 del mattino e attraverseremo tutta latratta fino a Rocchetta Sant’Antonio, la porta della pianura pugliese. Chivuole si aggreghi a noi. Gli amici, i sindaci e tutte le persone sensibilidei vari paesi che attraverseremo si facciano vedere. Se saremo in tantimagari sarà anche una bella forma di protesta per questo treno preso ingenere da poche persone perché del tutto abbandonato al suo destino.Eppure in questi mesi di impegno con i viaggi turistici, gli incontri, leassemblee, il nostro sito, i dibattiti che abbiamo su facebook, e tantealtre cose, abbiamo dimostrato che c’è una voglia di treno, unasensibilità nuova. E anche una voglia di parlarne. Sempre di più questotreno, che all’apparenza sembrava destinato al declino totale, harisvegliato idee nuove in tanti. Quest’anno abbiamo già tantissimeprenotazioni dalle scuole oltre che da tante persone. Perciò abbiamovissuto come una sorta di coltellata alle spalle la decisione dellaregione Campania di tagliare sulle tratte soprattutto delle sue zoneinterne. Di conseguenza Trenitalia, che pure aveva preso la decisione didimezzare quelle poche corse che c’erano, ha poi deciso di sospendere ilservizio su tutta la tratta. Che dire? Siamo sconcertati, oltre cheamareggiati. Ma è un’illusione pensare che staremo con le mani in mano.Perché dobbiamo buttare alle ortiche una storia gloriosa, un passato dovec’è scritto innanzitutto il futuro per noi? Un futuro legato aglisplendidi paesaggi che attraversa la linea, al risveglio della memoria?»E, va aggiunto al suo discorso, a un rapporto ovest-est quanto maiindispensabile di questi tempi. Tempi in cui un regionalismo stupido efuori storia ha rinchiuso i territori in luoghi angusti a dispetto dellaglobalizzazione montante e della costruzione europea. È così devastante,questo modo di fare, che è quasi impossibile avere una informazioneitaliana corretta sulle ferrovie turistiche, quella che si poteva avere,anni fa, quando bastava telefonare alla sede centrale di Roma e, semprecon fatica e nervosismo naturalmente (siamo in Italia), avere uninformazione su tutto il territorio nazionale. Provate a chiedere allasede nazionale di Trenitalia, la storia, la mappa e il futuro delle tratteturistiche esistenti in Italia, e vi sentirete spesso dire che bisognainformarsi dalle regioni. Cosicché, si dovrebbero fare venti telefonateper cercare di avere qualche informazione. Vogliamo citare un altro casodi un bislacco modo di fare, che riguarda proprio questa ferrovia? Chiscrive si è trovato nella carrozza a discutere, con molto umorismoovviamente, con il controllore per sapere se il biglietto fosse giusto osbagliato. Perché? Ma perché, non facendo più le agenzie di viaggio unbiglietto per il solo passaggio su questa tratta per l’esistenza deibiglietti unici regionali, e attraversando la linea tre regioni (Campania,Basilicata, Puglia), col biglietto campano in teoria non potrestiattraversare la Basilicata e neanche la finale Puglia. Che si fa? Già, chesi fa? Ovviamente si abbozza e si viaggia alla fine lo stesso.Quindici anni fa, nel centenario della ferrovia, ci fu una manifestazionedi popolo indimenticabile. Con una partecipazione così massiccia che eradifficile scendere dal treno a ogni stazione traboccante di folla. Chiscrive seguì allora per il nostro giornale quella festa, che fu anche ungrande insegnamento per i piccoli particolari di cui si discuteva nellecarrozze. Una signora ormai anziana, figlia di un ferroviere, raccontò cheil padre la portava da bambina sul treno perché, ammalata nelle vierespiratorie, le faceva inalare, nelle gallerie e affacciata alfinestrino, il vapore. A mo’ di moderne inalazioni. E tanti altri episodiin quella giornata indimenticabile che poi però nessuno ha saputo e volutovalorizzare. E’ evidente che una ferrovia del genere, che risente anchedel tracciato progettato all’inizio della seconda metà dell’Ottocento, habisogno di una progettualità turistica indispensabile e all’altezza delterritorio che si vuole valorizzare oltre che dei nomi che si sono spesinella sua realizzazione, a partire dal critico letterario (e politico)Francesco De Sanctis. Un grande museo itinerante nelle stazioncinericostruite, legato alla vita e alla storia del critico, con una sededegna nella casa a Morra De Santis e in un centro studi ad hoc, potrebbeessere una carta di straordinaria efficacia. Tra l’altro è sommamentestupido cercare di recuperare la casa del critico, mettere in piedi unafondazione o un centro studi e poi lasciare alla malora uno dei lascitimigliori del suo impegno politico su questo territorio. Il tutto,ripetiamo, giocato sul rapporto Ovest-Est, cioè una sinergia tra territoriche adesso vengono divisi in modo improprio, oltreché ridicolo in epoca diglobalizzazione. Sono del resto cose di cui persino le istituzioni hannogià discusso in passato firmando anche protocolli di intesa, tra Provinceconfinanti o vicine. La ferrovia può diventare quindi, a questecondizioni, metafora di ripresa. Ma vallo a raccontare ad amministratoriche non sanno cos’è una metafora politica, che vivono con le parole e igesti rivolti all’indietro, marionette di un passato che fa tutto ilpossibile per restare a galla. Non che non esistano problemi nellacosiddetta società civile. Del resto se possono far passare porcate diquesto tipo è anche perché la società civile è prigioniera e succube delladecadenza del mondo politico. Riprendere il discorso su di un nuovo futurofondato sull’autonomia dei territori dentro uno scambio ricco con glialtri e sull’ambientalismo più politico e di classe, è urgente. E ildiscorso su questa emarginata tratta ferroviaria allude proprio questo infondo. Sapranno gli amici di “In loco motivi”, gli abitanti dei territoripresi in esame, la classe operaia che lavora a contatto con i binari diquesta linea, “rimettere ordine” in un mondo così alla deriva?
    13 dic 2010

  138. 296 avellinorocchetta 22/12/2023 alle 11:56 am

    LA PROPOSTA DI MONUMENTI IRPINI: LA FERROVIA AVELLINO ROCCHETTA SANT’ANTONIO COME LUOGHI DEL CUORE DEL FAI
    La bella ferrovia storica che dovrebbe essere valorizzata come ferrovia del vino perchè ha stazioni nei più importanti paesi delle tre DOCG Campane.
    Attraversa valli incontaminate, costeggia vigneti assolati, lambisce anse ombrose di fiumi dovrebbe essere proposta come “LUOGHI DEL CUORE” del FAI.
    Tra le più suggestive opere in cui ci si imbatte nell’attraversare la secolare ed ormai semiabbandonata ferrovia “Avellino- Rocchetta Sant’Antonio“ (o meglio, “Avellino-Santa Venere”, come si chiamava in origine), si fa certamente notare l’imponente ponte in acciaio che congiunge le sponde del Calore tra i territori di Lapio e Taurasi, progettato dall’ingegnere Sangiorgi della Società Mediterranea, concessionaria della linea. Realizzato tra il marzo ed il settembre del 1893 dalla Società Industriale Italiana di costruzioni metalliche, che aveva sede a Castellammare di Stabia, il ponte suscitò l’entusiasmo unanime della stampa e di quanti lo considerarono un simbolo del sempre più trionfante progresso: “L’opera imponente, meravigliosa -leggiamo in una cronaca del tempo- si ammira come trionfo della industria italiana […] Sentite: il viadotto è costituito da tre luci indipendenti larghe metri 98 ciascuna. Le travi sono alte metri 10,60, a grandi maglie, e la ferrovia corre a circa metà altezza. La montatura è stata fatta sopra tre ponti di servizio in legno, i quali per solo legname costarono 60 mila lire. – L’altezza della valle è di metri 35 – Le due pile e le spalle furono fondate ad aria compressa”. Per questo, apprendiamo da un altro resoconto, “gli abitanti di Lapio l’hanno battezzata pel Ponte Principe e per verità un’opera così perfetta potrà fare l’orgoglio di chi l’ha progettata, diretta e costrutta”. L‘anonimo giornalista aveva ragione, visto che ancora oggi l’opera è conosciuta e apprezzata dagli studiosi e dai cultori di storia e tecnica ferroviaria, oltre ad essere vivamente scolpita nella memoria di migliaia di persone che lo hanno attraversato svariate volte, magari a bordo delle leggendarie “littorine”, quando la linea di Rocchetta era ancora essenziale nella rete dei trasporti locali.
    Una volta conclusa la costruzione, la Mediterranea e la società costruttrice organizzarono subito il collaudo dell’opera, cercando di evitare clamori attorno all’operazione. Ma la notizia non sfuggì alla comunità lapiana, che si attivò prontamente per festeggiare l’evento: “ Il giorno 20 settembre cadente – leggiamo appunto in una cronaca del tempo- fu giorno d’inaspettata festa per il Comune di Lapio. Saputosi, appena il dì innanzi, che si sarebbe proceduto alle prove del grandioso ponte in ferro sul Calore, nel tronco ferroviario Avellino-Paternopoli, la voce corse come elettrica per tutto il paese e per i vicini comuni, ed accese di grande entusiasmo l’animo di tutti, già colpiti di ammirazione per la costruzione dell’opera colossale. A secondare il movimento popolare, per iniziativa del sindaco Caprio Errico e dei signori Mottola e Forte, fu improvvisata una dimostrazione, che riuscì veramente splendida ed imponente. Imperocchè il mattino del detto giorno 20 si fece giungere in Lapio una banda musicale, con la quale la intera Rappresentanza Municipale, preceduta dalla bandiera Nazionale, e seguita da una calca di popolo, percorse il paese, e quindi si recò festante alla propria Stazione, una delle più belle della linea per la sua ridente posizione. Quivi fu attesa la Commissione, che alle 8:30 a. m. arrivò con quattro macchine per le prove. L’arrivo fu salutato con tre salve di mortaretti e col suono della marcia reale, in mezzo all’unanime ovazione del popolo che gridava: Viva il Re! Viva la Mediterranea! Viva l’Impresa Industriale! La Commissione, dopo aver ringraziato tutti, procedette agli esperimenti. Al risultato delle prove, che non poteva riuscire più felice, lo scoppio fragoroso di una magnifica batteria echeggiò nella valle del Calore e la musica intonò di bel nuovo la marcia reale, mentre il popolo non cessava dall’acclamare entusiasticamente al re, alla Società, all’Impresa. Quindi la Rappresentanza Municipale sempre preceduta dal Concerto municipale e dal vessillo, percosse, per ben due volte, il ponte, seguitando nelle ovazioni al Capo Sezione, Sig. Menoni ed al corpo degl’ingegneri. Quasi fino a sera, poi, non solo i cittadini di Lapio, ma anche quelli dei vicini paesi si fermarono ad ammirare il maestoso ponte ed a passeggiare su di esso. Il giorno 20 settembre rimarrà memorando per Lapio”.
    l. Iannino

  139. 297 avellinorocchetta 31/12/2023 alle 10:36 am

    La Stazione di Avellino e il suo Parco porta d’accesso al nuovo Borgo Ferrovia

    nella sala consiliare del Comune di Avellino, il Sindaco Gianluca Festa ha tenuto la conferenza stampa di presentazione del programma intitolato “Enjoy Avellino Green and Smart City – Italia City Branding 2020”
    28 Giugno 2023

    La Stazione di Avellino e il suo Parco porta d’accesso al nuovo Borgo Ferrovia
    La Stazione di Avellino e il suo Parco della memoria storica qualificheranno il nuovo quartiere di Borgo Ferrovia. Questa mattina nella sala consiliare del Comune di Avellino, il Sindaco Gianluca Festa ha tenuto la conferenza stampa di presentazione del programma intitolato “Enjoy Avellino Green and Smart City – Italia City Branding 2020”.

    IL PROGETTO. Il Comune di Avellino ha programmato l’elaborazione di un progetto organico che rilanci e riqualifichi l’intera Porta Est della città, per la rigenerazione urbana ed ambientale di “Borgo Ferrovia” e della sua Stazione. Si tratta di un intervento messo in atto mediante una partnership con Ferrovie dello Stato Italiane SpA, che vede l’implementazione di diverse azioni di restauro, manutenzione, miglioramento generale del decoro urbano, caratterizzante lo specifico perimetro territoriale (di cui si dettagliano di seguito le specifiche) dove ha sede la stazione ferroviaria del capoluogo irpino. L’intervento, particolarmente ambizioso ed importante, è stato affidato ad un gruppo di professionisti che hanno come capogruppo mandatario lo studio Bargone Architetti Associati e mandante l’agronomo e paesaggista Luciano Mauro.

    La Stazione di Avellino e il suo Parco porta d’accesso al nuovo Borgo Ferrovia
    LE AZIONI. Il progetto, in sintesi, coniuga le seguenti tipologie di azioni: restauro, manutenzione, riuso e rifunzionalizzazione delle aree e dei manufatti storici esistenti all’interno dell’area ferroviaria legata all’uso del treno storico Avellino – Rocchetta, ma non solo, e adiacente il parco fluviale intercomunale del Fenestrelle; miglioramento della qualità del decoro urbano dell’area est e del Borgo Ferrovia; interventi per il miglioramento della mobilità, in chiave di sostenibilità ambientale. In particolare il progetto punta al rilancio della Stazione Ferroviaria come “HUB intermodale” con funzione di connessione tra il traffico su ferro e gomma, anche in previsione della prossima attivazione del capolinea della “metropolitana leggera” nei pressi della stazione.

    I MANUFATTI OGGETTO DI RECUPERO E VALORIZZAZIONE. Il progetto prevede il recupero, la rifunzionalizzazione ed il potenziamento di edifici di valenza storica dismessi o sottoutilizzati, esistenti all’interno della Ferrovia e delle aree circostanti. Nello specifico, il definitivo ha come oggetto di intervento il Comparto A – Area Treno Storico – che comprende alcuni manufatti di archeologia industriale da restaurare e rifunzionalizzare ed un’area che sarà adibita a verde attrezzato, di collegamento con il Parco Fenestrelle.

    La Stazione di Avellino e il suo Parco porta d’accesso al nuovo Borgo Ferrovia
    IL DETTAGLIO. Ecco come sono stati ripensati per poter restituire alla città di Avellino ed ai turisti una parte del patrimonio storico cittadino:

    L’ex Rimessa/Officine Locomotive: al cui interno è ancora conservata la capria per il sollevamento delle locomotive, prenderà il nome di “Officine Irpine” e sarà parte integrante del parco, in parte adibita a sala conferenze e sala espositiva.
    Serbatoio/Torre dell’acqua: l’antica Torre dell’acqua a base esagonale e muratura in mattoni diventerà luogo di degustazione e promozione dei prodotti “made in Irpinia”.
    Edificio per alloggi/Ex Foresteria: l’ex foresteria per i ferrovieri, situata al centro del comparto e costituita da tre manufatti connessi tra loro, sarà il nuovo Museo del Paesaggio.
    La piattaforma girevole: un tempo utilizzata per invertire il senso di marcia dei treni, situata a sud in coda all’area di intervento, si trasformerà in luogo di incontro e diverrà parte integrante del percorso interno al parco.
    L’IDEA PROGETTUALE: LA STAZIONE LUOGO SOCIALE E FRUIBILE DA TUTTI. L’idea è quella di creare un Parco della Stazione accessibile a tutti e percorribile seguendo e valorizzando gli precedenti tracciati dei binari, che fungono da collegamento tra i vari punti di interesse culturale e di incontro. Una piazza principale (dalla forma ellittica), a Nord dell’area di intervento, sarà la cerniera tra la Stazione Ferroviaria, la parte est della città ed il nuovo parco. Essa rappresenterà, pertanto, lo snodo principale da cui si sviluppano e ramificano tutte le direttrici. L’intero itinerario storico-naturalistico che si dirama dalla piazza, terminerà a sud, collegandosi ed innestandosi armoniosamente con il Parco del Fenestrelle, offrendo durante il percorso aree dedicate al relax, servizi culturali, aree dedicate alla socializzazione e punti ristoro. L’obiettivo è rendere le superfici degli edifici compatibili con l’ambiente nel quale sono immersi anche mediante l’uso di trasparenze. Il progetto del parco della ferrovia sarà, dunque, un nuovo luogo destinato allo scambio culturale, al relax ed alla socializzazione, fungendo da strategico collegamento tra il Borgo Ferrovia (al di à dei binari), la zona Est della città ed il parco del Fenestrelle. Con l’ambizione di potenziare il ruolo di attrattore culturale e turistico della città di Avellino e traghettarla verso un turismo enogastronomico e del paesaggio volto a valorizzare le suggestioni del patrimonio naturalistico e delle bellezze culturali, storiche ed artistiche presenti.

    IL NUOVO PARCO URBANO. Un altro degli scopi fondamentali cui tende la proposta progettuale, infatti è quello di contribuire anche all’aumento del grado di “naturalità” dell’area. Qualità naturalistica che sarà migliorata anche grazie alla scelta oculata delle specie vegetali erbacee, arboree e arbustive che saranno reimpiantate nell’area, riproducendo gli ecotipi delle essenze maggiormente rappresentative. Attraverso tale intervento il territorio di Avellino potrà così dotarsi di un nuovo parco, situato in una posizione di confine tra il margine antropico e più urbanizzato e quello più verde e naturalistico, dove l’integrazione armoniosa tra i due caratteri si sostanzia in interventi attenti e rispettosi, capaci di rappresentare una risorsa per la comunità locale, ma anche un ulteriore forte attrattore di flussi turistici a vocazione culturale e ambientale. Infine, la soluzione progettuale coniuga la maggior resa paesaggistica e architettonica con la qualità e l’eco-sostenibilità dei materiali, privilegiando l’uso di pavimentazioni naturali drenanti, come pavimentazioni in autobloccanti.

    Il riepilogo
    ATTORI: Comune di Avellino, Ferrovie dello Stato SpA
    PROGETTAZIONE INTERVEVENTO: S.B.ARCH. Studio Bargone Architetti Associati
    OBIETTIVO: riqualificare l’area est della città per creare il Parco della Ferrovia
    AZIONI: restauro, manutenzione, riuso e rifunzionalizzazione, miglioramento della qualità del decoro urbano, interventi per il miglioramento della mobilità anche in chiave di sostenibilità ambientale
    MANUFATTI: l’ex Rimessa/Officine Locomotive si trasformerà in sala conferenze e sala espositiva, l’ex foresteria diventerà il nuovo Museo del Paesaggio, l’antica Torre dell’acqua diventerà luogo dedicato alle degustazioni dei prodotti tipici locali. La piattaforma girevole, un tempo utilizzata per invertire il senso di marcia dei treni, si trasformerà in luogo di incontro e sarà parte integrante del percorso interno al parco.

  140. 302 avellinorocchetta 07/02/2024 alle 9:22 PM

    Convegno “Ferrovie Italiane: architettura e ingegneria per la mobilità” – I Sessione – 09:30-13:30

  141. 303 avellinorocchetta 08/02/2024 alle 9:46 am


    la vita è un treno
    antonello caporale

  142. 307 avellinorocchetta 25/02/2024 alle 4:39 PM

    articolo scritto tempo fa da Vinia Lasala sull’Avellino – Rocchetta Sant’Antonio.

    “L’Irpinia vista dal finestrino di un treno è un Paese delle Meraviglie. Ad ogni curva scandita da un vigoroso e lungo fischio è un’emozione che ti stuzzica. Che sia il verde brillante della primavera, il bianco dell’inverno, il marrone del letargo autunnale o il giallo oro del grano in estate, ti rapisce i sensi e ti porta a sognare. Guardi fuori appoggiata al finestrino della tua carrozza e nello spazio incapsulato tra la veglia e il sonno, galleggiando nell’aria li vedi apparire: crocchi di case e fumo dai tetti. E’ l’Irpinia, bellezza! Montefalcione, Montemiletto, e Lapio; Taurasi, Montella e Bagnoli; Nusco, Lioni. Poi, ti abbaglia la luce riflessa nelle acque di Conza, la vacca che dorme stesa sul prato, l’airone che volteggia come aquilone silenzioso nell’aria, le case piene di Calitri, la balena di Cairano. L’auto si ferma, è costretta a fermarsi, paziente al passaggio a livello. Ferma, con l’orecchio in attesa. Silenzio, sta arrivando il treno. Con il suo rosario. Venticinque stazioni, diciotto fermate, 119 km di ponti, cascate, traverse e binari. Quello irpino del paesaggio, battezzato cosi dai “folli sognatori” dell’associazione In Loco_Motivi è una cerniera di ferro che attraversa la terra dei lupi. Una tratta minore, inaugurata nel 1895, voluta da Francesco De Sanctis, italiano visionario, irpino di natali. Tratta minore, sospesa a tempo indeterminato, il 12 dicembre del 2010 perché ramo improduttivo. Il giorno prima, alle 6 del mattino, nel gelo di una stazione semideserta, l’ultimo saluto, malinconico e dolente viaggio. Sono trascorsi quasi sei anni da quella data e la linea ferroviaria Avellino – Rocchetta Sant’Antonio, sembrava avesse imboccato un tunnel con uscita nel dimenticatoio delle cose inutili. Ma coloro che sono abituati a viaggiare lo sanno. Per quanto buio possa sembrare, cullati dalle onde del treno, anche nel tunnel si continua ad andare. In questi ultimi anni, l’Irpinia si è risvegliata dal coma in cui era precipitata con il terremoto del 1980. Una Bella addormentata che ha iniziato a scoprire la bellezza del suo territorio e a capirne le potenzialità. In questi anni, di finanziamenti e attività, sono dovuti maturare concetti come “fare rete”, “green economy”, “mobilità sostenibile”. Tasselli di un processo di sviluppo economico legato al turismo dolce da mettere insieme, magari con il filo di ferro del tracciato dell’Avellino – Rocchetta sant’Antonio. Cosi, pazienti come automobili al passaggio a livello, i folli sognatori che in quella tratta avevano già intravisto una leva di crescita hanno atteso il cambiamento e la consapevolezza. Negli incontri, nei seminari, nelle Giornate nazionali delle Ferrovie dimenticate, nei convegni fino a quelli sul Progetto Pilota. La ferrovia si deve recuperare, la linea ferroviaria è necessaria e “deve diventare il simbolo di un biodistretto” che offra un itinerario unico dal punto di vista paesaggistico naturale “capace di attirare flussi, investimenti e diventare un asset infrastrutturale importante per i collegamenti con i distretti industriali di Melfi e non solo”. Cosi ha detto il vice Presidente della Regione Campania, Fulvio Bonavitacola, in un convegno a Calitri, sul Progetto Pilota. L’8 luglio 2015 alla VIII Commissione Ambiente della Camera, c’era stata la discussione della legge per la tutela e la valorizzazione del patrimonio ferroviario in abbandono e la realizzazione di una rete della mobilità dolce. Una proposta di legge nata dall’esperienza e dalle indicazioni delle associazioni riunite nella Confederazione Mobilità Dolce (Co.Mo.Do.) di cui fa parte l’Avellino – Rocchetta Sant’Antonio. Una luce, una prospettiva di economia sostenibile legata alle vocazioni del territorio che potrebbe determinare crescita sociale ed occupazionale. In fondo, coloro che sono abituati a viaggiare in treno, lo sanno. Non esiste tunnel, per quanto buio possa sembrare che non possa avere uno sbocco e terminare.”

  143. 310 avellinorocchetta 25/02/2024 alle 4:48 PM

    vapore 1928 a Sant’Angelo dei lombardi

  144. 311 avellinorocchetta 25/02/2024 alle 4:50 PM

    Una struggente e malinconica cantata popolare lionese raccontava l’amarezza e il nodo in gola che prendeva chi stava per partire verso l’ignoto, e soprattutto lo strazio che la partenza procurava per il distacco dalla propria amata e dalla propria terra.

  145. 312 avellinorocchetta 25/02/2024 alle 4:52 PM

    Nuove possibili emozioni drone su invaso

  146. 314 avellinorocchetta 25/02/2024 alle 4:57 PM


    I binari dell’abbandono – Perché in Irpinia non passano più i treni

  147. 320 Pietro Mitrione 06/03/2024 alle 5:05 PM

    Il 7 Marzo in tutta Italia, oltre 80 eventi per focalizzare l’attenzione su quelle linee ferroviarie ormai inutilizzate o in via di dismissione. Co.Mo.Do., Confederazione Mobilità Dolce, tre anni fa avviò questa mobilitazione.

    Oltre 8.200 km in tutta Italia sono le linee ferroviarie dismesse, incompiute o superate da varianti di tracciato o sottoutilizzate. Tutte sacrificate sull’altare della cosiddetta modernità.

    La rete ferroviaria storica in Italia, così come si è sviluppata a partire dalla metà del secolo XIX, sottoforma di tracciati, impianti, materiale rotabile, possiede un irrinunciabile valore culturale sotto il profilo ingegneristico e testimoniale e sotto il profilo paesaggistico.

    Per la prima volta, l’Irpinia con la storica Avellino Rocchetta Sant’Antonio , è parte attiva della Terza Giornata nazionale delle Ferrovie Dimenticate.

    Oggi si prova a ragionare ripensando ad un uso o riadattamento di queste linee ferroviarie legato a progetti di rilancio economico a fini turistici, tra questi anche il coinvolgimento delle scuole onde permettere a tanti giovani di conoscere ed amare il proprio territorio.

    Proprio con questo obiettivo InLoco_Motivi ha coinvolto la Avellino – Rocchetta Sant’Antonio in viaggi che

    attraversano i luoghi più suggestivi della provincia.

    La storica linea ferroviaria irpina è stata inaugurata nel 1895 e, oggi, rappresenta un monumento di storia e di cultura materiale del territorio provinciale avellinese.

    Le ferrovie minori, rappresentano dei veri e propri beni culturali ed ambientali.

    Infatti, come nel caso della Avellino _Rocchetta, fin dall’800 ma fino ai primi decenni del secolo scorso, le ferrovie minori hanno permesso a tante città e territori, non direttamente coinvolti dalla costruzione delle direttrici principali, di non perdere… il treno dello sviluppo che il nuovo mezzo prometteva.

    Da un punto di vista paesaggistico ed ambientale, questi tracciati, attraversano valli, fiumi, valichi, perforano montagne, sono il mezzo più idoneo per accostarsi con lentezza e stupore alla scoperta di rilevanti qualità paesistiche.

    E’ necessari, quindi, pensare alla loro conservazione ripensandone anche l’uso o il riuso a favore del territorio che le ospita.

    L’opzione turistica è certamente una delle più fattibili.

    Per questo è necessario uscire dalla logica, ormai ristretta, che il treno sia solo per pendolari o sia solo “alta velocità”. Può invece essere uno strumento fondamentale per un turismo non necessariamente motorizzato e più rispettoso dell’ambiente.

    Guida l’intera proposta del gruppo di lavoro In Loco Motivi, una visione di politica ambientale che pone l’accento sulla necessità di perseguire soluzioni strategiche che ridiano senso infrastrutturale ed economico alla più antica linea ferroviaria dell’Irpinia e tra le più antiche della Campania.

    Una politica di programmazione basata sulla amplificazione di un turismo ambientale deve portare ad immaginare la tratta ferroviaria, il cui valore di percezione paesaggistica è notevole, come una vera e propria infrastruttura di servizio alla conoscenza diretta delle qualità paesaggistico, culturali, artigianali ed enogastronomiche dell’Irpinia.

    Pertanto, sembra opportuno che gli enti preposti, ed in particolare la Provincia di Avellino e la Regione

    Campania, si facciano carico di fornire gli strumenti necessari che valutino, in studi analitici, tutte quelle esternalità, quei costi, che ricadono sull’intera collettività sotto forma di danni (ambientali, al patrimonio immobiliare delle stazioni, alle attività produttive e sociali) e che, se non sono adeguatamente sostenuti nel processo decisionale svalutano la gestione della attività stessa, come è il caso della tratta ferroviaria Avellino Rocchetta S.A.

    Essa può divenire nuovo elemento di supporto alla crescita economica del territorio, attraverso una gestione più privatistica ed imprenditoriale, con società pubblico-private, vocate alla promozione turistica del territorio e a visioni dell’offerta commerciale più attrattive. La scommessa è quella di dimostrare come è possibile, con forme innovative di gestione realizzate anche con partner privati, il riutilizzo delle ferrovie a scarso traffico, che percorrono zone rimaste fondamentalmente estranee a fenomeni di urbanizzazione e industrializzazione, rivestendo per questo un sostanziale ruolo naturalistico, oltre che di importanza storico culturale.

    E’ fondamentale perseguire alcune finalità di carattere generale quali:

    – spingere le istituzioni preposte, in particolare Regioni e Governo Centrale, ad adottare disposizioni legislative che riconoscano l’importanza del patrimonio storico ferroviario come facente parte, a tutti gli effetti, del più vasto patrimonio dei beni culturali del nostro paese;

    – attivare modalità al fine di sostenere finanziariamente , in un rapporto pubblico-privato ad esempio, l’esercizio delle ferrovie secondarie e turistiche ancora attive, che possono diventare importanti vettori della “mobilità dolce2;

    – favorire ed attivare, così come avviene in molti Paesi europei, il recupero delle ferrovie dimesse, valutando la possibilità di rivalutazione del servizio, o in alternativa la loro immediata trasformazione in greenways fruibili con mezzi come la bicicletta, il cavallo, i pattini, il trekking.

    Proprio queste finalità hanno dato mla spinta ideale al progetto In Loco Motivi.

    Con questo, il gruppo di lavoro In_Loco_Motivi si propone, attraverso i suoi viaggi, la riscoperta di un mezzo, la ferrovia, e di un territorio, l’Irpinia: l’uno dipendente dall’altro.

    Il gruppo si propone, in particolare per la linea ferroviaria Avellino Rocchetta Sant’Antonio altresì alcuni obiettivi:

    – la dichiarazione di importanza storico-architettonico-culturale, quindi l’apposizione di un vincolo diretto sulle opere d’arte esistenti lungo la tratta: i ponti ed alcune stazioni; questi sono elementi simbolo dell’ingegneria ottocentesca, oggetti irriproducibili che hanno valore di civiltà, che rappresentano la storia del nostro territorio e come tale vanno trattati al fine della loro trasmissione alle generazioni future;

    – la possibilità di riprendere lo studio preliminare di fattibilità, iniziato nel 1995 e di poterlo aggiornare(come già l’Assessorato ai Trasporti della Regione Campania aveva previsto), con la verifica della possibilità di rendere il mezzo totalmente ecologico;

    – iniziare un lavoro didattico nelle scuole. È dall’educazione alla conoscenza e al rispetto del proprio territorio che parte l’amore per questo e la voglia di conservazione e valorizzazione dei beni appartenenti ad esso;

    – la conoscenza del territorio irpino e delle sue potenzialità ambientali, storiche, architettoniche, artistiche, enogastronomiche.

    Il 7 marzo, Il viaggio in treno è organizzato come una continua scoperta delle terre d’Irpinia, il treno stesso è così occasione di eventi che si svolgono nelle carrozze durante il viaggio (concerti, racconti teatrali, lezioni di geografia). Paesaggi e Passaggi , lo sguardo sull’Irpinia di Franco Arminio e Franco Festa che leggeranno loro scritti e suggestioni. Il viaggio nella musica d’autore italiana dei Cantautorando e la ricerca etnomusicale dei Folska accompagneranno i viaggiatori fin nelle piazze del Centro antico di Rocchetta Sant’Antonio, meta finale del viaggio.

    (gruppo InLoco_Motivi: Pietro Mitrione-CGIL, Mariatolmina Ciriello-Rossofisso, Luca Battista-Amici della Terra, Valentina Corvigno, Agostino Della Gatta-IrpiniaTurismo, Giovanni Ventre-Irpinando)

  148. 324 Pietro Mitrione 30/03/2024 alle 9:58 am

    La Stazione di Avellino

    di Andrea Massaro

    In quell’epoca, non so per quale ragione, ci fu una grande immigrazione, e tutte le sere arrivavano con i due ultimi treni da Napoli venti-trenta-quaranta immigrati della nostra provincia, che dovevano ripartire l’indomani, e quindi costretti a mangiare, e pernottare alla stazione di Avellino. Io avvalendomi del buffet, internamente mi rimorchiavo a fila indiana quest’immigranti (come un facchino accaparratore), e con una valigia pesante li precedevo, e tutti mi seguivano attraversando la sala da pranzo del buffet, dove erano raccolti amici ferrovieri. Ed a proposito, quando mi vedevano passare, cantavano la canzone:

    “Ma nun songo li bellizzi, songh’e tratti ca tu tieni.”

    Li facevo sedere, ordinavo dei maccheroni, carne e vino, gli mettevo una bottiglia di tre quarti per ogni persona. Per me era un lavoro enorme, perchè quelli che arrivavano col treno di mezzanotte, bisognava lavorare fino alle due di notte.”

    Con questo brano, tratto dalle Memorie di un commerciante, il Cav. Angelo Muscetta presenta l’interno della stazione di Avellino nell’ultimo decennio del secolo scorso, al tramonto dell’Ottocento, quando più intenso fu il fenomeno dell’immigrazione il quale, se da un lato spopolò l’intera regione irpina, dall’altro canto consentì, come naturale valvola di sicurezza lo sfogo alle grandi tensioni politiche e sociali di questi anni.

    Dal giorno della sua inaugurazione, 31 marzo 1879, la Stazione ferroviaria di Avellino è stato al centro di manifestazioni umane e sociali di grande pregnanza che ha inciso profondamente sui sentimenti degli uomini che l’hanno frequentata.

    La ferrovia in Irpinia non diede i frutti che tutti si aspettavano da questo innovativo sistema di comunicazione.

    Nel settore dei commerci e degli scambi essa rappresentò l’inizio di un grave isolamento in quanto il vecchio commercio praticato lungo la Nazionale delle Puglie trovava Avellino sul suo cammino, e quindi, luogo di transito obbligato.

    Ciò favoriva l’economia locale per la continua presenza di commercianti, acquirenti e trasportatori di merci, primi fra tutti i prodotti cerialicoli.

    La manifattura e la vendita della pasta a mano era un settore non trascurabile nell’economia cittadina.

    Il percorso ferroviario verso il Tirreno e l’Adriatico non solo provocò l’andamento commerciale in modo negativo, ma mise in discussione il discreto benessere che, sia pure fatiCosa mente, la città cercava di conquistarsi nei primi decenni unitari.

    La presenza della Stazione nel nuovo rione consentì a quest’ultima di svilupparsi velocemente e incrementare la presenza abitativa.

    La stessa Stazione ha fatto da polo aggregante ad un considerevole strato della popolazione che si è industriata a ricavare lucro dall’indotto ferroviario.

    Negli stati di famiglia ancora conservati si può notare un forte flusso migratorio verso Avellino da parte di impiegati e operai addetti ai servizi ferroviari.

    Intere famiglie di ferrovieri provenienti da Capua, Caserta, S.Maria C.V., Nocera, Benevento, Salerno, Napoli ed altri paesi e città della Campania hanno, negli ultimi decenni dell’Ottocento e nei primi del Novecento, fissato le loro dimore nella nostra città, integrandosi completamente.

    Lotriquenza Francesco, classe 1846, veniva da Napoli;

    Mucci Giordano, nato nel 1836, da Asciano (Siena);

    Santanastasio F.Saverio, classe 1840, da Capua;

    Gerusa Tommaso, nato nel 1852, da Sanseverino.

    Altri arrivano da regioni più lontane. E’ il caso del ferroviere Pietro Guaschino che venne ad abitare alla Via S.Antonio Abate, da Casal Monferrato.

    Un figlio di questi, Modestino, Brigadiere dei Carabinieri, fu trucidato nel 1945 a Villa Carcina, nel bresciano. Al suo nome sono intestate vie e scuole pubbliche nel suddetto Comune di Villa Carcina.

    Le date salienti della storia d’Italia sono segnate da grandi menifestazioni svoltesi presso la stazione. Le guerre d’Africa del 1898, del 1911, che consentì la conquista di tripoli, le interminabili tradotte della grande guerra del 1915-18 e di nuovo le avventure coloniali del 1936 hanno affollato i lunghi marciapiedi dei binari di una folla commossa di uomini e dame dell’Irpinia.

    Il treno è stato anche il grande protagonista degli anni della seconda guerra Mondiale e della Ricostruzione post bellica degli anni ‘50 quando molti nostri conterranei con le loro valigie di cartone partivano per le regioni del nord in cerca di lavoro.

    Ancora la Stazione è stato il luogo delle grandi emozioni che si sono accompagnate ad un decennio calcistico esaltante dove il treno della speranza, trascinava giovani e meno giovani a sognare nel pallone quei momenti di gloria negati in altri spazi.

  149. 325 Pietro Mitrione 04/04/2024 alle 8:31 am

    Vinicio Capossela, ‘Il treno’, il video che chiude l’album ‘Canzoni della Cupa’

    ‘Il treno’ è la canzone che chiude l’ultimo album di Vinicio Capossela, ‘Canzoni della Cupa’. Il disco si conclude con questo brano, ‘Il treno’ della Storia che arriva e porta via la comunità e tutto un mondo, che lascia dietro di se’ solo “le finestre mute dalle bocche chiuse” dei paesi svuotati. Il tono epico, morriconiano fa da contraltare a questa trenodia, questa specie di lamento funebre delle terre svuotate. In concreto quel treno correva sulla Avellino-Rocchetta, una linea costruita a fine ‘800 che avrebbe collegato alle coste le zone dell’Irpinia interna per le quali “la geografia si imponeva alla storia”, come diceva Giustino Fortunato. Il treno fu il mezzo principale che segnò l’emigrazione degli anni ‘50 e ‘60. Lo svuotamento demografico e il trasporto su ruote hanno causato la sospensione della linea. Linea che una recente disposizione sta recuperando ad uso turistico per lo straordinario valore paesaggistico dei luoghi attraversati. Il video è stato girato da Chico De Luigi e Dario Cioni nel corso dell’ultimo Sponz Fest 2016, in occasione della prima corsa messa a disposizione da parte della Fondazione Ferrovie dello Stato.

    https://video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/vinicio-capossela-il-treno-il-video-che-chiude-l-album-canzoni-della-cupa/272186/272688

  150. 326 Pietro Mitrione 17/04/2024 alle 9:00 am

    Per dirla con VINICIO CAPOSSELA : “Per me i treni fanno parte del bene comune, come l’acqua. Non si può ragionare solo in termini economici. Il treno, in Irpinia, è separazione dalla terra, dagli affetti, è destino, è emigrazione, è speranza, è anche ritorno, è vedere cosa rimane e cosa s’è perso”.

    Culliamo i ricordi

  151. 330 Pietro Mitrione 09/05/2024 alle 3:24 PM

    tps://www.instagram.com/p/C6tTf-li_iB/

    VIDEO FONDAZIONE

  152. 332 Pietro Mitrione 17/05/2024 alle 4:28 PM

    Irpinia Express: il treno del paesaggio

    Viaggia a bordo dell’Irpinia Express: scopri tutti gli eventi in calendario e organizza il tuo week-end per scoprire i segreti di un territorio ricco di storia e tradizioni.

    Irpinia Express è un treno turistico e un viaggio ricco di esperienze sensoriali, un tuffo nel verde dei boschi tra borghi storici e splendidi vigneti immersi nell’incontaminato paesaggio irpino. Dal finestrino dell’Irpinia Express, ancora apribile come un tempo, è possibile ammirare scorci di panorama ricchi fascino, con il treno che attraversa tra curve e controcurve le colline dei vigneti DOCG, le valli dei fiumi Sabato e Calore, le alture del Parco Regionale dei Monti Picentini e le colline che dolcemente sfumano nel letto dell’antico Ofanto.


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